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Autore: nephylim88    10/09/2012    1 recensioni
La storia che presento è una sorta di "libro-game", introspettivo e soprannaturale al tempo stesso. C'è il capitolo principale, e due finali alternativi, (forse un po' scontati). Finora ho scritto una storia di fantasmi e ne ho in serbo altre 3 o 4. Di solito i fantasmi di cui mi piace leggere e scrivere sono persone che hanno vissuto una loro storia, sono morte e da morte sono entrate nella vita di altre persone, tramite apparizioni e possessioni. Ma comunque sono nettamente separate dagli altri personaggi, sono persone completamente diverse. ma cosa può succedere quando anche questa particolare linea di demarcazione viene a mancare? Quando i fantasmi sono dentro di noi? La situazione di partenza di questa storia è una situazione molto banale, senza negare la sua drammaticità: la fine di una storia importante, che, a distanza di anni, la protagonista sembra non riuscire a superare...
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Guardo la brace della sigaretta. Oh, cielo, so che la nicotina crea dipendenza, che i polmoni si riempiono di catrame, e quant’altro, ma questo miscuglio di tabacco e Dio solo sa quante altre sostanze, negli ultimi mesi è stato la mia salvezza!
Metto la sigaretta in bocca e faccio per aspirare.
- Da quando fumi? – una voce. La sua voce. Sobbalzo.
- La cosa non ti riguarda. – rispondo, secca. È un salutista convinto. Lo è sempre stato. Certo, convinto della salute del corpo, ma di quella mentale… basti pensare alla cura che ha avuto della mia!
- E che ne dici…
- …dei danni provocati dal fumo, e blablabla? – prorompo, infuriata come raramente nella mia vita. – Davide, che cosa vuoi da me?
- Volevo solo sapere come stai.
- Sto bene, ok? Benissimo!
- Non si direbbe! Guarda, fumi! Da quando? Hai un’aria tirata, stanca…
- E a te, da quando te ne frega? – prorompo, furibonda. E anche nauseata. Davvero, ho solo voglia di vomitare.
- Ti voglio bene! – la sua voce è di un’ottava più alta, per l’indignazione.
Sfodero la mia faccia da “sì, certo!”, e mi appoggio alla macchina, guardandomi i piedi. La sigaretta è ancora tra le mie dita. Il mio sguardo corre fino alla carrozzeria della mia auto, una fiat sedici blu elettrico. Adoro questa macchina. È triste da ammettere, ma è l’unica cosa che amo incondizionatamente nella mia vita. Non fraintendetemi, amo il mio ragazzo, amo la mia famiglia e i miei amici. Ma la mia macchina… è l’unica che non ho il terrore di perdere. L’unica cosa su cui ho un minimo di controllo. Certo, potrebbe capitare un incidente che me la sfascia completamente, ma non ho mai avuto incidenti, in 9 anni di patente, facendo i debiti scongiuri. Per cui, ho abbastanza fiducia nel mio modo di guidare da non prendere in considerazione l’idea di un incidente. Invece, di persone che ho perso ne ho avute tante! La mia auto… Comprata due mesi fa, anche in previsione della convivenza e di tutto ciò che potrebbe comportare: spesa da fare, eventuali bambini… Il mio Massimo ritiene che sia stata una spesa folle, specie in vista della convivenza, ma, d’altra parte, la mia vecchia auto era sfinita! Ma aspetta un secondo…
- Come facevi a sapere della mia macchina nuova?
- Come, scusa?
- La mia macchina. Quando sei scomparso nel nulla, avevo ancora la mia vecchia macchina. Come facevi a sapere che questa è la mia macchina?
Silenzio. Vagamente, si insinua dentro di me una strana sensazione di disagio. C’è qualcos’altro che non mi torna.
- Dov’è la tua macchina? O la tua moto? Abiti dall’altra parte della città, non puoi essere venuto qui a piedi. Dov’è la tua macchina?
Mi guarda. Sorride. – Me lo daresti, un passaggio?
- Per sentirmi dire che guido a scatti?
- Ancora con questa storia?
- Temo che ti rinfaccerò a vita tutto, caro mio.
- Ma non sei quella che dice sempre che il rancore ti sta rovinando l’esistenza?
Rimango basita. – e tu come fai a saperlo?
Non parla. – Davide, che sta succedendo? Questa circostanza è troppo strana. Ti presenti in nel bar dove sono io, sai che ho cambiato la macchina, sembri a piedi! Non fosse che, nonostante tutto, non è nel tuo stile, penserei che tu mi stia spiando per poi aggredirmi! Cosa diavolo sta succedendo?
Continua a non rispondere. E l’ipotesi che mi si forma in testa è talmente assurda che faccio fatica a non scoppiare a ridere quando la esprimo: - sei un fantasma?
Continua a guardarmi. Sorride. – Non è possibile che tu sia morto. L’avrei saputo.
- Non sono morto. – risponde, finalmente. Allungo una mano a toccargli la spalla. Davanti ai miei occhi, sotto le mie dita, la spalla si sfalda come se fosse fatta di nebbia.
- Se non sei morto… - dico, accorgendomi che, nonostante tutto, non ho paura – allora cosa sei? Sei mai esistito? O anche quando eravamo insieme, in realtà non esistevi?
- No. Io esisto. Se vai a casa mia, mi trovi.
- Allora, cosa sta succedendo? – ripeto. La voce mi si spezza.
- Sono la tua occasione di rinascere per davvero.
- E come?
- Lo sai tu, come fare.
- Non è vero. – le lacrime scorrono copiose sul mio viso.
- Sì, invece. – ormai sono terrorizzata. Ma non è Davide, o questa voluta di nebbia col suo aspetto, a terrorizzarmi. Ha ragione, io so che cosa devo fare. Lo devo fare. Me lo devo. Ma una volta fatto, cosa succederà? Che garanzia avrò che le cose miglioreranno?
Davide alza la mano, la punta verso la mia fronte. E in quel momento mi passano davanti diversi momenti della mia vita. Non tutti. Solo alcuni. E di colpo il buio. Mi ritrovo davanti una ragazza che trema, raggomitolata in un angolo. Faccio per avvicinarmi. E mentre faccio un passo verso di lei, per aiutarla, ritorno in me. Sono nel parcheggio del bar. Davide è ancora davanti a me. E capisco. Nessuno mi dà una garanzia che le cose migliorino. Ma peggio di così non può andare. E per male che vada, smetterò di torturarmi per quello che è successo. Quello che è fatto è fatto.
- Ok, Davide. Ok. Ricevuto il messaggio. Puoi andare.
Mi guarda con aria scettica. – Davvero?
- Sì, davvero. Puoi andare. – non accenna a sparire. – e vattene! – alzo la voce, un po’ sorridendo.
Stavolta sembra crederci. E lentamente sbiadisce davanti ai miei occhi. Poi sparisce, unendosi alla nebbia circostante. Mi accorgo che ho ancora la sigaretta in mano. Ormai è consumata, ma faccio comunque un ultimo tiro. Il fumo mi provoca un conato. Guardo il mozzicone, poi lo getto nella pattumiera lì vicino. Esito un microsecondo, poi getto anche il pacchetto appena cominciato. E per buona misura, anche l’accendino. Mi sa che non sprecherò mai più i soldi in sigarette.
- Meg? – la voce di Lorena spezza il silenzio.
- Lorena? Che c’è? – con mia sorpresa, mi sento sorridere.
- Volevo parlarti di poco fa. Stai bene?
- Sì. Sto bene. – rispondo. E sono sincera. Con un gran sorriso, le faccio l’occhiolino. Poi salgo in macchina e me ne vado.
Due anni dopo…
- Forza, spingi! – il dottore mi sprona, come se ce ne fosse bisogno!
- Coraggio, amore! Un ultimo sforzo! – Massimo è quasi più affannato di me. Nonostante il male cane, non mi viene da mandarlo a quel paese, come ho fatto con tutte le infermiere da quando è iniziato il travaglio. Lui è Massimo, il mio amore! Mio marito, da due mesi a questa parte. Quando ho scoperto di essere incinta, ho voluto sposarmi prima della nascita di nostra figlia. Volevo essere sua moglie PRIMA di essere madre. Tanti l’hanno trovato discutibile. Ma chissenefrega!
Do un’ultima spinta. Sento la mia bimba uscire. Poi un piccolo strillo.
- E’ una bambina splendida! – l’infermiera me la porge, sorridendo.
Anch’io e Massimo sorridiamo. Io sto anche piangendo. Di felicità, ovvio! Prendo la mia bimba in braccio. La guardo. Il piccolo, grande coronamento di un periodo splendido, cominciato due anni fa. Un periodo di gioia. Ed è così che si chiamerà mia figlia: Gioia!
 
Ed ecco il secondo(e ultimo) finale! Spero vi piaccia! J
  
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