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Autore: Ronnie02    13/09/2012    8 recensioni
I fratelli Leto hanno paura dell'amore, ormai è chiaro. Ma se fosse per precedenti e struggenti esperienze? Chi sono le ragazze che li hanno incantati? Che cosa è successo?
E se tornassero nella loro vita, riportando quella brama di desiderio puro in loro, invece che solita voglia di una botta e via?
Spero di avervi incuriosito!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'One Day Maybe We'll Meet Again'
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Ci siamo gente. Sul serio sto piangendo ma ci siamo. E' arrivata la fine.
Non dico che sia tutto finito, perchè c'è il sequel... ma in fondo questa è la vera fine della storia. Quello sarà solo una serie di extra che vi faranno capire meglio questa storia, se vorreste rileggerla un giorno.
Ora vi lascio e vi faccio il discorsone poi, perchè sto piangendo :') 



   Epilogue. This never ending story 







“Mi ha mentito!”, dissi incrociando le braccia al petto e facendo il broncio. 
“Ma sentilo! Sei alquanto ridicolo, lo sai?”, mi rispose il clone dai lunghi e lisci capelli marroni scuri. 
“E tu evita di dire paroloni come alquanto, sorella”, disse l'altro clone, con i capelli corti, ma dello stesso colore della prima. 
“Lo dico solo perché io, al contrario vostro, sono una persona colta”, ribatté la ragazza finto fare altezzoso che non convinceva nessuno.
Avevano un anno in più di me, ma ci conoscevamo da quando avevamo il pannolino. 
Erano come dei cugini acquisiti, anche perché di cugina veramente di sangue ne avevo solo una e, oggi come tutti i giorni, aveva deciso di andare a casa a piedi per fare delle foto.
Lei e la sua macchina fotografica! I miei gliel'avevano regalata l'anno scorso, per il suo quattordicesimo compleanno, e ormai era distrutta. La portava ovunque, anche se in teoria la fotografa non era esattamente il lavoro che voleva fare da grande.
Tutti noi in realtà sognavamo di fare il lavoro dei nostri genitori. 
“Guarda che fai solo ridere. Oh, ti ho raccontato la novità, bro?", mi chiese il clone ridendo. Scossi la testa e lui cominciò a ridere. “Settimana scorsa la grande persona colta qui presente si è fatta beccare a saltare il coprifuoco”. 
“Dilettante. I miei ormai l’hanno abolito, non ci speravano più”, ridacchiai passandomi una mano tra i capelli scuri, segnati dal caldo asfissiante della California. 
“Questo non è giusto! Tu puoi perché tuo padre da giovane, ma comunque anche ora vorrei sottolineare, era un disgraziato. E tua madre non è il tipo da proibizioni a lunga scala”, si lamentò la mora, incrociando le braccia come me. “Se mio padre venisse a sapere cosa combina questo qui, lo manderebbe sul primo treno diretto in una scuola militare, senza passare dal via”.
“Ma finiscila, non ci credo che papà era un santo da giovane”, disse l'altro clone. “Bè, oddio, l'aspetto da santo ce l'ha di sicuro!”.
Scoppiammo a ridere e chiamammo la fermata, per poi scendere dallo scuolabus e incamminarci verso casa. 
“Oggi c'è la riunione di famiglia?”, sentii una voce alta, ma non stridula. Mia cugina era dietro di noi, per niente affannata e con la sua fotocamera in mano. Come riuscisse a stare dietro ad un pullman lo sapeva solo lei. 
“Come ogni mese", ripose quella più grande. “Ringrazia che tra un po’ andranno di nuovo in tour”.
“Casa libera per mesi o anni...”, disse il moro cosa fare nostalgico. 
Ci guardammo tutti per qualche minuto, per vedere le altre reazioni, ma alla fine concludemmo solo una cosa.
“Party time!”, urlammo tutti per poi scoppiare a ridere. 
Dall'anno scorso, ovvero da quando i gemelli avevano compiuto sedici anni e avevano preso la patente, avevamo chiesto tutti di evitare i tour supergalattici, così per i viaggi più lunghi noi restavamo a casa. La cosa che li aveva convinti però non era stata l'età dei miei cugini acquisiti, ma più che altro la scuola, visto che ogni volta dovevamo saltare le lezioni o studiare in un orribile tour bus. 
Da piccolo era un'avventura, certo; con tutti i fan scalmanati e gli show, ma dopo sedici anni preferivo le feste a casa con i miei amici. 
Però appena le tappe si facevano interessanti, come Europa e Australia, nessuno di noi si faceva problemi a prendere un aereo e stare con i propri genitori. 
“Già, anche se un po’ mamma e papà mi mancheranno”, disse la piccola mentre ci trovammo davanti a quella che i miei chiamavano casa. Io e i miei compagni preferivamo definirla villa da vip
“Li andremo a trovare qualche volta”, disse il gemello. “Magari quando sono in posti come, che ne so… Brasile!”. 
"Nuova Zelanda!", continuò la sorella. 
"Italia", dissi io ricordandomi dello Stato natale di mia madre e mia zia. Era un bel posto... E belle ragazze.
La prima volta che ci ero stato avevo perfettamente capito mio padre e mio zio…
“Io vorrei tanto tornare in Grecia”, concluse mia cugina. 
“No, la Grecia no! Voglio dire, bella quanto vuoi, ma i miei genitori si isolerebbero nei loro pensieri diabetici sul loro matrimonio”, disse il clone mentre la sorella scoppiava a ridere. 
Io scossi la testa e aprii la porta. In salotto non c'era nessuno così andammo in camera mia a poggiare le borse di scuola e a cambiarci di quelle ridicole divise scolastiche ogni giorno strappavamo leggermente per renderle meno... professionali. 
Poi quando tutti fummo pronti scendemmo di nuovo, verso la cucina. E lì, seduti un po’ sul divanetto e un po’  sulle sedie, c'era tutto il parentado.
Mia nonna con il bastone faceva il caffè in un angolo, anche se mia madre di sicuro le aveva consigliato come ogni volta di non affaticarsi. 
I miei genitori erano abbracciati sul divano e ridevano. Mi piaceva guardarli, non avevano mai perso quella loro scintilla e in più da fuori potevano benissimo passare per miei fratelli maggiori. Non invecchiavano mai, quei disgraziati!
Mio zio e mia zia avevano lo stesso potere ringiovanente e ora stavano facendo finta di litigare per la televisione, facendo ridere i miei.
I genitori dei cloni, i miei zii acquisiti diciamo, erano tutti appiccicosi sulle sedie mentre giocherellavano con Sandy, il gatto di famiglia che ormai era vecchio decrepito. 
“Siamo arrivati!”, disse mia cugina andando a buttarsi tra le braccia dei suoi. 
“Oh la mia piccola Leslie Emily!”, disse mio zio Shannon abbracciandola, mentre zia Andy rideva scuotendo la testa. 
“Fa vedere che belle foto hai fatto oggi”, le disse la zia, prendendo la fotocamera di Leslie e guardando le opere d'arte.
“E’ degna di sua madre?”, disse mio padre, il solito spiritosone. 
“Sì, Jared!”, fece la linguaccia zia Andy mentre mamma dava un pugno sulla spalla a papà. 
“Ahia!”, disse lui mentre lei alzava gli occhi al cielo. 
“Vai così Ronnie!”, esclamò mio zio Shannon. 
Scoppiai a ridere e mio padre mi guardò malissimo. “Jeremy Kurt Leto… non osare”, mi chiamò anche per secondo nome. Poverino, odiava essere preso in giro. 
“Oh ma sentilo! Adesso non si può più nemmeno scherzare?”, chiese mia madre. Il che mi ricordò che lei mi doveva delle spiegazioni, ma evitai di chiedere ora, mi stavo divertendo troppo. 
“Non su di me, piccolo demonietto!”, riprese mio padre avvicinandosi per baciarla.
Li lasciai ai loro problemi matrimoniali e andai da nonna. 
“Oh il mio piccolo Jeremy Kurt”, mi abbracciò. Lei non mi chiamava per secondo nome perché era arrabbiata, semplicemente le piaceva. 
“Come stai nonna?”, chiesi io guardandola un po’ stanca. Le volevo bene, abitando qui a Los Angeles come noi ci veniva a trovare un giorno sì e l'altro pure, quindi avevo un bel rapporto con lei. 
“Oh la tua cara e vecchia nonna Constance non morirà certo per una gamba. Se la morte mi viene a prendere voglio vedere se riesce a portarmi via”, sorrise facendomi ridere. Era una grande!
“Astrid Kim Milicevic!”, sentii dire da zio Tomo. Che aveva combinato quella povera ragazza stavolta?
“Che hai ancora?”, chiese infatti lei facendo scuotere il capo bianco a mia nonna. 
“Dove sei stata ieri sera?”, la interrogò lo zio mentre zia Vicky se la rideva amaramente, sapendolo veramente troppo protettivo. 
“A casa di Jennifer!”, disse lei convinta. 
“Bang! Colpito e affondato! Ora come rispondi, bro?”, interruppe mio padre facendo ridere tutti. Non si poteva avere una vita migliore di questa!
“Anzi dovresti controllare meglio tuo figlio, vero Liam Nikola Milicevic?!”, disse Astrid facendo la linguaccia e andando da zia Andy a vedere le foto. 
“Woh oh! Liam sei messo molto male!”, continuò mio padre. Zio Tomo era fuori di sè. 
“Ok basta. Tomo, Liam ha diciassette anni, se combina dei guai la responsabilità sarà sua, quindi lascialo stare”, disse zia Vicky portando Liam lontano dalle grinfie di zio Tomo. 
Lui sbuffò e si sedette di nuovo con Sandy, cominciando a sfogliare un album di foto. 
“Oh, guarda i cloni!”, dissi vedendo una foto di Astrid e Liam con mio padre e Tomo, seduti su un tappetino colorato a qualche mese dalla loro nascita. 
“Jeremy!”, mi ripresero i due. 
“Tranquilli, c'è anche lui”, disse andando avanti a mostrandomi una foto di me da piccolo, a tre o quattro anni, davanti al Ponte di Rialto di Venezia, in una delle tappe italiane di tanti anni fa. 
“Ehi ma qui ci sono tutti i matrimoni!”, notai guardando le prime foto.
Sapevo che i vestiti li aveva disegnati mamma, ma avevo visto solo quello di zia Vicky, perché Astrid voleva imitarlo per un blood ball dei nostri genitori. 
Il vestito da sposa di mia madre era lungo, con delle striature di blu sia sulla gonna che in un nastro sotto il seno. 
Era allargato sotto il nastro, visto che era al quinto mese di gravidanza, con me nella pancia, e con le mezze maniche, poiché era comunque gennaio. Non c'era la neve ma si vedeva che non era estate. 
Non era elegante e sexy come quello di zia Vicky forse, ma mi piaceva molto. Era dolce. 
Quello di zia Andy invece, di qualche anno dopo, invece era a sirena, con il corpetto rosa biancastro. Aveva i capelli raccolti e sorrideva splendida. 
In tutti e tre i matrimoni Tomo, Shannon e mio padre erano vestiti con degli smoking eleganti, ma la cosa che li differenziava dagli altri invitati era il sorriso perso che avevano di fianco a Vicky o ad Andy o a mia madre. 
“Guarda questa”, disse mio padre alzandosi e venendo da noi. Mosse le pagine esperto, come se avesse sfogliato quell'album da tutta la vita, e si fermò su una foto stupenda. 
Eravamo noi tre. 
Mio padre a sinistra, mia madre a destra e io in mezzo. Era un primo piano, fatto apposta per inquadrare i miei occhi, verdi smeraldo come quello di mia madre, e i miei capelli, scuri come quelli di mio padre. 
“Il nostro Harry Potter”, disse zio Shannon. Sì, mi chiamavano così viste le somiglianze con il personaggio di quei vecchi libri. 
“Che presto prenderà la patente”, disse mia madre intristendosi e mio padre mi diede un bacio tra i capelli. 
Non avevo mai capito tutta questa avversione per la macchina, in fondo andavo in giro da un anno con dei neopatentati come i gemelli.
Ma preferivo non chiedere, vedendo che comunque erano solo tristi all'idea ma mi lasciavano andare volentieri a scuola guida. 
Andai avanti a sfogliare le pagine ben presto tutti circondarono il tavolo per vedere. Ad ogni foto, con la sua data, ognuno aveva il suo ricordo e noi ragazzi stemmo volentieri ad ascoltarli. 
Le vecchie foto di mamma e papà a Bossier City; tutte le still prese dal film che avevano fatto insieme dopo dieci anni; foto dai vari set di zia Andy, soprattutto quello a Londra, nel quale tra l'altro papà chiese a mamma di sposarlo; le foto di Vicky per il vecchio negozio di fotografia; Solon e mia madre nel suo primo tour; il Mars300 di papà e i miei zii; le nostre foto da piccoli...
Nessun ricordo era mai davvero svanito perché tutti se ne ricordavano almeno una parte, facendolo ritornare insieme. 
E tra le risate, i sorrisi, qualche occhio lucido di gioia, soprattutto con le nostre foto da nanetti, fu un bel pomeriggio. 
Perché raccontammo della nostra vita, di quella storia infinita che continuerà con i nipoti dei nipoti dei nipoti dei nipoti dei nostri nipoti forse. 
No, non sarebbe mai finita. Le canzoni di mia madre e mio padre l'avrebbero fatta conoscere in eterno. 
No, non avrei mai smesso di ascoltarla. Era davvero bella e passare i pomeriggi così era una pacchia.
No, mi sarebbe sempre rimasta nella testa, perché in fondo era parte di me, io derivavo da quella storia. 
No, avrei vissuto la mia vita con loro, con i miei cugini, i miei zii, i miei genitori e mia nonna. E andava bene, perché erano i migliori. 
 
 
 
I will never forget... this never ending story... (because) one day maybe we'll meet again
-Closer To The Edge


...

Note dell'Autrice:
E siamo qui. Ragazzi piango con voi, lo so. Ma vi voglio ringraziare di tutto quanto: di quando mi avete chiesto gli aggiornamenti, a quando avete recensito, a quando mi avete fatto i complimenti, anche quando mi avete fatto notare qualcosa che magari non era perfetto.
Molte volte ho problemi con me stessa, mi sento sbagliata perchè persone me lo dicono... e voi siete quelle altre persone che invece mi fanno sentire bene con quella che sono. Ronnie, pazza e scrittrice. Ronnie personaggio che ha problemi come la scrittrice ma che sa di poterli superare. Ronnie che non ha paura.
Ronnie che vi vuole un mondo di bene e che vorrebbe stringervi tutti per farvi capire che mi avete cambiato la vita. Siete i migliori e spero che continuerete ad esserci anche con "I Will Never Regret". 
Io sono pronta, da settimana prossima, a cominciare questa sfida di ricordi. Spero resterete con me.

Con TUTTO l'amore che posso darvi, 
Ronnie02
   
 
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