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Autore: Elle Douglas    14/09/2012    2 recensioni
A chi non è mai capitato di sognare? A me sì, tante e tante di quelle volte, ma questa volta è diverso, ho immaginato la mia storia con il mio attore preferito, colui che da due anni è entrato nella mia vita con uno dei suoi splendidi sorrisi, di chi sto parlando? Ma di lui: Robert Pattinson!
Ho immaginato un’incontro a Montepulciano e da lì si è sviluppata tutta la storia.
“Cosa succede se una ragazza come tante, un giorno riuscisse a realizzare il suo sogno e a realizzare una vita su quello?" Come sarebbe una vita insieme al suo idolo? Ho provato a immaginare ed ecco cosa ne è uscito... spero vi possa piacere a magari perché no? Anche emozionare!
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Ritorno a scrivere dopo non so quanto tempo!
Non so quanti di voi leggeranno questo capitolo, ma spero lo farete in tanti.
Sono tornata dopo un periodo in cui tutte le mie idee erano in standby, unite anche al fatto che il tempo si è ridotto ulteriormente davanti ai miei occhi e trovare il tempo per mettersi al pc e buttare giù qualcosa è diventato abbastanza arduo.
La maggior parte di ciò che è scritto qui è avvenuto in varie notti in cui i miei occhi non ne volevano sapere di calare. LOL
 
Boh, non so, spero che continuiate a seguirmi e a recensire come sempre.
Desidero sapere cosa ne pensate. :)
Spero lo farete al più presto, intanto, mi scuso ancora, ENORMEMENTE, per il ritardo.
I’m so sorry guys.

Kiss. 





Avevo deciso di staccare. Vivere la mia vita, di nuovo, almeno per un attimo.
Volevo recuperare i miei affetti, i momenti con i miei, le visite a mia nonna, rincontrare i miei amici, la mia migliore amica e stabilire, di nuovo un rapporto stabile con loro prima che la mia vita prendesse una svolta decisamente radicale e caotica.
Insomma quanto li avevo trascurati? Sempre presa da Rob e da quella storia che tutt’ora sembrava una favola assurda, del tutto irreale anche per me.
Così, decisi di partire, allontanarmi da tutti, allontanarmi da quel mondo almeno per un attimo per riprendere fiato e respirare aria pulita e sana lontana dai flash, appostamenti o gossip vari che mi avrebbero travolto, ora che quell’anello era al dito la pressione e gli spasmi sarebbero aumentati.
“Sei proprio sicura?”, domandò Rob accigliato dopo non so quante ore e quanti giorni ormai dopo la notizia.
Era dura per lui quanto per me, e lo sapevamo entrambi, e lo ripeté insistentemente per l’ennesima volta di fronte all’aeroporto, quasi a volermi far cambiare idea a tutti i costi. E sapeva quanto ero debole in quello.
Le sue sopracciglia s’inarcarono ancora di più unendosi ad un notevole lingua sulle labbra, segno evidente di un nervosismo represso.
Mi avvicinai ancora di più a lui.
“Non sto scappando.. voglio solo un po’ godermi la mia vita normale per un po’ prima che tutto cambi e diventi non solo la signora Pattinson, ma la signora gossip sempre al centro del mondo!”.
Ridemmo.
“Non dobbiamo sposarci se non vuoi..”, disse con i suoi occhi azzurri tristi a pochi millimetri da me tentando un sorriso altamente forzato.
“E lasciarti in pasto ad oltre un migliaio di donne che non aspettano altro perdendo così l’amore della mia vita? Non sono mica pazza fino a questo punto”. Scossi la testa divertita.
“Io voglio sposarti Rob. Voglio vivere il mio sogno”. Dissi baciandogli le labbra calde assaporandone il gusto. “E poi ci sposeremo l’anno prossimo, no? C’è ancora tempo! Quindi, ripeto: Non sto scappando!”, ribadì osservandolo.
Lui si avventò sulle mie labbra ancora con più passione spingendomi quasi sul sedile.
 
Un bussare al finestrino ci interruppe.
“Van, sei in ritardo”, avvisò Dave da dietro il finestrino. Rimisi a posto me stessa e il mio essere dopo un bacio di quel fervore e presi la borsa a tracolla catapultandomi fuori dall’auto con Rob.
“Ritornerò prima che tu te ne accorga, giuro!”, dissi abbracciandolo per non dare nell’occhio delle persone lì vicino. “Tu ora catapultati a Vancouver. E’ lì che ti vogliono e che ti voglio, ritorna nei panni di Edward Cullen e fai del tuo meglio, come sempre”. Dissi respirando il suo profumo e stringendolo ancora più forte mentre lui mi accoglieva sul suo petto in un abbraccio che sembrava e voleva non finisse mai.
“Giuro che per quando sarai in Brasile ti raggiungerò”, continuai con una nota storta nella voce.
Sapevo cosa volesse dire il Brasile, a quale scena andavamo incontro da quelle parti. Da mesi il mio pensiero s’inchiodava a quei momenti facendomi salire il sangue al cervello e non facendomi connettere più normalmente: Edward e Bella = Luna di miele = Piume dappertutto.
E’ solo finzione, è solo finzione, è solo finzione. Continuava a ripetere il mio cervello in preda a spasmi.
Il mio cuore sobbalzò in gola a quel pensiero e la gelosia puntualmente si ripresentò alla porta.
Mi staccai da lui e presi fiato come se avessi corso, lo guardai e vidi tutto quello che mi faceva stare bene: lui.
Ancora corrucciato mi fissava afflitto da dietro quei RayBan, ormai inseparabili.
“Ti accompagno fino al gate”, pensò iniziando a prendere la valigia che avevo tra le mani.
“No Rob, davvero! Non amo i saluti dal portellone, mi faresti stare ancora più male e me ne pentirei per tutto il viaggio”.
Allentò la mano dalla valigia e abilmente la fece passare sulla mia schiena.
Un brivido mi pervase.
“Forse è questo che voglio, non credi?”, disse sfiorandomi un orecchio.
Lo faceva apposta. Era tutto studiato ad arte. Bastardo.
Si lasciò andare in un ok biascicato e mi passò l’altra valigia.
“E poi pensa a quante fan ti verrebbero addosso. A quanti voli faresti perdere alle persone, saresti la causa di un bel casino li dentro se lo faresti. Me ne andrei con il dubbio, no? Già un gruppo è laggiù”, risi indicandole con gli occhi guardandolo.
L’altoparlante dall’interno pronunciò il numero del mio volo.
“Io vado”, dissi incamminandomi e lasciandomelo alle spalle. I love you gli mimai in modo impercettibile.
I love you too so much.Mimò anch’egli con le labbra.
Mi voltai definitivamente e mi infilai all’interno senza girarmi ancora una volta.
Se l’avrei fatto non sarei mai più partita, ne ero certa.
Sarebbe stato più difficile.
 
Arrivai in Italia in tarda mattina dopo aver dormito costantemente per quasi tutto il viaggio cullata dal dolce andare dell’aereo tra le nuvole.
Una sola ragazza mi riconobbe in aereo, ma non fece nulla capace di infastidirmi davvero.
A Lamezia splendeva il sole, e un intensa afa mattutina impregnava l’aria costringendomi a togliere la felpa superiore.
Feci un ennesimo calcolo mentale del fuso orario, anche fin troppo vicino con Londra e inoltrai la chiamata al mittente.
Una voce, riconoscibile tra mille rispose al primo squillo.
“Ehi, sei arrivata?”.
“Sono appena uscita dall’aeroporto”, dissi guardandomi in giro affannata per le valigie pesanti che mi portavo dietro. “Ora prendo un taxi e mi faccio un altro paio di ore di viaggio”, risposi un po’ spossata, fermandomi.
E pensare che mio padre si era offerto di venirmi a prendere.
“Ti farei compagnia se potessi”, rispose lui.
Sorrisi al pensiero.
“Ora chiamo mia madre per dirle che sto arrivando, l’ha detto a mia nonna ed è molto entusiasta della cosa. Se non muoio prima ci faccio un salto nel pomeriggio”, confessai infilandomi un paio uguale al suo di RayBan e avviandomi verso un taxi lì vicino appena arrivato.
“Per la cronaca: hai dimenticato di nuovo il tuo ipod nella mia borsa”, dichiarai porgendo una delle valigie al tassista che mi guardava inebetito per quella conversazione che a lui doveva sembrare arabo puro . “Credo che l’ascolterò per tutto il viaggio ora”.
“Non l’ho dimenticato, l’ho messo lì apposta”. Confessò. “Così non potrai dire che ti dimentichi di me”.
“Tu non fare lo stesso comunque”, lo avvisai infilandomi sul sedile posteriore dell’auto.
Lo senti ridere di gusto. “Non lo farei mai, come pensi potrei vivere?”
“Lo so”.
“Ora devo andare. Appena arrivi a casa chiamami ok?”.
“Ok!”.
“Fai buon viaggio”. Mi augurò prima di chiudere la chiamata.
“Anche tu”. Dissi.
“Ti amo”.
“Anche io”, risposi arrossendo convinta del fatto che l’autista capisse con chi ero al telefono e cosa stavo dicendo.
 
Mi faceva un po’ senso ritornare ogni volta a quella che io definivo la normalità.
Era cambiato tutto da quando mi ero messa con Rob. Il mio mondo era cambiato insieme a lui e intorno a lui.
Lui era il fulcro su cui il mio mondo ruotava ormai.
Avevo cambiato stile di vita, abitudini e così tanti fusi orari che nemmeno ricordavo più.
Non facevo più differenze tra notte e giorno.
Mi ero ridotta più volte alle fattezze di gitana per stargli dietro e ad ogni minimo distacco soffrivo da cani.
Il suo modo di guardarmi, di stringermi, di ridere e di essere mi avevano intortata e resa completamente schiava al suo volere, ma di tutto questo non potevo parlarne fuori, nemmeno dimostrarlo in piccola parte perché ogni flash, ogni macchina era sempre in agguato.
Ad ogni uscita, o quasi, c’era un flash di una macchina fotografica a immortalare il momento e a braccarci come ostaggi, anche se fosse insignificante. Ormai la mia vita era sui giornali e sul web, e tutti, chi più chi meno fingeva di conoscermi giudicandomi e puntando il dito più di quanto fosse necessario.
Non riuscivo a fregarmene, come più volte mi aveva consigliato Rob, Ashley, Kris o chiunque altro in quel mondo, ci stavo male il più delle volte e piangevo in preda a crisi che mi riducevano al nulla.
Quel mondo avrebbe mai fatto parte di me? Non ci ero abituata, per niente ed ogni mio movimento, fuori era calcolato nei minimi dettagli.
Per quanto volessi non riuscivo ad essere me stessa fuori dalla nostra intimità, dai nostri momenti, da noi, solo quando guardavo Rob calavo la maschera, come quando mi prendeva la mano tra la folla o come quando un anno prima aveva azzardato a baciarmi in mezzo alla moltitudine della discoteca scatenando le ire di Nick e l’appetito famelico dei paparazzi che ci giravano intorno come avvoltoi.
Quel ragazzo mi faceva perdere il senno, sempre.
Risi tra me.
L’anello al mio anulare sinistro prese a brillare sotto un raggio di sole costante rinvigorendolo più del dovuto.
Lo osservai rigirandolo verso di me.
Mi sarei sposata.
Ancora stentavo a crederci pur avendo quella prova al dito e quei ricordi nitidi in testa.
Io Vanessa, una semplice ragazza italiana arrivata a Montepulciano per assistere alle riprese di una saga di culto avrebbe sposato colui che mezzo mondo ama e venera, l’inglese Robert Thomas Douglas Pattinson.
Sarei diventata la signora Pattinson. Vanessa Pattinson.
Roba da prendersi a pizzicate mille volte.
Se lo avrei detto a qualcuno, mi avrebbe seriamente riso in faccia e lo avrei fatto anche io senza problemi al pensiero.
L’aria intorno iniziava ad impregnarsi degli odori che conoscevo, ad assumere i colori con cui ero cresciuta e migliaia di ettari verdi si estendevano ai bordi delle strade. Sorrisi in preda a ricordi fulminei di ciò che ero stata e ricordando quella piccola bambina ancora ignara del suo destino e della svolta che avrebbe preso la sua vita.
“Signorina, mi scusi, siamo arrivati”, annunciò l’uomo al volante del taxi che si era voltato verso di me ora.
Rinvenni e sbattei più volte le palpebre stentando a dire una parola.
Ero a casa. La mia casa.
“Ehm.. Grazie!”, pronunciai catapultandomi fuori dallo sportello come una forsennata.
 
Chiamai Rob solo dopo che l’intera giornata estenuante era giunta al termine.
Mia madre fu la prima a piangere quando mi vide varcare la soglia dopo tanto tempo nonostante mi avesse vista non molti mesi prima.
Ritrovare la mia stanza poi, per alcuni poteva essere una gran cavolata, ma per me ritrovarla così com’era a quando l’avevo lasciata era un ritorno assurdo a ciò che ero stata. Vedere Robert che ora, in formato cartaceo, mi guardava sotto forma di Edward Cullen in New Moon, mi faceva un certo effetto, il quadro di New York con tutti i suoi simboli che mi era di fronte, con i miei sogni spiaccicati su una tela mi fece emozionare.
Quante volte c’ero stata ora da quelle parti? Ai tempi di allora tutto sembrava un sogno.
La mia stanza era tappezzata di sogni, speranze e un infanzia che mi veniva incontro non appena le rivedevo lì su quello scaffale.
Le mie Barbie, le uniche, vere amiche di un tempo, erano tutte lì a fissarmi sorridenti.
Mia nonna quasi non mi riconosceva più tanto, a suo dire, ero dimagrita. Mi spinse a ingozzarmi di cose e quantità esorbitanti di cibo che da tempo avevo dimenticato e di cui avevo perso decisamente l’abitudine.
Mangiai quel che bastava a rimpinzarmi anche se per lei era sempre, decisamente troppo poco.
Rob scoppiò in delle risate quando glielo raccontai, quasi non si strafogava con un hamburger, uno dei suoi soliti con cui lo sentivo mangiucchiare.
Skype era un buon antidoto alla mia voglia di vederlo e di sentirlo, solo che ovviamente non era la stessa cosa.
Lo salutai presto quando qui erano le dieci e lì erano le due del pomeriggio.
La valigia restò lì nell’angolo, ero troppo esausta per metterla a posto, mi rannicchiai sul letto e caddi nel sonno più profondo appena le mie palpebre si chiusero.
 
La mattina dopo mi svegliai a fatica non riuscendo a intendere se l’orologio che segnava le 10, mi stesse altamente prendendo per i fondelli oppure no.
Era tutto, decisamente troppo buio per essere mattina, se non era per la differenza che il formato orario mi riportava sul telefono avrei scambiato volentieri quell’ora per le 10 serali.
Quando in preda ancora a un sonno pesante avanzai verso il balcone per accertarmi del dovuto, mi accorsi del diluvio che stava avvenendo fuori dalla mia stanza.
Sembrava di essere Bella a Forks, ero sotto una coltre di nuvole e pioggia e aspettavo il mio Edward che nel frattempo era dall’altro capo del mondo a fare chissà cosa. Fece l’ennesimo calcolo mentale, ormai la matematica ed io in quella vita eravamo grandi amiche, e mi accorsi che l’idea di chiamarlo era assolutamente pessima, da lui erano solo le due della notte, abbandonai il telefono sul letto e decisi di farmi una doccia, una bella sana doccia che mi riportasse alla realtà puramente italiana.
 
 
Per quanto mi riusciva cercai di riappropriarmi almeno in parte di una vita che da un po’ avevo abbandonato.
Riprendere ritmi e abitudini di un tempo non era facile, stavo sconvolgendo la vita un po’ a tutti e pochi vennero a sapere del significato di quell’anello che aveva una vita davanti a sé, anche se iniziavano ad immaginarselo, avevo un sorriso da ebete stampato in faccia ogni volta che parlavo e pensavo a lui e ora spuntava anche un anello al dito. Se la gente che mi conosceva non era del tutto scema e se 2 + 2 non fa 4 erano arrivati tutti a  una minima conclusione, mai confermata.
Era una promessa, uno stile, una vita che mi ritrovavo davanti.
Mia nonna quando lo venne a sapere quasi le prese un colpo.
Ero la sua seconda nipote a sposarsi, per giunta una delle più piccole, una dalle quali si sarebbe aspettato uno degli ultimi matrimoni.
Era felice per me, lo era davvero, e la cosa non faceva altro che emozionarmi.
“Sicuramente dopo che ti sposerai non ritornerai più qui. Almeno non tanto spesso. Ormai sei un americana!”. Sorrisi sforzandomi.
Eccola la mia paura. Quella più grande, mi veniva spiattellata in faccia da mia nonna per giunta e fece traballare di nuovo le mie decisioni a riguardo.
Stavo per cambiare, trasferirmi e lasciare l’aria italiana per sempre?
Avrei davvero abbandonato tutti e tutto ciò che mi apparteneva qui?
La paura mi paralizzava e ritornare qui era stato una prova per i miei dolori futuri forse.
Il tutto iniziava a uscire allo scoperto a poco a poco, gli sgami che Robert si lasciava uscire durante le interviste, i colleghi che iniziavano a dare alito alle dicerie che si facevano in giro sulla coppia Robessa facendo aumentare la frenesia e la fame di gossip.
Mi sembrava di essere nell’occhio del ciclone per la prima vera volta ora che vedevo tutto da lontano.
Rob mi disse che era stato Nick a far scorrere le voci, senza nessuna smentita, senza niente di niente. La cosa mi lasciava davvero senza parole.
Ero tipo: “Rob, mi stai prendendo in giro?” ad ogni sua minima parola, e lui giù a tranquillizzarmi facendomi capire che era tutto dannatamente vero.
La vita anche qui non era facile, alcuni paparazzi avevano scoperto la città in cui stavo, e girovagare per le strade divenne ancora più arduo.
Rendevo la vita difficile anche ai miei, mi ritrovavo costretta in casa, nelle mie stesse mura senza curarmene.
Quanto mi sarebbero mancati questi momenti dopo?
Il tutto andava come doveva andare, la storia iniziava a prendere il suo corso così da attenuare, forse la botta finale che sarebbe arrivata a un anno di distanza.
Un matrimonio che nessuno si sarebbe aspettato!
Sul web, da quanto potevo constatare era l’inferno dei fan, pubblicavano qualunque cosa ci riguardasse, e ora che avevo più tempo per me constatavo come alcune fossero accanite alla cosa. C’erano fazioni su fazioni, chi era felice, chi era triste.
Chi sbandierava grandi castronerie pur di far soldi. Era tutto un grande casino che girava tutt’intorno a noi, e su di noi.
Tutti credevano di sapere, ma nessuno si avvicinava mai alla realtà, oppure c’era chi ci si avvicinava e andava anche oltre.
La mia vita insomma stava per cambiare, da lì a un anno avrei rivissuto questi momenti solo attraverso dei ricordi, i mal di stomaco, le ansie solo vecchie paure che sarebbero svanite.
La mia vita sarebbe cambiata, ma ancora c’era un anno per godersi gli ultimi attimi, perché preoccuparsi sin da ora, mh?

 
 
 
 


 




   
 
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