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Autore: Alkimia    28/09/2012    12 recensioni
[CONCLUSA]
***SEGUITO di "A series of unfurtunate events"***
Ognuna delle opzioni possibili è rischiosa e potrebbe danneggiare Nadia. Per non parlare dell'altra faccenda in ballo: qualcuno vuole distruggere la Terra... tanto per mantenersi nel solco della tradizione.
Nadia è in America per cercare, insieme allo S.H.I.E.L.D, un rimedio ai danni provocati dall'energia della pietra. Loki è prigioniero sul pianeta dei Chitauri ma ha ancora dei piani. Eppure, ancora una volta, troppe cose non vanno come lui sperava. Vecchi nemici tornano da un passato lontano che lui continua a rinnegare, costringendo gli Avengers a tornare in campo; episodi e sentimenti inaspettati lo porteranno a dover decidere da che parte stare. E non è detto che la decisione finale sarà quella giusta...
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Nuovo personaggio, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A waltz for shadows and stars'
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Ringrazio tutti per la calorosa accoglienza che ha avuto il prologo, in meno di un paio di ore dalla pubblicazione c'erano già un sacco di visualizzazioni e commenti... e grazie per la fiducia a tutti quelli che hanno subito messo la storia tra i preferiti, i seguiti o le storie da ricordare, anche solo leggendo la breve introduzione :P
Ne approfitto per ringraziare anche quelli che hanno letto (e continuano a leggere) la precedente fanfiction dopo che l'avevo conclusa e che mi hanno fatto sapere che gli era piaciuta, dandomi ancora più voglia di scrivere questo seguito.
Grazie di cuore! *___*

*******


Capitolo primo
Two months ago - part one


Panico.
Jane Foster sente l'ansia serrarle la gola, come se qualcuno stesse cercando di strangolarla. Tra un attacco di tachicardia e l'altro, riesce persino a farsi prendere dall'euforia, ma il panico rimane la sensazione predominante.
Fissa per l'ennesima volta le foto stampate su fogli in formato A4 delle immagini rilevate dal telescopio elettronico. Si è consumata gli occhi a forza di guardarle.
Il dipartimento di astrofisica per il quale lavora – il fighissimo dipartimento di astrofisica che l'ha assunta all'improvviso, senza una ragione precisa ma con sua somma gioia – è vuoto a quell'ora, tutte le luci sono spente, eccetto quelle del suo studio.
La giovane scienziata si spinge sui talloni, facendo scorrere le rotelline della sedia da ufficio fino alla soglia della porta e lancia uno sguardo lungo il corridoio: è deserto e silenzioso, con solo le luci di emergenza verdi accese sopra le porte antipanico. Lo scenario perfetto per un thriller in cui un pazzo psicopatico spunta dal nulla e fa a pezzi la giovane sprovveduta.
Il portapenne di alluminio, pericolosamente in bilico nell'angolo della scrivania, cade sul pavimento con un fracasso impensabile per un oggetto tanto piccolo. Il rumore improvviso la fa quasi cadere dalla sedia e Jane si ritrova a boccheggiare, facendosi aria con le mani e tentando di riprendersi dallo spavento.
Sì, c'è decisamente qualcosa di strano nell'aria e lei non può essersi sbagliata, sa bene cosa ha visto in quelle immagini che ora sono sparpagliate sulla sua scrivania come i pezzi di un puzzle, lo sa perché è qualcosa che ha già visto in passato e si sente così agitata perché è certa che le probabilità che uno scienziato ha di vedere più di una volta nella vita quel fenomeno sono pressoché nulle.
Un warmhole. Come quella volta in New Mexico, come quando aveva incontrato Thor per la prima volta – e Darcy lo aveva steso con il taser, e Eric aveva passato giorni a ripeterle che era una pessima idea. E lei ci era caduta dentro mani e piedi. E, in mezzo a tutto ciò, era arrivato lo S.H.I.E.L.D. e le aveva portato via il lavoro di una vita.
Succederà anche stavolta, Jane lo sa, se lo sente dentro le ossa. Forse è per questo che è così agitata, tra l'euforia della scoperta e il panico per tutte le implicazioni, scientifiche e non, che la cosa potrebbe avere. Anche perché la domanda fondamentale rimane: se la volta precedente si è formato un ponte di Einstein-Rosen in seguito a una tempesta magnetica ed è piovuto giù Thor in tutto il suo divino e buffo splendore, adesso cosa è arrivato dallo spazio? Le immagini non danno alcuna risposta in merito.
Dopo attenta e acuta riflessione, la dottoressa Foster prende una decisione solenne. Più che altro, è l'unica cosa da fare, dato che non ha alternative. 
La ricerca del cellulare si rivela un'impresa ardua, in mezzo al caos che regna nel suo studio – non lo fa di proposito, ma non ha mai tempo per sistemare tutta quella roba che si va accumulando in giro su ogni superficie orizzontale disponibile. Alla fine lo trova dentro la scatola di biscotti con i quali è solita fare merenda – come diavolo ci è finito lì? -  e cerca il numero nella rubrica.
Si mordicchia nervosamente il labbro, ascoltando gli squilli a vuoto nel telefono. Alla fine, dall'altro lato, le rispondono.
«Eric!» esclama subito.
«Jane, che bello sentirti. Come stai?» dice il dottor Selvig, sinceramente contento.
A quel punto Jane comincia a parlare a raffica.
«Prossima all'infarto. Io ho trovato delle cose, Eric e non so cosa fare... insomma, tu lavori per lo S.H.I.E.L.D. adesso, a qualcosa di molto bello, molto grosso e molto segreto, e wow! Però io ho bisogno che qualcuno di competente mi aiuti in questa cosa, senza che saltino fuori tizi in giacca e cravatta a saccheggiarmi lo studio. Potrei fare una strage se succedesse ancora, sai?».
La ragazza si scopre ad ansimare agitata nella cornetta, il viso contratto in un'espressione ansiosa.
«Che vuol dire che hai trovato qualcosa?» chiede lo scienziato in tono paziente.
«Ricordi la tempesta magnetica in New Mexico e tutto quello che ne seguì?»
«Come potrei scordarlo?»
«Ecco, è successo di nuovo. Ma stavolta non so cosa sia piovuto dallo spazio».
Eric Selvig resta muto, tanto che lei per un attimo crede che sia caduta la linea. È  più che certa che lui abbia deglutito nervosamente dall'altro capo del telefono, ha la netta sensazione che il suo vecchio mentore stia sudando freddo, anche se non può vederlo. E ha anche come l'impressione che lui ora le darà qualche consiglio molto paterno e molto poco gradevole.
«L'ultima volta che ho visto aprirsi un passaggio interspaziale è spuntato fuori Loki, il fratello di Thor. E non era uno che andava molto per il sottile» afferma l'uomo, in un tono che è diventato improvvisamente freddo e serioso, forse persino spaventato.
Il fratello di Thor? Si chiede Jane. Quel fratello? Cioè, quello che aveva cercato di ucciderlo inviando sulla Terra un enorme robot automatizzato che sputava fuoco?
Jane a quel punto si domanda anche se il famigerato fratello di Thor non abbia qualcosa a che fare con quello che è successo a New York qualche mese prima. Ma non è importante, o forse sì, visto il tono di Eric, solo che non è qualcosa di cui lei deve preoccuparsi nel suo futuro prossimo.
«Eric...»
«Quello che sto cercando di dirti, Jane, è che da questi fenomeni possono venire fuori cose serie, molto serie e che dovresti venire qui allo S.H.I.E.L.D.» asserisce lo scienziato, ritrovando il suo tono pacato e paterno.
«Io non voglio che lo S.H.I.E.L.D. si appropri delle mie ricerche!» protesta lei.
Il sospiro del dottor Selvig fruscia basso nella cornetta.
«No, Jane, ma puoi venire qui e continuare il tuo lavoro insieme a loro o lasciare che lo S.H.I.E.L.D. ti porti via tutto e faccia a modo suo».

*

Il viaggio in aereo le è sembrato lungo un'eternità.
Ci sono cose che Nadia ha preferito non dire, alle quali preferisce non pensare, ma quando ha guardato dal finestrino e ha visto sotto di sé solo il nulla delle nuvole sopra l'Oceano ha sentito un senso doloroso di perdita, c'è qualcosa che si è spezzato dentro di lei e adesso una parte della sua anima è ridotta a un moncherino sanguinante, privo di un pezzo. Dopo tanto tempo passato a sognare di andare via da casa, non credeva che lasciare la sua città e la sua famiglia le avrebbe fatto così male.
Non è che così che voleva che andassero le cose.
L'aereo privato atterra sul nastro di asfalto di una pista che sembra incastrata in una cornice di palazzi le cui sagome svettano immobili contro il cielo.
L'America è il luogo dove ristagnano i sogni del mondo, dove l'immaginario di tutte le persone colloca avventure ed eroi, ma Nadia adesso sente solo la realtà dura e incolore del cemento che copre l'orizzonte.
La ragazza saluta Steve e Natasha, chiedendosi se e quando rivedrà gli altri della squadra. Le hanno spiegato che Clint è via in missione e che Bruce... beh, il traffico cittadino può essere una cosa molto stressante.
Alla fine, Nadia si ritrova sul sedile posteriore di una Rolls Royce, in mezzo a Tony e Pepper.
Tony solleva il coperchio di un vano dal quale comincia a uscire subito il fumo del ghiaccio secco. Dal vano spuntano tre bicchieri di martini, con tanto di oliva.
«Un brindisi di benvenuto, Colombina».
Quando il primo sorso di liquore le arriva nello stomaco, Nadia lo sente bruciare e accoglie con piacere la sensazione di leggerezza una volta finito il drink.
New York scorre oltre i finestrini oscurati della vettura, quel paesaggio strabiliante ed estraneo sfila davanti ai suoi occhi e lei è incapace di concentrarsi e coglierne i particolari, insensibile all'effetto di straniamento che quella mastodontica città dovrebbe produrre su una ventiseienne che ha trascorso tutta la vita incastrata tra le calli veneziane.
Nadia cerca di fare un breve riepilogo mentale di quello che le hanno detto durante il viaggio.
Tony le ha fatto preparare un appartamento al penultimo piano della Stark Tower. Lei non ha idea di cosa sia, ogni volta che ci pensa le viene in mente una costruzione simile al campanile di San Marco, con la scritta STARK a caratteri cubitali in lettere di ottone fissata ai mattoncini rossi.
Si stabilirà lì mentre lo S.H.I.E.L.D. si occuperà di fare esami e indagini sulla pietra e sugli effetti collaterali dell'energia che emette. Sembrano tutti sicuri che troveranno qualcosa, come se si trattasse di semplici analisi cliniche per risalire a una malattia curabile con un cucchiaio di sciroppo. Nadia vorrebbe essere ottimista quanto lo sono loro, ma né Tony né gli altri hanno sentito quello che ha sentito lei quando il suo sangue è entrato in contatto con quello di Thor, quella sera sull'isola di San Michele. Non hanno visto cosa è quell'energia e il modo in cui si spande attraverso il corpo, come un veleno, come il calore bruciante di una febbre. Non hanno idea di cosa significhi, e nemmeno lei lo capisce fino in fondo. Sa solo che è qualcosa di estraneo, di alieno, qualcosa che le fa venire voglia di strapparsi la pelle, di scavare con le unghie nella carne per cercarla e tirarla via.
Si passa una mano tra i capelli, si sente infinitamente piccola e la sensazione di essere sola con le sua sciagure sta quasi per assalirla di nuovo quando vede la Stark Tower svettare in fondo alla strada trafficata e allora quasi le scappa un singulto: il palazzo costruito da Tony non poteva che essere così, una costruzione ultramoderna ma che sembra voler avere lo stesso significato delle antiche piramidi egizie. 
«Un bel monumento alla megalomania» dice Nadia, ridendo per la prima volta da quando è partita dal San Marco.
Tony fa una smorfia fingendo un'aria offesa e inforca un paio di occhiali da sole.
Qualche minuto dopo sono in un'ascensore con gli interni in radica che sale silenziosa verso la sommità dell'edificio. Le porte lucide si aprono su un pianerottolo che ha ancora il sentore di pittura fresca.
«Abbiamo dovuto far sistemare il soffitto,» spiega Pepper, «rischiava di crollare in corrispondenza del solco sul pavimento al piano di sopra, dove Hulk...». Si interrompe, mordendosi le labbra. Non c'è tempo per il silenzio imbarazzato perché dal nulla arriva la voce di Jarvis.
«Signore, signorina Potts, bentornati» dice con quel suo tono atono da robot. «Signorina Nadia, benvenuta. Ho regolato il climatizzatore del suo appartamento in modo che ci sia una temperatura ottimale tale da non creare sbalzi con l'esterno, e ho messo in funzione il frigorifero e verificato che tutti gli elettrodomestici siano perfettamente funzionanti, come pure la linea telefonica e la connessione a internet».
La ragazza ha un attimo di smarrimento, si guarda attorno cercando un punto in cui fissare lo sguardo per rispondere all'intelligenza artificiale, ma non ci sono nemmeno degli altoparlanti a vista, Jarvis sembra essere fatto di aria.
«Ehm... grazie, Jarvis. Sei stato molto gentile» farfuglia, confusa.
«Dovere, signorina».
Ci credo che Tony è mezzo pazzo, impazzirei anche io con un maggiordomo invisibile...

L'appartamento che le hanno preparato è a pianta circolare, segue il perimetro della parte più alta della torre. Oltre la porta di ingresso c'è una grande sala con il pavimento di marmo. A sinistra un'immensa cucina piena di cose che Nadia non userà mai, in parte perché non le serviranno – non ha mai ben capito l'effettiva utilità di uno spremiagrumi elettrico –  in parte perché non saprebbe nemmeno come accenderle. Accanto alla cucina c'è una sala da pranzo e un bagno. Dall'altro lato c'è una camera da letto grande come uno stadio, uno studio con una libreria enorme – e vuota – e un altro bagno. Dalla sala principale si accede anche a una terrazza a mezzaluna con la ringhiera di metallo lucido e pannelli di vetro satinato.
Nadia ha appena fatto il giro della sua nuova casa e già non vede l'ora di darsela a gambe.
«È meravigliosa. Grazie, Tony» dice, allargando il miglior sorriso che riesce a mettere su. Non sta mentendo, la casa è davvero stupenda, solo che non fa per lei ed è talmente grande per una persona sola che amplifica il molesto senso di vuoto che le stringe il petto, ma tutto questo non c'è bisogno di condividerlo con i suoi ospiti.
Tony la prende del tutto alla sprovvista, avvicinandosi a lei e cingendole le spalle con un braccio per poi stamparle un bacio tra i capelli.
«Tu inizia a prendere confidenza con l'ambiente, noi andiamo di sopra a preparare la cena... ovvero ad ordinare la pizza» le dice.
«Se hai bisogno di qualcosa, chiama. C'è un interfono in ogni stanza» spiega Pepper.
«Fantastico!». Inquietante...

Ce la può fare.
Lo ripete più volte, per convincersene. Ce la può fare, può risolvere quella situazione e uscirne viva, può gestire la nostalgia di casa, può pensare solo alle cose positive, tipo vedere quel viaggio come una lunga vacanza da sogno... e può anche capire come miscelare l'acqua in bagno visto che non c'è il rubinetto.
Ora che è senza vestiti, a fissare come un pesce lesso la cabina della doccia, comincia anche a sentire freddo. Dove dovrebbe esserci la manopola di un rubinetto c'è solo una placca di metallo con due linee, una blu e una rossa, segnate sulla superficie di acciaio satinato.
«Le occorre aiuto, signorina?». La voce di Jarvis la fa quasi ribaltare per lo spavento.
In un gesto automatico, Nadia si porta una mano all'inguine e un braccio a coprire il seno.
«Jarvis!» strilla, irritata.
«Sì, signorina?». La voce del robot è sempre compita e incolore.
Se trovo la tua parte hardware la distruggo a martellate!
«Jarvis, sono senza vestiti» borbotta la ragazza.
«Sì, signorina, i miei sensori visivi lo hanno rilevato»
«E il tuo cervello elettronico non ti suggerisce l'idea che non è... decoroso?»
«Mi scusi, non riesco a capire cosa intende, signorina. Ad ogni modo, se si sta chiedendo come far funzionare la doccia deve sapere che il miscelatore dell'acqua funziona con un comando tattile: faccia scorrere il dito sulla striscia rossa per il caldo e sulla blu per il freddo. Spero di esserle stato d'aiuto».
Nadia scuote la testa,
«Immensamente, Jarvis. Ora potresti, tipo, non so, sparire?» borbotta.
Jarvis non dà alcuna risposta. La ragazza si guarda istintivamente in giro, cercando sempre un punto di provenienza per la voce del robot, ma ancora una volta non trova niente.
Si gratta la nuca imbarazzata, chiedendosi se non è stata scortese con il maggiordomo invisibile e se lui non si sia offeso, prima di ricordarsi che, dopotutto, si tratta di un robot.
«Perfetto, sto impazzendo anche io!» conclude prima di infilarsi nella cabina doccia e mettersi ad armeggiare con i comandi tattili del miscelatore dell'acqua.

*

In quel luogo non esiste il tempo.
Non c'è alcuna luce che scandisce il passare dei giorni, non esiste il riposo e nemmeno il silenzio, c'è solo il continuo rumore del vento che sferza ululando le pareti della sua prigione, che si infila nelle fessure aperte nella pietra soffiando gelo sul suo corpo nudo.
Loki non sa da quanto tempo è giunto lì, tornato sul pianeta dei Chitauri.
Ha trascorso quelli che dovevano essere stati i primi due o tre giorni nella sua nuova prigione, una grotta di pietra situata in cima ad un'altura, con l'ingresso chiuso da sbarre di metallo gelido e scuro. Lo hanno lasciato lì, senza dire nulla, senza che nessuno si faccia mai vedere, con la sola compagnia di quel vento continuo ed insistente.
Gli sembra alienante, ma ha come la sensazione che dovunque vada per lui ci sia solo dolore e prigionia, non c'è un solo angolo dell'universo infinito che non gli sia ostile. Il principe caduto non ha più un posto dove stare, non ha più un luogo che gli appartenga  o che possa chiamare casa. Gli era parso un sacrificio accettabile quando tutto era cominciato, e adesso, anche se nessun rimpianto o nessun sentimentalismo osa sfiorargli la mente, il dio dell'inganno vede con chiarezza ciò che ha perduto e questo non fa altro che far montare ancora più la sua rabbia. La sensazione di perdita e il bruciore del fallimento sono la spinta che continua a far battere il suo cuore di pietra e ombra. 
Lì, seduto con la schiena contro la parete di roccia, Loki ha cominciato a porsi delle domande. Si è chiesto come abbiano fatto i Chitauri a trovarlo e a raggiungerlo mentre era in una galassia tanto lontana dalla loro; il loro capo aveva parlato di nuovi alleati e adesso il dio si sta domandando chi siano questi alleati e quali siano le loro risorse.
Il tempo è trascorso pesante e vuoto, immobile come acqua stagnante.
Forse la punizione di Thanos consiste nel voler lasciare che lui muoia di inedia.

Ha trascorso quindi i primi giorni in elucubrazioni e in ragionamenti, facendo congetture e ipotesi e, di tanto in tanto, abbandonandosi ai ricordi dei fatti più recenti.
Gli avvenimenti di Venezia brillano nella sua memoria come fuochi che esplodono all'improvviso in mezzo all'oscurità. Ricorda la frustrazione dello scoprire di non potersi impossessare della pietra di Borr, ricorda quella rabbia che non smetteva di ribollire dentro le sue vene e che aumentava ad ogni ora passata in compagnia di insulsi esseri umani. Ricorda l'irritazione per le tante cose che aveva visto passare sotto i suoi occhi – e anche sotto la sua pelle – senza che lui fosse stato in grado di capirle. E ricorda il furore quasi folle nel dover ammettere con se stesso, ancora una volta, che gli umani, che quegli umani, non sono le creature ottuse e smarrite che credeva, che in fatto di forza, tenacia e coraggio non hanno niente da invidiare alle più potenti divinità guerriere. E ricorda Nadia, e ogni volta che il suo nome gli attraversa la mente, è sconcerto ciò che il dio prova. Sconcerto per quello che la ragazza ha fatto per lui. Sconcerto per ciò che adesso lui sta facendo per lei.
Loki è convinto che una parte di sé non smetterà mai di essere pentita per non averla uccisa subito, dopo la prima serata in sua compagnia; pietra o non pietra, avrebbe dovuto affondarle le dita nel petto e fermarle il cuore. Una parte di sé davvero rimpiange di non averlo fatto, ma l'altra parte prova una sorta di sollievo al pensiero che Nadia adesso è forse l'unica ragione sensata per continuare a rimanere vivo, a parte la volontà di perseverare con i propri piani.
Nadia lo ha salvato dai demoni – è stato inutile, Thanos lo ha catturato comunque, ma lei è rimasta fino alla fine, ha fatto ciò che poteva e anche di più. Ora lui deve ricambiare il favore, perché è giusto, perché è un ingannatore e un assassino ma non un ingrato.

Loki vede un'ombra disegnarsi sul pavimento di pietra della prigione. Un sorriso arrogante di sfida gli si disegna sulle labbra mentre si alza in piedi e posa lo sguardo sul capo dei Chitauri che lo sta fissando oltre le sbarre, a debita distanza, come se lo temesse.
Certo, lo temono e fanno bene. Ha abbastanza energia per ucciderne a decine, ma non può permettersi di sprecarla, quell'energia gli serve per tornare su Midgard, anche se non è affatto facile come pensava. Ora la Terra si trova in una galassia troppo distante, non sa nemmeno lui quanto e un solo errore di calcolo rischierebbe di farlo rimanere inchiodato lì per sempre; non può concedersi il lusso di fare cose azzardate o di affrettare i tempi, deve attendere di essere sicuro di indirizzare l'energia nella giusta direzione per collegarsi di nuovo alla pietra e lasciarsi trasportare via da quell'inferno di gelo e immobilità.
«Giungo a te con delle notizie, asgardiano» dice cupo il capo dei Chitauri.
Loki mantiene un'espressione impassibile, non vuole lasciar trasparire la sua tensione, non darà a quel rifiuto dell'universo la soddisfazione di vederlo spaventato o turbato.
«Egli è tornato, è qui ed è impaziente di vederti».
«Molto bene, non attendo altro» replica il dio, fingendo una calma che in quel momento non gli appartiene.
«La tua ostentata spavalderia non ti salverà, principe».
Loki serra nervosamente le mascelle. Ha molte domande da fare e sa che deve tentare, dopotutto i suoi carcerieri sono convinti che lui resterà lì fino a quando non riusciranno a cavargli la vita dal petto.
«Ancora non mi hai spiegato come avete fatto a rintracciarmi e a spostarvi a una distanza tale da raggiungermi» dice, cercando di dissimulare la curiosità e la preoccupazione per la risposta.
«Nuovi alleati, come ti dissi».
Loki non sa se sia prudente insistere e incalzare il suo orrido interlocutore con altri quesiti. Scrolla le spalle e fa per voltarsi con aria indolente.
«Ebbene, asgardiano, voglio farti un dono» aggiunge il capo dei Chitauri con un sorriso malevolo. «Voglio donarti la consapevolezza che avrai la tua vendetta e in parte i tuoi desideri saranno esauditi da altri».
«Spiegati» esclama Loki, tornando a voltarsi di colpo.
Dannata feccia putrescente...
La sua vendetta appartiene a lui, come pure i suoi desideri, nessun altro può portare a compimento i suoi piani perché non si è mai trattato di cosa fare ma del perché farlo. Voleva distruggere suo fratello perché lo odia, voleva conquistare Midgard perché gli spetta un trono...
«Quell'insignificante grumo di vita sciagurata che è la Terra verrà distrutta» dice piano il capo dei Chitauri.
Loki sente un battito sordo rimbombargli dal petto in ogni parte del corpo. La Terra è il suo unico porto sicuro adesso, e in ogni caso, distruggerla non ha mai fatto parte dei suoi piani né dei suoi desideri. Non ha mai voluto distruggere nulla, voleva solo governare, come gli spetta per diritto.
«Non sapevo che Thanos fosse così interessato alla sorte di quel piccolo, insulso mondo» replica, sperando che il suo interlocutore aggiunga altri dettagli a quanto ha già detto.
«Oh, tu credi che sia lui a volere questo? Ti inganni, asgardiano, al mio signore non importa di quel pianeta»
«E allora chi?».
Il capo dei Chitauri si lascia scappare una risata roca e gutturale che sembra il suono delle montagne quando franano. Dopo qualche istante di silenzio poi si china verso le sbarre,
«Non sei l'unico, in tutti i beneamati Nove Regni, che vuole vendetta contro il figlio di Odino» asserisce quasi divertito.
Loki fissa attonito il profilo del capo dei Chitauri allontanarsi dalla sua cella e sparire nella penombra.
Ogni singola parola del dialogo appena avvenuto gli rimbalza nella testa. Distruggere la Terra per vendicarsi di Thor che ha preso quel pianeta sotto la sua protezione... la mente stanca di Loki non riesce a ragionare su chi possa essere colui che vuole realizzare una simile impresa, né cosa abbia a che fare costui con Thanos e i Chitauri.
Quello che sa è che il brivido che gli sta passando lungo la schiena non è da imputare al freddo.
 

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Note:
Schizofrenia portami via... ehm... no, mi spiego. Non so se l'alternanza dei diversi punti di vista e delle diverse situazioni sia “piacevole”, cioè non vorrei che il passaggio da scene che vorrebbero essere comiche (Nadia in bagno che si imbarazza per Jarvis) a scene notevolmente più cupe e drammatiche (Loki prigioniero sul pianeta dei Chitauri), faccia tipo venire le vertigini a chi legge; nella prima parte di questa storia il fatto che i diversi personaggi si trovino in posti distanti e in situazioni che, al momento, non c'entrano molto l'una con l'altra mi impone di dosare così anche i contenuti delle varie scene.
Jane, sì. Jane-ommiodio che casino-Foster. L'avevo detto che ci sarebbero state altre facce note. Fatele ciao ciao con la manina :)

Questa storia dovrebbe essere un po' più lunga (???) e complessa della precedente, oltretutto ho anche cominciato la specializzazione all'università, per cui aggiornare più di una volta a settimana è impossibile, ma vi garantisco l'aggiornamento ogni venerdì (così io ho una scadenza da rispettare e chi vuole ha tutto il tempo di leggere con calma senza che si accavallino i capitoli).
Chiedo scusa anche se notate che ci metto un po' a rispondere alle recensioni, ma don't worry, è la parte più divertente di questo “lavoro” e non smetterò mai di farlo :P

Per curiosità o domande sulla fanfiction, la vita, l'universo e tutto quanto: HERE

A venerdì prossimo, quindi ^^
   
 
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