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Autore: Aya_Brea    28/09/2012    5 recensioni
“Dai Jake, questi ci ammazzano di botte, scendi e non fare l’eroe!”
Ma il piccolo biondino non aveva alcuna intenzione di demordere, né tantomeno di arrendersi di fronte a quei brutti ceffi. Una folata di vento gli scompigliò i capelli, poi quando tutto tacque, le punte gli sfiorarono nuovamente le guance.
Dagli occhi di Gin non trapela mai nulla, ma i ricordi si sa, non possono essere cancellati.
 
Fanfiction sul passato del più carismatico fra gli Uomini in Nero.
Genere: Azione, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Gin, Nuovo personaggio, Vermouth, Vodka
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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7. Kirschwasser




Quella notta faceva freddo, il vento spirava pungente e sembrava di essersi inoltrati con prepotenza nel gelo invernale.
Irish constatò che se non fosse stato per quella maledetta finestrella, avrebbe potuto sperare di sopravvivere. Se ne stava premuto contro il muro della cella e non riusciva ad addormentarsi. Eppure era stanco. Stanco e ferito: intorno al braccio destro aveva avvolta una benda bianca, ormai impregnata del suo stesso sangue. Avrebbe dovuto cambiarla e farsi una nuova fasciatura, ma in quelle condizioni, nulla era permesso.
Lo avevano sbattuto in isolamento, e per di più gli avevano riservato una delle peggiori celle che  avesse mai ‘visitato’ in tutta la propria vita: le piastrelle erano marce, il pavimento sudicio e solcato da profonde crepe. E poi rimaneva pur sempre quella maledetta finestra lì in alto, che con le sue pesanti sbarre non poteva sostituirsi neanche ad un rocambolesco piano di fuga.
Era intrappolato. E a dirla tutta cominciava a sentire anche i morsi della fame.
Le sue dita percorsero il volto stremato e segnato dagli eventi di quella notte: più si soffermava a pensare, più gli riveniva in mente il volto di quella Lily che scappava dal suo aguzzino. Se non fosse stata per quella ragazzina, forse Gin non si sarebbe lasciato trasportare e forse lui non si sarebbe ritrovato in quella schifosissima cella. Nel più completo silenzio, egli sollevò il capo ed intravide un cielo scuro e nero all’interno di quel piccolo spicchio di muro. Era notte. Gli altri prigionieri stavano probabilmente dormendo, cullati da chissà quale sogno ed appigliati a chissà quale speranza.
‘Maledizione, devo trovare un modo per fuggire.’ Già. Sembrava facile. Facile a dirsi, difficile a farsi. Ben presto però, la stanchezza sopraggiunse e lo colse quasi alla sprovvista, posandosi pesantemente sulle sue palpebre. Stava quasi per addormentarsi, quando improvvisamente egli sentì il clangore metallico di una porta che si apriva: tese immediatamente le orecchie e si mise in ascolto. Udì chiaramente il rumore dei passi di qualcuno che si stava avvicinando sempre più.
“E’ pronta la cena.” Irish riconobbe che si trattava di una ragazza e fu parecchio colpito. Si alzò in piedi e raggiunse la porta della cella. C’era una piccola grata metallica che li separava e la ragazza fu colta da un visibile sussulto quando si ritrovò ad un palmo dagli occhi glaciali di quell’assassino.
“E che c’è per cena?” Irish spinse la spalla contro la porta e si mise a braccia conserte, osservando attentamente il volto di quella ragazzina: aveva un visetto piccolino e sottile, dai lineamenti graziosi e sfuggevoli. I suoi capelli neri erano raccolti in una coda di cavallo, ma alcuni ciuffi le spezzavano la fronte, conferendole un’aria alquanto furba e sbarazzina. Un paio di occhioni verdi completavano il quadretto di quel piccolo angelo dalla pelle diafana. 
“Pollo e verdura.” Bofonchiò lei, non molto convinta. Indossava una scarna uniforme blastra e sblusata e sembrava che le stesse due volte, per quanto era larga e pesante.
Irish sorrise leggermente e continuò a fissarla. “Che aspetti?”
“Si. Scusa.” La piccola si morse il labbro con forza e le sue guance avvamparono violentemente. Si chinò in terra e lasciò che il piatto scivolasse al di sotto della porta, poi si sollevò nuovamente in piedi, ritrovandosi ancora addosso lo sguardo vigile e fiero di Irish.
“Sembri spaesata.” Sottolineò l’uomo.
La sua interlocutrice era visibilmente scossa e a dirla tutta, anche molto spaventata. “E’ che si tratta del mio primo giorno di lavoro. Mi sento a disagio.”
“E’ normale.” Annuì, l’altro, con tono sicuro. “Senti, le sai fare le fasciature?”
La colse alla sprovvista per l’ennesima volta e così balbettò confusamente qualcosa che aveva tutta l’aria di essere un ‘si’.
Irish le mostrò il suo braccio. “Questa benda è impregnata di sangue, avrei davvero bisogno di fare una nuova fasciatura. Non vorrete lasciarmi qui a morire dissanguato, vero?”
La ragazza scosse visibilmente il capo. “No, certo che no.”
“Perché non vieni a farmene una tu?” La osservò ancor più profondamente: fra di loro correva soltanto quella grata metallica.
“Non posso! Se mi scoprono mi licenziano, perderò il lavoro.”
“Ehi.” Irish doveva giocarsi tutte le proprie carte se voleva avere una speranza di salvezza. Le fece un cenno con l’indice e la invitò ad avvicinarsi di più alla grata, di modo che potesse sussurrarle qualcosa che sentisse soltanto lei. Una volta che il suo viso sfiorò la grata, egli prese a parlare con tono basso e silenzioso. “Ho qualcosa di meglio per te. Apri la porta.”
 
 
 
 
 
Gin aveva le mani ben infilate nelle tasche del suo morbido impermeabile nero, e con la solita ed ormai consolidata sicurezza, percorreva rapidamente il lungo corridoio che lo separava dall’ufficio Centrale dell’Organizzazione. Non appena fece il suo ingresso all’interno della sala, notò che al di là della scrivania vi era la donna dai fluenti capelli biondi, Vermouth, mentre di fronte a lei vi erano due grandi divani neri dove sedevano sia Irish che Vodka.
Lei sorseggiava beatamente un Martini, tenendo appoggiata la coppa del suo calice in cristallo proprio sul palmo della mano: il liquido giallo roteava mollemente sospinto da quel tocco delicato ed elegante.
“Oh Gin, eccoti, finalmente. Stavamo aspettando soltanto te.” Esordì quest’ultima con tono suadente.
“Irish, che ci fai tu, qui?” Gin evitò di rispondere alla donna e la sua attenzione ricadde immediatamente sull’uomo. Inaspettatamente, egli era seduto lì in piena tranquillità, con le braccia incrociate contro il suo petto ampio e possente.
“La prigione era un po’ troppo scomoda per uno come me. E poi ho sfruttato un’occasione decisamente succulenta.”
Vodka sollevò le sopracciglia. “Aniki, vieni a sederti.” Invitò il proprio compagno a prender posto al loro fianco, ma contrariamente a quanto richiesto, il biondo si appoggiò contro lo schienale del divano e diede le spalle ai tre. “Sto bene così.”
Improvvisamente era calato un grande silenzio: la luce al neon sfrigolava fastidiosamente e Gin ebbe l’impressione di esser passato da un luogo completamente illuminato a giorno, ad uno illuminato prettamente da scarna ed asettica luce artificiale: lì dentro sembrava come essere avvolti in una notte senza tempo, come perenne. La tensione era talmente tangibile che qualsiasi cosa pareva essere immobile: l’unica cosa provvista di movimento, era la polvere che si intravedeva per via dei raggi luminosi. Essa volteggiava lenta nell’aria, noiosa.
“C’è una questione di cui voglio parlarvi. Vi ho convocato qui proprio per questo motivo. Non di certo per farvi scannare l’un l’altro.” Vermouth ruppe finalmente quel silenzio e si prese del tempo per potersi scolare l’ultimo goccio del suo Martini Dry. Posò il bicchiere e gli altri non mancarono di notare l’impronta delle sue labbra disegnatasi sul bordo trasparente della coppa di vetro.
“Dicci. Siamo in ascolto.” Proferì Vodka, interessato.
La bionda accavallò con disinvoltura le proprie gambe nude e si osservò meticolosamente le unghie di una mano. “Dato che sei arrivato in ritardo, Gin, ti riassumerò brevemente la situazione. Irish è uscito di prigione grazie ad una novellina che faceva il turno di ronda notturna.”
“Vecchio Volpone!” Fu il commento di Vodka, che nel frattanto aveva assunto un’aria divertita e bonaria: gli mancava soltanto che battesse una pacca sulla spalla di Irish.
“Le modalità di come è avvenuto il tutto sono di scarso spessore. Quel che abbiamo scoperto, però, è di gran lunga interessante. Durante la fuga dei due, infatti, la ragazzina ha mostrato un grande potenziale. E’ un’abilissima tiratrice, per questo le abbiamo promesso un posto all’interno dell’Organizzazione, per evitare qualsiasi problema con la polizia, e per tenerla buona.” Vermouth trasse un lievissimo sospiro e con un colpetto della nuca si ravvivò i lunghi capelli biondi. Le sue ciglia scure e lunghe si muovevano con grazia sopra la cornea trasparente.
“Wow, un cecchino donna! Irish, sei stato veramente molto fortunato. Non è da tutti i giorni.” Il solito commentino ironico di Vodka non si fece attendere.
“Sarà una mezza cartuccia.” Gin sfilò la sua ennesima sigaretta dal pacchetto e se la portò fra le labbra ancor prima di accendersela: il filtro aveva quel sapore caratteristico che lo mandava in estasi. Qualche secondo più tardi un alone di fumo si alzò verso il soffitto.
“Il piano consiste in questo: ricordate quei trafficanti di droga Italiani che dovevano consegnarci dieci chili della loro roba?”
“Si. E quindi?” Il biondo inspirò avidamente dalla sigaretta, con tale veemenza che i presenti sentirono il suo respiro entrargli con prepotenza nelle narici.
“Questa notte è previsto il ritiro della merce.”
“E cosa c’entra la ragazza?” Il bestione dagli occhiali scuri mostrò ancora una volta la propria inadeguatezza: Gin pensò che doveva essere terribilmente stupido per non aver capito ancora nulla.
“Ma è ovvio. Vermouth vuole che uno di noi controlli la ragazza mentre ritira la droga.”
“Esatto, sweetie. Proprio così.” La donna si compiacque, poi si passò le dita sulla nuca. “Contrariamente a quanto accade di solito, le operazioni di ricezione saranno svolte da questa fantomatica ragazzina. Ma ho bisogno che due di voi la sorveglino. Vi apposterete silenziosamente presso il luogo dell’incontro e farete in modo che tutto fili liscio. Poi, una volta concluse le operazioni burocratiche andrete a prenderla e la scorterete presso il quartier Generale.”
“E chi andrà?” Chiese Vodka.
Irish si strinse nelle spalle e poi li osservò entrambi: il biondo gli dava le spalle. “Andate voi due, io me ne lavo le mani. Si sentirebbe al sicuro se mi presentassi io. Mi conosce già.”
Gin non lo fece, ma se avesse potuto farlo, avrebbe sicuramente tirato un sospiro di sollievo: non che Vodka fosse simpatico, ma l’idea di svolgere un altro lavoro assieme ad Irish gli faceva salire il sangue al cervello. Non lo sopportava, erano due personalità completamente differenti e completamente divergenti. Bianco e nero. Con Vodka invece c’era una specie di complicità che non era neanche lontanamente paragonabile all’amicizia, eppure si trovava a proprio agio a lavorare con quell’imbecille. “Si, è meglio per tutti.” Concluse, dunque.
“Bene. Per facilitare il riconoscimento abbiamo dato un nome in codice alla ragazza. D’ora in poi il suo nome sarà Kirsch.”
“Cos’è il Kirsch, un liquore?” Vodka guardò sia Vermouth che Irish, e fu proprio quest’ultimo a rispondergli.
“Credo si tratti di un distillato alla ciliegia.”
“Che schifo!” Vodka rise di gusto.
 
 
 
 
 
Gin non vedeva l’ora di respirare nuovamente l’aria alla luce del sole: percorse a ritroso il corridoio calpestato in precedenza, esattamente come aveva fatto qualche minuto prima. D’un tratto però, egli vide che a qualche metro da lui, presso le scalette d’entrata, vi era una ragazza dai lunghi capelli castani attorniata da un considerevole numero di valige e buste: una piccola marmocchietta dal caschetto color castano chiaro si era avvinghiata, petulante, ad una delle sue due gambette.
Il biondo alzò le sopracciglia: da quando era entrato a far parte dell’Organizzazione, l’uomo non si era mai interessato a quel che avveniva dalla parte degli scienziati: era come se in quel piccolo sotterraneo coesistessero due differenti realtà: nell’una, vi erano gli scienziati, i ‘cervelli’, gli esperti nella tecnologia farmaceutica e della sperimentazione tossicologica. Dall’altra invece, vi era la parte operativa: assassini, cecchini, bombardieri, killer spietati ed artificieri.
Braccio e mente vivevano in due globi distinti ed apparentemente privi di contatto reciproco.
Ultimamente Gin era venuto a conoscenza dei piani dell’Organizzazione, e pur non avendo mai approfondito l’argomento, sapeva che le ricerche erano focalizzate sulla produzione in serie di un particolare tipo di tossina. Si trattava di una nuova ricerca che avrebbe condotto alla creazione di un’arma letale ed invisibile: e questo era il tratto più interessante della sostanza. Una volta disintegrate le cellule dell’organismo ospite, sarebbe stato proprio quest’ultimo a demolire automaticamente la tossina. Era impensabile quanto l’Organizzazione avesse guadagnato in termini di notorietà ed efficienza, se quella “cosa” fosse andata in porto.
Il biondo si avvicinò ulteriormente, ma prima che potesse scorgere il viso della piccola biondina, un altro uomo si avvicinò alle due e la sollevò di peso, stringendola e avvolgendola fra le sue braccia.
Che scena patetica. Era da tanto che non abbracciava qualcuno. Non aveva neanche la più pallida idea di cosa significasse ricevere un abbraccio. Continuò a camminare ed osservò l’altra ragazza rimasta sola, sola con le sue valige. Tentava con evidente difficoltà di caricarsi in spalla tutto il possibile.
“Mi hanno lasciata qui da sola, maledizione.”
“Voi siete le sorelline di cui parlava Vermouth?” Gin si fermò proprio di fronte a lei: era una ragazza molto carina ed il suo corpo era magro e sottile. Le donava quel vestitino azzurro che aveva indosso.
“Si, siamo noi. Suppongo che tu ti riferisca a noi.” Cercò di sollevare un carico piuttosto pesante.
“Come ti chiami?”
“Akemi. Akemi Miyano.” A quel punto lei emise un gemito stizzito e lasciò perdere quel che stava facendo. Guardò l’uomo a pochi passi da lei e quel che la colpì immediatamente furono i suoi occhi: non le piacquero affatto, specialmente quello sguardo indagatore. Si sentì subito ‘nuda’ e priva di qualsiasi protezione. “Siamo venuti qui con mia sorella per continuare la ricerca ma fra qualche giorno Shiho sarà spedita nuovamente all’estero per poter proseguire gli studi.” La ragazza non fu in grado di sostenere gli occhi dell’uomo, così, con piena disinvoltura e portandosi una ciocca castana dietro l’orecchio, ella riprese ad armeggiare con le sue cose.
“Capisco. Beh, allora buon lavoro. Akemi.” Gin le riservò un ghigno, dopodiché, senza neanche averle detto il suo nome, proseguì per la propria strada.
Ad Akemi, quell’uomo non piacque per niente.
 
 
 
 
 
Era notte.
Il cielo nero di un’immobilità surreale.
Gin aprì il finestrino della sua Porsche e vi appoggiò il braccio, lasciando che penzolasse fuori a peso morto. Il suo compagno Vodka era lì affianco a lui e se ne stava stranamente in silenzio. Entrambi sollevarono lo sguardo e notarono una piccola sferetta bianca balenare nel buio, attorniata da innumerevoli nuvole grigiastre.
“Kirsch. Mi ispira.” Borbottò d’un tratto il biondo mentre i suoi occhietti stretti in delle fessure vagavano nell’infinità di quell’universo che li sovrastava, li inghiottiva letteralmente. Le stelle brillavano ad intermittenza ed alcune più delle altre.
“Spero che non sia così altezzosa come lo è Vermouth.” Esclamò Vodka.
Gin scosse piano il capo. “Alla fin fine sarà una in gamba.” Allungò il braccio per poter accendere la radio.
“Cosa metti, Aniki?”
Una melodia tenue e bassa li avvolse come per magia: soave, lenta, a tratti sognante. Era l’inizio di una famosa canzone dei Pink Floyd.
“Mi piace l’inizio di questa canzone. Shine on you crazy Diamond. Splendi diamante folle.” Il ragazzo scivolò più giù sul proprio sedile e si accese una sigaretta. Chiuse gli occhi: per qualche istante percepì soltanto la parte strumentale di quella splendida traccia.
Non c’era musica. C’era soltanto silenzio, nella sua mente. Il petto di Gin si gonfiava e poi si sgonfiava piano; Vodka comprese che era meglio non svegliarlo da quella dimensione onirica. Si premunì personalmente di osservare quando sarebbe arrivata la ragazza.
I cantanti dei Pink Floyd sembravano quasi sussurrare le loro parole, inframmezzati da schitarrate e da acuti melanconici.
“Shine on you Crazy diamond!” Cantavano entrambi. E Gin sorrideva fra sè, come se alcuni ricordi stessero riaffiorando in superficie. Erano il gruppo preferito di quell’idiota di suo padre.
“Però aveva del buon gusto.” Se ne uscì, così. Di punto in bianco e nella piena consapevolezza che Vodka non avrebbe mai potuto comprendere.
“Aniki, Kirsch è arrivata.” Lo richiamò strattonandolo per un lembo dell’impermeabile. “Eccola!”
Il biondo riaprì piano gli occhi e spense lo stereo con un rapido gesto.
Poté intravedere la ragazza che sostava proprio nei pressi di un grande albero di quercia. Si guardava intorno circospetta e si stringeva nel suo giaccone nero. “Mi sembra molto disorientata, siamo sicuri che sia Kirsch?”
“Ma si, Aniki, dev’essere lei. Corrisponde alla descrizione. Ed ha anche i capelli legati. E’ lei senza ombra di dubbio.”
“Vediamo come si comporta.”
Una sferzata di vento la costrinse a tirarsi su la zip del giubbotto. Non appena vide gli uomini con i quali doveva incontrarsi si avvicinò a loro e si presentò con una vigorosa stretta di meno. I due uomini in nero all’interno della Porsche la videro parlottare per circa una decina di minuti, dopodiché comparve finalmente la misteriosa valigetta. A quel punto lei si preoccupò di aprirla per visionarne il contenuto, dopodiché, al termine di un’attenta analisi, la richiuse e ringraziò cordialmente i negoziatori. Fu allora che Gin aprì la portiera della sua Porsche fiammante e la raggiunse, nel più completo silenzio.
“Kirsch.”
Il volto di quella piccoletta fu improvvisamente illuminato da un raggio di luna e nel bel mezzo di quella pelle così bianca, due occhioni verdi scintillarono, pieni del loro fascino. “Tu devi essere Gin.”
“Ottimo intuito. Dammi pure la valigetta.”
Kirsch gli porse la ventiquattrore ed entrambi salirono in macchina: lei si sedette sul sedile posteriore, fra quelli di Vodka e Gin.
“Devo dire che è stato entusiasmante questo primo incarico.” Commentò lei con un tono sprezzante e pieno di sarcasmo.
“Ehi, ehi, ragazza mia. Frena.” Esordì Vodka con un tono decisamente bonario e alla mano. “Volevamo semplicemente capire se potevamo fidarci di te. Tutto qui. La parte operativa arriverà. Arriverà dopo ma dovrai aspettare le solite procedure. Qui da noi funziona così.”
“Ci avete messo un anno per fidarvi di me.” Gin si intromise nel discorso. “Mettendomi in combutta con Irish.”
“Il rispetto bisogna guadagnarselo. Ed io non ho fretta.” Concluse Kirsch. “Potresti rimettere la canzone che c’era prima?”
Gin si voltò per qualche istante, nonostante le mani fossero ancora posizionate sul volante: la vide sorridergli a mezza bocca, spavalda.
“E va bene.”
Premette il pulsantino dello stereo e la macchina svoltò al primo incrocio utile, immettendosi poi in una di quelle minuscole stradine della grande Metropoli.








Scusateeeeeeeeeeeee per l'immenso ritardo, ma oltre ad essere successi spiacevoli imprevisti, la pennetta dove avevo la storia su Gin si è sfondata e ho dovuto riscrivere tutto da capo. Aihmè.. :( ed infatti non so quanto sarà fantastico questo capitolo. Anche se è piuttosto importante ai fini della storia. Che.. Ho completamente stravolto.
Avevo delle informazioni scritte sul mio blocco degli appunti ma una notte le ho cambiate, per via di un lampo di genio! :D ahahahaha
Spero vi piaccia questo capitolo!
E bando alle ciance, amici miei, sono ufficialmente una studentessa in CTF!!!! (Chimica e tecnologie farmaceutiche)! Che bello *________* sono davvero troppo felice!!! :) Diventerò una Shiho U_U 
<3
Un bacio a tutti, fortissimo. Grazie a tutti coloro che recensiscono, ed un grazie speciale a Monica che ha letto tutta la storia :P sei un tesoro! 


Aya_Brea


  
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