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Autore: Ariadne_Bigsby    03/10/2012    2 recensioni
{OTTAVO CAPITOLO AGGIORNATO}
(ATTENZIONE, LA STORIA CONTIENE SPOILER)
Una Fan Fiction basata sul monologo di John Blake a Wayne Manor: l'infanzia "arrabbiata" di John, la perdita dei genitori, la scoperta dell'identità di Batman, la sua idea di giustizia e la sua crescita, da me immaginate ed elaborate in questa storia che ingloba luoghi e personaggi del film.
“John Blake hai detto? Ma, è il tuo cognome o quello della tua famiglia adottiva?”
“E’ il mio..”rispose Blake a voce bassa.
“Beh, è strano! Qui c’è un John Cain e un John Maislee, ma nessun John Blake.”
Blake si morse di nuovo il labbro e, senza volerlo, assunse un’aria colpevole che non passò ignorata da Shannon.
“Allora…non vuoi dirmi chi sei?” gli chiese in tono gentile. Quante volte aveva avuto a che fare con bambini del genere, che si rifiutavano di usare il loro cognome, usando quello della famiglia adottiva, quasi a voler rinnegare le loro origini?
“Robin. Mi chiamo Robin Blake..” cedette alle fine il bambino, abbassando gli occhi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Batman aka Bruce Wayne, James Gordon, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
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kjlulululou

< /A>Ed ecco a voi il sesto capitolo! Ho aspettato un po’ a pubblicarlo per…cause indipendenti dalla mia volontà. L’università è appena ricominciata e sono ai corsi dalle 8:30 di mattina fino alle 18:45 di sera quasi tutti i giorni, quindi sta diventando un’impresa eroica trovare il tempo di scrivere, accertarsi che non sia una ciofeca, copiarlo, correggerlo, metterlo on-line e, ovviamente ,rispondere alle recensioni e recensire a mia volta!

Bene, bando alle ciance, vi lascio al capitolo e lascio i chiarimenti alla fine.

 

 Photobucket

Rejection.

 

Robin camminava per un vicolo buio illuminato a malapena da qualche lampione che i vandali avevano graziato, stava camminando da un po’ (un’ora? due ore? non sapeva dirlo con esattezza) e quel vicolo pareva non finire mai.

 

Poi un particolare catturò la sua attenzione: c’era qualcosa in mezzo alla strada.

 

Robin strinse gli occhi, dato che la foschia gli impediva di vedere chiaramente, e riconobbe la figura come quella di una persona che gli dava le spalle.

 

“Ehi!” lo chiamò Robin, sollevato dal fatto che ci fosse qualcuno in quel vicolo angusto che gli dava uno strano senso di inquietudine.

 

Lo sconosciuto non rispose.

 

“Ehi, tu!” lo chiamò di nuovo Robin, avvicinandosi.

 

Anche stavolta non vi fu risposta, ma ora Robin era vicino e, con un’intraprendenza che quasi non riconobbe come sua, mise le mani sulle spalle dello sconosciuto (alto quanto lui e vestito con un cappotto dall’aria elegante) e lo fece girare.

 

Non appena lo vide in faccia Robin lanciò un grido di sorpresa ed indietreggiò, agitando la mano sinistra nella ricerca frenetica di un appiglio alle sue spalle: quella persona era sé stesso!

 

“Ciao Robin.” Lo salutò tranquillamente il suo sosia.

 

“Tu chi sei?” balbettò Robin appoggiandosi contro la parete dietro di lui  “e dove siamo?” aggiunse.

 

“Io sono Bruce Wayne e questa è l’uscita sul retro del teatro di Gotham “ rispose ,indicando una porta arrugginita dietro di sé “è qui che ci hanno aggredito.”

 

“Si, lo so, l’ho letto su quei giornali in biblioteca.” Disse Robin, quasi senza fiato.

 

Il suo sosia gli sorrise, ma era un sorriso strano il suo, lo stesso sorrisino tirato che aveva provato davanti allo specchio molte volte, per mascherare quello che provava, sempre senza successo.

 

“Perché sei qui?” gli chiese Robin scrutando il suo sosia.

 

“Bruce” alzò le spalle “Non lo so, questo è il tuo sogno, quindi mi hai chiamato tu qui.” Si guardò intorno con aria noncurante “forse sono una specie di coscienza o chissà cos’altro.”

 

Robin annuì e si mise a sedere per terra, la schiena contro il muro.

 

“Io volevo solo che capissero.” Mormorò guardando per terra.

 

“Nessuno può capire cosa abbiamo dentro” gli rispose il suo sosia, guardandolo fisso “ possono solo fare finta di capire o, nel migliore dei casi, capire per un po’. Poi devi fare qualcosa che non puoi fare: dimenticare e ricominciare da capo, perché non c’è posto al mondo per quelli come noi.”

 

“Quelli come noi?” ripeté Robin perplesso.

 

Per tutta risposta “Bruce” sorrise, come aveva fatto poco prima.

 

“Cosa hai intenzione di fare?” gli chiese inaspettatamente.

 

Robin trasalì: per tutto quel tempo aveva pensato solo a quello che gli era capitato, senza soffermarsi su altro.

 

“Io voglio sconfiggere tutto questo male” rispose in tono fermo, stringendo i pugni così forte che gli diventarono bianche le nocche “ Voglio diventare un…non lo so, non ho idea di quello che voglio fare. Ma ci sarà pure un modo per cancellare tutto questo male.”

 

“Bruce” annuì, ma Robin si accorse che i suoi contorni si stavano facendo sempre meno definiti: si stava svegliando.

 

“Possiamo cambiare le cose, se lo vogliamo.” Rispose la sua copia “ma questo forse non è il tempo e il modo.”

 

“Cosa vuoi dire?! “ gridò Robin aggrappandosi con tutte le sue forze a quello che rimaneva del sogno, che stava lentamente sgretolandosi.

 

“Verrà un momento in cui le cose cambieranno, ma ora è tempo di indossare una maschera e andare avanti.”

 

Fu l’ultima cosa che Robin sentì nel sogno , prima di svegliarsi nella sua piccola stanza del St Switin’s, dove si trovava da due settimane.

 

Non ricordava più nulla.

 

 

 

La convivenza di Robin con i Gray aveva avuto vita breve: i suoi rapporti con loro si erano sgretolati rapidamente.

 

Dall’episodio della biblioteca, Robin non aveva più fatto nulla per nascondere il suo modo di essere e per mascherare tutta l’inquietudine che portava addosso come una seconda pelle.

 

I Gray all’inizio avevano cercato di essere in qualche modo comprensivi, ma la loro inesperienza e limitatezza in questo campo era tale che spesso, Robin,  si ritrovava ad essere ancora più nervoso e sconcertato di prima.

 

Perché quei due sembravano non arrivare a capire che lui non poteva e non voleva lasciare tutto alle spalle, come se la sua esperienza fosse una sciocchezza di poco conto?

 

Era esasperato dalla loro completa ottusità, dal loro ostinarsi nel voler rimpiazzare nel suo cuore e nella sua testa, due persone che non se ne sarebbero mai andate, due persone che non avrebbero smesso di visitarlo nei suoi ricordi, nei suoi sogni ed anche nei suoi incubi.

 

Tuttavia i signori Gray passarono ben presto dalla loro comprensione mista ad accondiscendenza ai veri e propri rimproveri.

 

“Smetti di tenere quel muso, Robin!” “Robin, perché non ti sforzi neanche di fare il bravo?” erano solo due degli innumerevoli richiami che gli venivano fatti.

 

Il pranzo di Natale fu una vera e propria agonia: frotte di parenti che sembravano la copia-carbone di quei due tizi così stupidamente presi dalla loro facciata di famiglia perfetta, da non tenere conto di questioni più importanti, considerate alla stregua di imbarazzanti contrattempi.

 

Robin non era capace di adeguarsi a tutto questo.

 

“Forse non riuscirò mai a cambiare del tutto.:” si disse guardando con aria assente lo skyline di Gotham, sferzata dalla pioggia invernale “sono condannato a una vita del genere.”

 

Rapidamente, anche l’ultimo granello di pazienza dei Gray si esaurì; il culmine fu raggiunto un piovoso pomeriggio di gennaio, nel quale Stephanie aveva cercato per l’ennesima volta di trovare un dialogo con quel bambino scontroso e lunatico che le era stato affibbiato.

 

La proverbiale goccia che fece traboccare il vaso fu quando Robin, dopo averle sentito dire in tono piagnucoloso “noi siamo i tuoi genitori, Robin!” le rispose in tono ostile “No, non lo siete. E non lo sarete mai. Non pensateci neanche.”

 

Da quell’episodio, qualcosa era cambiato in casa: Robin non venne mandato a scuola, che in quei giorni era ricominciata, ma veniva lasciato a ciondolare per casa, da solo. La sera veniva spedito in camera insolitamente presto, ma Robin non si curava di saperne il perché.

 

Tuttavia una sera, assetato, Robin uscì dalla sua stanza per andare a prendere un bicchiere d’acqua in cucina, ma quello che vide lo fece istintivamente fare marcia indietro per non farsi vedere: c’era Dominic in cucina.

 

Dominic sembrava intento a conversare in modo concitato con i Gray, che erano scuri in volto, la bocca contratta e le braccia conserte sul tavolo,

 

Lo vide gesticolare; i suoi gesti tradivano un certo nervosismo per qualcosa che Robin non capì subito.

 

“Forse li sta facendo ragionare” ipotizzò Robin, nascosto nel buio “forse gli sta dicendo che hanno sbagliato tutto!”

 

Le speranze di Robin si afflosciarono tutte all’uniscono quando vide Dominic sospirare rassegnato ed estrarre alcuni fogli dalla valigetta che aveva portato con sé, la delusione stampata sul volto.

 

La consapevolezza di quello che stava succedendo colpì Robin con la forza di un pugno nello stomaco: aprì la bocca, come per dire qualcosa ma la richiuse subito.

 

Silenziosamente tornò in camera sua, si diresse verso l’armadio e si chinò per estrarre la valigia dal fondo per poi spalancarne le ante.

 

Era rassegnato ma, in qualche modo, anche profondamente triste. Si sentiva più solo che mai.

 

Rimase per un attimo immobile, le mani ancora sulle maniglie dell’armadio e si rese conto che la sua vita non sarebbe mai più tornata come quella di un tempo.

 

Non sarebbe mai più stato quel Robin Blake, quella parte di lui faceva ormai parte di un passato neanche troppo lontano, ma che a lui sembrava appartenere alla vita di un’altra persona. Robin era il suo nome, il nome che sua madre gli aveva dato, il nome per il quale sua madre morta lo aveva chiamato affettuosamente quel maledetto giorno, il nome che suo padre John aveva urlato poco prima di essere ucciso, il nome per il quale uno spietato sicario lo aveva deriso, un nome su un pezzo di carta che lo avrebbe spedito in un orfanotrofio.

 

Non sarebbe più stato Robin, da quel momento in poi sarebbe stato come se avesse messo su una maschera per occultare la sua identità: Robin John Blake. John Blake. John.

 

Sentì dei rumori provenienti dalla cucina che lo riportarono bruscamente alla realtà.

 

“Sarà bene che faccia la valigia..” constatò “così domani perdiamo il minor tempo possibile.”

 

 

 

Questo capitolo è stato un po’ più “noioso” da scrivere: non riuscivo a concentrarmi bene sull’azione (anche perché qui di “azione” ce ne è ben poca XD). Tuttavia ne sono venuta a capo, spero che il lavoro sia quantomeno decente xD

Allora..un po’ di chiarimenti: in questo capitolo ci sono suggestioni Inceptioniane per quanto riguarda la prima parte: qualche sera fa hanno trasmesso “Inception” alla TV (Dove sorpresa sorpresa! C’è il caro Joe <3)  e, dopo averne rivisto un pezzettino (prima che i miei cambiassero canale perché lo hanno già visto ) mi è venuta l’idea di aggiungere l’elemento onirico” in questo capitolo.In reatà, come fonte di ispirazione dovrei citare anche un documentario sui sogni del dvd di “Inception” (condotto in parte da…sorpresa sorpresa (x2)! Il caro Joe!<3 <3 ) dove vengono spiegate le varie tipologie di sogni, di come questi acchiappino anche la cosa più infinitesimale del tuo subconscio e la rielaborino in quello che poi è il sogno in sé. Mi ha colpito molto la parte in cui si parla dei “sogni premonitori”, visto che è capitato anche a me di averne uno (giuro!) quindi ho pensato che sarebbe stato carino inserirne una versione un po’ “annacquata”. Il fatto che il “Bruce” del sogno abbia le fattezze di Robin non è casuale, è una parte della mia interpretazione del discorso che John fa a Bruce (il fatto che lo abbia riconosciuto dagli occhi e bla bla bla, ho aggiunto un piccolissimo riferimento a questa cosa anche nel capitolo precedente). Ho praticamente riportato pari pari un pezzo del discorso di Blake (“Not a lot of people know what it feels like. To be angry. In your bones. I mean, they understand, the foster parents. Everybody understands for a while. But then they want something the angry little boy can't do: move on." ) un po’ ovunque, nel corso del capitolo. Spero di non aver peccato di ridondanza xD

Bene, credo di aver detto tutto. Vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo (che spero di ultimare prima possibile). Grazie a tutti quelli che leggeranno e che commenteranno! Bye bye!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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