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Autore: Lycoris    16/10/2012    3 recensioni
John Doe era il suo nome, il nome che si dà ai cadaveri sfigurati rinvenuti nei fossi, ai corpi gonfi restituiti dal mare. John Doe era il nome scritto ai piedi del suo letto in clinica, il foglio bianco –bianco come le lenzuola, come i muri, come i camici delle infermiere- su cui campeggiava una scritta: Amnesia retrograda totale.
[SEGUITO DIRETTO DI “UOMO LIBERO AMERAI SEMPRE IL MARE” SVILUPPO ALTERNATIVO Post 7x01]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Settima stagione
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- Questa storia fa parte della serie 'Uomo libero, amerai sempre il mare'
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Take a sad song and make it better
Take a sad song and make it better


Alice gridò stridula quando la porta, aprendosi violentemente, andò a sbattere contro la parete.


Cigolando questa tornò indietro sui cardini, come a rimproverare a chi fosse in ascolto la violenza ingiustificata a cui era stata sottoposta.


 Nessuno in quella stanza avrebbe fatto caso ad una porta che cigola.


La bambina era immobile con una mano ancora tra quelle dell’adulto che le stava accanto, gli occhi spalancati e colmi di paura.


A John, lo sguardo rivolto verso la porta, si erano impigliate in gola le parole della canzone, il sangue era lentamente defluito dal viso, bianco come il gesso.


Alla porta stavano due uomini.


Uno stava alle spalle dell’altro. Era alto, i capelli gli scendevano fino alle spalle. Gli occhi grandi da bambino erano sorpresi, la sua mano bloccata sulla spalla dell’altro, come a volerlo trattenere.


Il secondo aveva un braccio teso in avanti, ad accompagnare il movimento che aveva spalancato la porta. Indossava una giacca di pelle sdrucita, le gambe fasciate dai jeans erano tese come a spiccare una corsa congelata nel tempo. Una striscia di sangue attraversava la maglietta tinta di color ruggine. Aveva gli occhi verdi e il naso spruzzato di lentiggini.


Per un attimo sembrò che ogni particella presente in quella stanza fosse in attesa di qualcosa. L’atmosfera vibrava d’ elettricità.


Poi quel qualcosa di manifestò nell’uomo che scattò attraverso la stanza e afferrò John per il bavero della giacca, scuotendolo come un giocattolo di pezza.


I suoi occhi erano accesi di una luce febbrile, le sue labbra si muovevano nel pronunciare parole che John non comprendeva.


Afferrò i polsi dell’altro tra le mani, cercando di liberarsi dalla sua stretta violenta.


L’uomo non parlava.


Urlava.


«Chi sei, cosa sei?!»


Il ragazzo alto intervenne, trattenendo l’altro stringendogli il petto e strattonandolo lontano da John.


Sembrava una bestia, puro istinto di distruggere, come se John fosse un pezzo di carne e lui una fiera digiuna da un mese.


«Basta.»


La figura del nonno si stagliava contro l’entrata della cameretta, come un albero secolare in una tempesta.


Teneva la bambina in braccio, il viso nascosto contro la sua spalla.


«Quest’uomo vive in casa mia. Non ti permetto di alzare un dito contro di lui. Credi davvero che se fosse stato un pericolo non me ne sarei accorto? John è mio ospite, qualunque cosa tu abbia contro di lui potete parlarne come persone civili».


L’uomo con le lentiggini aveva il respiro affannoso.


«Abelson, quest’uomo è morto. Davanti ai miei occhi».


«Sei l’ultimo a poter condannare un morto che cammina tra i vivi, Dean Winchester».


Dean Winchester fissò nuovamente lo sguardo in quello di John, freddo come il fondo di una bottiglia.


«Sei morto. Chi sei?»


«Non lo so», rispose. E non era mai stato più sicuro di una frase che fosse uscita dalla quella sua bocca che da una manciata di mesi aveva imparato a parlare.



Misero a letto Alice e portarono John in cucina.


Il ragazzo con i capelli lunghi –il signor Abelson l’aveva chiamato Sam- lo osservava guardingo, un’espressione preoccupata e quasi addolorata stampata sul viso.


Tirò fuori dalla tasca una fiaschetta metallica, di quelle che di solito contengono il whisky e versò un liquido incolore sul suo polso scoperto. Era gelido.


Il vecchio prese quella che sembrava a tutti gli effetti un flacone di detersivo –sull’etichetta c’era scritto “borace”- e lo versò sull’altra sua mano.


Per ultimo si avvicinò l’uomo che lo aveva aggredito.


Con un coltello in mano.


Agguantò il suo braccio destro e con la rapidità di un macellaio tracciò un taglio da ci iniziò quasi immediatamente a sgorgare sangue.


E che pochi secondi dopo si richiuse.


John scattò in piedi, rovesciando la sedia sul pavimento e indietreggiando verso la porta con il braccio stretto al petto.


Dean si avvicinò a passi lunghi e decisi e lo prese per le spalle. Si era aspettato una stretta violenta, ma il suo tocco era gentile.


Disse: «Guardami.»


E la sua voce era bassa e calda, e come la risacca che solleva i ciottoli sul fondo così la sua memoria era come un’onda trascinata
dalla marea. Qualcosa si smosse, si svegliò, qualcosa che riconobbe la voce sconosciuta e lo spinse a guardare quell’uomo che ha invaso i suoi spazi con tanta irruenza.


Reclinò il capo su una spalla e lo fissò.


Sorrise.


«Ciao, Lentiggini.»



NdA:

Parto podalico trigemellare per 700 parole.  GAH.
Non capite quanto io invidi chi riesce a pianificarsi cosa scrivere e quando scriverlo.
Colpa di tante cose: mia, che ho l’elasticità mentale di un Dalek, di corsi di giornalismo in Irlanda sfiancanti, dell’inizio dell’ultimo anno di liceo, della fatale combinazione di angst televisivo in tutte le serie che seguo, e della fase di transizione nella storia che non sapevo assolutamente come impostare. Aiuto.
Ringrazio come al solito tutti coloro che seguono/preferiscono/ricordano e soprattutto recensiscono, visto che proprio la recensione di xxrosy92 è riuscita a smuovermi e a farmi riprendere in mano questa creaturina. Grazie ancora.
Aspetto con ansia critiche, consigli e dritte!
Ah, il titolo viene dalla mia amatissima Hey Jude, che non si sa come riesco a ficcare in ogni capitolo. Nah, in realtà si sa.
Un bacio,
Lycoris.

   
 
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