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Autore: Haruakira    29/10/2012    1 recensioni
Gokudera vive una vita che si trascina lenta e dolorosa in quelli che sembrano giorni sempre uguali e opachi ma spesso rischiarati da una luce che però è dolce e amara al tempo stesso. Non riesce a cambiare, non riesce a trovare un equilibrio che gli doni la pace. E allora...
NOTA:
One-shot più secondo capitolo con finale alternativo rispetto a quello della storia autoconclusiva.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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PREMESSA NOIOSA MA INDISPENSABILE: Il primo capitolo è assolutamente progettato per essere un AU. E' un AU e una ONE-SHOT, ciò vuol dire che è autoconclusivo. Quello è il suo finale, punto e stop.
PERO' se a quel primo capitolo volete aggiungere anche la lettura di questo secondo, allora smettete di pensarlo come one-shot ambientata in un universo alternativo. Il secondo capitolo riprende le fila del primo, diventa un finale alternativo ambientato nell' universo canonico. Canonico, pur, ovviamente, con una situazione da me immaginata. L' età dei protagonisti in entrambi i casi si aggira introno ai ventiquattro, ventotto anni.


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Salì sul muretto di pietra e respirò l' aria umida, aprì le braccia pronto a buttarsi nel cielo.

-Dove diavolo è finito Yamamoto?!
-Calmati Tsuna.
-Gokudera... Gokudera sta...





Vicino all' ospedale c' era una villa abbandonata con un giardino spazioso, pieno di alberi sotto i quali i proprietari avevano sicuramente goduto dell' ombra e del sole tra le foglie, ora c' erano anche erbacce alte, topi e forse qualche serpente che vi si aggirava silenzioso.
Non erano a Namimori.
Namimori sembrava lontana anni luce da loro. Si trovavano a Tokyo.
Bella, grande, caotica Tokyo.
Soffocante.
Assordante.
Potevi sentirti solo pur camminando tra milioni di persone.
Quando erano arrivati si era sentito come un bambino nel paese dei balocchi, perchè era colorata Tokyo.
Affascinante.
Si sentiva in vacanza, proprio. Poi era con Gokudera. Era bello, no?
Si scordava facilmente che erano in missione. Gokudera glielo ripeteva spesso, lo poteva sentire bene, ora.
"Ohi baka, che credi che siamo in vacanza?!"
"Torna qui! Quella non è la strada giusta... da lì vai al... al luna park?"- aveva fatto tanto d' occhi- "Che diavolo ci andiamo a fare in un luna park?"
"Ti ho detto che siamo in missione..." -sbuffava- "sei un caso disperato"
"Guarda che ti sto seguendo allo stupido centro commerciale perchè sei così tonto che potresti perderti. Non per altro. Hai capito?!"
Frasi, parole... ma era la sua voce. Esasperata, testarda, contrariata.
Lui rispondeva sempre con una risata. Che ci poteva fare?
Forse se fosse stato un po' meno rilassato...
E più guardingo...
Se fosse stato più egoista...
Non si può salvare sempre tutti. Bisogna fare delle scelte.
Selezioni.
Forse allora...
I bambini della squadra che allenava lo chiamavano Super-Yama-nii. Chissà perchè poi. Non aveva un mantello nè la faccia da eroe. Era tutto il contrario... lavorava all' interno di una famiglia mafiosa. Gli eroi mica le fanno queste cose.
Al liceo di Namimori si parlava di lui come di una leggenda. Un idolo. Non pensava a un' accoglienza così calorosa quando era ritornato tra quelle vecchie mura in un impeto di nostalgia. Tutti volevano toccarlo, abbracciarlo, baciarlo. Perchè? Non lo meritava dopo tutto.
Si sentiva un bugiardo. Non voleva essere chiamato eroe o leggenda.
Non aveva salvato Gokudera.
Non aveva scelto bene, fatto selezioni.
Per Dio, era un assassino.

Quanto tempo era passato da quando si era seduto -accasciato- su quella panchina? Oh, ma si stava così bene.
Così bene...
Teneva gli occhi chiusi e la testa rivolta verso le fronde alte dell' albero sopra di lui. Si godeva quella bella giornata. C' era caldo ma non troppo, una piacevole brezza discreta lo faceva stare bene facendogli pizzicare il naso dagli odori intensi del muschio e delle foglie cadute per terra.
Aveva anche disteso le gambe per stare più comodo. Aveva allentato la cravatta. Uhm, no... quella la teneva sempre così. Gokudera gli aveva insegnato a fare il nodo ma lui ogni volta fingeva di non ricordarlo così glielo faceva lui e poteva dargli un bacio.
Forse la sua giacca però si era sgualcita.
Stiracchiò un po' le gambe andando a toccare col piede qualcosa.
Sporse appena un po' la testa e socchiuse gli occhi per ritornare velocemente nella posizione di prima.
Era solo un corpo.
Un corpo.
Premette la suola della scarpa su quella schiena adagiata ai suoi piedi, con forza. Strinse i pugni, aggrottò le sopracciglia, poi sospirò rilassandosi.
Teneva le braccia larghe lungo lo schienale della panchina, i palmi delle mani aperti. Le sentiva appiccicose.
Il sangue colava giù dal braccio sinistro fino al polso percorrendo tutta la mano e gocciolando dalle dita.
In verità quella era la prima volta che uccideva per davvero qualcuno. Prima di allora c' erano stati feriti ma non morti.
Ora ce ne erano sei ai suoi piedi.
Non aveva mai combattuto per uccidere anche se Squalo glielo diceva sempre che così non andava bene. Togliti tutto quel buonismo, idiota o prima o poi creperai, gli urlava.
Il bambino diceva che era un killer nato. Sarebbe stato perfetto.

Il cellulare che aveva nella tasca dei pantaloni iniziò a squillare. Yamamoto abbandonò quel momentaneo torpore all' improvviso afferrando di scatto il telefonino. Era così in quei giorni, ogni chiamata era questione di vita o di morte.
Dall' altro capo del cellulare Ryohei gli diceva di sbrigarsi a tornare in ospedale, di sbrigarsi davvero.
Attraversò i corridoi correndo come un pazzo. Alcune infermiere vedendolo ferito avevano cercato di trattenerlo senza grossi risultati.
Doveva correre.
Vide Tsuna e i suoi compagni camminare avanti e indietro nella sala d' attesa del reparto di terapia intensiva, silenziosi e con gli occhi arrossati. Il Decimo dei Vongola gli si avvicinò.
-Dov' eri?- chiese incolore, sciupato di ogni energia.
Yamamoto non rispose, rafforzò appena la presa sulla katana.
-Che succede?- domandò invece.
-Si è aggravato così, all' improvviso. Lo sai, tre giorni fa gli hanno messo la maschera con l' ossigeno. Non so cosa sia successo. Ero con lui e l' attimo dopo i macchinari hanno iniziato a fare un bip insistente, poi mi hanno buttato fuori e hanno tirato le tende.-
Yamamoto fissò la porta con una tale intensità che sembrava quasi che potesse attravarsarla e vedere il lavorio dei medici intorno a Gokudera.
-Si può entrare...?
-E' una domanda idiota, erbivoro.-
Yamamoto si voltò verso Hibari con un mezzo sorriso, falso e amaro. C' era anche la nuvola allora. L' ex disciplinare inaspettatamente continuò, forse provocandolo- ma se hai coraggio...
E il guardiano della pioggia si ricordò all' improvviso che quello che aveva davanti era un predatore che si prendeva il territorio che non era suo, che lo marcava, lo conquistava.
Mosse il primo passo, incerto. Sentì la voce di Dino alle sue spalle.
-Non fare sciocchezze. Vuoi interferire con il lavoro dei medici?
Yamamoto si girò appena, sulle labbra una risposta e una domanda: "tu che faresti?", invece al suo posto rispose ancora Hibari.
-Al massimo lo butteranno fuori in mezzo secondo. In quella stanza ci sono un sacco di infermiere e di medici... uno più, uno meno al capezzale di Gokudera...
Gli altri non parlavano. Mosse velocemente i pochi passi che lo separavano dalla porta guardando di striscio Tsuna che sembrava implorarlo di non entrare, di non interrompere il lavoro dei dottori.
Quello che mandava in bestia Yamamoto era il fatto che non si era spostato nemmeno un momento dal fianco di Gokudera da quando lo aveva portato in ospedale. Si assentava per quanto? Mezz' ora? Un' ora? E succedeva il finimondo.
Come se la sua presenza avrebbe potuto evitarlo, in qualche modo.
Illuso, gridò una vocina dentro di lui.
Aprì la porta, i due dottori e le infermiere si girarono verso di lui. Era uno spettacolo assurdo, di quelli che vedi solo nei film. Armeggiavano intorno a Gokudera e sul suo corpo muovendosi veloci, a scatti, febbrili. Lo spaventavano.
Un' infermiera gli andò rapidamente incontro:- Che diavolo sta cercando di fare?!- era proprio arrabbiata.
Yamamoto nemmeno la sentiva:- Gokudera- era poco più che un sussurro.
Alla prima infermiera se ne aggiunse un' altra e lo spingevano fuori, via, lontano da lui.
-Gokudera! Hayato! IO SONO QUA!- gridò scandendo bene ogni parola. Con tutta la forza che aveva.
Sentì un medico imprecare al suo indirizzo. Poi fu fuori dalla stanza.
Tsuna e Ryohei gli furono accanto.
-Sapevo che non era una buona idea- sospirò il boss dei Vongola.
Il bambino gli si era parato di fronte.
Yamamoto era un apparente idiota, in realtà era un attento osservatore, non gli serviva nemmeno l' intuizione dei Vongola. Riusciva a capire e ad arrivare là dove i suoi compagni non potevano, a mantenere la calma e la lucidità, la distensione interiore anche nei momenti più terribili. Tutto ciò, Reborn lo aveva visto, andava a puttane se si trattava di Hayato Gokudera.
Non quando Tsuna era stato in pericolo, oppure lo erano stati i Vongola, in quei casi quell' equilibrio rimaneva.
Ma se allora veniva ferito Gokudera allora era tutta un' altra storia.
Il senso di giustizia di Yamamoto si trasformava in vendetta, diventava desiderio di raggiungere la vittoria a ogni costo. Non sapeva perchè ma era così. Gokudera smuoveva qualcosa in quel ragazzo. Toccava inconsapevolmente corde a cui gli altri non riuscivano ad arrivare perchè Yamamoto non era solo un bel sorriso, inoltre la pioggia non può sempre lavare via tutto. Ogni tanto, quello che spesso si tendeva a dimenticare, era che anche la pioggia ha il suo bel peso di sporcizia da portare nel momento esatto in cui cade dal cielo. Prima o poi deve purificarsi.
Reborn si calò il cappello sul viso:- Mi fai paura, Yamamoto Takeshi- disse più a se stesso che al ragazzo che aveva di fronte.
Tsuna abbassò il capo, Ryohei girò il viso dall' altro lato mentre Yamamoto si accasciava sulla sedia con le mani giunte.
Soffrivano tutti ma il dolore di Yamamto li toccava come un dito schiacciato sui nervi scoperti.
Il suo dolore era endemico.
Era folle, sporco forse.
Il suo grido li aveva spinti a mettersi una mano alla gola per coprire i colli scoperti.
La porta si aprì e una dottoressa bionda spaziò con lo sguardo su di loro indugiando sugli occhi di Yamamoto che la fissavano:- Fortunatamente è fuori pericolo.
Tacque sul fatto che i loro sforzi avevano ottenuto un qualche risultato solo dopo l' irruzione del ragazzo moro nella stanza. L' amore e la scienza non avevano nulla in comune per quanto la riguardava.



-Gokudera
Gokudera strubuzzò gli occhi:- Yamamoto?!- ghignò- Cos' è? I fantasmi possono salvare i vivi?
Non si capacitava del fatto che la mano che afferrava la sua fosse quella di Takeshi mentre lui penzolava nel vuoto.
Ci fu un momento di silenzio.
L' altro lo guardò quasi arrabbiato e gridò.



Yamamoto stringeva forte la mano bianca di Gokudera. Grazie al cielo coi giorni sembrava migliorare.
Ricordava che quando erano stati attaccati da quegli uomini stavano ritornando da un locale di sushi del centro. Aveva insistito per provarlo assolutamente, voleva essere certo che non fosse buono come quello di suo padre. E non lo era. Per accorciare avevano preso una via secondaria a quell' ora poco trafficata. Erano stati circondati da due dei guardiani della famiglia rivale e da un paio dei loro uomini, poi una ragazza era sbucata dal nulla e un proiettile volava nella sua direzione. Yamamoto le aveva fatto scudo, in qualche modo. Non ricordava come, c' era stato troppo movimento.
Aveva fatto la scelta sbagliata.
L' attimo dopo si accorgeva di avere lasciato scoperto Gokudera, che si erano separati. Il suo compagno si era girato un attimo, uno solo verso di lui, ed era stato colpito alle spalle. Da quel momento in poi era stata una discesa verso la bocca dell' inferno. Alla fine Hayato era steso per terra sporcandosi del proprio sangue.
Takeshi aveva gridato così tanto...
Era stato con lui giorno e notte, gli aveva parlato pur sapendo che l' altro non fosse cosciente. Era salito e sceso con lui sull' altalena delle lievi riprese e delle brusche ricadute. Aveva aspettato pazientemente che il proprio fisico guarisse e pianificato nei minimi particolari le sue mosse. Non avrebbe mai perdonato chi aveva fatto una cosa del genere.
Li aveva attirati in quella villa  e con una forza che non credeva di possedere aveva guidato i movimenti della sua spada verso di loro. Per la prima volta in vita sua colpiva per uccidere, la sua lama era spiegata.

Sentì la mano di Gokudera stringere la sua, lo vide aprire gli occhi e guardarlo un po' confuso.
-Ohi baka...
Il sorriso di Yamamoto lo accolse come sempre:- Yo, Gokudera.
-Tch... devo sempre vedere il tuo brutto muso.
Una risata fresca. Vera.
Poi Gokudera gli disse:- Uhm... ti ho sognato sai?
-Ah sì? E cosa hai sognato?
Gokudera sbuffò, divertito e scocciato:- Che mi facevi impazzire.
Yamamoto ridacchiò, come sempre.
-Alla fine però mi salvavi, lo sai?
Takeshi scosse la testa:- Non è vero. Non ci sono riuscito. Ti ho lasciato da solo.
Gokudera non lo sentì neppure, pensava ad altro:- La tua voce era assillante.
-...
-Alla fine mi hai salvato- ripetè- cadevo e tu mi hai preso la mano... hai una presa veramente forte. E mi hai urlato che eri qui. Qui dove? Ho pensato, ma che diavolo sta dicendo... all' improvviso ho capito che stavo sbagliando tutto, che saltando avrei rischiato di essere dalla parte sbagliata della barricata- voltò la testa verso il muro- lontano da te.


-Vai un poco più veloce- sbuffò Gokudera.
-E tu chiudi il finestrino o ti prenderai un malanno. Ancora non sei del tutto guarito.
Gokudera sbuffò ma alla fine richiuse il finestrino.
Finalmente giunsero a destinazione. Gokudera era sbalordito:- Non c' è niente... - sussurrò.
Non c' erano gli scavi, non c' era la piazzola, non c' era il muretto.
Solo un piccolo spiazzale e degli alberi.
Il guardiano della tempesta non potè che sospirare sollevato.
Quella era la realtà, lui, Yamamoto e quel boschetto.
Niente fantasmi e niente muri da cui buttarsi.
-Andiamocene a casa. Questo posto mette i brividi.
Takeshi gli strinse la mano e Gokudera sospirò, non vedeva l' ora di ritornare a Namimori.

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HARU DICE:
Faccio notare che questo capitolo e il precedente sono speculari.
 Gokudera -se pensiamo i due capitoli collegati- "sogna" questi avvenimenti proiettandoli su Yamamoto. Takeshi li vive realmente invece.
Nel primo capitolo Gokudera ci dice che Yamamoto muore per fare l' eroe, in effetti qui Goku  lo vede fare scudo alla ragazza, è l' ultimo ricordo che il guardiano della tempesta ha prima di perdere coscienza, motivo per cui nel primo capitolo non specifico come muoia Takeshi. In realtà avevo pensato a Burn, a quel capitolo dedicato a Yama e Goku. Spero di essere stata chiara, di non aver combinato casini e di aver scritto qualcosa di decente. Male che vada fate un fischio.
Infine, ultimo ma non ultimo... -è la prima volta che lo faccio, quindi rullo di tamburi- vorrei dedicare questo capitolo (anche se non è il massimo) a Kyo-chan... per tanti motivi. Anzi, ti dedico tutta la storia.
Te lo meriti a prescindere.
 Poi non mi hai ancora uccisa per la storia di Break. Non ancora.
E poi questo capitolo è venuto così perchè ho ascoltato Drugs don' t work a cui sul momento non avevo pensato. Assurdo, eppure io questa canzone la adoro. Se non l' avessi ascoltata avrei postato un capitolo che non mi convinceva molto e che era scritto in maniera completamente diversa. Era brutto. Tu invece mi hai ispirata, tesora. Perciò assumiti le tue responsabilità e prenditi questo regaluccio. Inoltre ammetto che quando ho steso il primo capitolo, con le canzoni dei  Three Days Grace a farmi compagnia ho pensato "Scommetto che queste canzoni piacciono anche a Kyo-chan. Spero che legga la storia"
Nei prossimi giorni risponderò ai commenti.
   
 
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