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Autore: SFLind    30/10/2012    0 recensioni
- Non credere mai a quel tizio – disse. Guardava in basso da dietro il bancone, asciugando l’interno di un bicchiere.
- Non porta niente di buono! -.
Non era irritato. Più che altro sembrava chiedermi disperatamente di seguire il suo consiglio.

[Personaggi Principali: Fem!RomanoVargas/South Italy, Male!Belgium]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belgio, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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1. Mutande Turchesi e Telefoni Giallo Limone;
 
- Non credi che quegli occhi dorati a volte sembrino un po’ troppo insolenti? …Non guardarmi così! – scoppiò a ridere, scoprendo i denti sporchi del cioccolato che aveva appena, e certo non elegantemente, trangugiato.
 
Io assottigliai ancora di più lo sguardo, cercando di trattenere le risate.
 
- Ti odio! – farfugliò, ancora ridendo, poi mi porse uno dei caffè più terribili che io abbia mai bevuto.
 
 
Quel giorno, Roma era illuminata da un discreto e tiepido sole.
L’estate ci aveva appena abbandonato, spazzata via da un vento leggero; fresco da far venire la pelle d’oca sotto la camicia bianca.
A quell’ora della mattina le strade apparivano particolarmente desolate. Sentivo che quel giorno di clienti non ne avrei visti molti.
La pasticceria era aperta ormai da una settimana e tutto sembrava andare per il verso giusto (tranne per quel cassiere che ancora non ero riuscita a trovare).
Avevo quasi il timore di potermi svegliare da un momento all’altro, con la sveglia che suonava e mia sorella che chiamava per assicurarsi che mi fossi svegliata in tempo.
Scoprire che era stato tutto un sogno.
Con il mio coinquilino che girava per casa in mutande chiedendosi cosa fosse tutto quel baccano.
- Oggi è il grande giorno – gli avevo risposto una settimana prima; lui mi aveva fissato per qualche secondo, confuso, poi, passando dallo specchio per sistemarsi i capelli, era tornato in camera.
 
In quella singola settimana tante cose erano successe.
Tante che per un momento mi ero perfino chiesta se davvero non si potesse più tornare indietro.
 
 
Il cellulare squillò nella tasca della giacca.
 
Daniel”.
 
- Cosa vorrà ancora? – mi chiese, non proprio silenziosa, una vocina infondo alla mia testa.
Risposi, ponendomi stravaganti domande.
- Mi chiederà di nuovo che fine abbiano fatto i suoi boxer turchesi? -.
 
- Buongiorno, ce ne hai messo di tempo per svegliarti, Bello Addormentato! – dissi, pregustando già i suoi momenti di isteria mattutina.
 
Con mia grande sorpresa, però, la sua era una voce ancora impastata dal sonno.
 
- Ha chiamato un tuo amico – quasi sussurrava, con la testa parzialmente nel mondo dei sogni – ha detto di farti sentire il prima possibile-.
 
L’eco di un leggermente accelerato battito cardiaco mi risuonava nel petto.
 
- Chi ha chiamato? – chiesi forse un po’ troppo ansiosa.
- Non ricordo, ero ancora mezzo addormentato quando ho risposto al telefono -.
 
Il battito accelerò notevolmente, tanto da poterlo sentire nelle orecchie.
 
- Sei un idiota – dissi, e chiusi la chiamata.
 
Non me l’ero presa, ma volevo terribilmente suonare arrabbiata.
Che senso aveva avuto tutta la chiamata se non ricordava nemmeno il nome di chi l’avesse fatta?
Eppure, nella testa, nelle orecchie, nella cassa toracica c’era un solo nome.
Riecheggiava chiaro e forte, mentre un tiepido sentimento di nostalgia prendeva il posto di quel chiassoso batticuore.
 
- Jaques – pensavo – E’ sicuramente Jaques -.
 
Chi altro?
 
Avevo promesso che gli avrei mandato tante lettere, ma alla fine non ne avevo scritta neppure una.
Troppo codarda per pensare a qualcosa di non imbarazzante o sdolcinato.
Qualcosa che non mi avrebbe fatto sembrare patetica, quando sentivo tremendamente la mancanza di un amico che viveva a chilometri e chilometri di distanza da me.
 
Dopo quella chiamata la giornata passò veloce, e forse leggermente più calma del solito.
Non essendo mai stata un’amante del lavoro e dell’impegno, quel girono di relax mi avrebbe normalmente portato un po’ di tranquillità e buonumore.
Una giornata di ozio, interrotto suntuariamente da qualche telefonata personale per il pasticciere.
E invece, aveva avuto l’effetto opposto.
Mi lasciò ansiosa, frustrata e isterica (sentimento perennemente comune a tutte le donne, dopotutto), timorosa che quel bel sogno fosse già giunto a termine e che le cose stessero per complicarsi.
Poi, quel fantomatico cassiere costituiva un altro importante ostacolo da superare.
Non potevo continuare a fare entrambi i turni.
Non potevo uscire di casa alle 07:30 ogni mattina e tornare a casa alle 21:30 ogni sera.
Non potevo e non volevo più.
Sadiq, il pasticciere, era nella mia stessa situazione, ma con l’aiuto che riuscivo a dare in cucina (per la quale ero decisamente più portata) quando non c’erano clienti al bancone, si riusciva a tirare avanti.
Avevo anche cercato di coinvolgere quello stronzo del mio coinquilino, Daniel, nel darmi una mano, ma anche lui aveva i suoi impegni.
 
I suoi “allenamenti di scherma”.
 
Non riusciva nemmeno a uscire con la stessa ragazza per due sere consecutive perché diceva che non c’era posto nella sua vita per niente che non fosse il suo fioretto.
 
- Strani gli Ungheresi – mi ero spesso ritrovata a pensare.
 
Ciò che però mi faceva veramente esaurire era altro:
- Con tutti gli studenti stranieri, e non, che vengono ogni anno a Roma, nessuno è disponibile per guadagnare un po’ di soldi con un lavoro part-time? Impensabile! -.
 
Io ero semplicemente molto sfortunata.
 
 
Avevo appena finito di pulire il bancone, e Sadiq era già andato via da almeno quindici minuti.
Ancora pensavo a cosa avrei potuto dire a Jaques una volta tornata a casa. Dopo aver alzato la cornetta di quel telefono giallo limone e composto il suo numero.
 
Il tutto mi rendeva impaziente e nervosa.
   
 
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