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Autore: hikarufly    05/11/2012    2 recensioni
È quasi giunto l'autunno, nell'anno 1920. Downton sembra sempre la stessa... ma le cose stanno cambiando. Quattro ospiti e i loro servi porteranno scompiglio, e non solo, nella grande casa, e aiutando i suoi abitanti, ai piani superiori o inferiori, a vedere il mondo con occhi diversi.
(La trama non tiene conto degli avventimenti della terza stagione)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Era un giorno di sole, uno dei pochi giorni di sole che quella stagione quasi autunnale regalava ancora a Downton. La grande casa si ergeva silenziosa, in tutta la sua grandezza ed eleganza, come una chiesa gotica innalzata verso il cielo. Robert Crawley girava per i suoi corridoi con il suo cane, fedele compagno di ogni passeggiata, fuori o dentro la dimora; si fermò quasi di scatto un paio di passi dopo aver sorpassato una porta, aperta. Fece dietrofront ed entrò, con un sorriso. All’interno della biblioteca e studio di Lord Grantham, stava seduta una giovane con una voluminosa capigliatura riccia e scura, ben stretta in una acconciatura un po’ elaborata. Il suo vestito, secondo la moda ormai in fase di cambiamento, era molto rigonfio dove si sedeva, mentre il resto della figura era avvolta in maniera meno ingombrante dei decenni precedenti. La ragazza alzò gli occhi dalla sua lettura – i suoi occhi verdi, di uno smeraldo acceso e pieno di speranze – e notò Robert, facendogli cenno, con un sorriso felice ed entusiasta, di sedersi accanto a lei. Lui si sedette subito vicino, mentre il suo cane raggiungeva la ragazza per reclamare qualche coccola.
«Questo è uno dei miei libri preferiti» disse lei, sfogliandolo con la delicatezza con cui si carezzerebbe un bambino «e credo che nella biblioteca di Downton Abbey sarebbe come una delle tante perle che rendono una collana ancora più bella»
Robert parve meravigliarsi di una affermazione del genere.
«Ma se lo lascerai qui, non potrai più leggerlo, quando te ne sarai andata via» commentò lui, accigliato ed evidentemente mogio all’idea di non vederla più. Lei addolcì l’espressione del suo volto e gli portò una mano sulla schiena.
«Finché resterò potrò leggerlo quanto voglio. E ciò che mi farà molto più piacere sarà che chiunque metta piede qui abbia la possibilità di leggerlo come ho fatto io, nei decenni a venire. Magari i tuoi figli e le tue figlie lo faranno» accennò la ragazza. Robert, ancora un ragazzino, alzò la testa.
«Se mamà non fosse così ostinata nel farmi evitare di leggerlo, lo farei anche io…» confessò, con un sorrisetto di autocommiserazione per essere sottoposto agli ordini di Lady Violet, nonostante i suoi 11 anni compiuti.
«Lei è solo preoccupata per te, Robert. Non fargliene una colpa» replicò lei, posandogli un bacio sulla fronte.
«Mi accompagni di sotto?» gli domandò poi, e lui fu il cavaliere perfetto, porgendole il braccio e uscendo con lei.

Lady Edith si sedette al tavolo della colazione, a destra di suo padre. Di fronte a lei, suo cugino Matthew era intento a una conversazione con Lord Grantham, di cui lei non stava sentendo una parola. La sua mente era assorbita completamente dalle prossime cene a cui sir Anthony Strallan avrebbe partecipato presso di loro. Si dovette, con rammarico ma anche per una sorta di riflesso condizionato, ridestare, quando il rumore del chiacchiericcio dei due uomini cambiò tono e si ammutolì. Lord Grantham aveva appena aperto una missiva e lei credette che, alzando il volto dal suo piatto, avrebbe letto paura e rammarico sul suo volto: ogni volta che si sentiva ammutolire qualcuno di fronte a una lettera, in quella casa, ci si potevano aspettare dei guai. Al contrario delle sue aspettative, però, Sir Robert trovò le notizie appena arrivategli piuttosto allegre, a giudicare dal sorriso sereno e i suoi occhi accesi.
«Pare che Lord Glenravel voglia venire a farci visita» annunciò, allegro «è in viaggio in Inghilterra e spera di essere il benvenuto» aggiunse, controllando da dove era stata spedita la lettera «Si trova in Scozia, a Glasgow… e pare che finché non gli darò una risposta positiva non si sposterà da quella città»
Matthew aggrottò la fronte, senza sapere di chi lui stesse parlando, e così Edith. In risposta alle loro occhiate curiose e ai loro silenzi, Robert abbassò la lettera.
«Il precedente Lord Glenravel, Sir Bernard Higgins, combatté con me in Sud Africa. Purtroppo, fu ucciso durante un combattimento e non tornò alla sua casa, nell’Ulster. Suo fratello Gregory gli succedette in titolo e patrimonio, non avendo Bernard moglie o figli ad aspettarlo. Ed è proprio Sir Gregory Higgins a scrivermi, informandomi di essere sopravvissuto alla guerra e di essersi finalmente sposato. Sta viaggiando con la moglie e una coppia di amici scozzesi e sarebbe felice di rivedere Downton, aggiungendo che di rado ci sono bellezze come quelle di questa casa al di là del mare d’Irlanda»
«Pensi di accettare la sua proposta di venire qui, papà?» domandò Edith, tornando a fare colazione. Matthew restò in silenzio, ma in attesa della risposta del suocero.
«Chiederò un parere a tua madre, ma sarei molto felice di vederlo. Perciò credo proprio che sì, se tua madre non avrà nulla in contrario, accetterò volentieri la sua proposta» rispose Lord Grantham, in tono tranquillo.

Qualche ora dopo, Matthew Crawley bussò alla porta dello studio di Lord Grantham. Quando entrò, vide che i suoi suoceri stavano discutendo tra loro con tono un po’ freddo.
«Mi dispiace, sto interrompendo forse?» domandò il ragazzo, ma Lady Cora sfoderò un sorriso.
«Nient’affatto, Matthew, vieni pure» rispose pronta e cordiale la padrona di casa, per poi avvicinarsi a lui e superarlo. Prima di uscire, però, si voltò verso il marito.
«Se sei davvero così risoluto, fai ciò che preferisci… ma ricordati quel che ti ho detto» disse Cora al marito, con un’occhiata significativa e le sopracciglia sollevate, andandosene senza dare il tempo al marito di formulare una controbattuta efficace. Lord Grantham rimase per un istante con le labbra dischiuse, per poi sospirare e fare cenno a Matthew di sedersi.
«Qualcosa non va?» esordì l’erede, accomodandosi. Robert si alzò, andando verso la finestra.
«Cora non sembra felice di poter avere Lord Glenravel come ospite. O meglio, crede che la presenza di sua moglie non sia una compagnia adatta per nessuno» concluse, accigliato.
Matthew lo osservò, con un’espressione confusa.
«Perché mai?» chiese, come un bambino che non vede una cosa evidente per un adulto. Robert prese a passeggiare per la stanza, diretto alla bottiglia di brandy ma superandola per arrivare al camino.
«Ci sono dei pettegolezzi su Lady Siobhan Higgins che a quanto pare giungono prima di lei in ogni luogo. Pare che la considerino una strega, qualsiasi cosa voglia dire, ma Cora ha confessato di non essere del tutto a conoscenza dei particolari» spiegò Robert «Non vorrei perdere l’amicizia di uno dei Lord dell’Ulster, soprattutto con questa rivolta degli irlandesi in corso, per qualche stupida diceria di cui non sappiamo neppure i veri e propri termini»
Matthew ci pensò un attimo su: era da poco sposato con Mary, e sentiva più il peso di una responsabilità futura che la necessità di iniziare ad addossarsela. Stava migliorando nei modi e nella conoscenza dei costumi della upperclass, ma in ogni caso era fin troppo distratto dalla vita da neosposo per impegnarsi a fondo quanto Lady Violet, tra gli altri, voleva che facesse. Lord Grantham era molto indulgente, su questo punto: non era così vecchio e non aveva un matrimonio così infelice da dimenticare come ci si sente, al ritorno da una luna di miele.
«Credevo che la guerra avesse dato meno potere a queste cose… ma a quanto pare mi sbagliavo» commentò Matthew, ricevendo dal suocero nessuna reazione particolare, se non un commento anche da parte sua.
«L’upperclass inglese non cambierà mai»
Non sapeva quanto a fondo si stesse sbagliando.

Sybil si aggirava per lo studio del padre, deserto a quell’ora del giorno, cioè quando Isis reclamava le attenzioni del suo padrone fuori dalle mura domestiche. Scorreva le dita sulle coste spesse e a volte ruvide dei libri sugli scaffali, mentre con l’altra mano si sfiorava il ventre. Stava iniziando a diventare grande e voluminoso, e il piccolino (o piccolina) era più irrequieto alla sera, dopo cena. Era riuscita, qualche volta, a far sentire a Tom, suo marito, il calci del bambino.
Sfilò un volume, tra gli altri, senza sentire i passi di qualcuno avvicinarsi. Riconobbe l’autore del libro quando sentì delle braccia circondarla da dietro.
«Sai, mi sentii molto onorato e orgoglioso quando tuo padre mi diede il permesso di prendere qualsiasi libro volessi leggere. Chissà se lo vorrebbe ancora» commentò la voce fortemente irlandese di Branson. Sybil ridacchiò e aprì il testo tra le sue mani.
«Christina Rossetti… che ci fanno delle poesie tra questi trattati?» disse la ragazza, come se parlasse a se stessa.
«A Lord Grantham non piacciono le poesie?» chiese però Tom, aggrottando la fronte. L’aveva sempre creduto un uomo capace di sensibilità, purché non si parlasse di sentimenti veri. Perciò, lo credeva anche capace di approcciarsi alla poesia, ma non di capirla, probabilmente. O forse, di capire solo un certo tipo di poesia, classica per lo più.
«Non direi che Christina Rossetti sia il suo genere» rispose Sybil, con un sorrisetto e scambiando un’occhiata e un bacio furtivo con lui. Sfogliò ancora il volume, decantando in tono dolce: “Il mercato de’ folletti e altre poesie”, versione rivista dall’autrice, 1876.
«Doveva essere un bambino quando è stato pubblicato la prima volta, forse non era neanche nato… e nel 1876 aveva solo 8 anni… non posso credere che questo sia di mio nonno. Chissà come è finito qui» si domandò la ragazza, tenendolo ancora tra le mani.
«Non prenderai un libro senza permesso, Sybil? Chissà cosa penseranno di me!» esclamò con tono fintamente indignato Tom. Sybil non poté trattenere una risatina.
«Di te?» ribatté lei.
«Sono o non sono io che ti ho portato sulla via della perdizione?» spiegò allora il ragazzo, provocandole un’altra risata e un brivido con un bacio sul collo.

«Quindi papà è deciso? Arriverà la strega tra noi?»
La voce di Lady Mary risuonò nella camera, apparentemente indifferente, mentre una silenziosa e solerte Anna Bates le sistemava l’acconciatura tutta onde. Matthew rimase un po’ stranito da quella sua affermazione.
«Si può sapere perché tu e Cora siete convinte che lo sia? Che cosa ha mai fatto questa donna?» la rimbeccò lui, sinceramente curioso di saperlo. Mary si voltò verso di lui, mentre si metteva i guanti per la sera, con un mezzo sospiro decisamente malcelato. Bisognava sempre spiegargli tutto.
«A Londra si dice vivesse in qualche cottage di legno e torba in un paesino sperduto vicino a Moer, dovunque quella città sia in Irlanda. Si è sposato ben al di sotto delle sue possibilità, e la ragazza non è in grado di tenere una forchetta in mano, si dice» iniziò a spiegare Mary, tornando a guardarsi allo specchio.
«Anche io non sapevo tenere una forchetta in mano, a quanto mi dicevi» replicò lui, affatto contento di sentire la moglie parlare con sufficienza di qualcuno che neanche conosce.
«Hai imparato, però, e lei è ancora senza classe… Lord e Lady Glenravel sono sposati da prima che finisse la guerra… lui fu congedato per malattia, si pensa perché lei lo ha richiamato e costretto a ferirsi, ed è già di per sé una brutta cosa. E si dice faccia la civetta e cerchi di ammaliare qualsiasi uomo che si trova intorno» continuò Mary, finendo la frase con un accenno di gelosia che Matthew aveva ormai imparato a riconoscere.
«Direi che vedremo da noi se queste voci sono vere o no. In ogni caso, nessuno potrebbe ammaliarmi quanto hai fatto tu» la rassicurò, carezzandole il volto mentre Anna si congedava e spariva, diretta ai piani inferiori.

Anna attraversò la casa piuttosto velocemente, ormai sicura dei passaggi più brevi e delle scorciatoie adatte a non farsi vedere da nessuno eccetto lo staff. Si sedette al grande tavolo presso il quale mangiavano e potevano occuparsi delle faccende di tutti i giorni, con in mano una delle sottovesti della sua padrona, rammendandone il pizzo ai bordi.
«Ci saranno degli ospiti a Downton» iniziò a raccontare. Il resto della congrega sembrò non sentirla, dagli atteggiamenti, ma era pronta a iniziare la discussione con lei. Mrs Hughes stava rivedendo alcune tabelle nelle quali aveva i turni di lavoro e le mezze giornate libere di tutti; Miss O’Brien era intenta a un lavoro di rammendo molto simile a quello di Anna ma su stoffe più sofisticate; Daisy e Mrs Patmore si muovevano un po’ intorno al tavolo, in cerca di qualche utensile come vasi o casseruole; Thomas si limitava invece a squadrare con disappunto il nuovo cameriere, Alfred, che sta ricucendo un bottone sulla propria divisa con un po’ troppa lentezza.
«Milady non è molto contenta. Pare che la moglie dell’ospite sia una specie di strega e gli “amici scozzesi” che sono con loro abbiano meno classe di tutti noi messi insieme» commentò O’Brien, mentre le sue mani lavoravano alacremente. Mrs Hughes sollevò un sopracciglio, ma non proferì verbo.
«Sua signoria sembra deciso a dare loro ospitalità, in ogni caso» continuò Anna «da quello che diceva Mr Crawley»
«Spero che non si stiano facendo pettegolezzi intorno a questo tavolo» tuonò la voce rassicurante quanto autoritaria di Mr Carson, appena entrato. Tutti si alzarono, per rispetto, per poi tornare a sedersi, ammutoliti, e continuarono a lavorare come sempre.
«Ma secondo voi è vero che Lady Glenravel è una strega?» domandò Daisy, interrompendo il silenzio, vicina a Mrs Hughes.
«Non ci sono cose come le streghe, sciocchina» ribatté pronta Mrs Hughes, alzandosi «e se ci fossero, potrebbero insegnarci qualche trucchetto su come si può svolgere tutto il lavoro che abbiamo da fare con lo schiocco di un dito» aggiunse, lanciando un’occhiata penetrante alla ragazza, che schizzò via velocissima.

   
 
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