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Autore: Mao_chan91    05/06/2007    8 recensioni
Momenti di ricaduta, momenti di crisi.
Epilogo||Avevo fatto del mio meglio –sul serio, sul serio!
Un rapporto dissestato senza un futuro (palpabile).
[Death-fic, angst, pairing inusuale one-sided]
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Winry Rockbell
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Don’t look at the world- You may cry now

2.The dark side of the moon

There is no dark side of the moon, really.

As a matter of fact, it's all dark.
The only thing that makes it look light is the sun.

(Eclipse, Gerry Driscoll - Pink Floyd)




Pregustare l’ambito risultato renderà sì più calcolati e lucidi i singoli passi, ma anche più dolorosi, perché consci tanto di quello a cui condurranno quanto di quello che potrebbero perdere per una mossa troppo azzardata.
Parlare al presente di quello che non si possiede può rovinare tutto.

[Ed ho fatto un errore.]

-

E’ mattino ed una smorfia stanca si contorce sul volto di lui, mentre sale le scale a portarle la colazione su un vassoio.

La luce è pallida e le imbratta ancora di più la pelle di un bianco così falsato ed intenso da parer pronto a scrostarsi, come un secondo strato di pelle. E’ la sua nuova barriera difensiva.

Al sente, con un brivido angoscioso tra lo sterno e la gola, che non manca molto perché un semplice mettere il naso fuori di casa la bruci e logori come solo le assenze hanno saputo fare, indebolendola con gli anni.

Dorme senza espressioni più nitide d’una curva leggera di labbra, lei, con la camicia da notte larga e a pieghe sulla vita sottile.

La stessa che ha portato in gravidanza, nota lui.
Un richiamo ad un ricordo felice, morbido e mai visto. Un secondo involucro, e lei non ha più pelle né cuore, solo altri strati di carne inerte.

Buffo. Aveva tanto odiato quell’indumento– ma certo non la condizione in cui l’aveva indossata.

L’aveva sempre trovato troppo scomodo e troppo corto sulle gambe. Se dovessi andare ad aprire la porta così vestita, diceva lamentosa, come farei?

Ma lui è entrato, e sente che non si scomporrà nemmeno troppo.

Ciononostante, si allontanerà per concederle un placido sonno ancora lungo, senza imporle la sua esistenza come ricordo di quella loro penosa, nuova, vita.

Dopotutto, ha ancora il sacrosanto diritto di tenere gli occhi chiusi finché lo vuole, e così sarà, senza dubbio.

Quasi a sfregio di quel pensiero innocuo, Winry apre un occhio mentre lui posa il vassoio sul tavolino da lavoro, e lo scruta di schiena, stanco e curvo e vecchio, d’una senilità cui l’ha lei stesso condotto, senza rimorsi.

Resta in silenzio e non lo chiama a voltarsi, lo segue solo con lo sguardo.
Vi è un angoscioso aggrapparsi a quell’immagine scivolosa, nel suo sguardo abbagliato dalla luce, e si sente compassionevole verso questa sé stessa così miserabile ed incapace di allontanarsi da un affetto né di avvicinarlo più di un minimo.

Così pigra–e non vuole più soffrire, e non vuole più guidare nessuno con la sua luce spenta, e non vuole più alzarsi e scottarsi al sole.

Non vuole più tollerare il minimo dolore.

Al la sente, senza parole, fissandola di sbieco. E’ come se lo chiamasse, cercandolo quando sono a pochi e sottili passi l’uno dall’altra.

E vuole illudersi che non la veda…

Lo cerca inconsapevolmente con occhi avidi e lucidi, allunga le braccia piano piano come una bambina che vuole essere presa in braccio, poi ci ripensa e si adagia più mollemente che mai sul letto, perché lui la guarda, ora, e se anche non le vedesse il viso, vedrebbe la sua nuca reclinata sul petto, che non si concede il riparo del cuscino per non dormire più.


Nemmeno in questo senso lui se la sente di arrogarsi il diritto di ferirla sostando lì a lungo, se Winry vuole ignorarlo un poco, ma alla fine si costringe e sussurra piano, senza parole non bloccate da un nugolo di aria pesante in gola.

"Vuoi che vada via?"

"…no."

"Vuoi che resti qui?"

"Sempre."

Nemmeno alzano la testa per incontrarsi di propria volontà.

Lui si limita a sedersi al ciglio del letto senza guardarla oltre, intrecciando saldo e incerto le dita alle sue, per molte ore.

-

Non hanno mai smesso di lavorare, in questi giorni.

E’ sempre stata e sempre sarà un’ottima, sacra distrazione da tutto il resto della loro vita.

Non hanno smesso di ricevere i clienti in casa quando Ed è morto, né quando lei ha perso l’agognata maternità, dunque non c’è motivo di farlo ora, nella loro testa. Alcun motivo.

Congedano l’ultimo cliente del giorno senza un sorriso, ma un semplice sbuffo affannoso, perché era un ragazzino non molto alto che ha fissato a lungo, quasi sconvolto, i loro visi devastati, poi scrollato le spalle compatendoli in silenzio.

Aveva un silenzio simile a quello di Ed, e questo li ha fatti leggermente sobbalzare, perché lo hanno pensato entrambi.

Così disilluso ed egoista, senza riserbo né energie da convogliare nel compatire anche gli altri.

A me mancano entrambe le braccia, era parso suggerir loro con gli occhi, seccato, e voi che scusa avete, per essere così tristi?

Già. Che scusa abbiamo per essere tristi?

Lui la guarda vacuo riporre gli ultimi attrezzi in un cassetto, poco scossa e molto ansiosa.

Quel suo cambio di respiro così pesante a quella visione a lui non piace, non piace per niente.

Ed è ovvio, così sorprendentemente ovvio…

Perché ogni giorno perdiamo qualcosa…

Alphonse riflette per pochi e grevi istanti lo sguardo incerto di lei nei suoi occhi.

La osserva tentare di tirar su un labbro, ma pare lo trovi pesante e affilato come una mannaia, e non ci riesce.

Le si avvicina, alto su di lei, e timidamente le posa un dito sul labbro inferiore, tentando, per qualche disperato momento, di risollevarglielo a forza, ma è davvero pesante, e lei si scosta in breve, interrogandolo mite e terrorizzata.

"Cosa cercavi? Cosa stavi cercando?"

"Qualcosa che non c’è più." ribatte lui mesto nell’allontanarsi pian piano, più tardi vergognoso nell’aver toccato, pur se senza strani intenti, qualcosa che non è suo e che è stato più e più volte di suo fratello.

…e non manchiamo di averne colpa.


-

Il caldo è borioso nel prendersi gioco di loro, afoso e sconcertante.

Sono stanchi e lei al risveglio si sta dirigendo in cucina, lenta e con le spalle mestamente curve, senza attenzione.

Preparerà la colazione e siederà un poco da qualche parte, fissando la finestra, la pioggia bruciante che potrebbe liquefarla e quindi eviterà. Non desidererà la pioggia. Non desidererà il mondo, non ora, non per molto.

In un momento che è precipitato in un limbo vorticante, e non è né in terra né in cielo. Né esiste.

Queste sono le sue intenzioni, mentre cammina e le prude un poco un fianco coperto dalla lunga maglia del pigiama; si volta, rotea gli occhi ed è in trappola.

Questo è troppo, troppo crudele…

La porta della stanza da letto conduce aria filtrata da una finestra un poco schiusa.

Aria che rinnova.

Non era un errore da Al, sempre così attento ed apprensivo.

Non può essere stato Al.

Deve essere opera di qualcun altro. Sì, qualcun altro.

Posso aò essere stato Al.

Deve essere opera di qualcun altro. Sì, qualcun altro.
verlo fatto io e poi dimenticato? Sì. Di certo è così.

Le caviglie le si piegano debolmente, ma stringendosi stentatamente al muro non cade e avanza, avanza e le pareti sono bianche nell’intimità quieta.

Il letto grande, le foto incorniciate sulle pareti e posate sul cassettone, rilucenti la soffocano.

No, non le piace, non le piace per niente.

E’ una morsa carbonizzante alle dita, che preme allo sterno mentre forza un sorriso debole e ignavo.

Il tutto ha qualcosa di sacro ed inviolabile e corrotto nel contempo, in un miscuglio che le risulta devastante.

Convulsamente inizia a graffiarsi il collo e sorride ancora, di un sorriso troppo esteso per essere reale che è solo una smorfia ben costruita.

E ci sono dei passi, passi così familiari che irrompono nella sua mente, e chiude gli occhi per immaginare un istante, nella stanza che è stata sua e di Ed, sua e dei suoi genitori, il marito gentile che le si accosta di lato perché non gli piace prenderla alle spalle, e le strappa un gradevole bacio con un paio di dita posate sul suo ventre gonfio e che poi vi scorrono sopra, e le sorride senza muovere le labbra, perché lui è fatto così, tante volte, troppe volte.

Ma chi è giunto è solo Al che le strappa il polso dal collo irritato e rossastro per chinarglielo su un fianco, non più la gentile e mansueta presenza che era, ma di essa semplice relitto d’un dorato opaco.

No, non è Ed, ma questa non è una buona ragione per voltare interamente il capo e sopportare il suo sguardo penoso e disdicevole sulla mano con cui non si feriva ma si sfiorava da sola il ventre vuoto; si sottrae alla presa decisa ad affrontarlo, senza vergogne.

"Perché la finestra era aperta? La porta era aperta?" si scompone, e lui scuote piano la testa senza nuova magnanimità, ma troppa fiacchezza.

"Perché la stanza stava invecchiando. L’ho dimenticata ieri sera, mi dispiace."

"…non mi piace, questa stanza."

"No, infatti. Non ti piace." sorride brevemente, scuotendo la testa e sfiorandole la testa con le dita in un banale tentativo di rassicurarla.
Mille e mille volte Ed aveva accarezzato così la testa di entrambi, ma la sua presa era sempre stata più salda e decisa ed –almeno in questo– inconfondibile.

E non lo vedi, che fare questo mi costa tantissimo, ma per te sono pronto a farlo?

No, evidentemente lei non lo vede, questo.
Vede solo una stolta prevaricazione ostentata e si innervosisce massimamente, poco contegno rimastole a fronteggiare il sarcasmo senza energie di lui.

"La adori, ma non ti fa bene entrare qui. Mi dispiace, sul serio. Non dovevi entrarci."

"…"

"Win, sul serio, scusami."

L’aria si congela, mentre lei incrina il momento in cui è –ed è stata– debole e poco incline all’opposizione a causa delle sue morbide abrasioni mentali, socchiudendo gli occhi seccata.

"…non mi piace che tu faccia così, Al. So badare a me stessa."

"No, Win. Non direi proprio."

"…se anche fosse, non lo decidi tu!"

E pare riacquisire l’antico ardore d’indole, gonfiando il petto tronfia e rabbiosa.


"…sì, hai ragione."

Ma la di lei fiamma si spegne pian piano, velata in uno sguardo incerto e perso nei ricordi.

"…comunque, per un istante…sai, ho pensato che fossi Ed."

"Ah."

"Mi…mi capita. Solo che, non so, lo sapevo che non eri lui, lo sentivo…"

"E’ normale. Lui non c’è." ribatte con delicatezza lui, ma una tempia inizia a pulsargli in maniera piuttosto fastidiosa "E poi noi avevamo mille differenze, lo sai…"


"Avete mille differenze. E sì, hai ragione. Lui, quello scorbutico. Di poche parole, rabbioso…tu sei sempre stato quello…buono e amabile."

"Dici?" inarca un sopracciglio lui, senza interesse, fissando distrattamente la finestra ancora aperta.
Potrebbe essere ora di chiuderla, quella finestra. E quella porta.

Sarà seriamente una scelta da meditare a fondo.

"Oh, sì." si intenerisce lei sollevando le guance in una smorfia graziosa "Sorridevi tanto e in maniera gentile…"

"…e credibile?" suggerisce lui con un sorrisetto mai parsole così falso e collerico.

"…come?"

"Pensa ai tuoi, di sorrisi, Win. Pensaci." le propone morbidamente, una curva fredda disegnata dalla contrazione delle palpebre "E pensa anche che forse, tra me e Ed, non ero io quello migliore. Pensa che non lo sono mai stato. Pensaci, sul serio. Ho sempre perso, nelle cose importanti, contro di lui."

"No, sei…più bravo, più forte, più…"

Dovresti smetterla di parlare al presente, Win. E di essere convinta di farlo con cognizione di causa, anche.
Non ha senso.


"Quelle non sono cose importanti. Chi hai scelto, alla fine?"

"Al, questo non…" lei esita, brevemente. Ma troppo a lungo comunque.

"Oh, sì che ha senso. Ma non voglio turbarti con questo. E non hai mai pensato che, forse, fosse lui a migliorare me e non viceversa? Il supporto più forte? Così abbagliante da far apparire anche me migliore di quanto non fossi? Perché Ed aveva i suoi magnifici ideali e bontà che io assecondavo, in quel fottutissimo corpo di latta, e lui era così buono e poco grazioso che io non avrei potuto evitare di essere altrettanto perfetto, no?" prorompe acido lui, e non c’è più nulla di male che non le abbia detto. Gli resta solo da mostrarlo ed odia, odia profondamente Ed anche oggi.

Non aveva mai desiderato né osato sperare che lo scordasse, dopotutto.
Perché lui stesso era stato forte nel reggere quello, ma lei non aveva visto che il proprio, di dolore, la propria parte crudele e da assecondare, mentre lui, sempre buono e gentile e piacevole, non aveva mai avuto forza di riportarla alla realtà; solo di assecondare lei e il suo egoismo.

E voglio che tu ami e conosca il peggio di me, ma questo non è possibile, vero? Non posso fare sempre scelte giuste.

"No, non…"

E’ arida e sprezzante, spietata, la risatina bruciante di lui che gli risale alla gola e suona profondamente disumana tra le sue labbra cortesi.

Si piega un poco sullo stomaco e ride, ride a lungo sino ad avere le lacrime agli occhi; poi li asciuga senza un sorriso, e quando può guardarla dall’alto la scruta, sperduta e scoraggiata con le dita tra i denti.

Odia Ed e sé stesso mentre le accarezza la mano in un tocco leggero che le da i brividi e cui lacrimando ella si sottrae; i suoi occhi sono azzurri, limpidi e liquidi, ma, soprattutto, non più fiduciosi.

Ma vedi, io posso fare questo. Posso fare questo e odiare me stesso come odierei Ed, perché io sono Ed, giusto?

"Oh, sì. Scusami se rido, ora, Win, ma io sono tanto, tanto peggiore di lui. Più cattivo. Egoista.
C’è tanto male in me, che in lui non c’era. Ho dei desideri personali. Ho dei desideri che non fanno il bene del prossimo. Voglio, ho voluto, te, che gli appartieni ancora e senza esitazione e per sempre sarai sua.
La mia unica carità è stata quella di nascondertelo con calma, ma è stato per non farti allontanare, non altro.
Anche se non credo abbia rilevanza, nel tuo mondo.
E scusami se me ne vado, Win. Ma contro di lui, contro di voi, perderò sempre. E niente avrà più senso. Non ce la faccio più, è troppo anche per me, che sono buono, tento di essere buono e di buono non ho niente.
E ti prego, non sforzarti più di essermi affezionata e tutto. Non credo proprio di poter sopportarlo ancora. Perché non sai niente e non vedi niente con chiarezza."

Questo non puoi curarlo, Win. Non in me.
Sai, dopotutto, ti voglio bene lo stesso. Apri pure gli occhi la prossima volta.

Ciao, Win.

-

Note:Il nostro piccolo e mansueto Al sta per impazzire. Abbastanza normale, dopotutto.
E la storia sta per raggiungere la sua fine. Un altro capitolo, l’epilogo e sarà conclusa.
Un piccolo appunto che è doveroso fare, però, è che questi primi capitoli erano già lucidi e pronti da postare non appena avessi avuto del tempo.
Il prossimo è pronto, ma necessita di una revisione accuratissima, qualche censura (sono un tipo pudico, io. Insomma, quel capitolo giustificherà il rating della storia.) e poi sarà pronto.

Solo che, ehm, non so quando.
Al momento, la mia ispirazione è rivolta soprattutto ad una nuova fic dal pairing inusualissimo giustificata solo dagli eventi dell’altra mia fic cui è collegata (nonostante con i dovuti preamboli possa leggersi comunque separatamente), Rewrite. Non la leggerà nessuno, suppongo, ma pazienza, la mia ispirazione ed il mio cuore sono lì ^^;.
Quindi se questa pubblicità occulta vi avrà incuriositi, mi auguro vorrete leggerla.
Aggiungerò nel mio account, assieme ai progressi nelle altre mie fic e nella succitata (Erase), anche i progressi ufficiali nell’avanzamento del terzo capitolo di Don’t look.
Se vorrete, potrete tener d’occhio lì la situazione.
Ringrazio sommamente quelle creature di buon cuore che mi commentano e chi ha messo me/le mie fic tra i suoi preferiti. Anche se molti di quelli fanno questo, per strane ragioni, non commentano, li ringrazio comunque.

Replico, al solito, ai commenti qui di seguito (e, come al solito, non rispondo al commentone di Onda. Ma risponderò al prossimo, visto che non l’ha ancora letto del tutto ed è nella stessa condizione dei cari lettori) :

Siyah: Direi che ti resta solo da verificare quanto Win potrà diventare estrema. Nel prossimo capitolo, soprattutto *spoiler*. Grazie per la comprensione di quelle creaturine in polvere che sono diventati i due X3;.


ValHerm: Sempre lieta di essere tormentata a suon di recensioni, almeno quanto sono lieta di verificare che quanto scrivo comunichi emozioni. E che lo comunichi anche ad una buona “EdWinner”.

Kaho_chan: E’ prerogativa di questa fic, ormai, trasmettere maggior empatia e pietà verso Al piuttosto che Winry. Buffo ma vero. Dopotutto, lei ha una sorta di incoscienza e qualcuno che bada a lei.
A lui spetta un ruolo impotente anche se, come avrai visto in questo capitolo, alla fin fine non può essere sempre buono anche lui. Oh, un’altra persona da non deludere. Grazie per la fiducia e per apprezzare questa fic assurda.

Setsuka: Ma guarda un po’ chi si rivede ^^. Potresti precisarmi quelle che sono le “imprecisioni a inizio capitolo”? Giusto per correggere, sai, visto che non ho ben capito cosa intendi ^^;.
Anche perché qui tra i commentatori ci sono delle prodi EdWinner, non conviene entrare in merito della questione Winry in questo ambito. Anche se mi commuove sul serio sentirti apprezzare la Winry di questa fan-fiction. Detto da una persona che comunemente la odia, ha molto valore. Grazie per aver messo la fic tra le preferite, anche. E mi fa tanto piacere che tu possa apprezzare il linguaggio, l’atmosfera, la trama ed i personaggi (un po’ tutto, quindi).
Per non arrossire e concludere lucidamente le note, ti ringrazio ancora e chiudo qui.


-Aggiungo inoltre che, essendo molto significative le citazioni in inglese a inizio capitolo, se a qualcuno tornasse utile la traduzione, basterà farmelo sapere nei commenti, ed accluderò volentieri al prossimo capitolo la traduzione di tutto ciò che ho citato fino ad ora.

Detto questo, mi congedo. A presto, spero (o per meglio dire, se l’ispirazione lo permette).




  
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