Eccomi ritornata, con un'altra storia huddy, o meglio, con la continuazione di una mia precedente fanfic: "Fumi".
La terza serie di House MD è finita, dovremo resistere fino a settembre. Non ci resta che scrivere storie!
Vorrei dedicare questa fanfic a Giò (socia Huddy!), Mara (lo so, lo so che non apprezzi le ship...ma mi serve qualcuno di fortemente critico che mi costringa a mettermi continuamente in gioco) e Rem (omaggio al comitato!), in onore del nostro incontro di diverse settimane fa.
Ci sono un paio di altre persone che voglio ringraziare di cuore: Apple e Diomache, che con le loro splendide storie mi tengono compagnia, alla faccia delle guerre tra ship che vedo in giro! Ho qualcosa in mente anche per voi, Cotton care, datemi solo un po' di tempo.
Per i titoli dei capitoli, ho usato lo stile dei titoli degli episodi di Scrubs, serie tv adorata, che mi fa ridere sempre e comunque, combattendo la mia metereopatia e gli sbalzi d'umore!
Attendo con ansia le vostre recensioni. Preziosissime!
Buona lettura!
Vally
Ps: il primo capitolo è solo una breve introduzione, a breve con l'aggiornamento!
1-La mia velocità
James Wilson, phon alla mano, tentò di sistemare una
ciocca di capelli che non voleva sapere di rimanere in ordine.
Erano già le 8 passate, ma si era alzato da poco: doveva
aspettare che House lo passasse a prendere, il che significava non muoversi di
casa prima delle 9. Odiava arrivare in ritardo, ma aveva ancora i postumi della
sbornia della sera precedente, e quell’ora di sonno in più gli era stata
indispensabile.
Sbuffando, fece l’ultimo tentativo con la ciocca
ribelle, ma quella mattina i suoi capelli non volevano proprio
collaborare.
Decise di rinunciare ai capelli, e si diresse in camera
da letto: avrebbe scelto un abbigliamento particolarmente accurato, così da
compensare il disordine dei capelli.
Stava ragionando sull’abbinamento cravatta-camicia più
appropriato, quando sentì l’inconfondibile suono del clacson della sua
macchina.
“Impossibile!” pensò, guardando l’orologio. Erano anni
che conosceva House e non l’aveva mai visto sveglio prima delle
9.
Si affacciò dalla finestra: si, era la sua
macchina.
Il clacson suonò ancora,
insistentemente.
Wilson afferrò al volo la prima cravatta che gli capitò
tra le mani, se la mise malamente attorno al collo e si affrettò verso la porta.
Fece giusto in tempo a buttare un’ultima occhiata alla sua figura nello specchio
d’ingresso, poi si chiuse la porta alle spalle.
Raggiunse con passo svelto la sua auto, e salì al posto
del passeggero.
“Dovevi scegliere proprio oggi per arrivare puntuale al
lavoro? Mi sono svegliato dieci minuti fa, ho i postumi di una sbornia e questi
capelli…” disse tutto in un fiato, aprendo lo specchietto davanti a sé e
osservando con disapprovazione la sua faccia riflessa.
Si bloccò di colpo però, perché con la coda dell’occhio
notò che al posto di guida non c’era House.
Si voltò verso il suo capo, guardandola strabiliato. “Ma
tu…”
“Hai la cravatta slacciata” osservo Lisa Cuddy,
ingranando la prima e imboccando la strada per il PPTH.
Wilson si guardò confuso la cravatta, e se la sistemò
con gesti veloci. “Ma tu…” ritentò poi, tornando a posare lo sguardo sulla donna
che guidava accanto a lui.
Non disse nient’altro, rimase a fissarla a bocca
aperta.
Dopo qualche istante, si rese conto che avevano superato
di parecchio il limite di velocità.
“Cuddy rallenta!” esclamò.
“Sono in ritardo, ho una riunione del consiglio tra
dieci minuti.” rispose lei impassibile, senza rallentare.
Wilson si lasciò andare ad un sospiro, appoggiandosi
allo schienale e chiudendo gli occhi.
“Dov’è House?” chiese, continuando a tenere gli occhi
chiusi, mentre il cerchio alla testa incominciava a diventare un dolore
pulsante.
“Viene in moto.” rispose impassibile Lisa, buttando uno
sguardo fugace all’oncologo, prima di tornare a concentrarsi sulla
strada.
Rimasero due lunghissimi minuti in
silenzio.
Lisa era imbarazzata. Pensava che non lo sarebbe stata,
non con Wilson.
Ma ora si vergognava profondamente per quello che
sicuramente stava passando per la testa del collega, per quello che lui poteva
pensare di lei.
Perché non aveva chiamato un taxi quella
mattina?
Stava praticamente sbandierando ai quattro venti la sua
notte con House.
Non era da lei.
Wilson, d’altra parte, era stupito dall’indifferenza del
suo capo.
Aveva capito che quella notte lei era con House, l’aveva
letto chiaramente tra le parole dell’amico, nella breve telefonata che c’era
stata tra di loro.
Si sarebbe però aspettato che la riservatissima Lisa
Cuddy avesse tentato di nasconderlo in ogni modo.
A meno che…
“Ne vuoi parlare?” chiese tutto d’un fiato l’oncologo,
rompendo il pesante silenzio.
“Cosa?” chiese lei, sperando che non si riferisse a
quello che pensava.
Wilson fece un bel sospiro, e si voltò completamente
verso la donna. “Del fatto che sei venuta a prendermi con la mia macchina, che
aveva House. Del fatto che hai passato la notte a casa sua.”
Un semaforo rosso la costrinse a fermarsi. Sentiva lo
sguardo del collega posato su di lei.
Si voltò per guardarlo negli occhi. “No.” disse,
stupendo se stessa per la tranquillità che la sua voce emanava, mentre il cuore
le batteva un po’ troppo veloce.
“Ok.”
“Ok.”
L’imbarazzo fu sostituito da una strana inquietudine, e
ad un certo punto Lisa non riuscì più a sopportare quel silenzio. Lo sentiva
come accusatorio.
“Non sono stata a letto con lui.” disse
decisa.
“…” Wilson rimase disorientato da
quell’affermazione.
Sapevano entrambi che era una
bugia.
“Hai capito?” insisté lei.
“Si, ma…”
“Ma cosa?!” il tono di voce troppo acuto tradì la sua
agitazione.
“Niente…ok. Va bene.” Quella conversazione non piaceva
all’oncologo. E Lisa Cuddy stava guidando decisamente troppo veloce. “Forse
dovresti rall…”
“Va bene cosa? Mi stai assecondando?!”
“Lisa rallenta santo cielo!”
Non lo aveva mai sentito alzare la voce
così.
Rallentò di colpo, accostandosi a lato della strada,
fino a fermarsi.
Le mani ferme sul volante, lo sguardo fisso davanti a
sé: rimase qualche istante immobile, cercando di calmarsi.
Wilson la guardava sconvolto.
“Guido io.” disse ad un tratto, scendendo
dall’auto.
Senza dire una parola, scese anche Lisa e prese il posto
dell’oncologo.
Rimasero in silenzio finché non arrivarono al parcheggio
del Plaisboro.
Prima di scendere Wilson aprì lo sportello del
cruscotto, e tirò fuori delle pillole.
Ne passò una alla collega: “Aspirina. Ci farà bene.” le
disse, accennando un sorriso.
“Grazie.” rispose lei, prendendo la
pillola.
Poi scese dall’auto, e si diresse rapida verso
l’ingresso dell’ospedale.
Con passo deciso e testa alta.
Come sempre.
Solo un leggero rossore sulle sue guance, tradiva
l’agitazione che aveva dentro.
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