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Autore: Lisbeth17    26/11/2012    3 recensioni
Dal I capitolo:
“Mi dispiace molto Lucia, ma non è più una cosa discutibile, è una richiesta del Pubblico Ministero e visti i magri risultati ottenuti finora, non possiamo opporci. Non ti obbligo a collaborare in prima persona, ma devi mettere a disposizione uno dei tuoi uomini che farà da collegamento.”
“Mi sembra di capire che non ho molta scelta.”
“A questo punto no, posso capire la tua frustrazione ma non possiamo esimerci da una così chiara richiesta del magistrato.”
“Va bene generale metterò a disposizione uno dei miei uomini, quando dovremmo cominciare?”
“Questa sera passerà il Vice Questore aggiunto Andrea Manzi.”
“E per questa sera avrò delegato a qualcuno quest’operazione coordinata.”
E' passato un anno e molte cose sono cambiate, mentre altre invece purtroppo no.
I nostri Ris perderanno le redini dell'indagine.
Un commissario speciale.
Sempre Pugliese.
NB: Non è una L&O
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Between the laboratory and the police'
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Epilogo
A Fantasia e Serena, come promesso!




Epilogo

Epilogo

«Andrà tutto bene, stai tranquilla, sei sicura che non vuoi che lo facciamo insieme?» le disse lui stringendola ancora tra le braccia.

«No, oggi da soli, e domani insieme! Non mi lasciare…» rispose lei esitante affondando in quelle pozze scure che erano i suoi occhi.

«Mai! Fatti sentire, piccola, appena puoi.» le disse lui sorridendole, e posandole un bacio sulla fronte.

«Se sopravvivo.» rispose lei con un sorrisetto malizioso, che lo mandava letteralmente ai pazzi.

Dopo essersi scambiati un tenero bacio, che di casto aveva poco, si voltarono, ognuno per la propria strada.

 

«Ciao famiglia!» disse posando il casco nell’armadio, entrando in casa.

«Ciao tesoro…» le rispose la voce della madre ancora serena.

«Ciaoooooo» le disse la sorella dall’altra stanza.

Fece un lungo respiro ed entrò in cucina.

«Vatti a lavare le mani, che tuo padre sta salendo con le pizze.» le disse la madre spingendola verso il bagno, dove si chiuse cominciando a imperventilare.

«Sono a casa!!! Si mangia!» la raggiunse la voce del padre fino al bagno, dove sarebbe voluta rimanere chiusa in eterno.

«Su dai, non ti uccideranno!» si disse guardandosi allo specchio dopo essersi sciacquata il viso.

 

Quando entrò in cucina, il padre era in piedi, con i cartoni della pizza ancora in mano, che posava un bacio, sicuramente non un bacio a stampo, sulle labbra della mamma che aveva due bottiglie di birra in mano. La sorella era seduta al tavolo e sorrise dolcemente nella sua direzione.

«Sono incinta!» disse senza aspettare ancora.

Le bottiglie di birra toccarono terra prima dei cartoni della pizza, che cadderro sui vetri.

 

 

Quando rientrò in casa, dopo aver bloccato l’ascensore ed esserci rimasto chiuso fino a quando il vecchio del terzo piano non aveva cominciato a sbattere sulle porte, imprecando che con il suo bastone non poteva fare le scale e che l’ascensore non era per lo sconcerie, sua sorella gli venne incontro con quella zazzera di capelli indomabili, splendidi, come quelli della sua lei.

«Tato!!» disse saltondogli in braccio.

«Maia, vieni qua scimmietta…» le rispose lui accogliendola in braccio, pensando che tanto ormai avrebbe dovuto abituarsi, le posò un bacio sulla fronte.

«E’ pronto, lavatevi le mani.» li riscosse la voce del padre dal salone, dove stava finendo di apparecchiare.

Facendo l’aeroplanino portò Maia in bagno e si lavarono insieme le mani, quando arrivò in salone, i genitori erano già seduti a tavola, Maia sgusciò dalla sua presa, per andare a sedersi al suo posto.

Posò entrambe le mani sullo schienale della sua sedia e alzando la testa, si perse negli occhi chiari di sua madre.

«Ginevra ed io aspettiamo un bambino.» disse senza alcuna esitazione.

 

I genitori la fissavano sconvolti, la sorella non smetteva di sorriderle, lei era a conoscenza di tutto, lo aveva sempre saputo, le era stata accanto per tutto quel tempo, lo aveva saputo anche prima di lui, e insieme erano state dal ginecologo, anche se ormai lo sapeva anche lui e non l’aveva mai lasciata sola.

Ginevra non sapeva che fare o che dire, tra i vari scenari che si era programmata nella sua mente, c’era anche quello dei genitori in stato catatonico, anche se i vetri sul pavimento non li aveva previsti.

«Aspetto un bambino sono da poco entrata nell’undicesima settimana, e » disse esitando un po’, il viso della madre stava cambiando colore e gli occhi lanciavano saette, mentre suo padre fissava un punto oltre le sue spalle; fissava il muro, dove c’erano i segni che prendevano ogni anno, da quando ne aveva quattro, in altre parole da quando si erano trasferiti in quella casa, che misuravano quanto lei e sua sorella erano cresciute, suo padre stava pensando alla sua bambina, e una lacrima voleva correrle sul viso, a quel pensiero, ma la ricacciò indietro e proseguì.

«Vogliamo tenerlo.» terminò decisa, in fondo la decisione era il suo miglior pregio da quando aveva cinque anni, soprattutto a detta dei suoi.

«Siete due bambini, non avete idea di quello che state facendo.» le disse Andrea fredda, incapace di guardarla negli occhi.

«So quello che voglio.» rispose Ginevra piccata dalla freddezza della madre.

«Credo che tu sappia allacciarti le scarpe da un paio di anni e ora credi di poter fare la madre. Vattene in camera tua, niente telefono, niente computer, niente di niente» le disse ancora la madre con il volto trasfigurato dalla rabbia.

«Non posso nemmeno cenare? Non sono più una bambina.» disse Ginevra sbattendo i piedi per terra, in maniera poco matura.

«No, non puoi cenare, vattene in camera tua ragazzina. Hai sedici anni, sei una bambina, e vivi in casa mia e fino a prova contraria sono tua madre, quindi fai quello che dico io, vattene in camera tua, ORA.» affermò con un tono che non ammetteva repliche.

Ginevra si voltò senza mai abbassare la testa, le spalle rigide, e il cuore a pezzi, credeva davvero che fosse suo padre l’ostacolo più difficile, mentre credeva che la madre l’avrebbe capita, invece no, mentre una lacrima silenziosa le rigò il viso, lei si chiuse in camera sua sbattendo la porta.

«Com’è possibile?» disse Andrea sbattendo i pugni sul piano della cucina «Noi vi abbiamo sempre permesso di vivere la vostra vita secondo le vostre scelte, vi sfido a trovare due genitori che quando avevate tredici anni vi hanno portato al consultorio spiegandovi qualsiasi cosa sul sesso, sulle malettie sessualmente trasmissibili, sulle PRECAUZIONI… mi chiedo ancora, com’è possibile essere così … così sprovvedute e incoscienti, da rimanere incinta a sedici anni?!» disse ora guardando sua figlia, ora sua marito.

«E’ capitato mamma, è semplicemente successo, queste cose accadono, non siamo incoscienti, soprattutto, Ginevra non è una sprovveduta.» disse la maggiore in difesa della sorellina, che era stata certamente un po’ avventata e poco attenta, ma non voleva certo fuggire alle proprie responsabilità; e ringraziando il cielo, anche Andrea non sarebbe fuggito.

«Tiia, tu lo sapevi, vero?» chiese Orlando parlando con la maggiore delle sue figlie.

«Sì, papà, io lo sapevo.» gli confermò la ragazza con un cenno del capo.

«Dircelo?» le disse in tono polemico Andrea ancora sconvolta dalla rivelazione.

«Mamma non prenterdetela con me ora, lo sai che doveva essere lei a parlarvene, io ho fatto quello che dovevo, non l’ho mai lasciata sola.»

«Scusami tesoro, non volevo risponderti male…» fissando poi la cena sul pavimento «puoi farti un panino se vuoi.» le disse indicando il frigo.

«Portane uno a tua sorella per favore.» le disse Orlando in tono conciliante, mentre Andrea lo guardava male. «Non voglio affamare mio nipote, né mia figlia.» le disse Orlando sostenendo lo sguardo rabbioso di Andrea, la ragazza avrebbe mangiato, questo non era discutibile. Andrea annuì e Tiia lasciò la cucina dopo aver svuotato il frigo.

 

«Dove abbiamo sbagliato?» chiese Andrea cadendo svuotata sulla sedia.

«Andi non abbiamo sbagliato niente, ma queste cose capitano, ha ragione tua figlia.» le disse Orlando sedendosi accanto a lei, accarezzandole una spalla.

«E’ così piccola…» disse portandosi una mano alla fronte.

«Sarà sempre la nostra bambina.» le disse Orlando dolcemente.

«Da dove cavolo ti viene tutta questa calma e saggezza? Tu che le soffochi e hai letteralmente interrogato e terrorizzato ogni ragazzo di Tiia, invitato alla porta ogni spasimante di Ginevra e dio solo sa cos’hai fatto penare ad Andrea in questi anni…» disse lei fissando ora suo marito, finchè non vide comparire un ghigno sadico sul suo volto. «Oh» disse colta da un’illuminazione «Tu ti risparmi per lui!!» disse ad alta voce.

«Il fatto che il tuo figlioccio mi abbia chiesto se poteva sposare Ginevra quando aveva sette anni lui e sei lei, non significa che io approvi una cosa del genere, e poi non gli ho mai detto sì.» disse Orlando ora con il tono di voce di un padre arrabbiato.

«Il nostro figlioccio adora nostra figlia, la venera come una dea.» disse Andrea ponendo l’accento il nostro.

«Io non mi dimentico mia figlia in lacrime, quando lui era al secondo anno di liceo e lei al primo, per me deve ancora farsi perdonare.» disse Orlando incrociando le braccia al petto.

«Dio erano dei bambini, e tua figlia ha pianto per dieci minuti per poi farsi accompagnare a casa di Andrea e dirgli chiaro e tondo che lei non era un giocattolo e che se lui si era stufato, bastava dirlo.» replicò tranquilla Andrea.

«Fortunatamente ha preso il carattere da me.» rispose lui tronfio, gonfiando il petto.

«Sei un… cretino!» disse Andrea dandogli un cazzotto sul braccio.

«E tu la solita manesca.» disse lui alzandosi dal tavolo. «Andiamo.» disse tendendogli la mano.

«Vai tu, io non sono ancora abbastanza in me, porto fuori Tak.» disse alzandosi dal tavolo.

«Tak è già fuori, è in giardino.» le disse lui, provando a convincerla a seguirlo in camera della figlia.

«Ho bisogno di stare un po’ da sola.» disse alzandosi e posando un bacio sulle labbra del marito che la vide uscire dalla porta-finestra, la conosceva bene e sapeva che aveva bisogno dei suoi tempi per metabolizzare certe cose. La lasciò andare a torturare il loro pastore tedesco mentre lui saliva le scale per andare a parlare con la sua bambina.

 

«Avvisa Andrea, mandagli tu un messaggio per favore, se mi trova al telefono, mi strozza…» origliò Orlando di fronte alla porta accostata della stanza della figlia, bussò alla porta per annunciarsi alle sue figlie.

«Posso?» disse affacciandosi alla porta.

Ginevra annuì, mentre Tiia raccolti i piatti li lasciò soli.

 

«Zio mi ucciderà, mi farà a pezzi, mi disintegrerà.» disse Andrea buttato sul divano con accanto suo padre, mentre la madre metteva Maia a letto, ancora troppo agitata dalla cena.

«Sì, ammettiamolo, è molto probabile» disse suo padre giocando con il bicchiere di whisky che aveva in mano.

«Papà potresti far finta di rassucurarmi?»

«Credo che ti sia più utile un’iniezione di realtà.»

«Sono cose che capitano, è successo, non lo abbiamo deciso ovviamente, ma non vogliamo rinunciarci. È nostro, è qualcosa che ci riguarda direttamente, e so che è presto, ma non mi spaventa… »

Il padre lo guardò storto, ricordandosi il suo personalissimo terrore quando Eleonora gli aveva detto che sarebbe diventato padre per la prima volta.

«Sono terrorizzato all’idea di diventare padre, cavolo sono un bambino, non ho ancora diciotto anni, ma è mio figlio, mio e di Ginevra e questo mi calma, sapere che è qualcosa di nostro e che affronteremo insieme tutto quello che verrà, mi rende forte, cioè, con lei accanto credo di poter affrontare qualsiasi cosa, anche questa.»

«E’ invidiabile la profondità dei tuoi sentimenti per lei, sei un bambino e credo che tu non abbia idea di cosa sia l’amore, la vita, la sofferenza… Poi però ti vedo con lei, e so che almeno l’amore tu lo conosci, per questo non ti ho ucciso.»

«Non perché sono il tuo unico erede maschio? Chi porterà avanti il nome dei Dossena nel mondo e nel tempo, se non il sottoscritto?»

«Direi che questo lo stai facendo con fin troppo anticipo…»

«Ti ho deluso? Vi ho deluso?» chiese Andrea fissando prima suo padre, e poi sua madre appena entrata nella stanza.

«No.» gli risposero in coro i genitori prendendosi la mano in quel momento.

Il telefono che Andrea teneva in tasca squillò, era un messaggio ed era di Tiia.

«Zia non parla con Ginevra e l’ha chiusa in camera, e zio vuole impalarmi. Ginevra sta abbastanza bene, in questo momento parla con il padre.» disse lui riportando il messaggio di Tiia ai genitori.

 

In un’altra casa, altre due persone stavano facendo un discorso molto simile.

«Papà ti ho deluso?»

«No, no bambina mia, ma sono spaventato, per te, per quello dovrai affrontare, per come cambierà la tua vita, sei la mia bambina, lo sarai sempre, lo sarai quando avrai i capelli bianchi e non ti amerò mai di meno…»

«Ma?!»

«Sei coscienziosa, intelligente e non capisco come possa essere successo, sinceramente. Sai tutto sulla contraccezione, e lo sai da anni.»

«Ho dimenticato la pillola per alcune sere, il periodo della gita con la scuola, mi sono scordata di prenderla… ho sottovalutato il problema, con Andrea quando sono tornata, abbiamo preso precauzioni, tecnicamente è successo prima.» disse a capochino Ginevra.

«Mi sono perso.» ammise suo padre, invitandola a guardarlo negli occhi mettendogli una mano sotto il mento.

«Quando sono partita, in aeroporto, Andrea è venuto a salutarmi…» disse lei imbarazzata abbassando il viso.

«Basta! Ok, lo so che hai una vita sessuale, anche troppo attiva direi, ma l’idea che alcuni colleghi avrebbero potuto arrestarti per atti osceni in luogo pubblico, perché quel cretino non sa tenerselo nelle mutande in un aeroporto è oltre la mia pazienza…» disse Orlando leggermente furioso.

«Tu non sei paziente!! Comunque tu non vuoi i dettagli, ed io non te li darò…» disse Ginevra esitando un attimo «…ti dico solo non è lui che non sa tenerselo nelle mutande.» aggiunse arrossendo come un peperone, sapeva che suo padre era infinitamente geloso di Andrea, lo era sempre stato, quando da bambini si scambiavano innocenti baci sulle labbra; ma la colpa, se di colpa si poteva parlare, non era certa di Andrea, ricordava perfettamente il giorno che stava partendo per Praga con la sua classe, lui era in aeroporto per salutarla e lei lo aveva trascinato nel bagno…

«Sei come tua madre…» disse Orlando scuotendo la testa.

«Non voglio saperlo.» rispose lei portandosi le mani alle orecchie.

«Mi sembra tardi per una frase del genere» le rispose lui scostandole le mani dalle orecchie, si guardarono un momento, e poi padre e figlia scoppiarono a ridere.

 

Andrea era nel giardino di casa sua, seduta per terra con le ginocchia raccolte al petto, e il suo cane seduto accanto a lei, paziente e fedele compagno di quel suo momento di solitudine.

«Posso?» Andrea annuì senza voltarsi con il suo interlocutore.

«Mamma, io… Ti ho deluso, lo posso capire, o meglio lo immagino… credo… non posso farlo senza di te…»

Andrea si voltò a guardare sua figlia, in quel momento la rivide piccola con gli occhioni lucidi per qualche marachella commessa.

«Sono qui.» disse prendendole la mano. «Sono spaventata però, avevo un’altra idea per la tua vita, pensavo che tu potessi inseguire i tuoi sogni, frequentare l’università o l’accademia o qualsiasi cosa tu volessi fare. Adesso devi rivedere tutto, io, devo rivedere tutto quello che mi auguravo per te e questo mi spaventa.»

«Non voglio rinunciare a mio figlio, non c’è nessun futuro che valga più di quello che c’è nella mia pancia.»

«Anche questo mi fa paura. La tua testardaggine, tutta ripresa da tuo padre per altro, come farai felice questo bambino se sarai tu, la prima a essere infelice?»

«Chi ti dice che io sarò infelice? Né io né Andrea abbiamo intenzione di rinunciare a tutti i nostri progetti, dovremmo solo rivederli in funzione di lui… o lei…»

«Almeno concedimi che questo possa spaventare tua madre? Mi permetti di arrabbiarmi all’idea che mia figlia cambi la sua vita, debba rinunciare ai suoi programmi e rivedere tutti i suoi sogni?!»

Le chiese retoricamente Andrea, ora fissandola, e lo sguardo che la figlia le rivolse prometteva burrasca.

«Proprio tu mi fai questo discorso?! Tu che hai rinunciato al tuo lavoro e alla tua carriera quando sono nata io?! Come puoi anche solo pensare che io sia diversa da te?!»

«Era diverso… La mia era, una gravidanza a rischio, volevo poter adottare tua sorella con tutta me stessa e avevamo perso molti punti… poi non ho rinunciato alla mia carriera…»

«Balle! Tu sei un poliziotto, così proprio come nonno Salvo e zio Adriano, ma hai scelto di fare altro per la tua famiglia, perché non accogli la mia scelta? È stata la stessa che hai fatto tu!»

«Io sono un magistrato, non l’ultimo dei cretini, o una casalinga frustrata! Sono un’ottima professionista e amo il lavoro che faccio, e poi non è la stessa cosa! Quando io ho cambiato lavoro ero abbastanza grande, avevo avuto abbastanza tempo di vivere la mia vita e fare le più disparate esperienze per poi scegliere, con cognizione di causa. Tu ti stai rovinando la vita, molto prima del solito…»

«Non dire mai più che mio figlio mi sta rovinando la vita!!»

«Non era quello che intendevo…»

«E’ un piccolo angelo, non ti chiedi come mai sia riuscita a nasconderti questa gravidanza per tutto questo tempo?! Non ho in pratica le nausee, di solito mi prendono a metà mattina, e con un pacchetto di cracker mi rimetto in sesto subito.»

«Davvero?»

«Sì, mi sta cominciando a dare fastidio il seno, è un po’ più sensibile del solito, ma non ho particolari fastidi…»

«Io vomitavo spesso, mai solo la mattina, anzi nelle ore più disparate della giornata, e spesso la sera, per un mese buono, quando aspettavo te.»

«Evidentemente la mia giovane età mi è d’aiuto!»

«Quanto ne sai?»

«Abbastanza, ma ho bisogno di te. Mamma, per favore, non mi odiare.»

«Non ti odio!»

«E nemmeno Andrea…»

«Per lui basta e avanza tuo padre…»

«Mamma! Non è colpa sua! È colpa nostra, semmai!!»

«Si calmerà, dagli tempo.»

«Direi che ha poco più di sei mesi, anche se nelle gravidanze giovanili, il rischio di un parto anticipato è notevole. Ecco, diciamo solo, che vorrei che mio figlio possa conoscere suo padre.»

Andrea sorrise e strinse sua figlia in un abbraccio.

«Vedremo che fare.»

«Grazie. Domani ti darò una mano a preparare la tavola e il pranzo! Quanti siamo?»

«Mi pare quattordici! Direi che avremo parecchio da fare… meglio andare a dormire.»

«Dai, ti aiuto ad alzarti, nonna!!» disse Ginevra tendendendo le mani verso la madre.

«Brutta-piccola-ingrata!» disse lei tirandosi su e cercando di afferrare la figlia, quando la prese, la strinse in un abbraccio, al quale Ginevra si abbandonò.

«Chiamalo, ma non stare tre ore al telefono.» le disse poi Andrea mentre stavano rientrando in casa.

 

«Visto che si sono chiarite.» le disse il padre passandole il braccio intorno alla spalla.

«Lo so, mi stavo preoccupando inutilmente, ma Ginevra ha davvero bisogno della mamma.»

«Partirai lo stesso?»

«Non dovrei?»

«Sono orgoglioso di te, e delle tue scelte Tiia. Non ti tratterrei mai qui, e nemmeno tua sorella.»

«Grazie papà.» disse lei affondando il viso sul petto del padre.

«Vorrà dire che ci tornerai a far visita più spesso.» disse lui mentre le accarezzava i capelli.

Tiia aveva deciso di tempo di proseguire la sua istruzione universitaria fuori dall’Italia, e i genitori non avevano mai avuto nulla incontrario; Tiia era uno spirito libero, lo era sempre stata, sapevano bene delle sue intenzioni di studiare fuori, già al liceo, aveva insistito fino a ottenere di poter frequentare il quarto anno fuori dall’italia, e nel suo caso andò in Svezia per un anno.

In qualche modo temeva che la nuova situazione della sorella potesse fermarla, avrebbe fatto di tutto per lei, e sicuramente non l’avrebbe mai lasciata da sola di fronte al disappunto dei genitori, se loro l’avessero in qualche modo rifiutata, lei avrebbe messo da parte le sue ambizioni per restarle accanto. Per la gioia di entrambe quell’ipotesi non si stava verificando ed entrambe potevano intraprendere la strada che avevano scelto.

«Io non posso restare.» disse ancora stretta al petto del padre «Vi voglio bene, troppo bene, siete la mia famiglia ed io vi adoro, ma non riesco a stare ferma, non riesco a restare qui.»

«So perfettamente chi sei figlia mia, so quanto ci vuoi bene, e so quanto non puoi restare a lungo nello stesso posto. La tua casa è tutto il mondo, qui però avrai sempre un posto speciale.» disse posando un bacio sulla fronte della figlia.

«Che cosa succede qui? Devo preoccuparmi? Dai ragazzi, io rischio l’infarto se continuate in questo modo.» disse Andrea avvicinandosi ai due.

«Mamma sono incinta!» disse Tiia facendo la faccia seria e la voce impostata.

«Rinunciando così a Londra?» le chiese la madre conoscendo bene la maggiore delle sue figlie.

«Volevo solo prenderti in giro.» disse Tiia facendole una linguaccia, Andrea si unì all’abbraccio dei due.

«Sono incinta non infetta, ora non faccio più parte della famiglia?!»

«Pensavo stessi facendo picci-picci al telefono con il mio figlioccio…» disse Andrea prendendola in giro, facendo fare un grugnito di protesta al marito.

«Partendo dal presupposto che noi non facciamo picci-picci, e il solo calo subito dal mio enorme cervello è stato qualche mese fa, volevo solo dirgli che ero viva.» disse Ginevra incrociando le braccia al petto, era come la madre quando assumeva quella posa.

«Vieni qui scema.» disse il padre allargando l’abbraccio e includendo la sua secondogenita.

 

Il risveglio in casa Serra era avvennuto ovviamente all’alba, come ogni domenica che decidevano di invitare gli amici, Tiia e Orlando si occupavano delle pulizie e di sistemare il tavolo in giardino mentre Ginevra e Andrea in cucina si occupavano del cibo. Quando suonarono alla porta Andrea sapeva perfettamente chi si sarebbe trovata di fronte, l’unica alla quale era concesso di arrivare prima per aiutare in cucina.

«Zia!» disse la ragazza abbracciandola.

«Erika.» disse lei stringendola forte, come fece quella volta diciassette anni prima, con la stessa gioia e la stessa emozione.

Il paesaggio svedese che si apriva alla sua vista era insolito, aveva sempre voluto vedere quella parte di mondo ed anche ora che era lì non riusciva a goderselo a pieno. Causa del suo malessere era certamente il motivo che l’aveva spinta a intraprendere quel viaggio quando ormai era già quasi entrata nel settimo mese di gravidanza, con una compagna che non avrebbe scelto per una gita fuoriporta e un caldo che a tratti trovava soffocante.

Si avvicinò al ponte del battello, dal canale di Göta poteva vedere la gente sdraiata a prendere il sole, bimbi annoiati che salutavano quelli che come lei erano sul battello e turisti fermi, affascinati dal passaggio delle barche per le chiuse, spettacolo che lei stessa aveva ammirato a bocca aperta per la prima volta, pochi giorni prima. Decise di accorciare definitivamente le distanze tra lei e l’uomo che le dava le spalle.

«Commissario commissario… dovevo immaginare che non avresti mollato.»

«Non potevo cedere, la tua ex moglie si è svegliata, e rivoleva sua figlia.»

«Ho sbagliato tutto con te.»

«Avermi lasciato viva?»

«Averti rapito, tu mi hai reso molle, debole, consapovole, assennato. Tu mi hai fatto preoccupare per mia figlia… me ne sono sempre sbattuto di tutto e tutti, se temi un proiettile in mezzo al petto, non puoi fare la metà delle cose che ho fatto io con la banda, come lupo, però tu hai trasformato il mio desiderio di vendetta contro la mia ex moglie…»

«Perché ti ha tolto tua figlia?»

«Vedo che mi comprendi.»

«Come tu comprendi me. Quindi… che cosa è cambiato?»

«Tu. Sempre colpa tua! Hai trasformato il mio desiderio di rivalsa in affetto paterno, mi hai insegnato, guidato, obbligato, a fare il padre.»

«Questa non è la vita che un padre sceglierebbe per sua figlia…»

«Come mi hai trovato?»

«Roseanna*» gli disse lei laconicamente.

«Sei andata a cercare tra le mie letture?!»

«Diciamo che vista la quantità di gialli nordeuropei in tuo possesso questa poteva essere una soluzione, poi in collaborazione con l’Interpol ti ho cercato in giro per l’Europa…»

«E come mi avresti trovato?»

«Santiago e Manola Fuentes.»

«Avevo sinceramente sottovavultato quanto lei potesse conoscermi, commissario.»

«Andrea.»

«Mario.»

«Posso?» li interruppe la voce di Lucia che si avvicinava ai due con le manette in mano.

«Capitano, c’è anche lei? Strani compagni di viaggio ti scegli Andrea.»

«Scelto è un parolone, Erika?» chiese Andrea rivolta a Lucia, non voleva che lei assisstesse a quella scena.

«E’ con tuo marito.»

«Non ti molla, eh?»

«Figurati, se potevo venire da sola con questa pancia.» disse lei accarezzandosi dolcemente il ventre.

«Immagino, maschio o femmina?»

«Femmina.»

«L’altra bambina?»

«E’ più complicato.»

«Avete già scelto il nome della nascitura?»

«Pugliese, basta, questi non sono affari tuoi. Ora alza le mani e mettile dietro la testa.» disse Lucia interrompendo quella conversazione.

«Andrea…» disse Mario evidentemente infastidito da quell’intromissione, porgendole i polsi.

«Mario, sei il mio ultimo arresto.» disse lei portandogli le mani dietro la schiena.

«Cosa?»

«Entro in magistratura.» disse mentre chiudeva i ferri sui polsi dell’uomo.

«Ginevra.» gli sussurrò poi dopo essersi avvicinata al suo orecchio, di modo che solo lui la potesse sentire.

 

«Zia, ma è un nuovo capello bianco?!» chiese Erika prendendo la testa di Andrea tra le mani ed esaminando molto attentamente il suo cuoio capelluto. «Capisco… te l’ha detto, immagino.» disse ancora posando un bacio sulla fronte della donna che per lei era sempre stata un punto di riferimento.

«Mi stai dicendo che lo sapevi anche tu?» le chiese Andrea cercando di accigliarsi senza però riuscirci effettivamente.

«Ovviamente! Chi pensi che le abbia indirizzate?» disse lei per nulla colpevole.

«Grazie.» le disse Andrea posandole un bacio sulla fronte, dopo averla fatta abbassare, visto che era certamente troppo alta, quella benedetta ragazza, e averle fatto cenno di seguirla in cucina.

Erika si fermò un secondo per guardare quella donna dalla tempra inviadibile, e dalla capacità di amare infinita, l’esperienza vissuta durante il periodo in cui suo padre la allontanò dalla madre era stata solo la punta dell’iceberg di quel rapporto che non avevano mai smesso di alimentare entrambe. Andrea era entrata nella sua vita, dopo averla riportata a sua madre, e non l’aveva mai lasciata, era diventa Zia per lei quando era andata fino in Svezia a riprendersela e da allora non era stata mai nulla di meno, se non qualcosa di più.

L’aveva accompagnata in ogni passo della sua vita, della sua crescita, della sua adoloscenza. L’aveva aiutata quando lei aveva scelto che se Mario Pugliese era il famigerato Lupo, era anche suo padre, e come tale non voleva perderlo, le aveva fatto concedere delle visite mensili all’età di quattordici anni che le avevano permesso di conoscere l’uomo che era nato dopo che il Lupo aveva gettato la maschera. Lei con Andrea gli era stata accanto fino all’ultimo giorno della sua vita, Mario si era spento sei mesi prima per un tumore al fegato, dal decorso fulminante e terribilmente inesorabile, un’agonia durata solo pochi mesi, che aveva avvicinato maggiormente padre e figlia.

Il giorno che Mario morì, Erika era in licenza da alcune settimane per stargli più vicino. Non ha mai lasciato la sua mano, il padre le aveva detto quanto fiero fosse della donna che stava diventando, e che non l’aveva per niente con lei, per la scelta di diventare carabiniere, anzi, con il sorriso sulle labbra si definì l’unico responsabile di quella sua scelta.

«Di te non cambierei nemmeno un capello.» Le disse prima di chiudere gli occhi per sempre.

Erika ricacciò indietro la lacrima, che il pensiero delle ultime parole di suo padre le aveva fatto nascere, per dirigersi in cucina. Perché se c’era una cosa che lei davvero adorava fare, era cucinare con Andrea, una passione che condividevano da ben diciassette anni ormai.

 

Orlando e Tiia, avevano terminato con le faccende a loro assegnate e si guardarono bene dall’andare in cucina, regno indiscusso di Andrea, Erika e Ginevra, quindi Tiia dopo aver preso la pallina di Tak cominciò a giocare insieme a suo padre con il grande pastore tedesco, che viveva con loro da quando avevano comprato quella casa con il giardino.

 

«Tesoro saranno qui fra dieci minuti.» disse Andrea, rivolta a Ginevra, dopo aver controllato il suo cellulare.

«Cavolo!» disse Ginevra imprecando, convinta che se informare i suoi genitori della sua gravidanza fosse difficile, lo era molto di più affrontare i suoi zii. Oltre a temere l’incontro tra suo padre e il suo ragazzo, il fatto che l’avesse tenuto a battesimo contava poco e lei lo sapeva. «Controllo che la cassaforte sia chiusa e che la pistola di papà sia ancora lì dentro.» disse lasciando la cucina di corsa, facendo scoppiare a ridere Andrea ed Erika, che sapevano entrambe quanto fosse geloso Orlando delle sie principesse, difficilmente avrebbe perdonato questa cosa ad Andrea jr.

 

«Non ce la posso fare.» disse Andrea dopo essere sceso dalla macchina di suo padre. «Maia, vieni qua.» disse poi prendendo la sorellina in braccio.

«Fai l’uomo.» disse suo padre togliendogli la sua bambina dalle braccia, che stava sicuramente trovando quello strano gioco molto divertente, guardò infuriata sia padre sia fratello quando la rimisero per terra.

«Sono pronto.» disse ancora Andrea avvicinandosi alla porta.

Orlando il cui sesto senso si era molto affinato negli anni, aveva perfettamente capito che il malcapitato stava per arrivare, specialmente dopo aver visto sua figlia di fronte alla cassaforte, lasciò così Tiia a giocare con il cane, dirigendosi ‘serafico’ alla porta.

«Vado io.» disse quando suonarono alla porta. «Non correre Ginevra.» disse poi con il tono di voce più calmo che c’era nel suo repertorio, sentendola uscire velocemente dalla sua cameretta. Ginevra si gelò sul posto, e decise di fare la signora ben educata, per non scatenare ulteriormente l’ira paterna.

«Benvenuti.» disse poi aprendo la porta e gelando sul posto il giovane Andrea.

«Posso chiamarti nonno vero?» disse Bart entrando in casa, mentre suo figlio impallidiva e Orlando non gli staccava gli occhi di dosso.

«Smettila immediatamente, Bartolomeo» lo riprese la moglie «Che state sulla stessa barca.» il che gelò i tre uomini di fronte alla porta, mentre lei e la piccola entravano in casa, dirette in cucina.

«Zio…» disse Andrea con un tono di voce che assomigliava più a un sussurro, si schiarì la voce «Zio, possiamo parlare un momento?» disse senza mai interrompere il contatto visivo, Orlando annuì, indicandogli il suo studio.

Quando Ginevra si avvicinò ai due, Andrea si voltò per guardarla «Gin, vorrei parlare da solo con tuo padre.» disse posandole un bacio sulla fronte, e una carezza sul ventre. Lei annuì, mentre Orlando non si era perso nemmeno un secondo dello scambio di sguardi e gesti tra i due, sorrise all’idea dell’uomo che stava diventando il suo figlioccio. Fece sparire il sorriso, per tornare a fare il padre offeso, mentre gli faceva cenno di entrare nel suo studio.

 

La cucina nel frattempo si stava riempendo di gente, cosa che manda in bestia Andrea e la sua souschef.

«Le scommesse le tiene Tiia in giardino, perché prima non aprite la porta che sono arrivati gli altri…» disse indicando Ghiro e Adriano che avevano appena parcheggiato nel vialetto di casa sua. Mentre la famiglia Dossena andava alla porta, lei si avvicinò a sua figlia Ginevra che era entrata in cucina con una faccia da funerale.

«Tesoro, andrà tutto bene, ma è giusto che si chiariscano in privato quei due, e poi stressarti non ti fa certo bene. Vai fuori con tua sorella.» disse posandole un bacio sulla fronte. Capiva le sue preoccupazioni, ma conosceva fin troppo bene suo marito da sapere che non c’era assolutamente nulla da temere. Cosa che non era certa che valesse anche per Adriano e Daniele, ma questo non glielo avrebbe certo detto.

 

«So che ti ho deluso, e non ho mantenuto la promessa che ti ho fatto quando ti avevo assicurato che non avrei in alcun modo ostacolato Ginevra e i suoi sogni.» disse Andrea una volta che i duoi uomini si erano seduti uno di fronte all’altro.

«Sono innamorato di lei, e questo lo sai, e per quanto nessuno di noi si aspettava una cosa del genere, non posso fare a meno di essere felice.»

Orlando continuava a fissarlo in silenzio, e per quanto cercasse dentro di se la voglia di spaccargli la faccia che lo aveva alimentato fino a pochi minuti prima, adesso era solo tronfio d’orgoglio, perché il modo in cui Andrea gli stava parlando, lui non lo aveva messo da conto. Da padre era fiero di quel ragazzo.

«Sì, è un figlio, sì siamo giovanissimi, sì so tutte queste cose, ma è qualcosa di nostro, di mio e di Ginevra ed io lo amo già. Quindi, se vuoi picchiarmi, lo capisco, e penso anche che tu abbia ragione, credo sinceramente che se dovesse essere una bambina la chiuderò in casa fino alla maggiore età, perché questa cosa è difficile da affrontare per un padre, ma sappi solo che ti voglio bene, non ho mai voluto disonorarti, voglio sinceramente bene a Ginevra, la amo, da sempre, lo sai.» concluse Andrea continuando a fissare suo zio in attesa di una risposta.

«Se sarà una femmina, chiudila in casa, è un consiglio spassionato.» disse Orlando avvicinandosi al suo figlioccio e stringendolo in un abbraccio.

«No, non sposerai Ginevra, per quanto mi riguarda, sarebbe meglio che voi aspettaste i venticinque anni almeno.» disse lui mentre ancora stringeva Andrea, aveva intuito che l’altra mossa del ragazzo sarebbe stata quella di chiedergli la mano di sua figlia.

«Fortunatamente le cose in questo paese sono cambiate rispetto a vent’anni fa, le coppie di fatto sono riconosciute, e tu puoi essere padre e compagno senza sposare la mia bambina minorenne.» concluse Orlando, Andrea annuì mentre un sorriso nasceva nei suoi occhi per arrivare poi alle sue labbra.

 

Erano tutti in giardino, Daniele, Bart e Adriano stavano giocando con Tak e Pu, lontano dalla tavola rigorosamente apparecchiata; Andrea, Eleonora e Lucia stavano sorseggiando un prosecco, Andrea e Lucia non erano certo amiche ma si conoscevano da tanti anni e si rispettavano; Tiia, Erika, e Ginevra attendevano davanti alla porta dello studio di Orlando, per quanto sua madre l’avesse tranquillizzata lei, aveva bisogno di vedere il padre di suo figlio uscire integro da quella porta, possibilmente in tempi brevi.

«Ginevra sta male?» chiese Lucia rivolta ad Andrea, aveva notato che la ragazza sembrava piuttosto agitata.

Andrea ed Eleonora scoppiarono a ridere, e poi scossero entrambe la testa. «No, solo che Orlando sta parlando con Andrea ed è un po’ preoccupata.»

«Orlando ancora rompe? Sono anni che quei due stanno insieme!» disse Lucia allargando le braccia e scuotendo la testa.

Le tre donne si misero a ridere, attirando così l’attenzione degli uomini.

«Che si ridono?» chiese Daniele

«Perché Orlando e Andrea sono nello studio?» chiese Adriano al quale difficilmente sfuggiva qualcosa, e quel qualcosa era l’evidente apprensione della sua figlioccia.

«La tua signora?» chiese allora Bart rivolto a Daniele, cercadno di distrarre i due, perché informarli della novità non era certo compito suo.

«In ospedale, era di turno oggi.» disse Daniele riportando la sua attenzione su suo figlio Simone, che giocava poco lontano con la piccola Maia e Tommaso.

«Bel tentativo Bart, ma che sta succedendo?» chiese ancora Adriano, poco convinto da quel diversivo.

«Purtroppo non sta a me dirlo ma credo che entro oggi riceveremo tutti le giuste delucidazioni.» disse Bart, vedendo la curiosità di Ghiro montare, insieme al sospetto di Adriano.

 

Quando la porta dello studio si aprì Ginevra fu incapace di trattenere le sue emozioni e saltò in braccio al suo ragazzo, che la accolse immediatamente tra le sue braccia, provocando un risolino complice in Tiia ed Erika e un basso grugnito in Orlando. Ginevra si staccò subito dal suo ragazzo per correre tra le braccia di suo padre, che la strinse forte. «Sarò sempre la tua bambina.» gli sussurrò Ginevra all’orecchio.

Orlando si avvicinò agli altri uomini che lo guardavano incuriosito.

«Perché tormenti ancora quel povero ragazzo?» gli chiese Daniele passandogli un bicchiere di prosecco.

«Credimi, ho le mie buone ragioni.» rispose Orlando criptico per poi bere un lungo sorso di vino, mentre Daniele e Adriano furono  distratti da una piccola zuffa tra i cani, Bart si avvicinò a Orlando.

«Allora nonno, ci sei andato giù pesante?»

«Attento a te, Dossena, che a breve sarai nonno come e quanto me.»

«Dai, che si vogliono bene, se lo vogliono da sempre.»

«Già, sembra ieri che giocavano in questo giardino… ancora niente cani… i piccoli non c’erano… sai che me li ricordano molto?!» disse poi con una velata nota di sarcasmo indicando Maia che giocava con Simone e Tommaso, o meglio come la piccola rideva, dei tentavi degli altri due di attirare la sua attenzione.

«Maia!!!» gridò Bart con voce un pochino troppo acuta, capendo perfettamente le allusioni dell’amico.

Eleonora e Andrea che avevano seguito la scena da lontano, pur non avendo sentito nulla scoppiarono a ridere al grido di Bart, soprattutto notando il ghigno che c’era sulle labbra di Orlando.

Orlando incrociò lo sguardo con la moglie e alzò il calice nella sua direzione, Andrea arrossì come se non fossero passati quasi venti anni dal loro matrimonio e gli regalò un sorriso timido.

Quando ormai era giunta l’ora di mettersi a tavola, Erika e Andrea sparirono in cucina mentre tutti gli altri prendevano posto a tavola, i bambini seduti al tavolino apparecchiato apposta per loro, dove si sentivano anche loro grandi e importanti. Andrea e Ginevra, uno accanto all’altra si persero un po’ a guardare quel tavolino, il pensiero a quel nuovo occupante che presto sarebbe arrivato ad allargare quella già grande famiglia.

«Vi manca il tavolo dei piccoli?» chiese Lucia seguendo la direzione del loro sguardo perso.

Andrea e Ginevra si guardarono e scoppiarono a ridere, lasciando Lucia piuttosto interdetta.

«Et voilà.» disse Andrea posando le pietanze sul tavolo, e incominciando a servire i suoi amici.

Incrociò rapidamente lo sguardo della figlia che sembrava volesse chiederle il permesso, lei annuì e Ginevra e Andrea si alzarono in piedi, catturando così l’attenzione di tutti.

Adriano guardava i due, incuriosito da quello strano gesto, aveva perfettamente capito che c’era qualcosa di nuovo nell’aria, il fatto però che la cosa riguardasse la sua figlioccia lo metteva non poco in agitazione.

«Ginevra ed io avremmo qualcosa da dirvi.» disse Andrea ottenendo così il silenzio assoluto di tutti i commensali.

«Ragazzi, ma non siete un po’ troppo giovani per sposarvi…» disse Daniele un po’ per stemperare la tensione e un po’ per prenderli in giro; a Orlando e Bart, che in quel momento stavano entrambi bevendo, andò il vino di traverso, le mogli solidali come sempre si misero a ridere.

I ragazzi arrossiti più del dovuto alla battuta dello zio e ancor di più per la reazione dei genitori, trovarono tutto il coraggio di cui avevano bisogno.

«No zio, noi non abbiamo intenzione di sposarci al momento, però aspettiamo un bambino.» disse Ginevra decisa.

Daniele rimase di sasso, così come Lucia e Adriano, gli altri no, visto che già lo sapevano.

«Ragazzi, potevate anche informarli dopo pranzo, ora li avete sconvolti e non mangeranno più niente.» disse Andrea per stemperare un pochino la tensione.

«Come puoi riderci sopra? Come diavolo fai, a essere così tranquilla?» le chiese Adriano alzandosi in piedi, Andrea incrociò il suo sguardo con quello dell’amico. E gli indicò la cucina, rivolgendosi poi ai suoi commensali, invitandoli a proseguire. Orlando tranquillizzò sua figlia, mentre Daniele fece un paio di battute per far tornare il sorriso sul viso di tutti!

 

Quando Adriano e Andrea si trovarono in cucina, lui le dava ostinatamente le spalle mentre lei cercava di mantenere la calma.

«Questo tuo atteggiamento è assolutamente da irresponsabile!» la accusò lui, dopo nemmeno un minuto.

Andrea lo conosceva profondamente, sapeva bene tutto quello che gli passava per la testa in quel preciso momento. E perché stava reagendo in quel modo a una notizia che avrebbe dovuto essere bella.

«Riri guardami, per favore. Quello che sto per dirti è molto importante.»

Mentre lui si voltò ancora con un broncio evidente, lei gli prese il viso tra le mani, costringendolo a piegarsi, per arrivare alla sua altezza.

«Loro, non sono noi! Ginevra e Andrea, vogliono questo bambino e lo considerano un dono bellissimo. Non chiedermi di fare con mia figlia quello che i miei genitori fecero con me. Loro non sono noi.»

La lacrima che scese sul viso di Adriano fu asciugata dalle calde mani di Andrea, in tutta risposta il commissario, prese la sua piccola e saggia migliore amica in braccio, lei gli allacciò le braccia dietro al collo e rimasero così per un po’. Un momento solo loro per piangere quello che avevano perso, per poter meglio riapprezzare tutto quello che stava venendo.

 

Quando tornarono dagli altri, l’atmosfera era molto più serena, Andrea incrociando lo sguardo con il marito annuì per tranquillizzarlo, poi fece lo stesso con sua figlia Ginevra, che si allungò un pochino per prendere la mano dello zio. Adriano le strinse forte la piccola mano, per posarvi un bacio sul palmo che sapeva di rassicurazione, un bacio che sapeva di presenza; anche Andrea jr sorrise dopo aver visto quel gesto, per poi tornare a dedicarsi completamente a Daniele, che lo stava pesantemente prendendo in giro.

 

Leandro Dossena, nacque sei mesi dopo quel pranzo, in una pungente giornata autonnale, tra le lacrime di gioia e dolora dei suoi giovani genitori, e quelle di commozione dei suoi nonni.

Mai bambino è stato più coccolato di lui.

Nessuno dei figli di Orlando, Lucia, Daniele, e Bart seguì le orme dei genitori entrando nell’arma, loro unico punto d’orgoglio fu Erika che fece una carriera veloce e costellata di encomi, se per molti fu difficile andare oltre il suo cognome, lei non chinò mai la testa, e quando le proposero la guida del Ris di Roma, accettò con orgoglio rendendo fiera Andrea prima di chiunque altro.

Simone, Maia e Tommaso continuaro a crescere insieme, nacque anche tra loro un amore, meno difficile e prematuro di quello tra Ginevra e Andrea, ma questa è un’altra storia…

 

The end

 

*Roseanna, primo romanzo poliziesco appartenente alla serie in cui indaga Martin Beck, di Maj Sjöwall e Per Wahlöö.

NDA

Ci siamo! Meeting è finita, c’è chi stapperà lo champagnè e chi come me sentirà un pochino la mancanza di questi personaggi…

È stata una splendida avventura, è stato bello cogliere pareri positivi e negativi, credo di essere un po’ cresciuta anche grazie a voi.

La fine di questa storia segna il mio saluto a questo fandom, non amo molto la nuova stagione, e la deriva presa da personaggi che ho spesso apprezzato.

Non chiudo la serie di cui Meeting fa parte, perché magari un giorno potrei trovare la voglia di raccontarvi cosa è successo nei diciassette anni che separano l’epilogo dall’ultimo capitolo di Meeting.

Che dirvi ancora, se non grazie, a ognuno di voi.

Grazie a tutti quei lettori silenziosi che non conoscerò mai.

Grazie a chi ha letto, seguito e recensito con costanza e passione, la vostra presenza è stata spesso utile nello sconforto.

Grazie a chi ha letto pensando di trovare qualcosa e mi ha lasciato perché le cose non erano di suo gradimento, anche questo mi ha fatto crescere.

Grazie in maniera particolare a Fredo, Fantasia, Serena.

Spero di ritrovarvi presto e altrove.

 

 


   
 
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