L’ombra che durante la notte era partita da Bruma, aveva
serpeggiato con spettrale, impercettibile passo per miglia e miglia, lontano da
quell’ inferno. Come l’umidità sospesa, sul far del mattino, si spruzza
tangibile in frizzanti gocce d’acqua sparse sulle foglie, così l’ombra
rassegnatasi all’ accaduto, si era condensata, “assumendo” una forma umana.
Cosa restava di quella notturna visione apocalittica? Fuliggine, sugli abiti,
sulla pelle, nelle narici. I passi risoluti si erano fatti, con il passare delle
ore, stanchi e strascicati. Camminare tra i sassi appuntiti e la neve con le
misere calzature di stoffa l’avevano resa insofferente. I polpacci le facevano
male dalla lunga marcia, ma ormai andava avanti per inerzia e per nulla al
mondo si sarebbe fermata. Finché tra lei e il proprio borgo natale non si
fossero accumulati monti e pianure, selve e laghi in abbondanza non si sarebbe
fermata. Stanca, stanca, ma risoluta. Le gambe di piombo, la testa,
evanescente, iniziò a girarle per la stanchezza. Si fermò e decise di lasciarsi andare per riprendere l’energie
perse. Cadde in ginocchio, con uno sbuffo di neve. Tra lei e Bruma c’erano
ormai fili d’erba a sufficienza. Il respiro era regolare, ma la testa e quello
che c’era dentro rimbalzava come una palla, sbatacchiando di qua e di là. Serrò
gli occhi con forza, credendo che questo bastasse per imbrigliare sotto le
palpebre il turbine mentale. All’improvviso quello che era in movimento e che
in realtà non s’era mai mosso, si fermo gradatamente. Tre, ancora due giri
turbinosi e i pensieri smisero di ballare la loro danza conturbante. Aprì gli
occhi. Dove si trovava? Ah, mistero. Ma poco importava, da qualche parte i suoi
piedi l’avrebbero condotta. Abbassò lo sguardo sulla manica che copriva il
polso sinistro, la scostò e vide il familiare tatuaggio che da 30 giorni dopo
la sua nascita l’accompagnava: un piede stilizzato. Sorrise. Subito però le
tornarono in mente le fiamme divoratrici di quella notte. Quell’ immagine,
ignorata a forza durante l’intero cammino, non era stata riposta in un angolo.
Aveva invece fatto da sfondo a qualunque pensiero le venisse in mente. Tutto
doveva confrontarsi con quell’immagine. Botteghe costruite con fatica e gioia
corrose, pietre sacre annerite in profondità. Lussureggianti campi fioriti
divenuti cenere. Qualcosa all’improvviso si mosse poco lontano. Un barlume. No,
fuoco, ancora! Non ne sopportava più la vista e con rabbia s’alzò. Fronteggiò
col mento alto e lo sguardo aguzzo il barlume d’orato, nemico. Rifletteva su
vetri sporchi, ma colorati... Una locanda! Alla cieca le corse con foga
incontro inciampando, graffiandosi. I piedi l’avevano condotta lì e lì avrebbe
fatto la prima sosta.