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Autore: Oscar_    22/12/2012    0 recensioni
« Potrei avere una storia da raccontarti, Ludwig. » Prese anche lui la sua tazza di caffè, bevendone un sorso, tenendola poi sollevata all’altezza del viso, impedendomi di scorgere le sue labbra. Ah, Ludwig; lo vedo dai tuoi occhi che stai sorridendo.
« Perché dunque non me la narri, Simon? » Era più sveglio del previsto. Non stava ripetendo il mio nome per caso.
« Non è certo una storia di cui si può parlare facilmente. » Mormorai, piantando gli occhi nei suoi. « Ci vogliono il tempo ed il luogo adeguato, mio caro Ludwig. » E gli sorrisi, urtando volontariamente il suo piede da sotto al tavolo.
« Se sarà alla mia portata, mi farà molto piacere assistere a questa narrazione, Simon. » E posò un dito sul dorso della mia mano, contatto che mi colse di sorpresa più di quanto non desiderassi lasciar intendere. Voltando la mano, strinsi sul palmo il suo dito, carezzandone il dorso liscio e tiepido. Un evidente rossore gli chiazzava le gote. Un adorabile rossore. Senza rendermene conto, avevo iniziato a picchiettare le dita sul tavolo. La situazione mi stava sfuggendo di mano.
[Il rating si alzerà gradualmente]
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
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1. Dicono di pensare prima di parlare;
non bisogna anche pensare prima di agire?


 






« I can't wait to be around you. »






L’attesa è un miscuglio di sensazioni annientanti, di quelle che, una volta svanite, lasciano un vuoto incolmabile nella persona. Quando si deve attendere per poco tempo, poi, quello sì che è una tortura! Specialmente se, in precedenza, si è aspettato già per molto. Sembra assurdo, ma il desiderio di un accaduto, il bramare con ogni parte di sé qualcosa, finiscono per mettere in moto forze sconosciute e, tuttavia, presenti da molto tempo; forze che ci aiutano a far sì che il nostro desiderio diventi realtà. Proprio come una piccola favola da bambini.
Avevo sottovalutato Ludwig, in precedenza. Non facevo che ripetermelo, seduto davanti alla finestra del mio quarto piano, il penultimo dell’appartamento. L’aria di Aprile penetrava silenziosa e discreta nel salone, dando la sensazione della presenza di qualcun altro per via dei leggeri movimenti causati dal venticello tiepido. Le tende ondeggiavano, le imposte sfioravano i muri esterni, la tovaglia sfilacciata pendeva più del solito dal ripiano dello scaffale della libreria; tutto dava l’impressione di essere in attesa, impaziente della venuta di qualche evento già in procinto di compiersi. Sempre così quando si aspetta qualcosa. Sembra che tutto il mondo stia aspettando con te.
Nel mentre, tentai di risistemare i pensieri su quell’uomo misterioso, un uomo che non avevo nemmeno avuto la briga di salutare decentemente. Chissà, magari s’era indispettito e, proprio per mettermi a disagio e farmi seriamente dubitare delle mie capacità seduttive, aveva proteso per farmi aspettare buona parte della sera un trillo che non sarebbe mai giunto. Qualche volta era successo, con altri corteggiati. Non mi definisco né etero né omossessuale, piuttosto apprezzo la bellezza umana e la pienezza d’animo in qualsiasi corpo essa sia situata. Alcuni mi definirebbero bisessuale, forse. Ma io non ho sul serio preferenze di nessun tipo, in questo campo. Mi basta che l’individuo in questione abbia un minimo di cervello, non sia rumoroso e non abbia un viso deturpato da espressioni malevole o distorte da sentimenti impuri. Sono un tipo difficile, a pensarci.
Stavo concludendo la riflessione mentale con un toccante discorso riguardo alla bellezza umana, quando il citofono, finalmente, si degnò di risuonare per la casa. Sebbene non attendessi altro da un paio d’ore ormai, e sebbene fossero le nove di sera inoltrate, mi avviai lentamente alla porta, al fianco di cui era situato il citofono, sollevandolo piano per portarlo all’orecchio.
« Sì? »
« È il signor Simon Rong? » Domandò la chiara voce di Ludwig.
« In persona. Quarto piano, porta a sinistra. » Risposi, mio malgrado, con un sorriso.
Intimai ai miei cani di stare tranquilli e non infastidire l’ospite e, dopo aver sistemato un paio di panni ed oggetti sparsi per l’ingresso, aprii la porta, attendendo la venuta dell’uomo.
La mia casa è veramente modesta come suddetto: ha cinque camere più l’ingresso, che è abbastanza largo. Anche se molto comoda per me, non è abbastanza per più di cinque persone alla volta. Le stanze sono molto vicine l’una all’altra, ed il corridoio è largo giusto per permettermi di passare. È un appartamento costruito agli inizi del Novecento, e mi affascina che abbia sopportato entrambe le Guerre Mondiali; anche perché, trovandosi praticamente al centro della città, dev’essere stata alquanto esposta alle bombe e ai vari attacchi succedutisi nel tempo. Ho sempre vissuto in abitazioni rimandanti al passato, in verità. A tratti mi sembra quasi di avvertire i ricordi di coloro che vi hanno vissuto. È una piacevole sensazione.
Ecco sbucare dall’ascensore Ludwig, impeccabilmente vestito con abiti ordinari, differenti però da quelli del mattino. Una giacca scura a sovrastare l’abbigliamento, un sorriso appena accennato ma perfettamente presente sul suo viso delicato; l’aria di chi sa di essere nel posto giusto al momento giusto.
« Benvenuto. Spero che il viaggio sia stato piacevole. » Lo accolsi, ricambiando l’espressione con cortesia e riguardo, scostandomi per lasciarlo entrare. Egli si pulì educatamente le scarpe sullo zerbino, infilando poi il capo nell’appartamento per guardarsi attorno. Un bambino. Davvero un bambino.
« Abito poco lontano, non ci è voluto niente a venire qui. » Rispose senza guardarmi, incuriosito dall’ingresso. Faceva quell’effetto un po’ a tutti. « Mi mostri la casa? » Chiese, puntando finalmente gli occhi blu nei miei, senza mutare d’una virgola il sorriso tranquillo. Annuii, richiudendomi la porta alle spalle ed avviandomi per il corridoio. Dopo un breve giro delle stanze ci sistemammo in salone, da cui continuava a entrare quella piacevole brezza primaverile, mista al brusio notturno di Roma.
Nel sedermi sulla mia vecchia poltrona mi dissi che invitare uno sconosciuto a casa non era proprio da me; io, che diffidavo di tutto e tutti, avevo in quel momento davanti a me un individuo di cui sapevo solamente il nome e l’aspetto fisico. Stavo proprio perdendo colpi.
Siccome nessuno si azzardava a rompere il silenzio, protesi per una domanda che mi assillava la mente già da qualche minuto, sebbene possedessi già la risposta; ma non è sempre così, con ogni quesito? La verità è che la risposta ce l’abbiamo già. Vogliamo solo una conferma.
« Hai portato lo scrigno? »
« Certamente. Eccolo qui. » Mi mostrò il piccolo oggetto, tirandolo fuori dalla tasca della giacca con un gesto forse un po’ troppo rapido, tipico di chi sta apprezzando un gioco od una partita sino in fondo; mi lusinghi, Ludwig. « E tu hai pronta la tua storia? Spero di non essere arrivato in ritardo! » Di nuovo alzò entrambe le sopracciglia, con quell’aria tuttavia sempre flemmatica e controllata.
« Assolutamente puntuale. Anzi, ti dirò: persino in anticipo! Ma devo premettere una cosa. » Dato che non conclusi la frase, Ludwig assunse un’espressione differente, incuriosita e bramosa di particolari ulteriori.
« Va bene. Cosa? » Proruppe, impaziente. Mio malgrado ghignai a quella conferma delle mie aspettative.
« Non potrai udire questa storia tutta stasera. Sarai costretto a tornare, se vorrai udirne il seguito. » Non avevo idea del guaio in cui mi stavo infilando, quella sera. Accidenti a me e alla mia tigna.
« Sì, tornerò. Ma sappi che, dunque, ti lascerò toccare lo scrigno solo allora! »
« Mi sembra logico e corretto. Posso quindi cominciare? » Mi alzai per spegnere la lampada ed accendere una candela, che posi sul tavolo davanti a Ludwig. Egli annuì rapidamente, sempre più curioso, giocherellando col piccolo oggetto tra le mani. « Per essere certo di possedere fino in fondo la tua attenzione, però, devo intimarti di chiudere gli occhi. » Incredibile: li chiuse davvero.
« Non farmi prendere spaventi, eh? » Sussurrò per poi ridacchiare, tornando serio in pochi secondi. Era chiaramente interessato.
Presi fiato e, in tono misterioso e intrigante, iniziai il racconto; il mio racconto.
 
 
 
È incredibile come gli sconosciuti ci ispirino fiducia. Come ci venga voglia di narrare loro ogni nostro piccolo particolare, ogni frammento, ogni minuscolo ricordo di cui possediamo la luce o la tenebra. Abbiamo l’impressione che qualsiasi sfumatura di sentimento la avvertiranno, che saranno partecipi delle nostre sensazioni come lo fummo noi nell’attimo in cui compiemmo certe azioni o durante le quali rimanemmo inermi a guardarle compiersi. Anche se il più delle volte non è così, vero?
« C’era una volta, e spero di non risultarti monotono nell’iniziare così questo racconto, un giovane unico e solo in mezzo all’Universo. Quando dico “unico e solo” non è per ingigantire la situazione: era veramente l’unico e il solo, in quel momento. Non sapeva nulla del perché fosse apparso in quel determinato posto ed in quel determinato tempo. Non sapeva nulla eccetto il suo nome e le sue capacità: egli era nato per creare ogni pianeta, ogni singola meraviglia di questa galassia, a cominciare dai pianeti per finire con i granelli di sabbia. Eppure non se la sentiva di governare tutto quanto: lui era uno solo, e le cose da fare erano talmente tante! Così creò delle persone speciali per fare tutto al suo posto. Inventò il mito di Dio, donò la vita agli umani, li guardò evolversi dall’alto della sua intoccabile invisibilità. E poi li invidiò; invidiò la loro gioia, la loro fortuna di non possedere nessun fardello ad eccezione dei piccoli problemi dei quali loro stessi erano la causa.
« Al giovane non interessava saper fare qualsiasi cosa. Non gli serviva poter dar vita a tutto se poi non gli era possibile godersi le sue creazioni, far parte del suo stesso mondo. Una vita apparentemente inutile e infelice gli si apriva dinanzi. Che poteva fare? Di certo, non restare a guardare.
« Perché mai non poteva anche lui immischiarsi col resto degli umani? Perché non abbandonarsi ad una vita semplice, seppure infinita? Non rimase a pensare troppo alle possibili conseguenze delle sue azioni. Semplicemente assunse una forma umana e scese su uno dei pianeti, iniziando la sua normale e, tuttavia, speciale, esistenza da uomo. » Feci una pausa, studiando l’espressione sul viso di Ludwig: era completamente preso dalla narrazione, concentrato con molte probabilità nell’immaginare il volto di quel giovane che, tuttavia, non era poi così distante da lui.
« Non continui? » Nel domandarmelo non aprì gli occhi, chiaro segno che non vedeva l’ora di ottenere la continuazione. Purtroppo per lui, avevo già concluso l’introduzione.
« Non oggi. Puoi aprire gli occhi. » Li aprì, appena lucidi, come sempre quando li si apre dopo una certa permanenza nell’oscurità o nel tenerli serrati. Con aria delusa si stiracchiò, posando lo scrigno sul tavolo, vicino alla candela; allungando il braccio avrei potuto afferrarlo con facilità.
« È un vero peccato! Iniziavo a prenderci gusto. » E riprese a sorridere, riacciuffando rapidamente l’oggetto, nascondendolo al mio sguardo. Bravo Ludwig. « Significa che ora devo andare via? »
« Certo che no. Puoi fermarti tutto il tempo che vuoi. Inoltre gradirei conoscerti meglio. »
« E ne hai tutto il diritto. Mi chiamo Ludwig Kindson, nonostante il nome sono italiano, abito davanti al Circo Massimo e lavoro come insegnante di italiano in un liceo poco distante. Separato da tre anni, senza figli, trentenne iperattivo e dall’animo infantile. Ma, di questo, te ne sarai accorto. Ti basta o vuoi farmi qualche domanda? » Mi bastava eccome. Quel tipo iniziava a piacermi davvero. Separato? Molto, molto bene.
« Direi che so abbastanza, per ora. »
« Racconta qualcosa tu, ora. Devi ricambiare la confidenza, Simon. » Rieccolo all’attacco col nome alla conclusione delle frasi. Sorrisi, annuendo lentamente.
« Mi chiamo Simon Rong, mi si potrebbe definire dalla nazionalità mista, abito davanti al Colosseo e sono disoccupato. Single, ma amante delle relazioni flash, trentaduenne riservato e dai gusti letterari molto ampi. Ti basta o vuoi farmi qualche domanda? » Seguii esattamente il corso della sua risposta, mantenendo il sorriso, persino accentuandolo di tanto in tanto. Egli annuì un paio di volte, sviando lo sguardo altrove, meditando sui miei piccoli indizi.
« Mi ritengo soddisfatto anch’io. » Mi sorse un dubbio atroce.
« Hai cenato? »
« In verità no. Pensavo che l’invito a cena fosse scontato. Però non pretendo che tu cucini, posso anche prendere un pezzo di piz- » Per sua sfortuna, ero già in cucina a preparare qualcosa di rapido, optando per pasta al pesto con secondo di caprese e bistecca. Accidenti a me. « Simon, dico sul serio, non c’è bisogno di affrettarsi così! »
« Neanch’io ho cenato, non preoccuparti. Accomodati pure in salone, fa’ come se fossi a casa tua. » Lo dissi rapidamente e con un sorriso nervoso, ma l’espressione nello sguardo doveva essere spontanea, perché annuì, sebbene poco convinto, tornando a sedersi nell’altra stanza.
« Hai dei bellissimi cani! » Disse dopo un po’, in tono allegro e divertito.
« Sono felice che ti piacciano. Impazzisco per gli animali, soprattutto i cani. »
« Io preferisco gli uccelli, in particolare i rapaci. » Senza badare troppo al doppio senso che quella precisazione aveva innescato ridacchiai, versando la pasta nell’acqua, che per fortuna aveva iniziato a bollire subito.
« Sono molto belli anche quelli, te lo concedo. »
« Me lo concedi? Con chi credi di avere a che fare, Simon? » Il tono, anche se apparentemente serio, celava un fondo d’ironia e giocosità. Mescolando la pasta risposi allo stesso modo:
« Con un bambino troppo cresciuto, Ludwig. » Sebbene non potesse vedermi, gonfiai le guance con aria fintamente offesa. Che mi stava combinando quel tipo?
« Ah, davvero? » Me lo ritrovai a spuntare dalla porta. Gli sorrisi, inarcando un sopracciglio, come ad incitarlo ad insinuare il contrario. Aggrottò nuovamente la fronte. « Tu sei più bambino di me. Mi hai invitato a casa tua per uno scrigno. »
« Chi ti dice che non ti abbia invitato perché mi stai simpatico? »
« L’hai fatto? »
« Chissà. »
Prese ad accarezzare Lucky con più foga, chiaramente innervosito dal mio atteggiamento. Eppure si rilassò subito dopo, avvicinandomisi con aria indecifrabile.
« Ma guardalo, Simoncello, nei suoi due metri di stazza, che cucina come una donzella per il suo padrone. » Sussurrò languido, accostando il viso al mio orecchio. Mi voltai totalmente a guardarlo: si era tolto la giacca, lasciando spazio a una bella camicia di cotone nera. Il nero gli donava; risaltava gli occhi vispi.
« E guardalo, Luddy, con quell’aria elegante, che si atteggia a padrone senza saper governare neppure il suo corpo. » Chiaramente mi riferivo alla quasi caduta del mattino. « E sono due metri e quindici. » Aggiunsi, assottigliando lo sguardo. Lo sostenne.
Ci stavamo comportando come due amanti violenti e in astinenza; il non sapere niente l’uno dell’altro dona un certo margine di sicurezza, persino superiore a quello della consapevolezza e della conoscenza reciproca. C’era un che di perversamente piacevole in quella situazione.
« Devo proprio risponderti? »
« Meglio se stai zitto. Non hai nulla da rispondermi. » Lo provocai, tornando a mescolare la pasta. Si avvicinò ancora, fino a sfiorarmi il naso col proprio, a un palmo dalle mie labbra.
« Devo proprio risponderti? » Ripeté, imitando la mia espressione.
« Ma guardati: devi alzarti sulle punte per raggiungere il mio viso. » Sussurrai malizioso, inarcando nuovamente un sopracciglio. Mi respirò qualche istante sulla bocca per poi allontanarsi e ridacchiare, scuotendo il capo fra sé.
« Aspetto la cameriera in salone fra venti minuti! »
« Oh, anche prima, scopìno! » Tornai a mescolare la pasta, domandandomi che diamine stesse succedendo.
 
 
 
Impiegai più di quanto non fosse necessario nell’ultimare i preparativi della cena, preferendo far attendere Ludwig per un periodo estremo piuttosto che dargli la soddisfazione d’essermi sbrigato perché fremevo dalla voglia di continuare a parlargli in quella maniera provocante e dal desiderio di specchiarmi ancora in quegli zaffiri pallidi. Riconoscevo bene una cotta quando l’avevo; quello sconosciuto mi stava rubando i pensieri e, presto, mi avrebbe anche rubato quei silenziosi e brevi momenti al bagno, con qualche foto a casaccio fra riviste di modelle e stampati rapidi da internet quando ne avevo bisogno. Il mio pensiero scorreva rapido per via della mia profonda credenza nei colpi di fulmine. Ancora non avevo idea di quanto fulminante fosse quella cotta.
« La cena è servita. » Annunciai, stendendo la tovaglia sul tavolo dopo aver tolto la candela e un paio di altri oggetti. Quindi apparecchiai velocemente, sistemando poi le pietanze con un largo sorriso. Ludwig ricambiò l’espressione, versandosi la sua porzione di pasta.
« Buon appetito. » Augurò.
« Grazie, altrettanto. » Risposi con fin troppo garbo, iniziando a mangiare piano.
Ingoiavo bocconi da un paio di minuti, quando mi accorsi che l’uomo era intento a fissarmi con una certa insistenza. Ricambiai lo sguardo, studiando i contorni ed i tratti del suo viso: la pelle era più pallida rispetto al colore medio della gente, particolare che mi fece pensare alla presenza di almeno qualche antenato straniero nella sua famiglia. Pensiero in seguito confermato.
Non impiegammo molto a concludere la cena, che si svolse in totale silenzio, coronato da sguardi e occhiate furtive e, perlopiù, tocchi fuggevoli e leggeri.
« Era tutto buonissimo, te lo concedo. » Si complimentò Ludwig alla fine del pasto, pulendosi le labbra col tovagliolo accuratamente ripiegato alla sua destra. Come ebbi modo più volte d’osservare, le sue movenze ed espressioni non mancavano mai d’apparire decisamente educate e controllate. Aveva di certo ricevuto dei buoni insegnamenti, anche se, alla fine, il suo animo torbido e malizioso era fuoriuscito segretamente.
« Grazie, non mi ritenevo così bravo da meritare la tua considerazione. » Commentai, carezzandogli un polpaccio con la caviglia scoperta; sto sempre a piedi nudi, in casa. Che sia inverno o estate. Per tutta risposta strinse leggermente le gambe, sospirando di sollievo, o forse per scacciare il nervosismo.
« Suppongo di dover andare, adesso. » Fui tentato dall’idea d’invitarlo a rimanere a dormire. Eppure l’incertezza mi trattenne, fortunatamente. Gli sorrisi, annuendo con aria svogliata.
« Ti accompagno alla porta. » Durante la cena, forse, avevamo sorseggiato qualche bicchiere di bianco in più, perché entrambi iniziammo a ondeggiare pericolosamente, in corridoio. Tuttavia riuscimmo a giungere sani e salvi all’ingresso, davanti al quale ci appoggiammo al primo oggetto a portata di mano.
« Grazie per la serata, Simon. È stato un vero piacere conoscerti meglio. »
« E ancora non sai niente...! » Mi lasciai sfuggire, per poi ridere cupamente, ironizzando da solo la situazione. Ludwig mi scrutò incerto, per poi aggregarsi alle mie risa.
« Buooona notte. » Augurò, facendo per uscire. Lo trattenni da un braccio, avvicinandomi un po’ troppo al suo viso. Non osò muoversi. Resomi conto della bruschezza del gesto tentai d’allentare la presa sul suo braccio, anche se la sbronza si faceva sentire un po’ troppo.
« Buona notte, Lud. » Sussurrai, o forse pensai di sussurrarlo. Lui mi sorrise, spostando le labbra per baciarmi sulla guancia, più distante dalle labbra di quanto mi piaccia ricordare. Ed uscì, svanendo per le scale, evitando di rimanere in mia compagnia anche solo un momento di più. Probabile che l’avessi spaventato più del previsto; per me era tutto un gioco.
Mi ritirai nuovamente in casa, senza nemmeno mettere a posto il disordine generale in salone, disordine perlopiù creato da me e dai cani, non da Ludwig. Di lui quasi non c’era il passaggio.
Avvicinandomi alla sua sedia, almeno per portare via i piatti sporchi, notai un luccichio sospetto. Raccolsi l’oggetto emanante quel barlume, studiandolo così vicino alla lampada che, in altre situazioni, avrei avuto difficoltà a capire di cosa si trattasse; bisogna ricordare che ero ubriaco fradicio. Si trattava dello scrigno, proprio il piccolo scrigno causa del quale avevo invitato a cena quello sconosciuto. Sorrisi a me stesso, ripromettendomi che avrei bellamente mentito quando Ludwig si sarebbe accorto della sua assenza.



***


Strano che pubblichi due capitoli in un giorno; un miracolo. Mi piacerebbero più appoggi. La citazione sotto la foto è della canzone "I can't wait" dei Celldweller.
Alla prossima. ~

O.

   
 
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