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Autore: xmagslaugh    02/01/2013    1 recensioni
Scaravento a terra il cellulare rabbiosamente. Potrebbe aiutare a rintracciarmi, e l'ultima cosa che voglio è tornare a casa. Contro ogni mia previsione resta intatto, il che mi fa arrabbiare ancora di più. Lo raccolgo, e inizio a scavare una buca con le mani. La terra mi entra nelle unghie, e la pioggia mi sferza il viso. Forse oggi non era il giorno migliore per scappare. E probabilmente nemmeno la stagione. Sono finalmente riuscita a fare un piccolo buco di una ventina di centimetri, ci butto dentro il telefono e ricopro tutto con la terra. Mi guardo le mani, sporche di fango, i capelli bagnati, i vestiti anche. Serro i pugni repentinamente, ho voglia di urlare, ma tutto quello che esce dalla mia bocca è un singhiozzo sommesso. Mi accascio a terra, tremo come un bambino. Le lacrime si mescolano alla pioggia e mi rialzo in piedi. Non posso lasciarmi andare in questo modo. Sono scappata di casa, non posso permettermi di cedere alle emozioni.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Ero rientrata a casa presto, verso le otto, mio padre doveva ancora arrivare. Mentre cenavo davanti al televisore con un pacchetto di patatine, sentii la porta d'ingresso aprirsi. Delle risate soffuse, poi riconobbi la voce di mio padre, stranamente calda e accomodante, e poi quella di una donna. Mi recai all'ingresso, nascondendomi dietro lo spigolo del muro per non essere vista. Accanto alla figura di mio padre c'era una donna alta, bionda, molto più giovane di lui. Era incinta. Mio padre continuava a massaggiarle la pancia, sorridendo come un beota. Mi appiattii al muro, le mani iniziarono a sudare. Ero angosciata, perchè temevo che papà si fosse fatto una nuova vita, dimenticando definitivamente quella con mia madre, e di conseguenza dimenticandosi completamente di me. In parte, se l'era già fatta. L'alcol era la sua compagna. Certo, a volte tornava a casa con qualche conquista delle sue serate nei pub, ma non mi preoccupavo troppo perchè sapevo che non era tipo da prendere impegni. Ma quel pancione, era come la firma ad un contratto, un contratto che lo obbligava ad una vita con la bella biondina. Magari il figlio non era suo, e tutte le paure erano infondate. Uscii dal mio nascondiglio e mi piazzai alla fine del corridoio, impettita. Presi fiato.
- Il figlio è tuo? - chiesi nel tono più distaccato possibile a mio padre, indicando il ventre della donna.
Si girò di scatto, perchè non si era accorto della mia presenza. Non rispose. La donna mi guardava con gli occhi sgranati, azzurri, che brillavano come fanali nella notte.
- Chi è lei? - domandò con espressione dura, come consapevole che mio padre le stesse nascondendo qualcosa.
- Nessuno. - rispose lui secco.
- Mi chiamo Nicole. Sono sua figlia.
Silenzio. Silenzio che inghiottiva le mie parole, e la determinazione con cui le avevo dette. Gli occhi della donna cercavano di trattenere le lacrime, e la sua espressione, quasi indecifrabile, tentava di nascondere quello che provava. Tradimento.
- Perché non mi hai detto niente? - riuscì a chiedere con voce spezzata dall’ira e dal pianto.
Mio padre rimase in silenzio osservandosi la punta delle scarpe. Per un secondo, mi sembrò che stesse sorridendo. Un sorriso scaltro e fuggente. Poi nascose il viso fra le mani.
- Perché ti amo troppo, ecco perché. Non volevo che tu soffrissi. E perché non voglio che nostro figlio soffra. Voglio solo che quello che è successo in passato venga dimenticato. Voglio che non ne rimanga traccia.
La ragazza si avvicinò lentamente. Gli tolse le mani dal viso e lo baciò. Faceva male. Troppo. Come un arpione, che si impiglia nelle carni, strappandole senza pietà. Da quel momento ebbi la certezza che non sarei più riuscita a guardare mio padre in faccia, non lo avrei sopportato.
Inciampo, affondo col viso nel fango. E ritorno a piangere, piango tutte le lacrime che ho, e mi sento più leggera, liberata da un peso inutile. Così mi addormento, fra la pioggia, il fango e tutta l'amarezza ancora serrata dentro di me. Che probabilmente non ne uscirà mai.
   
 
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