Storie originali > Azione
Segui la storia  |       
Autore: Littlefinger    04/01/2013    1 recensioni
Una nuova avventura per Neil McRoberts. Stavolta il mago-mercenario finisce senza volerlo nel mezzo d'intrighi fra vampiri, mannari e altre creature sovrannaturali in Germania, nel cuore della Foresta Nera.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Neil McRoberts'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Stavamo aspettando l’amica di Riccioli d’Oro alla pensilina di una fermata dell’autobus quando una berlina grigia si fermò accanto a noi. Aveva i vetri oscurati e mi dava l’idea di costare molto più di quanto mi sarei potuto permettere. Josephine si alzò in piedi e il finestrino del guidatore si abbassò.
    «Li avete seminati?» disse una voce femminile proveniente dall’interno dell’auto.
    «A quanto pare sì.» rispose la donna. Aprì la portiera posteriore ed entrò nel veicolo.
    Mi alzai e la seguii, andando però a sedermi accanto al guidatore. «Salve.» salutai, mentre mi accomodavo e mettevo la cintura. «Grazie per il passaggio, tesoro.»
    In risposta mi giunse un mugugno di assenso e poi l’auto ripartì, silenziosa come una cornamusa in una fuga di Bach. Mi voltai e riconobbi il guidatore: era Zuccherino. Indossava un paio di pantaloni da ginnastica rosa e un piccolo top sportivo nero che le lasciava scoperto l’addome; i capelli castani erano raccolti disordinatamente sopra la nuca, tenuti così da una penna, e portava degli occhiali da vista dalla montatura rossa. Era decisamente un belvedere.
    «Grazie, Yelena.» disse Josephine, sporgendosi dallo spazio fra i sedili anteriori. Si girò verso di me e aggiunse: «Casa sua è sicura e stanotte dormiremo da lei.»
    «Ottimo.» borbottai poco convinto. Sei mesi prima, quando il mio rifugio più sicuro era stato invaso da un gruppo di vampiri aiutati da chissà chi e da un Lord della corte fatata sarda, avevo perso fiducia nei luoghi protetti. «Comunque siamo compromessi. Il drago sa chi siamo.»
    «Non è detto che fossero uomini del drago.»
    «No?» replicai esasperato. «Il tizio che abbiamo provato a interrogare ha preferito farsi bruciare piuttosto che rispondere alle domande. Abbastanza fanatico per essere un membro del culto che adora Glavcoso, no?»
    «Glavcoso?» ripeté Yelena.
    «Tendo a non memorizzare i nomi di creature con cui non voglio avere nulla a che fare.» risposi; con la coda dell’occhio la vidi sorridere.
    «Comunque sia» disse Josephine, interrompendo la mia lamentela «compromessi o no, non sei in posizione per abbandonare il lavoro.»
    «Ovviamente.» risposi. «Domani mattina andremo al villaggio. Tanto vale mettere subito le carte in tavola.»
    «Vuoi affrontare di petto Glavnyognya?» esclamò Yelena. «Sarebbe una follia! Nemmeno il leprecauno ha voluto farlo.»
    «Secondo me non gli avete offerto abbastanza.»
    Yelena sbuffò. «Ha detto che non c’erano abbastanza pentole d’oro in tutta l’Irlanda per convincerlo ad attaccar briga con un drago.»
    Ridacchiai. «Comunque non sono così idiota da volerlo affrontare faccia a faccia. Intendo dire che la cosa migliore da fare è andare là, cercare di finire il lavoro il più in fretta possibile e poi scappare, prima che si rendano conto che siamo là.»
    «Come facciamo per i rituali di ricerca?» domandò Josephine. «Non possiamo spargere fluidi corporei in giro per tutta la Foresta Nera.»
    Yelena tossì come se qualcosa le fosse andato di traverso. «Cosa?» esclamò.
    «Nulla di che.» replicai. «È un metodo veloce per disturbare i maghi che cercano di rintracciarci.»
    La donna scosse la testa, poi scalò la marcia e svoltò, entrando in un vialetto. Spense la macchina e disse: «Siamo arrivati.»
    Scesi dall’auto e mi trovai di fronte a una di quelle case di stile moderno, con angoli strani, tante vetrate e nulla che potesse assomigliare a una rustica casetta germanica. Zuccherino ci fece strada fino all’ingresso. Mentre mi camminava davanti cercai di non guardarle il fondoschiena, ma si rivelò un’impresa impossibile: era un piccolo capolavoro. L’interno mi diede la stessa impressione dell’esterno: mobili dallo stile strampalato, superfici metalliche lucide come uno specchio,  ambienti assimetrici e luci a fluorescenza che sembravano rubate da un ospedale. Nel soggiorno c’era un tapis roulant, su cui era appoggiato un asciugamano e una bottiglia d’integratori mezzo vuota. Di fronte a esso una TV, un cinquanta pollici al plasma, era accesa con l’immagine bloccata su un’esplosione.
    «Avete interrotto la mia sessione serale di ginnastica.» commentò la donna, mentre andava verso quella che doveva essere la cucina: un insieme di piani d’alluminio che facevano sembrare dell’età della pietra quella di Josephine. Tirò fuori una bottiglia di vino e tre bicchieri. Josephine si fece riempire il bicchiere, mentre io rifiutai cortesemente e chiesi invece un bicchiere d’acqua.
    «Astemio?» chiese Yelena.
    Scossi la testa. «Non bevo mai quando lavoro.»
    «Capisco.» replicò, dopo aver bevuto un sorso.
    «Hai qualche idea su come possiamo capire cosa dobbiamo trafugare?» chiese Josephine.
    Mi concentrai sul mio gustoso bicchiere d’acqua. Mille idee mi ronzavano per la testa, ma nessuna sembrava essere attuabile. Trovare un oggetto che non si conosceva. Era una sfida che mi coinvolgeva. Come potevo usare le mie abilità nel campo della magia per risolvere l’enigma? Non avevo a disposizione nessun indizio per ridurre il campo di ricerca, se non che Glavcoso avesse vissuto in Russia per diverso tempo. Pensare che l’oggetto misterioso fosse una matrioska o un uovo Fabergé era abbastanza ridicolo e al massimo sarebbe successo in un romanzo di bassa lega. Non mi veniva in mente nessun incantesimo che potesse tornarmi utile. Mi serviva un aiuto.
    «Mic!» dissi a voce alta, guadagnandomi delle occhiate in tralice da parte delle donne.
    Un fuoco fatuo apparve nella stanza, danzando a mezz’aria come… come un fuoco fatuo. Schizzò via all’improvviso e cominciò a ronzare per tutta la stanza, fermandosi ogni tanto, in particolare per girare intorno alle due donne. Infine mi passò rasente alla testa, scompigliandomi i capelli, e si fermò davanti a me.
    «Non ci credo.» disse. «Neil in compagnia di due donne.» Si girò verso di loro. «Quanto vi ha pagato?»
    «Piano con le sciocchezze, Mic.» rimbrottai, un po’ scocciato dai loro sguardi fra il divertito e l’indignato. «Non mettermi in cattiva luce raccontando fandonie, ho bisogno di una consulenza.»
    «Cos’è? Una specie di fata?» domandò Yelena.
    «Ti pregherei di non paragonarmi a nulla di questa dimensione, donna.» replicò Mic con un tono che faceva trasparire tutta la sua indignazione per quell’ipotesi.
    «È uno Spirito della Conoscenza.» mormorò Josephine, stupita. «Come fai a possederne uno?»
    Alzai le spalle. «Primo, non lo possiedo. Secondo, mi ha scelto lui.»
    «Siamo un po’ come i gatti.» aggiunse il fuoco fatuo.
    Mic è il mio Spirito Personale. È un po’ il mio mentore per quanto riguarda l’arte magica, anche se io a volte lo definisco scherzosamente come un parassita che approfitta di me per intrufolarsi nella nostra realtà.  Secondo la nomenclatura umana è un 5k, ossia proviene da dimensioni a intersezione nulla con la nostra, solitamente chiamate Sfere Esterne. Mi adottò, se così possiamo dire, quando da bambino quasi distrussi il laboratorio in cui ero a lezione. Il mio talento l’aveva incuriosito e aveva deciso di tenermi d’occhio.
    Gli spiegai in quale campo minato ero finito. Continuò a svolazzare in lungo e in largo e gli domandai se esistesse qualche tipologia d’incantesimi che potesse aiutarmi.
    «Neil, Neil, Neil.» rimbrottò con un tono da insegnante sconsolato. «Ti stai impigrendo? Che bisogno c’è di usare la magia quando basta un po’ di logica?»
    Gli lanciai un’occhiata fulminante. «Fai meno il saputello. Non c’è nulla su cui applicare un po’ di logica.»
    «Suvvia, non diciamo sciocchezze. Qual è l’obiettivo? Un drago. Cosa sai dei draghi?»
    «Volano, sputano fuoco e collezionano figurine dei calciatori.»
    «Inoltre sono delle creature antiche.» continuò Mic. Non aveva un gran senso dell’umorismo. «Quanti ne possono esistere, secondo te? Due, tre?»
    «Quattro.» intervenne Josephine. «Attualmente è nota l’esistenza di quattro draghi. Più due uccisi dai Cavalieri della Tavola Rotonda.»
    Fischiai. «Un cavaliere ha ucciso un drago?»
    «San Giorgio.»
    «Pensavo fosse una favoletta per convertire la gente.»
    Josephine scosse la testa. «I Cavalieri hanno una loro agenda che nulla ha a che vedere con le religioni.»
    «Ora però non c’interessa la loro agenda» la interruppe Mic «stiamo parlando di draghi. Qual è la cosa più importante per un essere  che vive migliaia e migliaia di anni? Oro, gemme, patate?»
    «Un erede?» mormorai.
    «Esatto!» esclamò lo spirito. «Se costruisci un impero difficilmente vuoi che si sfaldi con la tua morte o che a ereditarlo sia una creatura che reputi inferiore.»
    Yelena ci osservava con interesse, ma senza commentare. Girava il suo bicchiere, creando un piccolo vortice nel vino.
    «Come si riproducono?» domandai. «Ci sono draghi maschi e draghi femmina e fanno un po’ di ginnastica da materasso?»
    «Producono una specie di uovo che contiene il loro… figlio.» rispose Riccioli d’Oro, sorridendo. «Niente ginnastica da letto e niente distinzione fra sessi.»
    «Ma un sistema del genere non è problematico?»
    «Non credo sia il momento adatto per parlare di generica draconica.» disse Yelena. «E poi questa discussione mi pare un po’ campata per aria. Che ne sapete se Glavnyognya abbia fatto l’uovo?»
    «Non lo sappiamo» dissi «ma almeno è un punto di partenza. Poi magari il misterioso artefatto magico è un pugnale o un anello e rimarremmo con le pive nel sacco.» Mi rivolsi a Josephine. «Com’è fatto un uovo di drago?»
    «Praticamente è una pietra.»
    «Ottimo.» borbottai. «Figurarsi se potesse essere facilmente riconoscibile. La mia solita fortuna. Non poteva essere come un normale uovo, ma enorme?»
    «È riconoscibile perché irradia parecchia energia magica.» disse Mic. «Basta un semplice incantesimo di ricerca per individuarlo o semplicemente toccarlo, se sei abbastanza vicino.»
    «Che però dovremo eseguire là, a casa sua, dove siamo ben conosciuti. Non potrei mai avere a disposizione abbastanza tempo per approntare un rituale, assumendo che non ci siano delle reti di controllo magiche.» replicai. Mic non rispose e mi rivolsi a Zuccherino. «Tu hai fatto la ricognizione del villaggio, vero?»
    La donna annuì.
    «Hai notato qualcosa di particolare? Non so,  edifici difesi, comportamenti strani, raduni sospetti?»
    Yelena posò il bicchiere e si sedette su uno degli sgabelli che si trovavano su quel lato della cucina. «Sembra un normale villaggio di campagna, come ce ne sono in ogni dove. Hai presente quei piccoli paesi dove tutti si conoscono, dove se qualcuno fa qualcosa tutti gli altri lo sanno dieci minuti dopo?»
    «Ho presente. Ideale per nascondere il culto di un drago. È un paese molto isolato?»
    Si alzò e mi fece cenno di seguirla. Ci portò in una stanzetta che doveva essere il punto informatico della casa. Una piccola scrivania, su cui vi era un computer, dominava la sala. Yelena si sedette sulla sedia girevole là di fronte e mosse il mouse. Il monitor del computer si accese, rivelando un desktop privo di icone e con un blando sfondo blu.
    «Vi mostro il luogo.» disse, mentre apriva Google Maps. «Ho tenuto d’occhio il posto per una settimana.»
    Zoomò su una zona a nord-est di Friburgo, in piena Foresta Nera. Era un piccolo paesello pigramente adagiato su una collina, circondato da alberi e alberi. Ci si arrivava da una strada sterrata e  la maggior parte degli edifici erano adagiati sulla strada principale, da cui si dipanavano poche vie che arrancavano sul fianco della collina. Dalle immagini satellitari tutti gli edifici sembravano dei piccoli quadrilateri colorati.
    «Il mio OP era qua.» aggiunse Yelena, indicando un punto su un’altra collina, a circa mezzo chilometro dal paese.
    OP sta per Observation Post, punto d’osservazione; nel mio mestiere vanno di moda le abbreviazioni e gli acronimi. Tenere d’occhio qualcosa è uno sporco lavoro. E con sporco intendo stare ore e ore sdraiati nel fango, fare pipì in una bottiglia e raccogliere in sacchetti di plastica gli altri… rifiuti. Scordatevi i film dove il protagonista sta comodo in auto, mentre mangia una ciambella e sorseggia una coca. In una situazione in cui l’OP non deve essere noto al nemico, si tratta di mimetizzarsi con l’ambiente circostante. Probabilmente Yelena aveva trovato una posizione dove il sottobosco era molto denso, aveva scavato una buca e l’aveva coperta in maniera da renderla invisibile. Una volta dentro, l’unico contatto con l’esterno era una “finestrella” da cui poteva vedere il bersaglio e puntare la macchina fotografica. O un fucile. Oppure un puntatore laser per le bombe “intelligenti”. Dipende dal tipo di missione.
    «La cosa interessante è che non ci sia nessun edificio molto grande.» dissi, mentre scrutavo con attenzione le immagini satellitari del paesello. Purtroppo non c’era la possibilità di usare Street View. «Nulla che possa fungere da harem.»
    «L’ho pensato anche io.» replicò Yelena.
    «Sicuramente c’è chissà cosa scavato dentro la collina.» intervenne Josephine.
    «Infatti.» risposi, in coro con Yelena. «La sera gran parte della gente si riuniva nell’unica taverna.» continuò lei. «Altre due cose che mi hanno colpito sono la chiesa, anche quella frequentata parecchio, e la totale assenza di bambini e anziani. Infine c’è giusto un negozio di alimentari, che si fornisce settimanalmente in città e un tabaccaio. Null’altro.»
    «Chiaramente la taverna e la chiesa sono punti di accesso ai sotterranei.»
    «E la mancanza di bambini e anziani indica che gli abitanti non sono altro che l’esercito personale di Glavnyognya.» aggiunse Riccioli d’Oro.
    «Non si preoccupa certo di tenere un basso profilo.» commentai. L’attacco diretto che avevo ipotizzato prima era inattuabile. Non potevamo certo passare inosservati in quella che sembrava più una caserma che un villaggio. Assunto che già non conoscessero i nostri brutti musi, due facce nuove sarebbero saltate all’occhio come un pinguino che giocava a freccette. «Al contrario» continuai «noi dovremo tenere un basso profilo. Abbastanza basso da vincere i mondiali di limbo.»  Mi rivolsi a Yelena. «Hai fatto sparire l’OP?»
    «Ovviamente. Mi hai preso per un pivellino?»
    «Allora domani partiremo per una bella gita nel bosco.» dissi. «Jo, avremo bisogno di un po’ di equipaggiamento.»
    «Jo?»  ripeté, guardandomi in tralice.
    «E poi mi servono un telefono e un po’ di contanti.»
    «Ok.»
    «E ora devo dormire, domani sarà una giornata molto lunga.»
    Yelena spense il monitor e si alzò. «Josephine, tu puoi dormire nella stanza degli ospiti.» Mi lanciò uno sguardo e aggiunse: «Tu invece puoi sistemarti sul divano. Ti porto una coperta.»
    Il divano andava benissimo, avevo dormito in posti ben peggiori.

    Yelena ci aveva procurato un’auto sicura, una vecchia Golf grigia. Appena alzato, avevo svuotato una tazza di caffè nero e poi ero uscito con Riccioli d’Oro per fare compere in un centro commerciale in periferia.
    Entrammo in un bar a prenderci una brioche e poi ci separammo. Josephine andò a comprare quello che serviva, mentre io decisi di cercare un Internet café.
     Per la nostra gita nel bosco ci servivano dei sacchi a pelo, zaini, vestiti e scarpe adatti, vettovaglie, torce elettriche e un immancabile coltello multiuso, il classico Leatherman. In una missione d’infiltrazione come quella, era indispensabile per tantissime cose per cui non valeva la pena - o non era possibile - usare la magia.
    Io ero a caccia di un po’ di notizie. Le guerre si vincono con l’informazione: puoi avere tutta la potenza di fuoco che vuoi, ma se non sai verso cosa indirizzarla e come usarla combini poco e nulla. Cosa sapevo dell’obiettivo? Solo quello che mi aveva detto Josephine e non mi fidavo completamente di lei. Lavorava comunque per la donna che mi stava ricattando. Avevo bisogno d’informazioni non filtrate e quale posto migliore per cercarle se non Internet?
     Il tizio del café mi elencò i prezzi e poi m’indicò una delle postazioni. Quella accanto era occupata da un ragazzo impegnato in un gioco di ruolo. Mi sedetti e lo guardai giocare, mentre riflettevo su come trovare quello che m’interessava. L’omino che guidava stava distruggendo orchi e goblin come se fossero mosche. Magari fosse così facile.
    Distolsi lo sguardo e mi concentrai sul lavoro. Andai su Google e cercai “glavnyognya”. Il motore di ricerca tolse fuori un discreto numero di risultati, anche se i primi link portavano a siti di leggende popolari e folklore russo. Le traduzioni automatiche non era il top della qualità e dovetti sfogliare diverse pagine prima di recuperare dei siti in una lingua che conoscevo. Vi trovai gran parte delle informazioni che già mi aveva passato Riccioli d’Oro, ma nulla che avrei potuto usare concretamente. Ci vollero un altro paio di ricerche complesse per trovare qualcosa di utile. Era un vecchio articolo specialistico di filologia. Analizzava un vecchio testo medievale che raccontava le avventure  di un cavaliere. Saltai i paragrafi tecnici, di cui comunque non avrei capito nulla, e mi dedicai alla parte in cui veniva raccontata la storia.
    Il cavaliere aveva sconfitto un drago, chiamato appunto Glavnyognya, per salvare una principessa. Classica trama di una fiaba, ma in quel caso combaciava con il modus operandi del drago. Evidentemente il lucertolone aveva rapito la donna sbagliata. Il cavaliere l’aveva affrontato in duello e praticamente l’aveva sconfitto usando quella che sembrava l’antesignana di una bomba molotov. Il racconto ovviamente non scendeva in particolari tecnici che mi sarebbero stati utili, spiegava come il cavaliere gli aveva lanciato contro una bottiglia e il drago aveva preso fuoco ed era fuggito. Un drago sputa fuoco sconfitto grazie al fuoco, ironico. Mi sarebbe piaciuto leggere il testo originale, ma il mio latino classico era abbastanza pessimo, figuriamoci quanto avrei potuto capire da un testo medievale.
    Durante la ricerca mi accorsi di quanto i draghi erano poco considerati dalla comunità magica. Mentre creature magiche come i vampiri o i licantropi avevano il loro codazzo di fanboy e fangirl, i draghi - che a mio parere erano decisamente più interessanti - erano praticamente sconosciuti e trattati alla stregua di creature di fantasia. I casi erano due: o erano molto bravi a non farsi trovare oppure svelti nell’eliminare chi li incontrava.  Probabilmente erano veri entrambi.
    Il resto di ciò che trovai era inutile e sforava nelle leggende metropolitane. Non che mi aspettassi di trovare un disegnino in cui erano segnati i punti deboli di un drago, ma speravo in qualcosa di più concreto da poter sfruttare. Mancava ancora un po’ all’appuntamento con Riccioli d’Oro, per cui decisi di fare un altro paio di ricerche. Mi alzai e andai alla macchinetta degli snack per prendere qualcosa da sgranocchiare mentre continuavo a giocare con Google. Il mio compagno di banco era ancora impegnato a sterminare nemici su nemici.
    Inserii il nome del paese nel quadro di ricerca. Oltre agli onnipresenti link per Google Maps e Wikipedia - la voce non ha una sua pagina, se vuoi crearla premi qui - l’unico risultato sensato era un post su un forum che trattava di viaggi. Klingon67 diceva che il paese era fuori mano, inospitale e l’unico motivo per fermarcisi era un guasto all’auto. Anche questo coincideva con quanto già dettomi da Yelena. Aggiunsi “+glavnyognya” , ma Google mi disse che la ricerca non aveva prodotto risultati. Mangiai una patatina e tornai al link di Google Maps: volevo memorizzare al meglio la zona, in modo da potermici muovere senza troppa difficoltà. Non era come una ricognizione vera e propria, ma visti i tempi stretti era il meglio a cui potevo attingere.
    Decisi di spostare il mio interesse verso un secondo argomento. La sera precedente avevo visto l’e-mail di Yelena sulla sua pagina Google e l’avevo memorizzata: y.dmitriyeva90714@gmail.com. Scrissi “yelena dmitriyeva” sperando di trovare qualche notizia su di lei, ma i risultati erano intasatati dalle notizie su una giocatrice di pallamano con lo stesso nome.  Aggiunsi “-handball” alla ricerca e mi ritrovai solo con un paio di omonimie. Con un po’ di pazienza eliminai le Yelena che non m’interessavano e rimasi con una manciata di pagine. Ce n’era una sulla maratona di Berlino - l’aveva completata con un tempo notevole - e alcuni risultati di competizioni di tiro amatoriali. Nessun account Facebook, ovviamente. Sfogliai la ricerca immagini, ma c’era solo una foto di gruppo con altri tiratori. Nulla che potesse servirmi.
    Era il turno di Riccioli d’Oro. Visto che non sapevo il suo cognome le cose si facevano più complicate. Diavolo, non sapevo nemmeno se quello fosse il suo vero nome. Provai con “josephine+walpurgisnacht” e scoprii che c’era un film intitolato “La calda notte di Valpurga di Josephine e le sue amiche streghe”. Non si sfugge alla Regola 34 d’Internet.
    Filtrai i risultati vietati ai minori, ma non trovai nulla d’interessante. Allora cambiai strada e cercai “raduni Fratellanza della Notte di Valpurga”. Ignorai le pagine e mi dedicai alle immagini. Il giocatore di ruolo imprecò a mezza voce e mi voltai a guardarlo, incuriosito.  A quanto sembrava, un grosso orco a due teste aveva ucciso il suo mago e ora il ragazzo veniva deriso nella chat. Almeno lui poteva resuscitare e combattere di nuovo, un lusso che noi poveri maghi reali non abbiamo.
    Ripresi a sfogliare le immagini nella vana speranza di vedere Josephine in qualcuna di esse. La Notte di Valpurga era diventata molto simile ad Halloween, da un certo punto di vista. Come per la vigilia di Ognissanti, anche quella notte si era trasformata in un’occasione di divertimento per giovani e festaioli, perciò non mi stupii nel vedere che gran parte delle immagini erano foto di gruppi di ragazzi. Provai a scremare un po’ variando i termini ricerca, ma sembrava comunque un’impresa impossibile.
    Alla ventiseiesima pagina che sfogliavo trovai qualcosa d’interessante. Era una foto di quattro donne in posa davanti alla Porta di Brandeburgo. Una di loro era sicuramente Josephine, i suoi riccioli biondi erano inconfondibili. Non avevo idea di chi fossero le altre tre, però sembrava il raduno dei quattro continenti; erano un’africana, un’asiatica e una nativa americana. Cliccai sull’immagine e poi selezionai l’opzione per andare sul sito di origine. Era un forum di appassionati di magia, uno di posti  in cui non addetti ai lavori discutono con troppa serietà di argomenti di cui non sanno nulla. Il titolo del thread era “Incontri con maghi e stregoni”.  Il post che accompagnava la foto recitava, più o meno, così: “O mio dio, che fortuna! Ero in gita a Berlino con la scuola e guardate un po’ chi ho incontrato! I quattro fiori della Fratellanza della Notte di Valpurga”. Sotto la foto, a mo’ di didascalia, vi erano i nomi di alcuni fiori. Josephine coincideva con l’orchidea. Nel post successivo, un sapientone correggeva, dicendo di non paragonare quel gruppo di streghe con il ridicolo mucchio di pivelli che rispondeva al nome di Fratellanza della Notte di Valpurga.
    Non potevo che concordare col sapientone. La Fratellanza era un  gruppo di hippie che con la scusa di salvare il mondo si radunava per far festa. Stava alla magia quanto un cammello alla costruzione di un igloo. Scorsi il thread, alla ricerca di un nome da associare al quartetto. Non trovai nulla di chiaro, a parte che venivano chiamate Quattro Fiori e che il loro simbolo era molto simile a quello della Fratellanza, motivo per il quale avevo confuso la spilla che avevo visto nella stanza di Josephine. Se faceva parte di un altro gruppo, forse stava lavorando per il clan Schwarz solo momentaneamente. Probabilmente aveva una sua personale agenda ed era bene tenerlo a mente per evitare brutte sorprese.
    L’ultima ricerca fu abbastanza semplice. Greta Zimmermann compariva in una miriade di pagine: quotidiani locali, riviste, webzine e chi più ne ha più ne ha metta. Mrs. Dracula era un pilastro della buona società della città e aveva parecchi soldi. C’era persino il sito del suo clan, con una FAQ per “nuovi” vampiri. Ridacchiai. Non mi stupii che ci fosse un infiltrato. Se era così facile entrare in contatto col clan non doveva esserlo nemmeno entrarne a far parte. Se quello era il caso, era improbabile che Zuccherino fosse coinvolta. Date le nuove informazioni, Riccioli d’Oro poteva c’entrare qualcosa? Sicuramente avevo un po’ di cose da tenere a mente.
    Sfogliai le FAQ con curiosità. Erano molto interessanti, se credevi di essere un vampiro. Esserlo non è una certezza, soprattutto in principio.
    Non si diventa vampiri via morso, come succede in tanta fiction. Se così fosse, il mondo sarebbe invaso da vampiri, mannari e quante altre creature sovrannaturali con metodi di riproduzione esponenziali. Esistono due tipologie di vampiri: i vivi e i morti, come mi piace chiamarli. I vivi sono quelli che tutti conoscono come vampiri e, diciamolo onestamente, non sono chissà quale strano tipo di creatura sovrannaturale e  normalmente non sono nemmeno tanto pericolosi per chi ha un po’ di manualità magica. I vampiri morti, invece, sono tutt’altra cosa. Se quelli vivi fossero un petardo, i morti sarebbero l’eruzione del 1883 del Krakatoa. Sul serio, sono esseri da cui stare alla larga.
    Il termine tecnico per definirli è “nosferatu”, grazie al simpaticone cinefilo che per primo li studiò. La loro origine non è chiara, ma si ritiene abbastanza probabile che la loro forma derivi da una maledizione - o meglio auto-maledizione - che intrappola la coscienza nel corpo, dopo la sua morte fisica. Per farla breve, sono cadaveri ambulanti che si cibano di sangue e lo utilizzano per usare la magia. Se la persona di cui si cibano sopravvive all’incontro, succede spesso che rimanga marchiata con lo stesso potere. Apparentemente nulla cambia nella vita della persona - oltre al trauma dell’incontro e tutti i problemi che esso comporta - e pochi si rendono conto di essere diversi; ancora meno riconoscono il potere e imparano a utilizzarlo. Sono quelli che chiamiamo comunemente vampiri, una sbiadita copia dei nosferatu.
    Ovviamente i sopravvissuti sono molto pochi, per cui le nuove reclute sono merce preziosissima per un clan. L’idea di Greta di sfruttare Internet per allargare il raggio dei suoi contatti non era per niente male, ma difettava in sicurezza.
    Guardai l’orologio: mancavano venti minuti all’appuntamento con Josephine. Ci saremmo dovuti incontrare all’interno dello Starbucks al piano inferiore. Volevo muovermi prima per fare un po’ di contro-sorveglianza: volevo essere sicuro che nessuno ci stesse seguendo. Anche se l’attacco del giorno precedente era stato piuttosto rumoroso non era detto che non stessero usando anche metodi più sottili per tenerci d’occhio.
     Passeggiai davanti allo Starbucks e mi fermai a guardare la vetrina del negozio di scarpe là accanto. Se qualcuno mi stesse seguendo - e sapeva fare il suo lavoro - avrebbe proseguito avanti e un suo compagno avrebbe continuato a controllarmi da un’altra posizione. Diedi un’occhiata a un po’ di scarpe, ma in realtà stavo fissando i riflessi sul vetro delle persone che mi passavano dietro. Dopo qualche minuto di scarponi e mocassini, andai al bar che si trovava sul lato opposto della strada. Forse aprirne uno di fronte a uno Starbucks non era una buona scelta, ma chi ero io per giudicarlo? Non avevo mica una laurea in economia. Entrai e mi sedetti a un tavolo laterale con le spalle al muro, ma che mi desse ampia visuale sull’esterno e soprattutto sullo Starbucks. Un cameriere mi si avvicinò, col chiaro intento di non farmi occupare un tavolo senza consumare, e ordinai un’aranciata.
    Guardavo le persone che passavano là di fronte o che entravano nello Starbucks, studiandone i volti e cercando di memorizzarne le fattezze. Josephine arrivò precisa come un orologio e carica come un mulo. Teneva uno zaino da viaggio sulle spalle e diverse buste fra le mani. Si mise a fare la fila alla cassa dello Starbucks. Un uomo con una camicia azzurra si era fermato davanti allo stesso negozio di scarpe a cui mi ero fermato io e controllava la vetrina. Passò là qualche minuto e poi si mise in fila allo Starbucks.
    Riccioli d’Oro aveva preso il suo ordine e si era seduta un tavolo d’angolo dal quale poteva vedere l’esterno. Anche lei sapeva come comportarsi. Camicia Azzurra, invece, prese un caffè da portare via e uscì dal locale. Attesi altri cinque minuti poi mi alzai, lasciando una moneta da due euro sul tavolo.
    «Sei in ritardo.» mi disse Josephine, quando mi sedetti accanto a lei con una tazza di cappuccino in mano. «Hai visto qualche faccia sospetta?»
    Scossi la testa. «Nessuno in particolare. Hai notato un uomo in camicia azzurra mentre facevi acquisti?»
    «No, tutto tranquillo. Nessuno ci sta sorvegliando. Oppure sono più bravi di noi.» disse, sorseggiando il suo caffè. Posò una delle buste sul tavolo. «Ecco qua.»
    Aprii la busta e ne controllai il contenuto: un coltello multiuso, un visore notturno, un rotolo di nastro per imballaggi e un pacchetto di profilattici.  «Hai trovato tutto il resto?»
    Annuì. «Nessun problema. Come ci regoliamo per oggi?»
    «Partiamo dopo pranzo, così possiamo passare il pomeriggio a passeggiare per la Foresta Nera.» “Passeggiare per la Foresta Nera” era un eufemismo per “fare una ricognizione del paese di Glavcoso”. L’idea era quella di piazzarsi nella zona in cui Yelena aveva posizionato il suo OP e comportarsi come dei turisti che volevano passare qualche giorno nella Foresta Nera. In realtà, quella notte io avrei fatto un giretto intorno al paese e, se possibile, un veloce controllo nella chiesa per trovare un’entrata per i sotterranei, ammesso che esistessero.
    Consumate le bevande uscimmo verso il parcheggio e, dopo aver caricato gli acquisti nel bagagliaio, tornammo a casa di Yelena. La donna ci accolse aprendo la porta non appena la Golf si fermò sul vialetto d’ingresso. Indossava una giacca bianca sopra una camicetta rosa e pantaloni eleganti, che la faceva sembrare più una broker che un’addetta alla sicurezza. Scaricai l’auto e portai le buste e gli zaini nel soggiorno della casa. Lo stereo era acceso e diffondeva una noiosa canzoncina pop. Mi sedetti sul divano e cominciai ad armeggiare con lo zaino, preparandolo per la gita.
    Yelena si avvicinò e posò sul tavolino da caffè le cose che le avevo chiesto di procurarmi.
    «Che se ne fa un mago di quest’arsenale?» domandò.
    Raccolsi la mitraglietta e la controllai per verificare che fosse a posto. «Solitamente lavoro con altri che usano le armi meglio di me, ma mi so arrangiare anche da solo.»  Presi uno dei caricatori, lo inserii e caricai il colpo in canna. L’arma aveva la sicura e il selettore di fuoco era su manuale. «Preferisco avere un’assicurazione in caso la magia non faccia il suo dovere. Non ho nessuna informazione sulle capacità magiche dell’obiettivo, per cui suppongo che siano superiore alle mie.»
    «Capisco.  Quanti caricatori ti servono per l’MP5?»
    «Quattro basteranno.» Se me ne fossero serviti altri, avrebbe voluto dire che stavo precipitando nella merda a velocità terminale e un paio di caricatori in più non avrebbero fatto nessuna differenza.
    «Serve altro?»
    Feci cenno di no e scaricai l’arma. «L’ideale sarebbe fare tutto senza sparare nemmeno un colpo, ma non si sa mai.»
    «Come intendi procedere stanotte?» mi chiese Josephine, che si era seduta accanto a me e stava preparando il suo zaino.
    «Voglio vedere un po’ il territorio intorno al paese. Individuare punti di rendez-vous (RV), punti d’infiltrazione ed eventuali linee di fuga, in caso avessimo bisogno di svignarcela a gambe levate. Poi voglio verificare l’esistenza dei sotterranei e la presenza di guardie. Le solite cose.»
    «Non ho notato nessuna vera e propria guardia.» disse Yelena. «Sembra una paese normale, se escludiamo l’assenza di vecchi e bambini.»
    «La chiesa com’è? Vecchia? Nuova? È possibile che abbia una cripta?»
    La donna scosse la testa.  «Non saprei, mi è sembrata abbastanza antica, per cui è possibile che ne abbia una.»
    «Bene. La taverna, invece?»
    «Una struttura rustica, fatta in legno e pietra. Probabilmente il proprietario produce da sé la birra.»
    «Se tutto andrà per il meglio, faremo il lavoro senza nemmeno vedere il drago.» Cercavo di essere ottimista, ma in realtà tutto si basava su ipotesi supposizioni. E se non ci fosse stato nessun uovo? E se non ci fossero quei sotterranei di cui tanto parlavamo? Era come camminare su un lago ghiacciato, senza sapere il momento in cui avresti posato il piede sulla parte sottile.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Azione / Vai alla pagina dell'autore: Littlefinger