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Autore: _Whatever_    05/01/2013    1 recensioni
Dopo una vita passata pensando di dover rendersi utile alla società, Elizabeth si ritrova a fare da Angelo Custode, o come preferiva definirsi lei, da baby-sitter a due rockstar, ma i rapporti con i fratelli Gallagher non sono semplici, soprattutto se non si soffre il loro fascino! Per lei erano solo lavoro!
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dopo quella conversazione durante la festa non ci scambiammo più nemmeno una parola, ma ogni tanto i nostri sguardi si incrociavano.
Non raccontai nulla a David, perché non sapevo nemmeno come definire quello che era successo, mi sembrava troppo strano che una persona così mi potesse chiedere di uscire, così decisi di non esaltarmi troppo e di aspettare per vedere l’evoluzione delle cose.


La mattina dopo la mia sveglia era puntata alle 9.00 per andare con Liam, ma mia mamma entrò in camera mia alle 8.20 perché qualcuno c’era qualcuno al telefono per me.
Le chiesi chi fosse, ma lei mi rispose che non lo sapeva. Mi alzai dal letto, pensando a chi potesse aver bisogno di me a quell’ora, visto che non eravamo nemmeno in tour.
“Si?!”
“Buongiorno raggio di sole!” l’aveva di certo fatto apposta quel demente di Noel.
“Che piacere sentire la tua voce, devo ammettere che mi mancavi!”
“Ah, lo so, la gente non può fare a meno di me! Mi dispiace averti svegliato!” Quando era da sua mamma, restava lucido e diminuiva l’uso delle parolacce, restava solo l’onnipresente sarcasmo nelle sue parole.  Un giorno o l’altro avrei voluto conoscere quella santa donna.
“Non ti preoccupare, mi stavo giusto preparando per accompagnare tuo fratello all’intervista con quelli del NME. Cosa vuoi?” non riuscivo ancora a capire cosa volesse Noel da me a quell’ora della mattina, di certo non sapere come me la passavo.
“Ti chiamo appunto per questo. Ho sentito quelli del NME, ho spostato l’intervista, perché non mi piace che Liam ci vada senza di me, ho paura di quello che potrebbe dire in mia assenza. Oggi deve fare solo un paio di foto per il servizio.” Ecco il gelido calcolatore.
“Ahahahahahahahah. Questa è bella, Noel Gallagher che si preoccupa delle dichiarazioni che suo fratello potrebbe rilasciare alla stampa. Mi fai morire dal ridere!”
“Elizabeth, ora sono serio. Io posso permettermi di dire quel cazzo che mi pare alla stampa, perché sembro più gentile di Liam, anche se non lo sono, e nessuno mi prende troppo sul serio. Liam, quando vuole, sa esagerare e non appare simpatico, solo stronzo.
Poi io sono leader della band, quindi se quelli del NME vogliono un’intervista, la faranno con me.”
“Mi chiedo ancora come i ragazzi riescano a sopportare le tue manie di grandezza.”
“Questi non sono cazzi tuoi. Buona giornata.”
Di certo la giornata poteva solo migliorare, visto che era iniziata con una delle cose più spiacevoli: una conversazione con Mr Noel Simpatia Gallagher.

Quando raggiunsi la redazione del NME Liam doveva ancora arrivare e mi fecero accomodare comunque in un salottino vicino al set.
In quel momento dentro c’erano quattro ragazzi, che vidi di sfuggita, ma capii chi fossero quando sentii il fotografo pronunciare il nome Damon per dargli istruzioni per le foto. Erano i Blur. Ero troppo curiosa, così mi affacciai sulla porta fingendo di essere un’addetta ai lavori. Nessuno si accorse di me, così li osservai per un bel po’.
Damon era un bellissimo ragazzo con il suo viso angelico e l’aria di un cucciolo, ma non mi ingannava: tutti dicevano che fosse stata un’idea sua quella di spostare l’uscita di Country House in concomitanza con quella di Roll With It. Idea geniale, infatti era il loro primo singolo a raggiungere la posizione numero uno in Inghilterra.
Il chitarrista era in evidente imbarazzo e si vedeva che avrebbe dato qualsiasi cosa pur di non stare davanti all’obiettivo. Graham Coxon aveva un’aria timidissima e triste, con quegli occhialoni neri, mi ispirava quasi tenerezza. Chissà cosa avrebbe detto Noel, se avesse saputo cosa pensavo del chitarrista dei Blur.
Alex James era veramente bello e quello che si diceva di lui non poteva che corrispondere alla verità: aveva fama di essere uno sciupa femmine e non a torto.
Dave Roentree era il più anonimo del gruppo.
Li osservai per un po’, invidiosa della tranquillità che regnava tra i ragazzi: nessuno rischiava di beccarsi un pugno sul naso per una battuta un po’ infelice; non mi risultava che avessero bisogno di qualcuno che svolgesse il mio lavoro.
Nel mezzo di quei pensieri, sentii un braccio avvolgermi le spalle e una voce nota che mi sussurrò qualcosa nell’orecchio.
“Guarda che lo dico a mio fratello che guardi Damon con l’aria imbambolata.”
“Come se gliene fregasse qualcosa.”
“Ma come, è già finita la vostra relazione?”
“La smetti? Ti ho già detto che non voglio e non posso avere relazioni con qualcuno della band.”
“Ceeeerto. Allora siete riusciti a diventare amici e avete deciso di passare qualche giorno insieme negli Stati Uniti.”
“Non siamo amici, lo sai. McGee mi ha costretto a restare con lui, perché non sapeva cosa avesse in mente.”
“E cosa aveva in mente?”
“Non sono affari tuoi.”
“Dai, puoi raccontarlo al vecchio e caro Liam!”
“Ma nemmeno per sogno. Non racconto un cazzo a un ragazzo che si intrufola in casa mia e insinua mia mamma, facendole gli occhioni da cucciolo.”
“Tua mamma è molto più dolce di te, lo sai vero?”
“Mia mamma crede che tu sia un bravo ragazzo, quindi non fa testo.”
In quel momento le truccatrici ci raggiunsero e invitarono Liam a seguirlo e i Blur abbandonarono il set fotografico passandomi di fianco, senza nemmeno notarmi.
La mattinata trascorse senza troppi problemi e Liam non si chiese perché nessuno era intenzionato a fargli un’intervista e io non pensai più di tanto all’appuntamento di quella sera.
Il problema si pose nel pomeriggio, perché non avevo impegni che mi tenessero occupata la mente.
Iniziai a ripensare alla sua proposta e più ci pensavo e meno mi convinceva l’idea di uscirci: lo conoscevo appena, era più grande di me, era strano, ma i dubbi mi perseguitarono tutto il pomeriggio e solo alle 18:30 mi accorsi di quanto fossi in ritardo sia per avvisarlo, anche perché non avevo il suo numero e avrei dovuto fare almeno sei telefonate per avere il suo numero, sia per prepararmi.
Decisi di vestirmi come se non dovessi andare ad un appuntamento e mi truccai poco, giusto per mettere le cose in chiaro: non ero interessata.
Alle 19:00 ero miracolosamente pronta e mi misi a guardare un po’ di tv in salotto da sola, perché i miei erano andati a cena da mia zia.
Ogni tanto guardavo l’enorme orologio che c’era nel mio salotto.
19:15: prima sigaretta
19:52: seconda sigaretta
20:00: pigiama
20:17: il telefono di casa iniziò a squillare.
“Pronto?”
“Ciao Elizabeth, sono Richard. Non mi sono scordato del nostro appuntamento è che ho avuto un imprevisto e mi sono liberato solo adesso. Mi dispiace, scusami.”
“ah, ok. Non preoccuparti.” Il mio tono era apatico
“Comunque non è tardi, possiamo ancora vederci.”
“Come vuoi.”
Dall’altra parte ci fu un secondo di silenzio. Di certo il mio tono non era accomodante, ma lui faceva di tutto per far finta di niente e per provare ad alleggerire il clima, così decisi di dargli la possibilità di spiegarmi.
“Ti vuoi far perdonare?”
“Sì, mi piacerebbe molto.”
“Bene, allora ti aspetto a casa mia con del gelato e una spiegazione plausibile per il tuo atteggiamento.”
“Perfetto.”
“Ah, e un’altra cosa.”
“Dimmi”
“Quando pensavo che ti fossi dimenticato del nostro appuntamento, mi sono messa in pigiama e non ho intenzione di cambiarmi un’altra volta per te, quindi, quando vedrai questo obbrobrio, ti converrà non ridere e non fare commenti. Chiaro?”
“Ahahahaha, ai tuoi ordini.”
Il mio pigiama era veramente qualcosa di terrificante, ma non mi importava: era composto da un’enorme maglia blu a maniche corte e da un paio di pantaloni grigi e larghi. Sembravo un rapper americano con quella roba addosso.
Arrivò circa un quarto d’ora dopo con un chilo di gelato come pattuito. Al telefono sembrava più rilassato, perché di persona sembrava un po’ nervoso e impacciato.
Presi delle coppette e ci accomodammo in giardino, tanto non era troppo freddo in quei giorni, anche se era ottobre inoltrato.
Notai con piacere che non aveva preso molti gusti alla frutta, perché io li detestavo profondamente.
Era pensieroso e aveva detto poche parole da quando era entrato.
“Nel tragitto da casa tua a qui ti hanno mangiato la lingua?” fece un sorriso veloce, ma non troppo convinto.
“E’ che sto cercando un modo di dirti il motivo per cui ero in ritardo senza farti spaventare, fuggire, precludermi ogni possibilità prima che qualsiasi cosa inizi.”
“Tranquillo, il tuo preambolo mi sembra il modo migliore in effetti.” Non sapevo cosa aspettarmi, allora cercavo di smorzare la tensione così, ma non ottenni i risultati sperati.
“Il fatto è che, cioè, insomma, quando ero più giovane mi sono sposato…”
“Scusa, quanti anni hai per la precisione? Prima, mentre ti aspettavo, ho fatto delle congetture, ma non voglio fare figuracce, quindi non ti dico le mie ipotesi.” Feci proprio finta di non aver sentito l’inizio di quella frase, perché mi spaventava abbastanza come inizio.
“Ho 35 anni. Mi sono sposato quando ne avevo 27 anni. Il matrimonio è durato fino al 1992, poi io e Laura ci siamo separati.” Grazie al cielo non era un marito potenzialmente infedele, per un momento avevo pensato che mi volesse come amante.
“E il tuo ritardo cosa c’entra con questo?”
“Eh, ci sto arrivando. Nel 1990 è nato Leonard. Laura mi ha chiamato in ufficio alle sei per dirmi che Leonard aveva la febbre alta e che sarei dovuto passare in farmacia a prendere i medicinali. Non sono nemmeno passato da casa e non ho pensato a provare ad avvisarti in qualche modo. Sono andato da loro e ci sono rimasto un po’, perché Laura era molto agitata, sai Leo non aveva mai avuto la febbre così alta, voleva addirittura portarlo al pronto soccorso. Comunque, appena sono arrivato a casa ti ho chiamata. E’ abbastanza come scusa?”
  
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