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Autore: ashura    27/07/2004    5 recensioni
Cho Gono... non ride mai...non piange mai...è un bambino che quasi fa paura. Harumi Kawajima è la nuova arrivata all'orfanotrofio. Il suo sorriso è tanto caldo che ricorda la primavera. Harumi è la primavera, il calore, la luce... ma è dove la luce splende di più che l'ombra si fa più fitta...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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“Venite a vedere! È arrivata! È arrivata!” sussurrò la piccola Mami, quasi saltando per l’eccitazione davanti alla finestra.
“Sta’ zitta!” la rimproverò Rui che, accanto a lei, cercava di sporgersi senza troppo successo: era ancora troppo bassa per riuscire ad affacciarsi alla finestra… e se avesse provato a spostare qualche sedia per salirci, avrebbe di sicuro svegliato la suora che stava a sorvegliare il corridoio.
“Sì, Mami, se urli così tanto la suora si accorgerà che siamo sveglie! E allora chi la sentirà?” rincarò Yu, facendosi largo tra le bambine appostate davanti al vetro, “Tutte uguali voi femmine! Non sapete cosa significhi parlare piano!”
“Ah, da che pulpito! Credi di avere un tono tanto delicato tu, eh?” protestò Mami, spingendo con sgarbo via il ragazzino che stava cercando di prendere il suo posto per guardare fuori.
“Allora? Sta scendendo? Com’è?” incalzò Rui, che avrebbe dato qualunque cosa pur di partecipare allo spettacolo: in un orfanotrofio era difficile assistere a grandi novità… ogni giorno passava identico al precedente, e bastava una minima variazione per scatenare l’entusiasmo dei bambini. E chi li avrebbe tenuti fermi, a quel punto? Per questo la madre superiora aveva fatto in modo che la nuova bambina arrivasse la sera, quando gli altri – almeno teoricamente – avrebbero già dovuto essere da un bel pezzo nel mondo dei sogni… e anche se non lo fossero stati, almeno avrebbero dovuto restarsene buoni nelle loro camere, senza creare troppo scompiglio.
Mami si sporse, cercando di distinguere le sagome che vedeva nel cortile: “Aah… è troppo buio, non si vede niente…”
“Fatti in là! Sei tu che sei scema e non ci vedi!” sbottò Yu, spodestando la bambina dal suo posto d’onore. Il ragazzino rimase qualche istante a scrutare il paesaggio e poi, eccitatissimo, esclamò: “Ah! La vedo! Eccola là!” Immediatamente le due bambine lo colpirono con degli schiaffetti sulla testa, ammonendolo per l’uscita troppo rumorosa: “Brutto stupido! Ci metteranno in castigo per colpa tua!” ringhiò Mami, guardandolo di storto.
“Ahi…” si lamentò quello, massaggiandosi la nuca.
“Dai, sollevami! Voglio vedere anch’io!” lo supplicò Rui, aggrappandosi al braccio del bambino.
“Ma che dici, Rui? Yu è tanto deboluccio che non ce la farebbe mai a tenerti su!” lo pizzicò Mami; il bimbo, punto nell’orgoglio, lanciò un’occhiata velenosa alla compagna di stanza e, per tutta risposta, si caricò la piccola in braccio. In effetti, Mami non aveva proprio totalmente torto… Yu non era certo un colosso, e perfino il lieve peso di Rui bastò a farlo ondeggiare non poco: ma in ballo c’era il suo orgoglio maschile e quindi strinse e i denti e resistette.
“Più vicino, Yu! Così non vedo niente!” protestò la bambina, allungando il collo per avvicinarsi al vetro nella disperata imitazione di una giraffa. Il ragazzino si concentrò e fece qualche stentato passetto, trattenendo il respiro per lo sforzo.
“Non farti scoppiare una vena…” lo punzecchiò ancora Mami, ma stavolta Yu, anche volendo, non avrebbe avuto la forza per risponderle.
Rui appoggiò le manine sul vetro, cercando di abituare gli occhi al buio della strada: in effetti era difficile riconoscere le cose con quell’oscurità. C’era una macchina ferma nel cortiletto dell’orfanotrofio, e fuori alcune persone che stavano parlando. Tese l’orecchio per cercare di carpire qualche parola, ma non ci riusciva… la loro stanza era troppo in alto, e quelli laggiù in fondo stavano parlando molto a bassa voce…
Con i suoi occhietti vispi si concentrò sulle figure che vedeva, alla ricerca della loro nuova compagna: ma sì, eccola là! Doveva essere per forza la sagoma più bassa delle quattro che vedeva, no?
“Oh… accidenti, non si vede bene…” si lamentò avvilita. Riusciva solo a capire che la bambina aveva addosso un cappotto e un cappello… e che probabilmente portava i capelli lunghi.
“Io ve l’avevo detto!” non si risparmiò dal far notare Mami con una certa soddisfazione nella voce, e Yu si trattenne a stento dal tirarle un pugno: quando faceva così, diventava veramente insopportabile e antipatica!
“Oh beh… allora… puoi anche rimettermi giù, Yu!” disse Rui, scatenando nel cuore del bambino una gioia spropositata (anche perché non ce l’avrebbe fatta a resistere un minuto di più). Il sollievo per la liberazione fu tale che il bimbo non riuscì ad effettuare una tecnica di atterraggio molto silenziosa: lasciò andare all’improvviso la sua piccola compagna che, con un tonfo, si ritrovò a terra.
“Ahi! Ma sei scemo?” protestò Rui, massaggiandosi il sedere. “Imbranato!” sibilò Mami allungandogli un altro scappellotto, “Ma lo vuoi capire o no che dobbiamo fare silenzio?”
Yu la guardò irritato: alla fine quella riusciva sempre ad avere l’ultima parola!
“Comunque sembra vestita piuttosto bene, non vi sembra?” osservò il bambino, riprendendo la sua posizione davanti alla finestra.
“Già… aveva perfino un cappello!” confermò Rui, rimettendosi in piedi.
“Ah, ma allora non sapete niente?” si intromise Mami, con l’aria di chi la sa lunga, “Io stamattina sono passata per caso davanti allo studio della madre superiora e ho sentito che stava parlando di lei…”
“Come al solito… sei spiona e pettegola!” le disse Yu, guardandola di storto. Mami lo gelò con uno sguardo molto eloquente e poi proseguì come se niente fosse: “Ho saputo che era la figlia di un uomo molto ricco!”
“Ah sì? E allora cosa ci fa qua tra di noi? Se è così ricca, sicuramente qualche suo parente o tutore si prenderà cura di lei!” fece il bambino, fingendo di non essere troppo interessato al racconto.
“Se mi lasci finire, te lo dirò!” ribatté con stizza Mami; fece una pausa, per controllare che il suo uditorio pendesse dalle sue labbra, e poi riprese: “Come dicevo, era la figlia di un uomo molto ricco; ma nell’ultimo periodo pare che fosse andato in rovina, e che per la delusione sia morto. Così lei si è ritrovata senza un soldo e sola al mondo… infatti non aveva altri parenti a parte suo papà… per questo è venuta qui.”
“Poverina…” sussurrò Rui, abbassando lo sguardo.
“Beh? Perché ti intristisci così? Tutti noi abbiamo perso i genitori, no?” le chiese sorpresa Mami.
“Sì… ma…” tentò di spiegare la bimba, non trovando però nessun argomento convincente.
“Lasciala perdere, Rui! Ormai dovresti sapere che Mami non ha un briciolo di cuore…” sogghignò Yu, dandosi arie da grande conoscitore dell’animo umano.
“Questo non è vero! Ho detto solo la verità!” sbottò quella, sulla difensiva, “E poi almeno lei l’ha conosciuto suo padre! Ed è vissuta per un bel po’ nel lusso!
Contrariamente a molti altri, qua dentro, che non solo non hanno mai conosciuto i loro genitori, ma che sono stati poveri da quando si ricordano, è vero o no?”
“Sarà anche vero, ma che male c’è se Rui si è dispiaciuta per lei, eh?” ribatté il ragazzino, salendo di tono.
“Ma che vuoi, litigare?” fece Mami, alzando il tono a sua volta.
Yu stava per replicare quando una mano lo spinse con decisione via dalla finestra e tirò la tenda in modo da coprire la visione.
“Gono! Che cavolo fai?” protestò Mami, indispettita.
Il bambino non si degnò nemmeno di guardarla; con la stessa tranquilla decisione con la quale era venuto, ritornò al suo letto senza dire una parola.
“Insomma! Devi sempre rovinare tutto tu!” continuò la bambina.
“Stai zitta. È tardissimo, e voi state facendo solo un inutile baccano. Se la suora di guardia ci sente, verrò punito anch’io per le vostre sciocchezze.” disse freddamente, distendendosi e coprendosi con la coperta.
“Ma… Gono… tu non sei curioso?” gli chiese Yu. Quello era un bambino davvero strano: tutti loro erano così impazienti di conoscere la nuova arrivata… possibile che lui fosse totalmente immune a questa euforia collettiva?
“Curioso? E perché?” rispose l’altro, immobile nel letto.
“Come perché? È appena arrivata!” disse Rui, stupita quanto gli altri per la risposta del compagno.
“E allora? Avremo tutto il tempo di vederla domani. E dopodomani. E dopodomani ancora.” disse gelido Gono, “Ce l’avremo davanti forse per tutta la vita. Andate a dormire adesso, ho sonno. Lei non scapperà via. E noi nemmeno…”
I tre rimasero imbambolati per qualche secondo dopo aver sentito il discorso del loro compagno: Cho Gono… che strano bambino. Non rideva mai. Non giocava mai con gli altri. Aveva sempre la stessa espressione gelida sul volto. Nessuno l’aveva mai visto né sorridere né piangere. Non sembrava nemmeno un bambino. Sembrava un vecchio triste rinchiuso nel corpo sbagliato.
Silenziosamente, Mami, Rui e Yu ritornarono ai loro giacigli. Gono rimase ad ascoltare il rumore che provocavano cercando di sistemarsi a dovere: le molle del letto che cigolavano, il fruscio delle lenzuola e delle coperte… Quando fu sicuro che i tre avessero cominciato a prendere sonno, si rigirò nel letto, mettendosi a pancia in su. Con i suoi occhi verdi gelidi rimase a fissare il soffitto della camera: no… nessuno di loro sarebbe scappato… nemmeno se avesse voluto… oh, quanto avrebbe voluto…

“Non preoccupatevi… ci prenderemo cura noi di lei…”
“Allora ve la lascio… buonanotte, madre…”
“Buonanotte… grazie per essersi offerto di accompagnarla…”
L’uomo, ben coperto dal suo cappotto, si girò a guardare la bambina per l’ultima volta: benché non fosse famoso per la sua espansività e – anzi – fosse bollato come un orso, quella bambina che aveva conosciuto da così poco tempo era riuscita a smuovergli il cuore… e così non riusciva ad andarsene senza averla salutata.
La piccola si voltò verso di lui: l’uomo riusciva appena a distinguere il brillio di quegli occhi neri.
“Beh… ecco… ti auguro buona fortuna…” balbettò col suo vocione.
La bambina sorrise gentile e con la sua voce dolce rispose piano piano: “Grazie… arrivederci, signore.”
L’uomo sentì il cuore stringerglisi: perché simili creature dovevano soffrire così tanto nella vita? Beh, perlomeno l’orfanotrofio a cui era stata affidata aveva fama di essere gestito in modo umano. Le suore erano buone con i bambini e si adoperavano molto per loro. Almeno così si diceva…
“Lo spero per te, piccolina…” pensò e poi, chinando leggermente la testa in segno di saluto, risalì sulla sua macchina e si allontanò.
“Harumi…” la chiamò una delle due suore.
La bambina, rimasta a guardare la macchina che se ne andava, si girò verso di lei. La monaca le sorrise gentilmente: “Sarai stanca…”
“Un po’…” ammise la piccola, alzando la testa per cercare di vedere nonostante il cappello le coprisse la visuale.
“Vieni. Entriamo… ti abbiamo preparato qualcosa da mangiare, se hai fame…” continuò la donna, prendendo la bambina per mano. Harumi si lasciò condurre docile come un agnellino guidato dal pastore. Assieme alle due religiose, fece l’ingresso nella sua nuova casa: ad accoglierla trovò solo il silenzio, rotto appena dal rumore dei loro passi. La bambina si guardò attorno, nell’ansiosa ricerca di qualcuno. La madre superiora se ne rese conto e le spiegò: “Sono tutti a dormire adesso… è molto tardi! Anche se, devo dirti la verità, abbiamo fatto molta fatica a convincerli a dormire! Tutti i bambini avrebbero dato chissà che cosa per restare svegli ad aspettarti, sai?”
Harumi sorrise: “Davvero? Anche se non mi conoscono?”
“Certo!” continuò la madre, mentre l’altra suora aiutava la piccola a svestirsi, “Sono sicura che domani saranno svegli già all’alba, tanto sono impazienti! Non preoccuparti, vedrai che ti farai molti amici!”
Harumi sembrò sollevata da quelle parole: abbassò un attimo lo sguardo e poi lo rialzò riconoscente verso la madre superiora, annuendo leggermente. La donna rimase molto colpita dal calore di quell’espressione: era strano, ma non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Quella bambina aveva un sorriso così gentile, mite, innocente… un sorriso che sarebbe stato capace di conquistare anche il cuore più duro. Sembrava dotata di una carica di calore che mai aveva visto in nessun altro.
“Vieni... di qua. Avrai freddo… c’è un piatto di minestra calda, se la vuoi…” disse alla fine, cercando di scuotersi da quella specie di incantesimo che l’aveva presa.
“Grazie…” accettò la bambina, seguendola con passo leggero. Mentre stava mangiando, la madre superiora continuò la sua discreta osservazione della nuova ospite: era veramente una bambina molto bella. Non per niente era riuscita a conquistare perfino quell’orso di Daigoro… quando se ne andava nella sua macchinona, dopo aver accompagnato gli orfanelli da loro, i bambini lo guardavano come se fosse un orco… e, per quanto si poteva ricordare, Daigoro non aveva mai salutato nessuno…
“Harumi vuol dire primavera…” le disse la suora, sedendosi su una sedia vicino a lei, “…mi sembra un nome adatto a te, sai?”
Lei si interruppe un attimo, guardando la donna: “Davvero? Non saprei…”
“Sì… è strano, ma… a guardarti ricordi veramente la primavera.” ammise l’altra. La piccola arrossì leggermente, abbassando la testa; alcune ciocche dei suoi lunghi capelli neri le scivolarono sul volto, ma vennero prontamente riportate dietro l’orecchia. Poi, sommessamente, cominciò a ridere piano.
“Che cosa c’è?” chiese sorpresa la suora.
“No, niente… è che mi è venuto in mente che io sono allergica ai pollini… così in primavera non faccio altro che starnutire!” spiegò lei, “Non è ironico, visto il nome che ho?”
La madre superiora rise a sua volta: “Ah, beh, se la metti sotto questo punto di vista…”.
L’orologio a pendolo appeso alla parete cominciò la sua serie di dodici rintocchi: “Oh, santo cielo, com’è tardi!” esclamò la donna. Alla fine anche lei si era lasciata prendere dalla nuova arrivata, e aveva perso la cognizione del tempo: “È meglio se fai in fretta con la minestra e vai subito a dormire, altrimenti domani non ti sveglierai in tempo per incontrare i tuoi nuovi amici!”
Harumi annuì e con pochi altri cucchiai finì quello che le restava nel piatto. Poi, sempre guidata dalla monaca, salì le scale e si inoltrò nel corridoio buio a cui potavano.
“Visto che sei arrivata a quest’ora, ti abbiamo preparato una brandina in una stanza a parte… per stanotte dormirai da sola, se non ti dispiace. Scusa, ma altrimenti avremmo disturbato gli altri bambini. Ma se hai bisogno di qualcosa, vieni pure di me! Io dormo nella stanza accanto, va bene?” le spiegò sottovoce la donna, fermandosi davanti a una porta e aprendola.
Harumi vi entrò con passo leggero e la suora la seguì chiudendo la porta; le valigie della piccola erano già state portate dentro, e le aprì cercando la camicia da notte.
“Ecco qui…” le disse alla fine, porgendogliela, “Hai bisogno di aiuto?”
“No, non è necessario. Me la sbrigherò da sola!” le sorrise la bambina. La madre superiora si accorse che faceva fatica a reprimere l’impulso di aiutarla: davanti a quel sorriso così dolce, ci si sentiva quasi obbligati a fare di tutto pur di vederla felice.
“Va bene…” si risolse di dire alla fine, “Ti lascio. Domani mattina ti verrò a svegliare io d’accordo? Buonanotte!”
Stava per uscire dalla porta quando Harumi la chiamò.
“Sì?” chiese, fermandosi sulla soglia.
“Non l’ho ringraziata per la minestra… mi ha riscaldato. Era molto buona…” disse lei, guardandola con i suoi grandi occhi neri.
La donna pensò alle circostanze che l’avevano portata da loro e non poté fare a meno di sentirsi formare un groppo in gola.
“Di niente, tesoro… Ora dormi!” le sussurrò, e richiuse la porta senza fare rumore.
Mentre tornava nella sua camera, la donna sperò con tutto il suo cuore che a quella bambina fosse stata risparmiata la verità. Sarebbe stata una pugnalata che quel piccolo cuore davvero non si sarebbe meritato.

  
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