PROLOGO
Illuminata dalla luce
azzurrina di Erithium, il suo gemello minore, l’unico
dei due satelliti di Celestis che brillasse di luce
propria, la Zona Oscura di Neos scintillava di un
bagliore innaturale, che colorava di un colore celeste spento la sua superficie
solitamente bianca, puntellata di crateri e crepacci più o meno vasti, frutto
delle innumerevoli collisioni sia con meteoriti ed asteroidi sia con satelliti,
scarti di astronave e altra pattumiera che gravitava in quella parte di spazio.
Rinchiuso
nella propria tuta protettiva, il dottore scrutava pensieroso l’oceano di
stelle che si stagliava sopra la sua testa, reso opaco e fuligginoso dalla
superficie traslucida della barriera magica che come una cupola avvolgeva
quella porzione di satellite rendendo l’atmosfera, se non respirabile, almeno
un po’ più somigliante a quella del pianeta, facilitando i lavori di scavo e
rendendo il lungo periodo di permanenza in quell’eremo di desolazione e
solitudine un po’ meno faticoso da sopportare.
Erano
ormai molti mesi che, seguendo le cronache e le poche informazioni che era
stato possibile mettere insieme, la spedizione si era avventurata in quei
luoghi, ma a detta dei più le possibilità di trovare qualcosa, e soprattutto
ciò che i committenti del dottore stavano effettivamente cercando, erano quasi
nulle.
Troppo
tempo era passato, senza contare che stando a quegli stessi resoconti niente di
ciò che stavano cercando era sopravvissuto alla più grande opera di insabbiamento
della storia dell’umanità. Ma dopotutto non era lui a metterci i soldi, così
come non gli interessava sapere cosa i suoi capi stessero effettivamente
cercando.
D’un
tratto, un collega gli si fece incontro, sopraggiungendo tutto trafelato fino a
raggiungerlo in cime alla piccola roccia ai margini del campo sopra la quale
era seduto.
«Dottore!
Abbiamo trovato qualcosa!»
«Ne
siete sicuri!?» esclamò lui volgendosi di scatto
«Più che
sicuri! Venga a vedere, presto!».
Il dottore
seguì il collega fin sulle pendici frastagliate di Venus
Canyon, più una stretta e ripida gola che un canyon vero e proprio, e saliti su
di un montacarichi di fortuna scesero entrambi nelle viscere della spaccatura
fino a raggiungerne il fondo, dove l’attività era assai più frenetica che in
superficie.
Il rumore
assordante dei macchinari di scavo, reso udibile dall’atmosfera artificiale,
era solo parzialmente mitigato dal casco, e i fari accesi per combattere l’oscurità
di quello strettissimo pertugio era perfino troppo forte, tanto da risultare
quasi accecante se guardata negl’occhi.
Al centro
di quella specie di cantiere, circondati da una piccola folla di curiosi
ansiosi e un po’ spaventati, come archeologi intenti a disseppellire un
prezioso reperto due operai stavano delicatamente rimuovendo strati di roccia
lunare e polveri da quello che, a vista, appariva come il fossile pietrificato
di una strana quanto inquietante creatura, per buona parte ancora imprigionato
nella pietra.
Come fu
condotto alla presenza del reperto, anche il dottore rimase un momento di
stucco.
Era molto
più grosso di una persona, anche se stabilirne con precisione l’altezza era quanto
mai difficile, sia per via dei detriti che ancora lo avvolgevano sia perché, a
ben guardarlo, mancava sia della testa che della parte inferiore delle gambe,
dal ginocchio in giù. In compenso aveva ancora le braccia, grosse e
sproporzionatamente lunghe, terminanti in mani con tre sole dita, e un lungo
collo simile a quello di una giraffa, avvolto su sé stesso quasi a volerne
diminuire l’estensione avvicinando la testa al resto del corpo; la vertebra più
alta appariva poi stranamente levigata, come se la testa fosse stata recisa di
netto da qualcosa di molto affilato.
Anche la
coda, lunga e carnosa, appariva recisa, anche se di essa, forse a causa della
permanenza alle intemperie, aveva risentito maggiormente del deterioramento,
risultando molto più difficile e complessa da analizzare.
Ciò nonostante
era una fossilizzazione strana, anomala, con la struttura corporea che, per
quanto consumata, sembrava essersi in qualche modo conservata, indurendosi
assieme alle ossa fino a diventare simile alla pietra. La pelle, se di pelle si
poteva parlare, era nera e secca, come fosse stata bruciata, e ad una rapida
occhiata il dottore ipotizzò che forse era stato proprio grazie ad una qualche
eccezionale fonte di calore, unita al freddo della superficie e dello spazio
cosmico, a permettere quella specie di calcificazione.
«Oh, mio
Dio…» balbettò il dottore sgranando gli occhi.
Dodici anni dopo
Il Direttore Harlow interruppe un momento di scorrere uno dei tanti
rapporti che intasavano la memoria del suo computer, strofinandosi gli occhi
stanchi e cercando nel contempo a tentoni la sua pipa di legno che sapeva essere
da qualche parte sopra la scrivania.
Erano
quelli i momenti in cui rimpiangeva di aver accettato il trasferimento ad un
lavoro d’ufficio per gli ultimi anni di servizio nella MAB.
Tutto il giorno chiuso in una stanza a leggere
e compilare scartoffie non faceva per lui, non dopo venti e passa anni spesi a
pattugliare rotte commerciali inseguendo pirati e contrabbandieri, e, anche se
da giovane aveva coltivato il sogno di far parte della Tactical
Magician Division, non era
certo quello ciò che aveva sempre immaginato.
Il
comando del TMD non era certo una mansione da prendere alla leggera, ma dopo tanto
tempo speso tra le stelle sentiva di non avere più la stoffa per guidare nella
maniera più consona le squadre speciali dell’agenzia, dove le parole d’ordine erano
prontezza, esperienza ed efficienza.
Esperienza
ed efficienza non gli facevano difetto, ma la prontezza non era esattamente il
suo forte, o almeno non quel genere di prontezza che ci si aspettava lì dentro.
E quello
che era peggio, negli ultimi mesi si era reso conto di essere rimasto indietro
di trent’anni per quanto riguardava l’insegnamento e l’applicazione delle
dottrine magiche, con giovani e promettenti stregoni che spuntavano come
funghi. Ai suoi tempi tutti coloro, militari e civili, che si presentavano agli
esami per l’ammissione nel TMD avevano un decennio o più di studio forsennato
sulle spalle, e impiegavano una vita ad ottenere anche solo di essere ammessi
alla prova pratica, ora invece era difficile trovarne uno non odorasse ancora
di accademia.
Gillian non
sapeva se questa potesse essere considerata o meno una cosa buona; era vero che
la nuova generazione stava dimostrando una capacità di apprendimento della
magia che quelli della sua età potevano solo sognarsi, ma mettere troppe
responsabilità sulle spalle di ragazzi a momenti neanche ventenni gli sembrava
troppo, soprattutto in un momento come quello.
Quello
di una eccessiva diffusione della magia in strati sociali sempre più ampi era
un problema di cui si dibatteva molto negli ultimi tempi, e la recente
escalation di incidenti legati ai suo utilizzo era il cavallo di battaglia
preferito di chi chiedeva una revisioni delle leggi in materia; ormai era
troppo facile apprendere e sfruttare la magia pur non possedendo la necessaria
esperienza per farlo, e la magia non era certo qualcosa con cui si potesse
giocare.
Anche
l’Ammiraglio in una certa misura la pensava così, però allo stesso tempo non
gli sembrava giusto tarpare le ali a giovani promettenti e volenterosi. Del resto,
non che potesse farci qualcosa.
Di colpo
gli venne voglia di vederli. Di vedere coi suoi occhi la futura generazione di
stregoni militari che avrebbero costituito la punta di diamante della MAB del
futuro.
Raccolta
la sua pipa e spento il computer lasciò l’ufficio, percorse il breve corridoio
del trentesimo piano e si infilò nel più vicino ascensore, dirigendosi verso il
cortile interno dove erano in corso gli allenamenti mattutini delle nuove
reclute.
I membri
del TMD erano una via di mezzo tra una squadra sportiva e una affiatata unità
speciale dell’esercito; vivevano in comunità, nei convitti a loro riservati in
un’altra ala dell’edificio, salvo occasionali periodi di congedo che potevano
andare dai due ai sei mesi. Questo creava maggiore affiatamento e senso di
appartenenza, entrambe cose indispensabili in un gruppo scelto dove la fiducia
reciproca poteva essere spesso qualcosa di vitale.
Non
erano tutti soldati, o quantomeno non provenivano tutti da altre divisioni o
altri uffici della MAB; anche i civili potevano accedere nel TMD, e in quel
caso diventavano personale militare a tutti gli effetti, pur con diverse
qualifiche e privi di un grado che non fosse quello di membri della squadra.
L’addestramento
di un TMD variava a seconda del campo a cui si veniva assegnati, ma lo studio
delle arti marziali e della stregoneria era ovviamente basilare.
Quarant’anni
appena compiuti, il Capitano istruttore Julian Vyce era uno degli elementi più brillanti che il TMD, per
non dire la stessa MAB, avessero mai avuto.
Aveva
fatto parte delle forze di sicurezza per molto tempo, almeno fino al giorno in
cui cinque anni prima, nessuno sapeva bene perché, aveva deciso di ritirarsi
dalle prime linee per dedicarsi all’attività di addestramento; la sua
esperienza nella stregoneria era notevole, e uno degli ultimi provvedimenti
assunti dal precedente Direttore della squadra era stato proprio di nominarlo
istruttore capo delle reclute TMD.
Tutte le
mattine, dalle nove alle undici, le reclude si addestravano al combattimento e
all’esercizio fisico. Quando il Direttore raggiunse il cortile i suoi ragazzi
stavano rientrando dai trenta minuti di corsa nel parco antistante la sede
della squadra, piegati dal caldo di inizio estate ma composti e in riga come si
conveniva ad una futura elite di stregoni militari.
Erano
quasi tutti ragazzi, con sole quattro o cinque ragazze, e quasi tutti avevano
un’età compresa tra i quindici e i ventitre anni. Alcuni maschi si erano
rasati, obbedendo ad una vecchia tradizione che voleva le reclute immediatamente
distinguibili, le ragazze invece o portavano i capelli corti o li tenevano
annodati in una coda di cavallo, come etica militare comandava.
Come al
solito, alla testa della colonna, stava il Capitano Vyce,
con quella sua chioma nero fumo un po’ scompigliata, imperlata di sudore, quei
lineamenti duri e gentili al tempo stesso e quel viso rude, ben proporzionato,
ingentilito da occhi marroni penetranti e vigorosi.
Julian si
accorse della presenza dell’Ammiraglio quando aveva già comandato l’alt, e prima
che i suoi uomini avessero il tempo di rompere i ranghi per riprendere fiato.
«Saluto!»
comandò, e tutti, qualcuno sbuffando vistosamente, si misero sull’attenti
«Riposo,
riposo.» minimizzò Harlow con un cenno della mano.
«Tu li fai lavorare troppo questi poveri ragazzi, Capitano.»
«È
indispensabile, signore».
Caratterialmente
l’Ammiraglio e il Capitano erano quasi agli antipodi, bendisposto e permissivo
il primo, stacanovista e poco incline al compromesso il secondo, ma erano
accomunati entrambi dalla volontà di usare con le reclute, e in particolar modo
coi nuovi arrivati, fermezza, buon senso e tolleranza.
Di
primedonne presuntuose e fanatici arrivisti ce n’erano già troppi in giro,
anche nella MAB, e il TMD certo non ne aveva bisogno.
Su
consiglio dell’Ammiraglio, il Capitano ordinò di rompere le righe, concedendo
una volta tanto alle sue reclute qualche minuto di riposo.
«Posso
fare qualcosa per lei, Ammiraglio?» chiese quindi il giovane ufficiale
«Niente
di che. Ero solo venuto a dare un’occhiata.» quindi l’Ammiraglio gettò uno
sguardo sulle reclute, raccolte tutte in un angolo a litigarsi la precedenza al
distributore automatico. «Sono molto giovani.»
«Purtroppo,
è così che funziona. Ormai l’agenzia li recluta quando sono ancora alle
superiori».
Gillian non
riuscì a non provare, se non tristezza, quantomeno una certa apprensione al
pensiero che ragazzi così giovani potessero trovarsi coinvolti in questioni che
rischiavano di essere troppo grandi per loro.
Per anni
l’umanità si era adagiata troppo sulla convinzione che la m-technology
fosse una scienza senza difetti, e ora stava iniziando a pagarne scotto.
Come
qualunque altra scienza, anche la magia era pericolosa, e spesso era compito
del TMD porre rimedio ai vari incidenti che potevano verificarsi in questi
casi.
Non per
niente,
«D’accordo,
Capitano.» disse tornando alle pratiche che aveva lasciato. «Continui pure.»
«Sissignore.»
rispose Vyce richiamando all’ordine le reclute.
«Avanti voi! Rimettetevi in riga!».
Carmy O’Neill rientrò
nel suo piccolo appartamento anche più tardi del solito, distrutta come non
ricordava di essere mai stata.
Lavorare
all’archivio della procura distrettuale della MAB di Kyrador
era davvero una tortura, e poco importava che avesse accettato volutamente
quell’incarico dopo aver terminato il corso di preparazione per entrare
nell’agenzia.
La sorte
non era stata particolarmente benigna nei suoi confronti.
Come
tanti altri giovani della sua età, era arrivata dalla campagna nella grande
città per inseguire il sogno che aveva coltivato fin dall’infanzia, forte di
una esperienza e di una conoscenza della magia che riteneva non le facessero
difetto.
E
invece, alla prova di ammissione al termine dei tre anni del corso di
formazione, aveva ottenuto un punteggio mediocre, insufficiente per poter
aspirare ad uffici o cariche di un certo rilievo, il che aveva notevolmente
ristretto le sue possibilità di scelta, e in base al regolamento avrebbe dovuto
attendere almeno trenta mesi per poter sostenere nuovamente l’esame.
Di
tornare a casa, dopo quella enorme delusione, non se l’era sentita, non dopo
che per compiere quel passo era arrivata a sfidare la volontà dei genitori,
così aveva chiesto aiuto a quella che sarebbe diventata la sua migliore amica, Julienne, che le aveva concesso metà del suo appartamento.
In questo modo aveva potuto restare in città, ma certo non si aspettava che
l’ufficio logistico le avrebbe assegnato un impiego così poco gratificante.
In buona
sostanza, il lavoro di Carmy consisteva nel fare da
segretaria al procuratore Griffith, che per quanto fosse una persona gentile,
ben disposta e con una forte personalità era peggio di un sergente istruttore,
mai propenso a prendersi una pausa né tanto meno a concederla ai suoi
collaboratori.
Non
esattamente ciò che aveva in mente quando sognava il suo futuro nella MAB, e
come se non bastasse il lavoro che le era stato assegnato, oltre a fornirle ben
poche nozioni per ampliare la sua esperienza e accrescere il suo livello di
preparazione in vista del prossimo esame, la teneva occupata a tal punto da
lasciarle pochissimo tempo per studiare ed esercitarsi.
Purtroppo,
era così che funzionava nella MAB.
A meno
di non essere uscito da una scuola ufficiali, o aver avuto una grossa
raccomandazione, era necessario partire dal basso, e solo in seguito si poteva
sperare in qualche avanzamento di carriera.
Carmy,
barcollando per la stanchezza, andò in cucina; Julienne
aveva il turno di notte alla centrale operativa, ma le aveva lasciato del
minestrone e dell’insalata. La ragazza, però, voleva solo andare a letto, così
si infilò direttamente sotto la doccia e quindi, con ancora indosso
l’accappatoio, si chiuse in camera.
Stava
quasi per prendere sonno, quando, con l’ultimo scampolo di raziocinio, le venne
in mente di agitare un dito nell’aria, aprendo la sua casella di posta
virtuale.
C’erano
i soliti messaggi degli amici di Mablith e un po’ di
pubblicità, niente di davvero importante.
«Judith
diventa sempre più brava.» disse divertita riferendosi alla sorella minore, che
le aveva spedito le foto della sua recita scolastica.
Giusto
per un eccesso di zelo la ragazza aprì anche la sua casella privata dell’agenzia,
trovandovi però, con una certa sorpresa, un messaggio dell’ufficio logistico.
«Che
sarà successo?» si domandò aprendolo.
Probabilmente
si trattava dell’ennesima comunicazione per della documentazione non
consegnata, o qualche sollecito.
C’erano
solo poche righe. Le lesse.
Al Soldato Semplice Carmy
O’Neill
Le comunichiamo il suo trasferimento alla
polizia militare a partire dal prossimo mese.
È pregata di presentarsi quanto prima per
ulteriori informazioni e le specifiche del nuovo incarico.
Ufficio Logistico
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Spero che questo prologo sia stato di
vostro gradimento, e vi abbia interessato.
Allora, andiamo per ordine.
Quello che avete letto è il prologo di un
romanzo sci-fic (immagino si sia capito) che ho
iniziato faticosamente a scrivere riadattando un mio vecchio soggetto.
Il fatto è che, dopo aver ultimato il mio
primo, vero romanzo, questo non ha riscontrato le attenzioni e le simpatie
degli editori, e dopo breve tempo in verità ha incominciato a non convincere
più neanche me.
Così, ho deciso di ricominciare tutto
daccapo, lasciando inalterata l’idea originale (un mondo in cui coesistono
magia e scienza) ma cambiando sostanzialmente il contesto e il plot narrativo,
sì da avere anche una maggiore libertà creativa (la storia originale era ameientata nella nostra epoca, anche se in una realtà
alternativa).
Questo prologo è a tutti gli effetti un
esperimento.
Nuovo stile, nuova trama. Tutto nuovo
insomma.
A seconda delle vostre impressioni, dei
vostri pareri, e anche delle vostre critiche, cercherò di perfezionare tanto la
storia quanto lo stile di scrittura, nella speranza di realizzare un romanzo
che attiri finalmente l’edizione di qualche editore.
Per cui mi raccomando, commentate
numerosi. Qualsiasi cosa direte, anche la più piccola, sarà ben accetta e
costruttiva.
A presto!^_^
Carlos Olivera.