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Autore: Carlos Olivera    26/01/2013    9 recensioni
In un mondo, Celestis, in cui coesistono scienza e stregoneria, e in una città, Kyrador, in cui tutto poggia su di un delicato equilibrio di prosperità, degrado, omertà e opulenza, due organizzazioni si impegnano a garantire il mantenimento della pace e dell'ordine nel nome dell'umanità.
Da una parte, il Magic Administration Bureau (MAB), una forza di sicurezza intergovernativa il cui scopo è tutelare e garantire il corretto utilizzo della magia, dall'altra il suo braccio armato, il Tactical Magician Division (TMD), incaricato di costrastare quanto di più aberrante ed oscuro la magia stessa sia in grado di generare.
La comparsa di una nuova droga, la Lilith, e il ritorno di un'ombra oscura proveniente dal passato, minacceranno all'improvviso di rompere l'equilibrio; e allora, per la giovane cadetta MAB Carmy O'Neill e per i due agenti TMD Julian Vyce e Jake Aulas, verrà il momento di scoprire i molti segreti e gli intricati meccanismi nascosti negli angoli più oscuri della Città delle Nebbie
Genere: Avventura, Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales Of Celestis'
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PROLOGO

 

 

Illuminata dalla luce azzurrina di Erithium, il suo gemello minore, l’unico dei due satelliti di Celestis che brillasse di luce propria, la Zona Oscura di Neos scintillava di un bagliore innaturale, che colorava di un colore celeste spento la sua superficie solitamente bianca, puntellata di crateri e crepacci più o meno vasti, frutto delle innumerevoli collisioni sia con meteoriti ed asteroidi sia con satelliti, scarti di astronave e altra pattumiera che gravitava in quella parte di spazio.

Rinchiuso nella propria tuta protettiva, il dottore scrutava pensieroso l’oceano di stelle che si stagliava sopra la sua testa, reso opaco e fuligginoso dalla superficie traslucida della barriera magica che come una cupola avvolgeva quella porzione di satellite rendendo l’atmosfera, se non respirabile, almeno un po’ più somigliante a quella del pianeta, facilitando i lavori di scavo e rendendo il lungo periodo di permanenza in quell’eremo di desolazione e solitudine un po’ meno faticoso da sopportare.

Erano ormai molti mesi che, seguendo le cronache e le poche informazioni che era stato possibile mettere insieme, la spedizione si era avventurata in quei luoghi, ma a detta dei più le possibilità di trovare qualcosa, e soprattutto ciò che i committenti del dottore stavano effettivamente cercando, erano quasi nulle.

Troppo tempo era passato, senza contare che stando a quegli stessi resoconti niente di ciò che stavano cercando era sopravvissuto alla più grande opera di insabbiamento della storia dell’umanità. Ma dopotutto non era lui a metterci i soldi, così come non gli interessava sapere cosa i suoi capi stessero effettivamente cercando.

D’un tratto, un collega gli si fece incontro, sopraggiungendo tutto trafelato fino a raggiungerlo in cime alla piccola roccia ai margini del campo sopra la quale era seduto.

«Dottore! Abbiamo trovato qualcosa!»

«Ne siete sicuri!?» esclamò lui volgendosi di scatto

«Più che sicuri! Venga a vedere, presto!».

Il dottore seguì il collega fin sulle pendici frastagliate di Venus Canyon, più una stretta e ripida gola che un canyon vero e proprio, e saliti su di un montacarichi di fortuna scesero entrambi nelle viscere della spaccatura fino a raggiungerne il fondo, dove l’attività era assai più frenetica che in superficie.

Il rumore assordante dei macchinari di scavo, reso udibile dall’atmosfera artificiale, era solo parzialmente mitigato dal casco, e i fari accesi per combattere l’oscurità di quello strettissimo pertugio era perfino troppo forte, tanto da risultare quasi accecante se guardata negl’occhi.

Al centro di quella specie di cantiere, circondati da una piccola folla di curiosi ansiosi e un po’ spaventati, come archeologi intenti a disseppellire un prezioso reperto due operai stavano delicatamente rimuovendo strati di roccia lunare e polveri da quello che, a vista, appariva come il fossile pietrificato di una strana quanto inquietante creatura, per buona parte ancora imprigionato nella pietra.

Come fu condotto alla presenza del reperto, anche il dottore rimase un momento di stucco.

Era molto più grosso di una persona, anche se stabilirne con precisione l’altezza era quanto mai difficile, sia per via dei detriti che ancora lo avvolgevano sia perché, a ben guardarlo, mancava sia della testa che della parte inferiore delle gambe, dal ginocchio in giù. In compenso aveva ancora le braccia, grosse e sproporzionatamente lunghe, terminanti in mani con tre sole dita, e un lungo collo simile a quello di una giraffa, avvolto su sé stesso quasi a volerne diminuire l’estensione avvicinando la testa al resto del corpo; la vertebra più alta appariva poi stranamente levigata, come se la testa fosse stata recisa di netto da qualcosa di molto affilato.

Anche la coda, lunga e carnosa, appariva recisa, anche se di essa, forse a causa della permanenza alle intemperie, aveva risentito maggiormente del deterioramento, risultando molto più difficile e complessa da analizzare.

Ciò nonostante era una fossilizzazione strana, anomala, con la struttura corporea che, per quanto consumata, sembrava essersi in qualche modo conservata, indurendosi assieme alle ossa fino a diventare simile alla pietra. La pelle, se di pelle si poteva parlare, era nera e secca, come fosse stata bruciata, e ad una rapida occhiata il dottore ipotizzò che forse era stato proprio grazie ad una qualche eccezionale fonte di calore, unita al freddo della superficie e dello spazio cosmico, a permettere quella specie di calcificazione.

«Oh, mio Dio…» balbettò il dottore sgranando gli occhi.

 

Dodici anni dopo

 

Il Direttore Harlow interruppe un momento di scorrere uno dei tanti rapporti che intasavano la memoria del suo computer, strofinandosi gli occhi stanchi e cercando nel contempo a tentoni la sua pipa di legno che sapeva essere da qualche parte sopra la scrivania.

Erano quelli i momenti in cui rimpiangeva di aver accettato il trasferimento ad un lavoro d’ufficio per gli ultimi anni di servizio nella MAB.

 Tutto il giorno chiuso in una stanza a leggere e compilare scartoffie non faceva per lui, non dopo venti e passa anni spesi a pattugliare rotte commerciali inseguendo pirati e contrabbandieri, e, anche se da giovane aveva coltivato il sogno di far parte della Tactical Magician Division, non era certo quello ciò che aveva sempre immaginato.

Il comando del TMD non era certo una mansione da prendere alla leggera, ma dopo tanto tempo speso tra le stelle sentiva di non avere più la stoffa per guidare nella maniera più consona le squadre speciali dell’agenzia, dove le parole d’ordine erano prontezza, esperienza ed efficienza.

Esperienza ed efficienza non gli facevano difetto, ma la prontezza non era esattamente il suo forte, o almeno non quel genere di prontezza che ci si aspettava lì dentro.

E quello che era peggio, negli ultimi mesi si era reso conto di essere rimasto indietro di trent’anni per quanto riguardava l’insegnamento e l’applicazione delle dottrine magiche, con giovani e promettenti stregoni che spuntavano come funghi. Ai suoi tempi tutti coloro, militari e civili, che si presentavano agli esami per l’ammissione nel TMD avevano un decennio o più di studio forsennato sulle spalle, e impiegavano una vita ad ottenere anche solo di essere ammessi alla prova pratica, ora invece era difficile trovarne uno non odorasse ancora di accademia.

Gillian non sapeva se questa potesse essere considerata o meno una cosa buona; era vero che la nuova generazione stava dimostrando una capacità di apprendimento della magia che quelli della sua età potevano solo sognarsi, ma mettere troppe responsabilità sulle spalle di ragazzi a momenti neanche ventenni gli sembrava troppo, soprattutto in un momento come quello.

Quello di una eccessiva diffusione della magia in strati sociali sempre più ampi era un problema di cui si dibatteva molto negli ultimi tempi, e la recente escalation di incidenti legati ai suo utilizzo era il cavallo di battaglia preferito di chi chiedeva una revisioni delle leggi in materia; ormai era troppo facile apprendere e sfruttare la magia pur non possedendo la necessaria esperienza per farlo, e la magia non era certo qualcosa con cui si potesse giocare.

Anche l’Ammiraglio in una certa misura la pensava così, però allo stesso tempo non gli sembrava giusto tarpare le ali a giovani promettenti e volenterosi. Del resto, non che potesse farci qualcosa.

Di colpo gli venne voglia di vederli. Di vedere coi suoi occhi la futura generazione di stregoni militari che avrebbero costituito la punta di diamante della MAB del futuro.

Raccolta la sua pipa e spento il computer lasciò l’ufficio, percorse il breve corridoio del trentesimo piano e si infilò nel più vicino ascensore, dirigendosi verso il cortile interno dove erano in corso gli allenamenti mattutini delle nuove reclute.

I membri del TMD erano una via di mezzo tra una squadra sportiva e una affiatata unità speciale dell’esercito; vivevano in comunità, nei convitti a loro riservati in un’altra ala dell’edificio, salvo occasionali periodi di congedo che potevano andare dai due ai sei mesi. Questo creava maggiore affiatamento e senso di appartenenza, entrambe cose indispensabili in un gruppo scelto dove la fiducia reciproca poteva essere spesso qualcosa di vitale.

Non erano tutti soldati, o quantomeno non provenivano tutti da altre divisioni o altri uffici della MAB; anche i civili potevano accedere nel TMD, e in quel caso diventavano personale militare a tutti gli effetti, pur con diverse qualifiche e privi di un grado che non fosse quello di membri della squadra.

L’addestramento di un TMD variava a seconda del campo a cui si veniva assegnati, ma lo studio delle arti marziali e della stregoneria era ovviamente basilare.

Quarant’anni appena compiuti, il Capitano istruttore Julian Vyce era uno degli elementi più brillanti che il TMD, per non dire la stessa MAB, avessero mai avuto.

Aveva fatto parte delle forze di sicurezza per molto tempo, almeno fino al giorno in cui cinque anni prima, nessuno sapeva bene perché, aveva deciso di ritirarsi dalle prime linee per dedicarsi all’attività di addestramento; la sua esperienza nella stregoneria era notevole, e uno degli ultimi provvedimenti assunti dal precedente Direttore della squadra era stato proprio di nominarlo istruttore capo delle reclute TMD.

Tutte le mattine, dalle nove alle undici, le reclude si addestravano al combattimento e all’esercizio fisico. Quando il Direttore raggiunse il cortile i suoi ragazzi stavano rientrando dai trenta minuti di corsa nel parco antistante la sede della squadra, piegati dal caldo di inizio estate ma composti e in riga come si conveniva ad una futura elite di stregoni militari.

Erano quasi tutti ragazzi, con sole quattro o cinque ragazze, e quasi tutti avevano un’età compresa tra i quindici e i ventitre anni. Alcuni maschi si erano rasati, obbedendo ad una vecchia tradizione che voleva le reclute immediatamente distinguibili, le ragazze invece o portavano i capelli corti o li tenevano annodati in una coda di cavallo, come etica militare comandava.

Come al solito, alla testa della colonna, stava il Capitano Vyce, con quella sua chioma nero fumo un po’ scompigliata, imperlata di sudore, quei lineamenti duri e gentili al tempo stesso e quel viso rude, ben proporzionato, ingentilito da occhi marroni penetranti e vigorosi.

Julian si accorse della presenza dell’Ammiraglio quando aveva già comandato l’alt, e prima che i suoi uomini avessero il tempo di rompere i ranghi per riprendere fiato.

«Saluto!» comandò, e tutti, qualcuno sbuffando vistosamente, si misero sull’attenti

«Riposo, riposo.» minimizzò Harlow con un cenno della mano. «Tu li fai lavorare troppo questi poveri ragazzi, Capitano.»

«È indispensabile, signore».

Caratterialmente l’Ammiraglio e il Capitano erano quasi agli antipodi, bendisposto e permissivo il primo, stacanovista e poco incline al compromesso il secondo, ma erano accomunati entrambi dalla volontà di usare con le reclute, e in particolar modo coi nuovi arrivati, fermezza, buon senso e tolleranza.

Di primedonne presuntuose e fanatici arrivisti ce n’erano già troppi in giro, anche nella MAB, e il TMD certo non ne aveva bisogno.

Su consiglio dell’Ammiraglio, il Capitano ordinò di rompere le righe, concedendo una volta tanto alle sue reclute qualche minuto di riposo.

«Posso fare qualcosa per lei, Ammiraglio?» chiese quindi il giovane ufficiale

«Niente di che. Ero solo venuto a dare un’occhiata.» quindi l’Ammiraglio gettò uno sguardo sulle reclute, raccolte tutte in un angolo a litigarsi la precedenza al distributore automatico. «Sono molto giovani.»

«Purtroppo, è così che funziona. Ormai l’agenzia li recluta quando sono ancora alle superiori».

Gillian non riuscì a non provare, se non tristezza, quantomeno una certa apprensione al pensiero che ragazzi così giovani potessero trovarsi coinvolti in questioni che rischiavano di essere troppo grandi per loro.

Per anni l’umanità si era adagiata troppo sulla convinzione che la m-technology fosse una scienza senza difetti, e ora stava iniziando a pagarne scotto.

Come qualunque altra scienza, anche la magia era pericolosa, e spesso era compito del TMD porre rimedio ai vari incidenti che potevano verificarsi in questi casi.

Non per niente, la MAB esisteva proprio per garantire e regolamentare il corretto utilizzo della magia; o almeno, questo era il proposito con cui era stata istituita.

«D’accordo, Capitano.» disse tornando alle pratiche che aveva lasciato. «Continui pure.»

«Sissignore.» rispose Vyce richiamando all’ordine le reclute. «Avanti voi! Rimettetevi in riga!».

 

Carmy O’Neill rientrò nel suo piccolo appartamento anche più tardi del solito, distrutta come non ricordava di essere mai stata.

Lavorare all’archivio della procura distrettuale della MAB di Kyrador era davvero una tortura, e poco importava che avesse accettato volutamente quell’incarico dopo aver terminato il corso di preparazione per entrare nell’agenzia.

La sorte non era stata particolarmente benigna nei suoi confronti.

Come tanti altri giovani della sua età, era arrivata dalla campagna nella grande città per inseguire il sogno che aveva coltivato fin dall’infanzia, forte di una esperienza e di una conoscenza della magia che riteneva non le facessero difetto.

E invece, alla prova di ammissione al termine dei tre anni del corso di formazione, aveva ottenuto un punteggio mediocre, insufficiente per poter aspirare ad uffici o cariche di un certo rilievo, il che aveva notevolmente ristretto le sue possibilità di scelta, e in base al regolamento avrebbe dovuto attendere almeno trenta mesi per poter sostenere nuovamente l’esame.

Di tornare a casa, dopo quella enorme delusione, non se l’era sentita, non dopo che per compiere quel passo era arrivata a sfidare la volontà dei genitori, così aveva chiesto aiuto a quella che sarebbe diventata la sua migliore amica, Julienne, che le aveva concesso metà del suo appartamento. In questo modo aveva potuto restare in città, ma certo non si aspettava che l’ufficio logistico le avrebbe assegnato un impiego così poco gratificante.

In buona sostanza, il lavoro di Carmy consisteva nel fare da segretaria al procuratore Griffith, che per quanto fosse una persona gentile, ben disposta e con una forte personalità era peggio di un sergente istruttore, mai propenso a prendersi una pausa né tanto meno a concederla ai suoi collaboratori.

Non esattamente ciò che aveva in mente quando sognava il suo futuro nella MAB, e come se non bastasse il lavoro che le era stato assegnato, oltre a fornirle ben poche nozioni per ampliare la sua esperienza e accrescere il suo livello di preparazione in vista del prossimo esame, la teneva occupata a tal punto da lasciarle pochissimo tempo per studiare ed esercitarsi.

Purtroppo, era così che funzionava nella MAB.

A meno di non essere uscito da una scuola ufficiali, o aver avuto una grossa raccomandazione, era necessario partire dal basso, e solo in seguito si poteva sperare in qualche avanzamento di carriera.

Carmy, barcollando per la stanchezza, andò in cucina; Julienne aveva il turno di notte alla centrale operativa, ma le aveva lasciato del minestrone e dell’insalata. La ragazza, però, voleva solo andare a letto, così si infilò direttamente sotto la doccia e quindi, con ancora indosso l’accappatoio, si chiuse in camera.

Stava quasi per prendere sonno, quando, con l’ultimo scampolo di raziocinio, le venne in mente di agitare un dito nell’aria, aprendo la sua casella di posta virtuale.

C’erano i soliti messaggi degli amici di Mablith e un po’ di pubblicità, niente di davvero importante.

«Judith diventa sempre più brava.» disse divertita riferendosi alla sorella minore, che le aveva spedito le foto della sua recita scolastica.

Giusto per un eccesso di zelo la ragazza aprì anche la sua casella privata dell’agenzia, trovandovi però, con una certa sorpresa, un messaggio dell’ufficio logistico.

«Che sarà successo?» si domandò aprendolo.

Probabilmente si trattava dell’ennesima comunicazione per della documentazione non consegnata, o qualche sollecito.

C’erano solo poche righe. Le lesse.

 

Al Soldato Semplice Carmy O’Neill

Le comunichiamo il suo trasferimento alla polizia militare a partire dal prossimo mese.

È pregata di presentarsi quanto prima per ulteriori informazioni e le specifiche del nuovo incarico.

Ufficio Logistico

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Spero che questo prologo sia stato di vostro gradimento, e vi abbia interessato.

Allora, andiamo per ordine.

Quello che avete letto è il prologo di un romanzo sci-fic (immagino si sia capito) che ho iniziato faticosamente a scrivere riadattando un mio vecchio soggetto.

Il fatto è che, dopo aver ultimato il mio primo, vero romanzo, questo non ha riscontrato le attenzioni e le simpatie degli editori, e dopo breve tempo in verità ha incominciato a non convincere più neanche me.

Così, ho deciso di ricominciare tutto daccapo, lasciando inalterata l’idea originale (un mondo in cui coesistono magia e scienza) ma cambiando sostanzialmente il contesto e il plot narrativo, sì da avere anche una maggiore libertà creativa (la storia originale era ameientata nella nostra epoca, anche se in una realtà alternativa).

Questo prologo è a tutti gli effetti un esperimento.

Nuovo stile, nuova trama. Tutto nuovo insomma.

A seconda delle vostre impressioni, dei vostri pareri, e anche delle vostre critiche, cercherò di perfezionare tanto la storia quanto lo stile di scrittura, nella speranza di realizzare un romanzo che attiri finalmente l’edizione di qualche editore.

Per cui mi raccomando, commentate numerosi. Qualsiasi cosa direte, anche la più piccola, sarà ben accetta e costruttiva.

A presto!^_^

Carlos Olivera.

 

  
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