Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: LilithJow    05/02/2013    10 recensioni
[..] Gli occhi di Johanna mi fissavano ancora e - non per mia impressione - si erano avvicinati parecchio al mio viso, più di quanto avessero fatto giorni prima, a scuola.
Ma, proprio come quella volta, qualcosa accadde: ancora quelle ombre rosse che le attraversarono l'iride. Più forti, più scure, più continue: le vidi chiaramente, e non era né un riflesso di luce né una mia fantasia né, tanto meno, per via di una botta in testa. Li fissai, incredulo, ma allo stesso tempo incuriosito: a cosa era dovuto? Non ne avevo la benché minima idea. Forse internet mi avrebbe dato delle risposte, oppure – cosa molto più probabile – riempito di ansie, paure e paranoie.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Lullabies Saga'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 3
"Insomnia"


Dicono che quando si dorme, la nostra attività cerebrale aumenti, invece che diminuire. Nel sonno, si attivano una marea di meccanismi che plagiano il nostro inconscio, ripescando cose che avevamo dimenticato, cose che non pensavamo di aver vissuto. A volte, nei sogni, possiamo addirittura vedere cosa sarebbe successo se avessimo fatto una sola scelta diversa nella nostra vita.

Spesso, a me capitava di vedere la mia ex ragazza, Tiffany. Vidi cosa sarebbe successo se le avessi perdonato il tradimento con il mio – ex anche lui – migliore amico e, per quanto fosse possibile, le alternative erano addirittura peggiori della realtà stessa.
Ecco perché desideravo non sognare o, perlomeno, dato che è impossibile non farlo, non ricordare nulla al mio risveglio. Il problema era che riuscivo a ricordare sempre tutto ed era opprimente.

Da quando mi ero trasferito a Chicago, avevo dormito abbastanza bene ed ero stato in grado di rimuovere ben presto i sogni della notte dalla mia testa. Ma, dopo poco più di due settimane di tranquillità, l'insonnia tornò e così mi ritrovai alle due di notte, in piedi, in cucina, a rigirare tra le mani una tazza di tè ormai freddo.
Tenevo lo sguardo basso, assente. Desideravo davvero dormire, sprofondare nel letto e lì rimanere per tutto il weekend, ma... Dannato inconscio.
Sovrappensiero, fui scosso solamente da un rumore, proveniente dalla mia camera. Qualcosa di leggero, che di giorno non avrei mai sentito a causa del traffico per strada e dalla grandezza della casa, ma la quiete della notte rendeva ogni mio senso più acuto.
Mi alzai di scatto e cominciai a muovermi lentamente verso la mia stanza, dopo aver recuperato la prima cosa che trovai, per difendermi.
“Oh, certo, un ombrello ti sarà molto utile per difenderti da un potenziale assassino!” mi sgridò una vocina nella mia testa e sbuffai per zittirla.
Continuai a camminare a passi felpati, a piedi nudi sulle mattonelle di ceramica bianca, fino alla camera in fondo al lungo corridoio. Allungai la mano, per aprire piano la porta e presi un respiro profondo, stringendo tra le dita l'ombrello. Per favore!” si lamentò ancora la stessa vocina. Sbuffai ancora.
Mi girai di scatto, pronto a colpire chiunque si fosse intrufolato in casa – se mai ci fosse stato qualcuno.
Sobbalzai quando vidi Johanna accanto alla finestra, in un pigiama composto da pantaloncini a righe chiare e una canottiera bianca. Cacciai un urlo molto simile a quello di una bambina e lo stesso fece lei, vedendomi.

Quella sì che era una pessima figura.

«Jo!» esclamai, chiudendo di getto la porta, per evitare che mia madre sentisse ulteriori rumori, e gettai a terra la mia arma di difesa. «Cosa... Che ci fai qui?».

«Non riuscivo a dormire. Ho visto la luce accesa e allora...».

«E come sei entrata?».

«Dalla finestra».

«Dalla...». Strabuzzai gli occhi e iniziai a gesticolare. Accadeva sempre quando ero nervoso. «Siamo al nono piano!».

«Lo so, ho usato la scala antincendio». Fece una pausa, abbozzando un sorriso. «E' finito l'interrogatorio?».

Allargai le braccia e scossi appena la testa. «Credo di sì». Mossi qualche passo nella sua direzione e lei fece lo stesso. «Ti stavo quasi per rompere quel vaso. Per fortuna hai la moquette» disse, abbozzando una risata.

«Previene anche molti incidenti, sai?».

«No, questa me la devo segnare». Fece un'altra breve pausa, portandosi una ciocca di capelli dietro ad un orecchio. «Non riuscivi a dormire nemmeno tu?».

«No». Sospirai e mi sedetti sul letto, proprio lì vicino. Johanna mi seguì, quasi fosse la mia ombra. «Non ci riesco da un bel po', ormai» aggiunsi, sussurrando.

«Posso chiederti il motivo?».

«Troppi pensieri, credo».

«Riguardo?».

Abbozzai un sorriso, ironico. Conoscevo Johanna da quanto? Dieci giorni, circa, o qualcuno di più. Non sapevo se fosse giusto buttarle addosso i miei problemi passati e le mie insicurezze attuali. Lei, di fatto, era una estranea.
Un'estranea che si trovava nella mia camera da letto, in pigiama, a quell'ora di notte.

“Già, proprio un'estranea”. La vocina nella mia testa mi fece il verso e rise di me.

Restai in silenzio e non risposi alla sua ultima domanda, il che le fece capire che, forse, non volevo dire nulla. «Okay, non ne vuoi parlare» esclamò allora, rivolgendo lo sguardo altrove, ad osservare ogni dettaglio della stanza, quasi lo dovesse analizzare e catalogare. «No» sussurrai. «Cioè, no, non è vero che non ne voglio parlare, è che...».
«C'entra una ragazza?» chiese Johanna, continuando la sua osservazione scrupolosa. «C'entrava» risposi, mordendomi piano il labbro inferiore.

«Ti ha mollato?».

Spalancai la bocca e strabuzzai gli occhi. «Hai... Un tatto fenomenale».

Johanna rise e i suoi occhi verdi smeraldo tornarono su di me. Non seppi perché, ma rabbrividii quando lo fece. Possibile che avessero uno strano potere? Perché, davvero, sentivo di esserne schiavo. «Mi piace essere diretta» disse. «Allora? Ti ha mollato?».

«No, non mi ha... Mollato. L'ho fatto io».

«E perché mai?».

«Lei mi... Tradiva con il mio migliore amico, da un po'».

La vidi fare una smorfia e poi scoppiò a ridere, mentre il mio essere perplesso e stupido aumentava a dismisura. «Tu stai ridendo!» esclamai, stridulo.

«Sì, scusa» replicò, portandosi una mano alla bocca, cercando in tutti i modi di tornare seria. Ci riuscì solo dopo cinque minuti buoni. «Scusa. Scusa» bofonchiò «è che lo trovo...».

«Patetico?».

«No. Insensato».

«Insensato?».

«Sì. Tu sei... Molto carino e dolce. Penso che una ragazza dovrebbe ritenersi fortunata ad averti come fidanzato, anziché tradirti col primo che passa solo perché ha maggiore sex appeal».

Fui nuovamente muto, ma i motivi erano diversi, rispetto a poco prima. Era un complimento, quello? Ero talmente abituato a non riceverne mai, da nessuno, soprattutto da una ragazza, che mi parve che il mio cuore si fosse fermato.Mi sentii un'idiota in quel momento.

“Oh, qualcuno sta arrossendo qui”. Persino la mia coscienza colse il mio imbarazzo e ci cantilenò sopra.

Sorrisi, facendo spuntare le mie amate-odiate fossette sulle guance. Gli occhi di Johanna mi fissavano ancora e - non per mia impressione - si erano avvicinati parecchio al mio viso, più di quanto avessero fatto giorni prima, a scuola.
Ma, proprio come quella volta, qualcosa accadde: ancora quelle ombre rosse che le attraversarono l'iride. Più forti, più scure, più continue: le vidi chiaramente, e non era né un riflesso di luce né una mia fantasia né, tanto meno, per via di una botta in testa. Li fissai, incredulo, ma allo stesso tempo incuriosito: a cosa era dovuto? Non ne avevo la benché minima idea. Forse internet mi avrebbe dato delle risposte, oppure – cosa molto più probabile – riempito di ansie, paure e paranoie.
Ero piuttosto certo di aver appena assunto un'aria da perfetto idiota, ancor peggio del sorriso ebete di poco prima. Johanna se ne accorse, tuttavia non si scostò ancora.

«Qualcosa non va?» domandò, innocente.

“I tuoi occhi non vanno” pensai, ma tutto ciò che mi uscì di bocca fu: «I tuoi occhi. Sono bellissimi».

Già, ero passato dall'essere quasi spaventato da quello strano fenomeno che la riguardava a farle un apprezzamento. Mi pizzicai la lingua con i denti, per rimproverarmi, credo.

«Oh, grazie» sussurrò lei. «Me lo dicono in molti».

Non avevo nessun dubbio su quello.

«Beh, hanno ragione, sono...».

«Vorresti baciarmi?» disse ad un tratto, smorzando per l'ennesima volta una mia frase.

«Come?» chiesi, retorico, fingendo di non aver afferrato il concetto.

«Con la bocca. Come, se no?».

«Quello lo avevo capito, intendevo... Cioè... Io... Noi... Ehm...».

Dovetti correggermi: non erano solo gli occhi di Johanna a mandarmi in tilt. Era lei, in tutto e per tutto.

Completamente.

Johanna Wilkinson mi mandava letteralmente in tilt.

In tutta risposta, rise e una sua mano raggiunse i miei capelli. Li scompigliò tutti e si alzò dal letto, facendo mezzo giro su se stessa. «Oltre a carino e dolce, sei anche adorabile» esclamò. Scossi appena la testa. Quella era la ragazza più strana con cui io avessi mai avuto a che fare e, in quel momento, stavo tralasciando di proposito le ombre rosse.
«Ora è meglio che vada» aggiunse, poco dopo. «Cerca di dormire, ragazzo carino, dolce e adorabile, domani dobbiamo studiare per il compito di chimica».
«Già, fa'... Lo stesso anche tu» biascicai e la vidi uscire dalla finestra, così come era entrata.
Aspettai che nessun rumore provenisse più dall'esterno e raggiunsi tempestivamente la scrivania. Accesi il mio portatile – ultima generazione, lo adoravo, grazie agenzia di mamma! - e avviai una ricerca online. 
Esattamente, non sapevo cosa cercare. Optai per “iride ombre rosse”, il che mi sembrò abbastanza stupido. Roteai gli occhi, maledicendomi per quello che stavo facendo.
La pagina di Bing con i risultati si aprì dopo qualche secondo, in contemporanea con la porta della mia stanza.

«Simon!».

Era mia madre.

Chiusi il pc di scatto, non leggendo nemmeno una riga di ciò che era apparso sullo schermo.

«Sei ancora sveglio? Ma sai che ore sono?».

«Uhm, sì» balbettai. «Non riuscivo a... Prendere sonno, così mi sono fatto un tè e adesso... Adesso, sì, torno a letto».

Lei si limitò ad annuire, evidentemente ancora avvolta dal sonno. «D'accordo» disse, sbadigliando. «E ricordati di spegnere le luci».

«Sì, certo».

Ritornai ad essere solo dopo neanche un minuto. Ebbi l'istinto di riaprire il pc e immergermi nelle ricerche, ma alla fine lasciai perdere. Era meglio lasciar perdere, almeno per quella volta.

  
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: LilithJow