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Autore: LilithJow    13/02/2013    7 recensioni
[..] Gli occhi di Johanna mi fissavano ancora e - non per mia impressione - si erano avvicinati parecchio al mio viso, più di quanto avessero fatto giorni prima, a scuola.
Ma, proprio come quella volta, qualcosa accadde: ancora quelle ombre rosse che le attraversarono l'iride. Più forti, più scure, più continue: le vidi chiaramente, e non era né un riflesso di luce né una mia fantasia né, tanto meno, per via di una botta in testa. Li fissai, incredulo, ma allo stesso tempo incuriosito: a cosa era dovuto? Non ne avevo la benché minima idea. Forse internet mi avrebbe dato delle risposte, oppure – cosa molto più probabile – riempito di ansie, paure e paranoie.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lullabies Saga'
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Capitolo 5
"Complicated"


La psicologia umana è qualcosa di estremamente complicato. Ci sono innumerevoli situazioni, comportamenti, gesti, che il nostro cervello non riesce ad interpretare; non riesce a dar loro una spiegazione logica perché, nella maggior parte dei casi, questa nemmeno c'è.
La linea che traccia il confine tra l'esser sano e l'esser pazzo è estremamente sottile, un po' come quella che separa l'odio e l'amore, il dolore e il piacere.
Io sentivo di esser in bilico su quella linea, con la paura addosso di cadere sia da una parte che dall'altra.

Da quando Johanna mi aveva praticamente mollato lì, da solo, in piscina, non l'avevo più vista. Per la settimana che seguì, non si fece viva a scuola, né allo studio quotidiano al pomeriggio, né, tanto meno, ci furono le sue visite in camera mia nel cuore della notte. Era come se fosse scomparsa e per un attimo cominciai seriamente a temerlo.
Ancora non mi spiegavo cosa fosse successo tra noi, in acqua. C'era stato quel bacio, che mi aveva tolto il fiato e poi quel leggero incidente. Bastava seriamente solo quello per far sì che lei si dissolvesse nel nulla?
Mi passò per la testa di andare a bussare alla porta del suo appartamento, inventandomi qualche scusa stupida, o di chiamarla, ma ogni volta ci fu qualcosa a trattenermi: dubbi, incertezze o altre domande senza risposta che vagavano e si scontravano nel mio cervello, rischiando di farlo esplodere.
Feci la mia ricerca su internet, riguardo gli occhi rossi, ma, a parte qualche leggenda metropolitana per nulla credibile e qualche film horror, non trovai niente di davvero utile.

Anche quella sera, rimasi immobile nel mio letto, sfatto da chissà quando, a fissare il soffitto. Chiusi gli occhi, svariate volte, sperando che il sonno mi colpisse e mi avvolgesse in qualche modo, ma nulla accadde. La mia insonnia era sempre più insistente.
Nemmeno scrivere o leggere mi aiutò più di tanto, anzi, sembrò peggiorare la situazione.

Mi rigirai sul materasso. Prima su un lato, poi sull'altro, di nuovo da quello opposto, finché qualcosa cambiò.

«Ehi».

Mi misi di scatto seduto sul letto e mi voltai. Johanna stava in piedi, accanto alla finestra, con addosso un vestito bianco che quasi si confondeva con la sua pelle color latte. Così mi alzai e le andai incontro, fermandomi a qualche centimetro da lei. «Pensavo non volessi più vedermi» sussurrai, mordendomi appena il labbro inferiore. «No, io...» biascicò e abbassò lo sguardo, fissandosi i piedi scalzi. «Scusa per... L'altro giorno».

«Non fa niente, te l'ho detto».

Johanna sorrise timidamente e mosse un passo nella mia direzione. Una sua mano si poggiò sulla mia spalla e l'altra raggiunse il mio collo. D'istinto, mi sporsi verso di lei e le nostre labbra si sfiorarono, per un secondo bacio, più lieve e delicato, rispetto al primo.
Poggiai i palmi sui suoi fianchi e la fronte sulla sua, quando ci staccammo.
Fino a quel suo ritorno, non mi ero reso conto che mi fosse davvero mancata e fu strano, perché non avevo mai pensato che potesse succedere una cosa del genere, non a me, non così presto. Eppure, eccomi lì, inchiodato ai suoi occhi come sempre, succube del suo respiro e del suo tocco.

«Che cosa è successo, l'altro giorno, Jo?» sussurrai, anche se, in realtà, non avrei voluto dire nulla. «Sei... Scappata via e poi sei sparita per tutto questo tempo, io...».

«Ho avuto paura» biascicò, accarezzandomi delicatamente il petto. Sembrava essere decisamente più calma e tranquilla, rispetto all'ultimo momento passato insieme.

«Di cosa?».

«Di te».

«Di me? Ti faccio paura?».

«No, non in quel senso, te l'ho detto: sei adorabile». Fece una breve pausa e si sollevò sulla punta dei piedi, per baciarmi sulle labbra, ancora una volta. «Ho paura di legarmi a te e poi non essere più in grado di lasciarti andare».

«Non devi farlo».

Sorrise appena, ma senza entusiasmo. «E' complicato» mormorò.

Complicato.

Avevo sempre odiato quella parola, fin troppo. Ogni cosa che non ero in grado di comprendere, semplicemente, la odiavo.

«Prova a spiegarmelo lo stesso» dissi, allora.

«Ti annoierei».

«No, non è vero».

Johanna si morse lievemente il labbro inferiore e si staccò da me piano. «Voglio chiederti una cosa» esclamò, sviando in modo palese il discorso. Feci finta di niente: se non me ne voleva parlare, mi stava bene. Avrei aspettato, finché non fosse stata pronta.

«Chiedimela» replicai.

«Vuoi venire al ballo con me?».

«Al... Ballo?». Alzai un sopracciglio, perplesso.

«Sì» replicò, abbozzando una risata. «Quello d'inverno. Siamo un po' in ritardo quest'anno, ma lo faremo e... Mi piacerebbe andarci con te».

Nessuno mai mi aveva proposto una cosa del genere, anche perché, in vita mia, ero stato ad un solo ballo, quello dell'ultimo anno delle medie, ed ero stato io a chiederlo a Tiffany, ricevendo un sonoro no. In quell'occasione, avevo passato la serata con Andrew, a ridere di sciocchezze, per distrarci.
Invece, stava succedendo per davvero. Nella nuova città, non solo avevo una ragazza – potevo considerare Johanna così? - ma stavo anche per partecipare al ballo scolastico insieme a lei, per sua proposta.

Sorrisi – come un'idiota, di sicuro. “Ecco le fossette” pensai.

«Piacerebbe molto anche a me» sussurrai.

«Devo prenderlo come un sì?».

«Un super-sì. Ma solo se mi prometti di non sparire di nuovo».

«Non sparirò».

La vidi abbozzare un sorriso e indietreggiare di un passo. Evidentemente, si preparava per andarsene. «Perché non resti?» dissi, di getto, senza rimuginarci troppo sopra. A volte, era meglio seguire l'istinto. «Restare?» mormorò lei.
«Sì, potresti... Dormire qui, se... Se i tuoi genitori vogliono, insomma... In realtà, potresti anche rientrare in camera tua prima che loro se ne accorgano, dato che usi le finestre come fossero porte».
Rise, a quella mia affermazione e lo feci anche io, come se il suo buonumore fosse lo stesso mio. «D'accordo» sussurrò. «Non russi, vero?».
Storsi per un attimo le labbra, il che mi fece assumere un'espressione di disappunto. Johanna rise di nuovo. «Sto scherzando, ragazzo carino» disse e allungò una mano, prendendo la mia. Le nostre dita si intrecciarono, mentre lei mi conduceva verso il letto, dove ci sdraiammo, l'uno di fianco all'altro, con gli sguardi incastonati e legati da qualcosa che non seppi definire.
Forse, un magnete e una calamita. Ecco: i miei occhi venivano attirati dai suoi mediante lo stesso processo. Diamanti verdi e azzurri che si scioglievano e univano, senza scontrarsi o respingersi.

«Sei riuscito a dormire queste notti?» domandò, prendendo a sfiorarmi con i polpastrelli l'incavo del collo. Scossi appena la testa. «No» mormorai «e stavolta dovresti sapere il perché».

«Sono stata la causa della tua insonnia, quindi?».

«Una specie».

«Mi dispiace».

«Non devi. Dispiacerti, intendo».

«Forse un po' sì».

Johanna strisciò sul materasso, fino a quando le punte dei nostri nasi non riuscirono a sfiorarsi. Le sue carezze continuarono e tutto ciò mi portò a rilassarmi in maniera più che incredibile. Socchiusi gli occhi, avvolto da quella beatitudine e non passo molto prima che il sonno sopraggiungesse.

Oltre ad essere la causa del mio non-dormire, delle volte, lei risultava essere anche la mia cura per farlo.

Quando riaprii gli occhi, ero solo, coperto dal piumone azzurro fino al fianco. La mia mano poggiava sul materasso vuoto. La mossi un po', nel dormiveglia: forse Johanna si era solo spostata un po'.

Ovviamente non era così.

Al suo posto, trovai un biglietto, abbandonato sul cuscino. Lo rigirai tra le mani, prima di leggerlo.

Sono andata via all'alba, ma non ho voluto svegliarti. Non sono sparita, ti ho promesso che non l'avrei fatto. Torno da te nel pomeriggio. Dolce risveglio, ragazzo carino. Johanna”. 

  
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