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Autore: Brooke Davis24    15/02/2013    2 recensioni
1708, Altoona, Pennsylvania.
Sophie, il suo essere indomita, caparbia, fiera, spesso sfrontata ma più di tutto donna, come poche altre riuscivano ad essere a quel tempo. Incastrata da un affetto troppo grande per non essere deleterio, riuscirà a liberare il suo cuore dalle catene che tentano di soggiogarlo?
Tratto dal terzo capitolo:
"Ora che nessuno avrebbe più potuto farle pesare ciò che era, rimpianse di non averlo compreso prima, di aver versato lacrime amare per via del modo in cui era stata guardata. Non avere i genitori era sbagliato, parlare con la gente di colore era sbagliato, correre, inzaccherarsi nel fango, giocare alla guerra con i ragazzetti era sbagliato, rispondere a tono era sbagliato. Esisteva qualcosa nel mondo che, per una donna, non fosse compromettente? La risposta era giunta qualche tempo dopo la sua partenza, quando il suo cuore le aveva suggerito che, qualunque cosa avesse fatto, la gente l’avrebbe additata per il solo gusto di farla sentire fuori posto, arrogandosi un diritto che nessuno avrebbe dovuto possedere su un essere umano. Come poteva un uomo giudicare l’anima di un altro e il modo in cui essa veniva espressa senza mai averne preso visione?"
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
Capitoli:
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Per l'ennesima volta, mi scuso per il ritardo ed eventuali errori ed incongruenze, ma ho scritto il capitolo nel bel mezzo di due esami, presa dalla voglia di buttare giù i pensieri, e non ho ancora avuto modo di rileggerlo con calma. Spero vi piaccia comunque. =)
Buona lettura!



10. Pareggio dei conti

Dal momento in cui lo aveva visto abbandonare la radura a passo spedito, Sophie non aveva più incontrato suo marito. Le domestiche l’avevano informata che era usanza del padrone allontanarsi di casa per intervalli di tempo più o meno vari e che, in quell’occasione, aveva rovistato tra il mucchio di biancheria sparsa per il giardino, estratto un completo distinto e, mandando a chiamare la carrozza, era partito con un cipiglio oscuro come poche altre volte ne aveva avuti. Le informazioni che era riuscita  a cavar loro di bocca non erano state in grado si placare la sua curiosità e, benché scalpitasse all’idea di comprendere cosa avesse inteso Greta con quella frase pronunciata nella foresta, era consapevole che interrogarla non le avrebbe fornito nessun risultato.
La servitù pareva schierata su un unico fronte e, pur non avendo rivolto ulteriori domande, la giovane aveva compreso che qualunque cosa le sarebbe stata detta di lì in poi non avrebbe messo in pericolo l’eventuale segreto di Carter. Per questa ragione e per il suo modo d’essere, si era impedita di arrovellarsi ancora sulla questione e, a distanza di quasi cinque giorni dal parapiglia che l’aveva vista diretta protagonista, poteva dirsi assolutamente lieta dell’assenza del marito a tal punto che non avrebbe saputo rimpiangere l’idea di averlo in giro per tutto il tempo e da aborrire l’evenienza che l’idillio si potesse infrangere di lì a breve.
Nonostante l’evidente diffidenza che i domestici nutrivano per lei, Sophie non aveva dato loro modo di lamentarsi ed era stata così silente e discreta che spesso li aveva sentiti chiedersi dove fosse finita e come mai passasse così poco tempo in casa. Ridendo, aveva immaginato che nelle loro menti la moglie ideale avrebbe dovuto trascorrere ore e ore a filare, rammendare, farsi graziosa e attendere con grossi sospiri il momento in cui il beneamato avrebbe fatto ritorno al loro nido; a quel punto, sempre secondo le loro aspettative, avrebbero dovuto giacere insieme nella camera padronale e sperare che il seme di lui attecchisse nel suo ventre per dar vita ad una sana e robusta prole, della cui bellezza non dubitavano affatto.
Se l’opinione che avevano in merito al suo carattere era piuttosto vaga, infatti, altrettanto non poteva dirsi dell’ammirazione che nutrivano per la sua figura. Greta stessa le aveva confidato che la servitù era rimasta fortemente compiaciuta dal suo fascino e che la voce sulla sua beltà si era sparsa a macchia d’olio per il vicinato, rendendola più conosciuta di quanto non avesse voluto. Certo, aveva aggiunto,dovreste mettere su un po’ di peso ma siete la donna più incantevole che si sia mai vista da queste parti!, e Sophie si era ben guardata dall’approfondire l’argomento, liquidando la conversazione con un breve sorriso e un ringraziamento spiccio. Non amava i complimenti, né le eventuali aspettative su una futura progenie che avrebbe dovuto necessariamente disattendere.
In quegli ultimi giorni, tuttavia, qualcosa era cambiato in lei e di riflesso il comportamento degli altri era mutato a sua volta. Stanca di recitare la parte del fantasma parassita e di starsene con le mani in mano dall’alba al tramonto, una mattina si era recata presso le scuderie con indosso i suoi abiti da lavoro e, ignorando le espressioni sgomente dello stalliere e del nipote, più giovane di lei di appena due anni, aveva chiesto di poterli affiancare nella cura dei cavalli, svolgendo le usuali mansioni che spettavano ad un garzone qualunque. Impossibilitati ad opporsi alla richiesta della nuova signora, cui avrebbero dovuto lo stesso rispetto di padron Matthews, l’avevano osservata, dapprima, con curiosità e reticenza e, in un secondo momento, con stupore ed ammirazione: come aveva promesso il giorno in cui si era presentata al loro cospetto, aveva lavorato alacremente e si era occupata delle bestie e dei loro giacigli senza mai lamentarsi per la fatica.
Aveva spalato il letame, lo aveva trasportato nel luogo in cui veniva ammassato per essere usato come concime, aveva strigliato gli animali, pulito i loro zoccoli e persino medicato le loro ferite; ma ciò che più li aveva stupiti era il modo in cui ogni singolo cavallo pareva rispondere al richiamo di lei con infinita sottomissione. E la loro disperazione si era trasformata in sgomento quando un giorno, di ritorno dall’abbeveratoio, avevano trovato la stalla vacante e la loro forsennata corsa alla ricerca dei destrieri li aveva condotti nella prateria lì vicino. In groppa ad uno di essi, Sophie aveva lasciato che corressero, brucassero l’erba e semplicemente godessero dell’aria fresca e del tiepido sole di quella mattina senza l’impiccio di selle o briglie.
Da quell’istante, nonno e nipote avevano sviluppato per lei un’ammirazione tale da rasentare i limiti dell’idolatria. Osservarla galoppare, ridere, sussurrare agli animali comandi che ognuno di essi aveva eseguito senza obiezioni e ricondurli alle scuderie con solo ausilio di un cenno li aveva impressionati e sconcertati. Com’era possibile? Che diavoleria era mai quella? Ma, soprattutto, dove il padrone aveva trovato una donna simile e come aveva potuto essere tanto sciocco da staccarsi da lei subito dopo il matrimonio?
Morsicando la mela che aveva colto dall’albero sotto casa, Guilbert sedette su uno sgabello in legno e poggiò la schiena contro la trave in legno posta alle sue spalle, mentre con lo sguardo raggiungeva la figura longilinea che sempre più spesso gli accadeva di cercare. Masticò svogliatamente e parte del succo del frutto scese in un rivolo dall’angolo della sua bocca; asciugandolo col dorso della mano, sospirò e calcò il cappello sugli occhi come a volersi nascondere per riflettere in solitudine. Erano due giorni che desiderava rivolgerle la parola e altrettanti che desisteva ancor prima di aver tentato l’impresa. Era una donna così bella da renderlo timoroso e così taciturna da fiaccare le sue speranze su una buona riuscita; non avrebbe voluto dirle nulla di particolare, solo scambiare quattro chiacchiere e capire se, al di là di tanta dedizione al lavoro, fosse dolce come immaginava o impertinente come si diceva in giro.
Con un lieve colpetto alla tesa del cappello logoro, si ripeté che non avrebbe concluso nulla di quel passo e che sarebbe stato meglio approfittare finché il marito di lei era fuori casa, poiché dubitava che, venuto a conoscenza dell’occupazione cui si era dedicata durante la sua assenza, le avrebbe permesso di affaticarsi in mansioni sì umili. Guilbert stesso, se avesse avuto una ragazza o una moglie tanto bella, non avrebbe voluto saperla in mezzo al puzzo di letame e al sudore dei cavalli, ma avrebbe preferito saperla al caldo ad affaccendarsi in qualunque cosa la potesse rendere felice. Afferrando il fagotto che gli avrebbe fornito la scusa per avvicinarla, si alzò dallo sgabello e, pur titubante, avanzò verso Sophie, tutta intenta a lucidare il manto di un cavallo giovane e robusto.
«S-scusatemi…» fece e si maledisse per l’incertezza della voce, ma il coraggio gli venne del tutto meno quando gli occhi verdi di lei si posarono sul suo viso. Quasi gli mancò il fiato per proseguire per quant’era bella! «Non volevo disturbarvi. E’ solo che è ora di pranzo e ho notato che non vi fermate mai per un boccone. Vi va di dividere il mio pasto?» le chiese in un impeto che non seppe fermare e se ne pentì quasi subito. Sperare che la signora della casa si abbassasse a tanto era troppo persino per il più stupido del villaggio: come aveva potuto anche solo avanzare la richiesta?
«Non vi disturba avere meno cibo a disposizione?» rispose lei, sorprendendolo, e Guilbert stentò a credere alle sue orecchie.
«Certo che no. Mia nonna ne mette sempre più che in abbondanza.» Le sorrise e la gentilezza che Sophie scorse sul viso sporco di quel giovane le parve la cosa più bella che avesse visto da che era arrivata in quel luogo. Non il mobilio, non i tendaggi, non l’opulenza dei possedimenti. Quella smorfia sghemba su di un viso macchiato dalle polveri e dalla fatica.
«Accetto volentieri la vostra offerta, signore.» Le sue labbra si aprirono di rimando in un sorriso più sicuro e accattivante e, mentre poggiava la spazzola sul muro divisorio tra i dormitori di due cavalli, benedisse chiunque le aveva mandato quel giovane, permettendole di scambiare una parola con un altro essere umano che non camminasse a quattro zampe.
«Venite! Andiamo all’abbeveratoio.» le suggerì e l’attese finché non ebbe finito di mettere apposto gli ultimi arnesi.
Il tragitto fino alla meta fu tranquillo e silenzioso e, benché la temperatura esterna fosse molto più rigida che non nelle scuderie, Sophie non rimpianse la ventata d’aria fresca che la investì, schiarendole le idee e rendendole meno cupi i pensieri. Detestava quella casa, detestava quella vita, detestava che Besede, Betty, Joe e tutte le persone che aveva imparato a conoscere non fossero con lei, facendola sentire di famiglia; detestava il clima tirato che si respirava tra quelle mura, l’atteggiamento reverenziale con cui le si rivolgevano tutti e i sussurri che si lasciava alle spalle ogni qualvolta abbandonava una stanza.
L’idea che fosse soltanto all’inizio di un percorso che si presupponeva ancora lungo, d’altro canto, non le giovava e il più delle volte si ritrovava a macchinare il piano più adatto per darsela a gambe non appena i conti Spencer fossero stati a conoscenza del suo matrimonio. A quel punto, in un modo o nell’altro, si sarebbero dovuti arrendere o, nella peggiore delle ipotesi, avrebbero riversato la propria insoddisfazione su Carter Matthews, dimentichi della povera Catherine e dell’infelicità che le avevano volutamente causato. Poco importava che il più probabile bersaglio delle angherie dei due nobili altri non sarebbe stato che suo marito! Per quel che le interessava, avrebbero potuto rovinarlo e trascinarlo sul lastrico: ne sarebbe stata più che lieta.
Immergendo le braccia sotto il flusso di acqua gelata, non si accorse nemmeno della foga con la quale stava sciacquando la pelle, dando sfogo alle sue frustrazioni, e doveva essersi parecchio immusonita perché Guilbert la osservò intento per un po’; infine, le mise coraggiosamente una mano sulla spalla e la riportò alla realtà, strappandole, dapprima, un’espressione confusa ed, infine, un sorriso tremulo.
«Va tutto bene?» le chiese e, mentre la osservava sedersi sul bordo della grande vasca in pietra, cominciò a sciogliere il nodo del suo fagotto, rivelandone il contenuto: pane, formaggi, salumi e qualche frutto facevano bella mostra dinanzi ai loro occhi e Sophie dovette ammettere a se stessa di essere molto più affamata di quanto non avesse sperato.
«Potresti darmi del tu, Guilbert?» fece lei e il ragazzo la guardò a metà tra il perplesso ed il titubante. Non era cosa da tutti i giorni sentirsi fare una richiesta simile da una signora e una parte di lui temette che si trattasse di una trappola, volta a determinare il suo insuccesso. Prima che potesse ribattere in qualunque modo, tuttavia, Sophie lo precedette. «So che potrebbe sembrarti strano, ma non ne posso più di riverenze, etichette e timoroso rispetto. Fino a qualche giorno fa, non ero che l’orfanella del paese cresciuta dai domestici e non sopporto che mi si tratti da signora, perché non lo sono.» gli spiegò e lo fece con un calore tale che l’altro comprese parte della sua frustrazione e, probabilmente, la ragione che stava alla base del suo essere sovente così guardinga e distaccata. Con un saltello, sedette a sua volta e, spezzando il pane, gliene porse una metà, invitandola a servirsi senza troppe cerimonie; lei lo ringraziò con un cenno del capo.
«E non sei felice di questo?» domandò e il sorriso che Sophie gli rivolse nell’appurare l’accoglimento che la sua richiesta aveva ricevuto gli scaldò il cuore.
«Mi crederesti se ti dicessi che, in tutto questo tempo, sei la prima persona che non mi guarda come fossi un mostro?» Guilbert la guardò stupito e, addentando a sua volta un pezzo di formaggio, meditò a lungo prima di risponderle.
«Penso che ti temano e ti trovino strana, ma dubito che credano tu sia un mostro.» S’interruppe per un attimo come a voler ben ponderare la portata delle sue parole, onde evitare qualunque grossolano errore. Per quanto sfocato nella sua mente fosse il ricordo del padre e delle lezioni che gli aveva impartito, non aveva mai dimenticato il giorno in cui gli aveva detto che, al di là della forma corretta, avrebbe dovuto curarsi più del contenuto delle sue frasi che non del loro aspetto. «Anzi, molti hanno delle alte aspettative su di te!»
«Che vorresti dire?» Era sorpresa! Di tutte le risposte che si sarebbe potuta aspettare, quella era decisamente l’unica che non aveva considerato e che faticava a comprendere.
«Tutti hanno parlato molto del modo in cui hai tenuto testa al signor Matthews e nessuno aveva mai osato farlo prima, soprattutto una donna.» Ridacchiò al pensiero della vicenda che gli era stata raccontata ed un briciolo di curiosità lo spinse a rivolgerle un quesito forse troppo avventato. «A proposito, è vero che lo hai infradiciato con un secchio d’acqua e che hai nascosto tutti i suoi vestiti?»
«Per l’esattezza, li ho buttati giù in giardino, i vestiti.» lo corresse ed entrambi ridacchiarono, lasciandosi andare a delle confidenze piacevoli quanto inaspettate. C’era tra loro una strana connessione, un legame che Sophie aveva percepito prima ancora che il giovane osasse farsi avanti e dare materiale attuazione ai suoi pensieri: lo Spirito del Villaggio, qualche tempo prima, le aveva insegnato a guardarsi intorno allo scopo di scorgere col cuore ciò che gli occhi non erano in grado di vedere; e la ragazza aveva appreso l’esistenza di colori nuovi e diversi, di auree e aloni che appartenevano ad ogni individuo e si mescolavano tra loro, quand’era destino che le vite di due persone s’intrecciassero, o rimanevano equidistanti l’uno dall’altra, quando i rispettivi cammini non erano destinati ad incrociarsi. Guilbert sarebbe stato prezioso per lei, lo sentiva. Non sapeva ancora come, quando e perché, ma sarebbe divenuto importante e, allo stesso modo, Sophie lo sarebbe stata per lui.
«Comunque, è questo che intendo.» Fece una pausa, lunga quel tanto che bastava a mandare giù un altro boccone. «Tu non puoi saperlo, ma il signor Matthews ha avuto molte donne e ne sono state viste parecchie in casa. Erano donne molto belle, raffinate, ricche, eleganti e tutte follemente innamorate di lui. Bastava uno sguardo, un sorriso, un gesto galante per mandarle in brodo di giuggiole. L’ho visto con i miei occhi!» Le sorrise di rimando, cogliendo sul suo volto un’espressione a metà tra lo sdegnato e l’incredulo. Pur non conoscendola, Guilbert non fece fatica ad immaginare quali fossero i suoi pensieri e quanto degradante potesse apparire ai suoi occhi la scena che le aveva appena descritto. «E nessuna di loro ha mai osato contraddirlo o affrontarlo o sottrarsi vagamente alle sue attenzioni. Tu sei stata la prima, la prima in assoluto e credo che tanto la servitù quanto padron Matthews non fossero abituati all’idea di una donna in carne ed ossa in grado di respingerlo e rendergli pan per focaccia. Credo li abbia storditi e confusi un po’!» disse e, quando Sophie fece per interromperlo, scosse il capo, intimandole di attendere ancora. Poteva scorgere nei suoi occhi il fuoco della giovinezza e dell’intrepidezza divampare in lunghe lingue di fuoco che tendevano verso l’alto le loro spire. C’erano in lei passione, vigore, coraggio e indignazione e seppe che ella fosse ben lungi dall’essere come se l’era figurata. «E la storia del contratto li rende guardinghi. Anche se può essere testardo e irragionevole a volte, il signor Matthews è un gran brav’uomo e siamo tutti affezionati e devoti a lui. Penso che sia diffuso il timore che tu possa volerne approfittare e che lo abbia stordito con la tua bellezza e…» fu sul punto di dire, ma non ebbe modo di continuare, perché Sophie saltò giù dal bordo dell’abbeveratoio e col viso in fiamme lo osservò dabbasso, dando l’impressione di un’arma pronta a colpire l’avversario.
«Ma con chi si credono di avere a che fare?! Sarò un’orfana senza un soldo, ma, se ci fosse stata una sola soluzione per ovviare il problema che non fosse stata il matrimonio, mi ci sarei buttata a capofitto. Sposarlo è la condanna più dura che potessi infliggere a me stessa!» Quasi urlò nel renderlo partecipe dei suoi sentimenti e Guilbert provò un’infinita tenerezza per lei. Spinto da un impulso che avrebbe dovuto reprimere, scese a sua volta dalla postazione che aveva occupato sino ad allora e le si fece vicino fino ad abbracciarla. D’istinto, la sentì irrigidirsi e ritrarsi come scottata dalla confidenzialità di quel contatto; poi, poco alla volta, i muscoli di lei si distesero e, con un sospiro, poggiò la guancia sulla sua spalla, reggendo su di essa il contenuto di migliaia di congetture.
«Adesso, non sei più sola. Di qualunque cosa tu abbia bisogno, ci sarò io.»
*
Un fuoco allegro e scoppiettante faceva da sottofondo all’atmosfera pacifica della cucina di casa Matthews, accompagnando il devoto impegno di Greta nell’ultimo lavoro a maglia e la lettura intenta della novella sposa. Accostate al focolare, le donne sostavano in una condizione di completa quiete l’una accanto all’altra e, se non fosse stato per l’espressione contrariata della più giovane delle due, la si sarebbe potuta descrivere come la perfetta conclusione di una faticosa giornata primaverile. Molte cose erano cambiate in quelle ultime settimane e, sebbene faticasse ancora a comprenderne gli umori, imperscrutabile com’era, la governante non avrebbe saputo dire quanto rapidamente la ragazza avesse conquistato le sue simpatie da che aveva cominciato a mostrarsi per quello che era realmente e ad abbandonare l’aria da ospite diffidente e passeggero.
In un lasso di tempo piuttosto breve, infatti, la taciturna e sfuggente Sophie Matthews era sparita, soppiantata dalla dirompente, impertinente, selvaggia personalità di Sophie Chapman. Altri sei giorni erano trascorsi dal fatidico momento in cui, in compagnia di Guilbert, la giovane si era lasciata andare ad un racconto liberatorio delle motivazioni che l’avevano portata ad accettare quell’unione e degli eventi pregressi che l’avevano resa l’oggetto delle mire di vendetta di Carter, e molte cose erano cambiate d’allora. Pur non avendo la certezza che il giuramento di silenzio dell’altro sarebbe stato mantenuto, le sue sensazioni positive e i messaggi altrettanto rincuoranti che l’aura di lui le avevano inviato erano stati sufficienti ad abbattere le sue titubanze tanto da spingerla a confessarsi come da tempo non le accadeva; e ognuno di quei minuti trascorsi in compagnia dello stalliere le avevano giovato più di quanto fosse stata disposta ad ammettere.
Improvviso ed inatteso, il cambiamento della giovane e bella moglie del signor Matthews aveva sconcertato i domestici e, benché a lungo si fossero interrogati sulle ragioni di tale metamorfosi, nessuna conclusione tratta era parsa più plausibile della precedente. L’apparizione del suo io indomito, che tanto li aveva ammutoliti la mattina successiva al matrimonio, aveva smesso di essere un lontano, vago ricordo e la ragazza aveva assunto le sembianze di una persona che faticavano a gestire. Al di là del vestiario povero e poco femminile, erano state le richieste di lei a condurli verso un cammino tutto in salita: dapprima con calma, aveva chiesto loro di rivolgerlesi senza nessuna imbellettatura signorile e di chiamarla per nome come fosse una di loro, e, quando nessun ascolto era stato prestato al suo invito, ferma e caparbia si era rifiutata di considerare o interloquire con chiunque non avesse accolto le sue parole per vere. E, così, pur riluttanti, si erano visti costretti ad accondiscendere, riscoprendo in lei una piacevole compagnia e una volenterosa apprendista, di qualunque lavoretto si fosse trattato.
Per quanto avessero tentato di mantenere un rapporto ridotto allo stretto indispensabile e per quanto grande fosse l’imbarazzo dovuto alle condizioni di confidenzialità che avevano dovuto accettare, Sophie si era conquistata la simpatia tanto delle donne quanto degli uomini e, a poco a poco, le mura innalzate dalla reticenza avevano cominciato a sbriciolarsi. Certo, il timore che fosse un’impostora non era svanito dalle loro menti e, benché fossero divenuti sentitamente più cordiali e fiduciosi, una parte di loro continuava a mantenersi guardinga. C’era nei modi di lei qualcosa cui non erano abituati, perché non avevano mai avuto modo di approcciarvisi, e ne erano spaventati e affascinati al contempo.
Sophie era tutto quello che la società avrebbe rifiutato e tentato di correggere, era l’emblema della ribellione che i loro avi avevano sempre ripudiato e rappresentava quanto di più lontano si sarebbero potuti aspettare dal padrone di casa: per anni, erano stati abituati a ricevere le più docili e subordinate signore ed ogni loro speranza di un accasamento era stata comunque disattesa, per quanto alcune di esse fossero parse gradite all’uomo; non l’eleganza, non la formosità, non la bellezza o l’essere altolocate erano parse bastare a soddisfare le pretese del trentenne e tutti, persino la famiglia di lui, avevano iniziato a disperare ed aborrire a loro volta l’idea che trovasse moglie.
Per questa ragione, quando era stata recapitata loro la lettera di Carter sull’imminente celebrazione e sulla necessità che ogni cosa fosse predisposta per il loro arrivo, in molti avevano stentato a credere che potesse trattarsi della realtà e non di uno scherzo di cattivo gusto. Per giorni, sottoposti ed inservienti si erano interrogati su cosa fosse accaduto, sulla natura di quel legame così improvviso e, nel momento in cui le spiegazioni erano pervenute con la figura dell’avvocato di famiglia, nessuno aveva saputo trattenersi dall’emettere un’esclamazione di sconcerto. Un contratto!, aveva urlato Greta nel bel mezzo di una crisi di rabbia, Quel ragazzo non ha tutti gli ingranaggi che girano nel verso giusto. Che trovata è mai questa?!, aveva domandato, ma le sue richieste non avevano trovato nessun soddisfacimento.
E, a distanza di quasi un mese da quel momento, non avrebbe saputo se dirsi contenta o meno di aver scoperto cosa si celasse al di sotto di tutta quella vicenda: le fondamenta di quell’unione erano date dall’insopportazione, dalla vendetta, dal sacrificio, nulla che fosse vagamente somigliante ad un sentimento di tenerezza, il quale, se possibile, pareva lontano anni luce dal poter affiorare tanto nell’animo dell'uno quanto nell'animo dell'altra. Nonostante conoscesse le ragioni dell’assenza di Carter e non potesse far altro che comprenderle, difatti, qualcosa le suggeriva che quell’inspiegabile prolungamento avesse a che fare con la morettina che le sedeva accanto e che era motivo di inquietudine per il padrone di casa. Se Sophie era un tormento per l'uomo e se l'assenza di costui rappresentava ragione di sollievo per la giovane, come sarebbe mai potuto sopravvivere quel legame? Come avrebbe potuto trovare un senso, una collocazione, un equilibrio?
Quando, qualche ora prima, Carter era tornato a casa in tutta segretezza e, pur notando la sua contrarietà, l’aveva pregata di non rendere la signora Matthews edotta del suo rientro, Greta aveva definitivamente perso la pazienza e si era giurata di non arrovellarsi ulteriormente su quel rapporto che rapporto non era, per il bene della sua salute mentale. Come previsto, tuttavia, i suoi propositi erano durati ben poco e, rimboccandosi le maniche, aveva tentato di indirizzare Sophie verso un terreno più fertile, proponendole di indossare un abbigliamento più femminile e di lasciarsi acconciare quei meravigliosi capelli con qualche nastro nella speranza di stuzzicare, se non la tenerezza, almeno la passione di lui. Erano valse a ben poco tanto le sue preghiere quanto i suoi rimproveri, però, perché non era riuscita ad ottenere dall’altra niente di più che la promessa di starsene buona in casa per la sera e di dedicarsi ad uno di quei libri che, in passato, aveva visto leggere alle donne di Carter con aria sognante.
«Greta, mi spieghi cos’è questa roba?» chiese d’improvviso la ragazza e, istintivamente, la domestica alzò gli occhi al Cielo, pregando che il buon Dio l’assistesse in quell’ingrato compito. Erano minuti che la sentiva borbottare e lamentarsi a voce sommessa, e più di una volta l’aveva scorta chiudere il libro, sconcertata, per poi costringersi a riprendere la lettura.
«Cosa c’è che non va, adesso?» Con un gesto stizzito, posò il lavoro ai ferri sul grembo e, voltando il capo in sua direzione, le dedicò la propria attenzione. La luce del fuoco le illuminava i lineamenti delicati e riverberi rossastri le coloravano i capelli di sfumature più chiare, rendendola bella come poche altre giovani avesse mai visto in tutta la sua vita. Se solo non avesse avuto quell’espressione birbante..!
«Ma tu hai idea di quale abominio sia contenuto in questi…» Si fermò un istante, portando lo sguardo sulla copertina del volume con espressione sdegnata, come stesse ponderando la portata delle parole che era sul punto di pronunciare. «… libri, diciamo?»
«Non ne ho mai letto uno, ma ho pensato potessero piacerti, perché le altre donne di tuo marito ne sembravano rapite.» le spiegò, inspirando ed espirando con quanta più lentezza fu in grado di imporsi, nella speranza che quella conversazione non proseguisse sulla scia che si era disegnata dinanzi ai suoi occhi. In quelle tre settimane, aveva avuto modo di conversare e scontrarsi con Sophie più di quanto non avesse mai fatto in una vita intera con suo marito, il che era tutto dire.
«Prima di tutto, sai quanto mi dia fastidio che tu lo chiami in quel modo.» fece, alzandosi e guardandola dall’alto della sua statura con cipiglio serio, a tratti minaccioso, e Greta sentì un’ondata di collera montarle in corpo, facendole fischiare le orecchie. Era agli sgoccioli! «Seconda cosa, lascia che ti legga qualcosa per farti capire di che si tratta.» propose con aria a metà tra il divertito e l’esasperato, mentre la governante inalava grosse boccate d’aria nel tentativo di evitare che le esplodessero le coronarie. Fintamente concentrata, la vide sfogliare a lungo il libro e percorrere più passi di esso con gli occhi alla ricerca del brano che cercava; quando, infine, l’ebbe trovato, si schiarì la gola con aria solenne e, non prima di essersi esibita in una smorfia nauseata a sottolineare lo sdegno che provava, cominciò a leggere.
“Josephine guardò l’uomo in alta uniforme sorriderle con calore e le sue gote si tinsero di rosso compiacimento, mentre uno strano tremore, imponendosi sul suo corpo senza concederle tregua, le scuoteva il cuore e la mente.”  Si fermò un attimo, quel tanto che bastava a trattenere una risata; infine, assunse un’espressione drammatica e, portandosi la mano all’altezza delle tempie, proseguì in quella sua recita.“Oh, se l’avesse guardata ancora una volta con simile ardore! Oh, se le sue labbra le avessero regalato di nuovo il dolce ricordo di quell’espressione! Era l’uomo che amava con tutta se stessa, l’uomo che occupava le sue veglie ed i suoi sogni, l’uomo il cui calore bramava come la più impudica tra le fanciulle. Un’ulteriore ondata di calore divampò in lei alla consapevolezza dei suoi pensieri e, se fosse stato possibile, il suo volto già rubizzo si sarebbe tinto di una sfumatura d’imbarazzo mista a passione…” Allontanò il braccio dalla posizione tragica che lo aveva portato ad assumere e, scorrendo ancora avanti, non poté cogliere immantinente il sorriso divertito che aleggiava sulla bocca di Greta, che attendeva con ansia di vederla continuare in quel teatrino comico che aveva scacciato via i suoi malumori. “Claude, con gentili carezze, sfiorò le invitanti curve del suo corpo…”
«Oh Cielo, Sophie!» esclamò la donna, incredula e piena di vergogna alla consapevolezza di cosa stessero per sentire le tue orecchie. «Fermati e abbi pietà per una povera vecchia!» la supplicò e, benché una parte del suo io desiderasse godere ancora dello spettacolo offertole dall’irriverenza della ragazza, il suo senso del pudore prevalse, costringendola ad avanzare la richiesta di porre fine a quella situazione.
«Oh no, mia cara! Mi hai costretta a leggere questo scempio e ne subirai le conseguenze.» ribatté e l’altra quasi non crebbe alle sue orecchie. Possibile che non provasse imbarazzo nell’esporre ad alta voce il contenuto di quelle righe?
“Docile, si lasciò adagiare sui morbidi guanciali del letto patronale e, all’istante, il suo odore femmineo si mescolò al profumo virile di cui sapevano le lenzuola che, a lungo, aveva sperato l’accogliessero. Frenetico, galoppante…” Lesse e, con la mano libera, mimò il movimento degli zoccoli di un cavallo, strappando una risata isterica ad una Greta dal volto in fiamme. “… il suo cuore tamburellava contro il petto, ma non ebbe paura neppure per un istante. Ogni contrazione era un richiamo all’amore dell’altro, ogni rintocco una dichiarazione di devozione, ogni sospiro uno scorcio del sentimento che l’animava da che i suoi occhi l’avevano scorto per la prima volta. E, quando il petto di lui premette contro il suo seno turgido, alimentato dalla passione che per mesi era rimasta sopita e che finalmente era venuta alla luce, e i loro intimi si unirono…”
«Oh, sta’ zitta, dannata!» strillò la donna, costringendo Sophie ad alzare lo sguardo. Quando la vide, il volto nascosto dietro il lavoro a maglia e le spalle che si alzavano e abbassavano freneticamente al ritmo di un cocente disagio, la giovane non seppe trattenersi e si lasciò andare ad una risata sommessa, che la costrinse a chiudere il libro e a premersi le mani sul ventre. In men che non si dica, un cuscino, dapprima, e, poi, quel che rimaneva del maglione ai ferri incompleto vennero lanciati al suo indirizzo, colpendola rispettivamente alla spalla e su un fianco. «Non hai un briciolo di pudicizia, tu? Una donna perbene non dovrebbe… Non dovrebbe…» fu sul punto di dire, ma s’interruppe per assenza di coraggio. In tutta la sua vita, mai le era capitato di affrontare a voce alta simili argomenti e mai aveva provato una vergogna più grande di quanta non ne stesse sentendo in quel momento.
«Cosa, Greta? Non dovrebbe leggere certe cose? No, perché vorrei ricordarti chi mi ha suggerito di “mettermi buona e comportarmi da signora, invece di passare le ore a spalare letame e strigliare bestie”.» le fece il verso e dovette scansarsi per evitare la scarpa volante che la donna le aveva lanciato, indispettita come non aveva ancora avuto occasione di vederla.
«Screanzata, manigolda, irriverente orfanella!» cominciò a dirle, alzandosi dalla poltrona e afferrando il mestolo in legno poggiato sul mobile accanto al camino. Memore delle bravate che aveva combinato a suo tempo presso la dimora Woods e delle imprecazioni di Besede, Sophie sorrise ampiamente e fu sul punto di darsela a gambe verso la sua camera, quando i suoi occhi scorsero la sagoma di un uomo che la costrinse a rimanere impalata sul posto, l’espressione sorpresa, gli arti sospesi pronti al movimento.
Con una spalla poggiata allo stipite della porta, le braccia incrociate al petto e un largo, compiaciuto sorriso sulle labbra, suo marito la osservò a lungo e attentamente come avesse più volte immaginato quel frangente e, a distanza di tempo, lo stesse assaporando appieno, soddisfatto del risultato ottenuto. L’assenza di quasi un mese che lo aveva costretto lontano da casa propria era stata più lunga di quanto non si fosse aspettato e, per l’ennesima volta, benché spesso la sua mente fosse corsa alla figura longilinea che da più di un anno e mezzo occupava tutte le sue fantasie, i suoi ricordi non erano stati in grado di renderle giustizia nemmeno vagamente. I capelli lunghi fino alla vita e scuri scendevano morbidi sul suo corpo e, appoggiandosi dovunque trovassero sostegno, incorniciavano un volto pallido dalle labbra cremisi e dai grandi, espressivi occhi verdi, gli stessi che in quel momento si erano piantati nei suoi a metà tra l’incredulo e il guardingo.
«Buonasera, dolcezza. Mi siete mancata!» la salutò e la sua voce fermò la governante ad un passo dal colpire la ragazza sul didietro. Portando lo sguardo su Greta, scorse sul suo viso la stessa sorpresa, ma si trattò di un istante fugace e, ben presto, quella stessa incredulità si trasformò in disappunto e rimprovero. Bonariamente, sorrise al suo indirizzo. «E’ così che vi prendete cura di mia moglie, signora?» la stuzzicò e, quando tornò alla figuretta della moglie, trovò in lei la donna spavalda del siparietto, munita della stessa espressione da furfante.
«Vostra moglie sta seriamente attentando alla mia salute, signore, un po’ come fate voi. Sarà forse vero che Dio vi ha fatti e, infine, accoppiati?» ribatté e Carter rise della sua esasperazione, ripercorrendo con la mente la scenetta cui aveva assistito negli ultimi dieci minuti e che gli aveva mostrato un aspetto della giovane moglie che ancora non conosceva, un aspetto ironico e pungente, piacevole nel suo essere privo del solito atteggiamento sarcastico e difensivo.
«Sai proprio essere offensiva, Greta, lo sai?» Sophie la guardò seria, con l’aria di chi ha poco gradito una considerazione superficiale ma insidiosa, e la domestica scorse fastidio sui suoi lineamenti e tensione in ogni più piccola porzione del suo volto. Se i suoi piani per suscitare in lei un sentimento muliebre le erano parsi ardui, a quel punto ebbe l’impressione che non avrebbero mai trovato accoglimento.
«Greta, mi fareste il piacere di lasciarmi da solo con mia moglie?» le domandò l’uomo e, più silente e sottomessa di quanto non fosse stata in quegli ultimi tempi, la governante abbandonò la cucina, chiudendosi la porta alle spalle con la speranza che il colloquio tra i due fosse fonte di un risvolto positivo per tutta quella storia.
Una volta rimasto in compagnia di Sophie, Carter percorse la distanza che lo separava da lei e, quando la ebbe raggiunta, le si fece vicino nel tentativo di provare i suoi nervi. Impassibile, la giovane donna lo osservò senza battere ciglio e, persino quando si sarebbe aspettato che indietreggiasse almeno di un passo, lo sorprese, mantenendo imperterrita la posizione. Come da settimane non accadeva, i suoi muscoli, improvvisamente in tensione, si fecero scattanti e una pressione cocente lo percorse dal basso verso l’alto, reagendo anche di fronte all’assenza di impulsi di lei che, come una maschera di cera, l’osservava rabbiosa. Seducente, le sorrise.
«Siete adirata con me?» le chiese e la sua mano si issò fino a raggiungerle la guancia, che carezzò con il dorso delle dita in un gesto lento e carico di indugi.
«Avete altri viaggi in programma?» La sua voce risuonò neutra e i suoi occhi non abbandonarono per un solo istante quelli di lui. Avrebbe voluto scostarsi, avrebbe voluto chiudersi in camera e tirare pugni contro il cuscino, avrebbe voluto addormentarsi stringendo al cuore la speranza di non trovarlo al risveglio.
«No, signora mia. Non ho intenzione di allontanarmi da voi per il resto della vita.» fece, premendo volutamente un tasto che sapeva le arrecasse fastidio più di qualsiasi altra cosa. La mascella di lei vibrò di risentimento e Carter la carezzò con delicato trasporto.
«Così non può andare!» sussurrò, abbassando lo sguardo e puntandolo sul petto di lui senza, in realtà, osservarlo sul serio. Poco alla volta, assunse un’espressione meditabonda e l’uomo, pur malvolentieri, si vide costretto ad abbandonare la sua occupazione e a lasciar cadere la mano lungo il fianco, tenendosi pronto a qualunque eventuale attacco. Da lei, poteva aspettarsi di tutto! «Dobbiamo trovare una soluzione.» sentenziò e, nel farlo, gli voltò le spalle e cominciò a passeggiare avanti e indietro dinanzi al focolare. Una ruga profonda le increspò la fronte e con un sorriso compiaciuto Carter la vide assumere un atteggiamento che apparteneva a lui stesso. Forse, come diceva Greta, si somigliavano più di quanto non fossero disposti ad ammettere.
«Non ho intenzione di liberarvi dai voti nuziali, tesoro.» puntualizzò, accomodandosi su una delle poltrone e godendosi lo spettacolo della moglie che, dopo avergli scoccato un’occhiata di fuoco, tornava a perdersi nelle sue intente elucubrazioni. Passarono lunghi momenti, prima che si fermasse e tornasse ad osservarlo.
«Dobbiamo stipulare una tregua o io rischio di farvi del male e fuggire sulla prima nave pronta a salpare al molo.» Carter ridacchiò, consapevole che quelle frasi esprimessero una verità quanto mai radicata nella realtà. Non dubitava del fatto che potesse nuocergli più di quanto qualunque altra donna avesse fatto fino ad allora, né riteneva che la sua fosse una cattiva idea: se non avessero trovato un accordo, Sophie avrebbe potuto prestare fede alle sue minacce e lui avrebbe potuto soggiacere ai suoi più biechi istinti, preso dal sentimento di rivalsa che spesso aveva la meglio su di un uomo collerico quale sapeva di essere.
«Penso sia un’ottima proposta. Vi ascolto!»
«Io sarò vostra moglie in pubblico, mi sforzerò sul serio di dare una simile impressione quando lo riterrete necessario, ma non voglio che mi mettiate nella posizione di dover venire meno alla mia parola.» fece e, sebbene avesse ancora molte cose da dire, dovette arrestarsi, ascoltando l’intervento dell’altro.
«Sophie, avete idea di quali siano i doveri di una moglie, persino in pubblico? Sapete cosa significa?» le chiese e, sentendola tacere, si alzò, pronto a proseguire. «Significa che, se io ho voglia di baciarvi, sono nel pieno diritto di farlo; significa che, se vi chiedessi di appartarvi in un angolo di qualunque giardino con me e dare l’impressione di due innamorati in preda alla passione, sarei nei pieno diritto di farlo; significa che, se si creasse la necessità, voi dovreste dormire nel mio stesso letto.» disse e la scorse irrigidirsi ad ogni singola frase. La bocca di lei si schiuse con l’intento di ribattere, ma non fece in tempo, perché lui la incalzò di nuovo. «Significa che, se io mi avvicino a voi» e avanzò fino a fronteggiarla «e vi metto una mano sul fianco,» e le sue dita si poggiarono laddove era richiesta la loro presenza da quelle parole «voi dovete accettarlo di buon grado senza irrigidirvi come state facendo adesso. E fingere questo è ben diverso dalla scenetta che avete improvvisato qualche minuto fa!» Nei suoi occhi castani, le fiamme del camino lambirono le sfumature delle sue emozioni e diruppero, divenendo un tutt’uno con l’incendio che stava divampando al suo interno.
«Saprò gestirlo! Se rispetterete la vostra parte dell’accordo e instaureremo la tregua di cui vi parlavo, smetterò di pensarvi come un mirino per le mie frecce.» Insinuante, accennò a un sorriso nella speranza di smorzare i toni, ma seppe di non aver raggiunto l’obiettivo quando, con uno strattone, Carter l’avvicinò a sé e fu costretta a spingerlo via bruscamente, facendolo arretrare di qualche passo.
«Come potete parlare di rispetto e accordi, con quale coraggio osate intimarmi di stare alle vostre condizioni, quando siete venuta meno al contratto il primo giorno della sua validità?» Sophie si morse la lingua, conscia del lampante riferimento di lui, e si chiese se non avesse sbagliato quel giorno ad agire in quel modo, se, presa dalla rabbia e dalla frustrazione che le avevano impedito di ragionare lucidamente, non avesse arrecato a se stessa più danni che guadagni. Se fosse stata più lungimirante, avrebbe compreso che quell’omissione le sarebbe costata cara e che, in un modo o nell’altro, avrebbe dovuto rimediare e pareggiare i conti.
«Perché diavolo vi siete incaparbito su quel bacio?» fece, rabbiosa, e la sua voce tuonò più alta di quanto non avesse voluto. All’inferno i domestici che dormivano, all’inferno Greta che avrebbe sentito ogni cosa! Non ne poteva più di sentirsi recriminare quella mancanza. Nel tentativo di concentrarsi su qualcosa che non fosse la faccia da schiaffi di suo marito, prese in mano il libro sulla cui trama si era tanto accanita e, soppesandone la portata, si chiese se potesse essere abbastanza pesante da far svenire quell’insopportabile spaccone, qualora glielo avesse lanciato.
«Perché sono abituato a riscuotere tutto ciò che mi è stato promesso e mi spetta.»
«Bene.» urlò lei e, incurante del ringhio che era venuto fuori dalla sua gola, gettò il libro in terra con tutte le sue forze. «Se è questo ciò per cui mi tormentate, e sia!»
Tre lunghi passi furono tutto ciò che le servì per colmare lo spazio che la separava da Carter, mentre, quasi caricandolo come una bestia imbizzarrita, lo raggiungeva e poneva fine agli indugi. I suoi movimenti, rapidi e inaspettati, lo colsero di sorpresa e a stento si accorse del braccio di lei che si agganciava automaticamente dietro la sua nuca, del corpo di lei che aderiva al suo e delle labbra morbide che, decise, raggiungevano la sua bocca e vi si posavano sopra. Bastò la frazione di un secondo, tuttavia, perché realizzasse l’accaduto e l’intera sua sagoma reagisse di conseguenza alle sollecitazioni ricevute. Avvolgendole la vita con un arto, se la spinse contro e, frenetico, la fece indietreggiare fino ad incastrarla contro la parente. Ardenti, le sue labbra incatenarono quelle di Sophie nella morsa più irruente cui fossero mai state costrette e, quando lei fece per ritrarsi, il suo volto fu pronto a raggiungerla prima che avesse il tempo di realizzare l’accaduto; ma la giovane non fuggì, né tentò l’impresa, consapevole che le aspettative di Carter andassero ben al di là del superficiale contatto che aveva inizialmente instaurato tra loro.
Calda, la lingua di lui le schiuse la bocca, bramando un contatto che per tutti quei mesi si era limitato a riprodurre nella sua mente, e i suoi sensi lo resero consapevole del fatto che, per quanto accurate e dettagliate fossero state le sue fantasie, non avrebbero saputo rendere gli effetti che quell’istante stava riproducendo sul suo corpo. Impetuoso, scese più a fondo che poté, cercando e assaporando tutto quello per il quale si era fermamente battuto nei mesi passati, e la sua passione crebbe al ritmo delle pronte risposte di Sophie. Avvolto nelle fiamme del suo stesso ardore, la mano libera di lui scese a carezzarle le natiche morbide, perfettamente fasciate dal pantalone di taglio mascolino che le aveva visto indossare la prima volta alla taverna e molte di quelle successive, e, proseguendo lungo la coscia, se la issò contro il fianco, mentre premeva il corpo dell’altra contro la parete.
A più riprese, la sua bocca si aprì e si chiuse sull’altra, più o meno allo stesso modo in cui la sua lingua fu braccata e stuzzicata dalla rispettiva compagna; fu, perciò, un’impresa notevole portarlo alla realtà e spingerlo a farsi bastare quanto si era preso fino a quel momento, al punto tale che, dopo una serie di tentativi a vuoto, la ragazza dovette ricorrere alle maniere pesanti: liberando la coscia dalla presa dell’uomo e ignorando deliberatamente le carezze lascive con le quali indugiò lungo la sua schiena, si servì di un movimento repentino ma ben calibrato. Approfittando del fatto che avesse divaricato le gambe nell’intento di caricarsi Sophie sulla vita, il ginocchio della giovane raggiunse l’esatto punto di unione tra gli arti inferiori di Carter e spinse a fondo più che poté, mozzandogli il respiro e costringendolo a fermarsi. Distratto e surclassato dal dolore, colpito in un punto reso estremamente sensibile dagli ultimi eventi, l’uomo indietreggiò e senza poterlo impedire concesse alla moglie lo spazio di cui aveva bisogno per fuggire.
Reggendosi al muro, chiuse gli occhi e strinse i pugni, e ringraziò Iddio per il senso di assuefazione che stava dando tregua al dolore esplosogli nel bassoventre; in tutta la sua vita, difficilmente gli era capitato di provare un'agonia simile e, nonostante il suo corpo desiderasse correre dietro la figuretta che rapidamente si era precipitata verso le scale, chiudendosi dietro la porta di una stanza, seppe che non sarebbe stato comunque abbastanza rapido, che non avrebbe potuto raggiungerla se non a costo di sfondare l’uscio e allarmare l’intera servitù. Imprecando, tirò un pugno contro il mobile lì vicino e maledisse Sophie e il giorno in cui l’aveva incontrata: lontano da lei, in quell’ultimo mese, era stato in grado di bandire, se non perennemente almeno per buona parte del tempo, il pensiero di lei dalla mente; eppure, erano bastati pochi istanti per sconvolgere nuovamente l’intero suo sistema di priorità. Come avrebbe potuto imporsi il divieto di soffermarsi sulla donna con la consapevolezza di doverle vivere accanto giorno per giorno e con il cocente ricordo di quel bacio scolpito nella mente?
Un’ora più tardi, seduto dinanzi alle ceneri sopite dello stesso camino, con un bicchiere di brandy tra le mani, comprese che la sensazione di dolore sparso all’altezza dei lombi non avesse nulla a che vedere con il colpo che gli era stato inferto.
  
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