Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: giveherlove    20/02/2013    25 recensioni
'Ever, perché mi hai mentito su questo?'
'mi...dispiace...'
'io voglio sapere perché non potevi dirmelo!?'
'a nessuno piacciono ragazze che hanno delle cicatrici...pensavo che avresti smesso di amarmi'
'io non potrei mai smettere di amarti, mai.'
Genere: Erotico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A










I miei occhi, ancora aperti nonostante la pesante giornata che affrontai, vagavano nel buio che pervadeva la mia camera, fino a quando non si soffermano sul display illuminato della sveglia: non mi interessava consultare l’ora, semplicemente rimasi immobile a fissare quel punto illuminato da una fastidiosa lucina verde fosforescente mentre nella mia mente i pensieri e le immagini scorrevano a una velocità impressionante.
Come quando da piccola volevo guardare una videocassetta che avevo già iniziato il giorno prima e mio padre premendo un tasto del telecomando mandava il filmato avanti veloce per farmi arrivare al punto in cui l’avevo interrotto.
Solo che nella mia testa le immagini non erano quelle di Biancaneve, Cenerentola o la Bella Addormentata.
No.
Erano semplicemente i miei pensieri.
La sera io penso sempre, e penso troppo –non che durante il giorno faccia lo stesso-.
 
Mi fregai gli occhi con i palmi delle mani, volevo per un attimo mettere a tacere il volume dei miei pensieri e riposare un po’, visto che erano le due e mezza di mattina.
 
Come se la mia insonnia non bastasse, a tenermi sveglia fu anche il pensiero che circa quattro ore dopo mi sarei dovuta alzare per andare all’aeroporto: di certo questo chiodo fisso non aiutava a calmarmi.
 
Feci dei respiri profondi cercando di sgombrare la mente –era questo che mi aveva detto di fare la psicologa quando non riesco a dormire-.
 
Tirai dentro i polmoni più aria che potevo –mi sembrava di scoppiare- trattenni dentro l’ossigeno per qualche secondo e poi lo buttai fuori con un grande sospiro.
 
Ripetei l’azione per non so quante volte, ma con insuccesso.
 
Anzi, in verità mi sentivo più sveglia di prima.


 
 
Mi costrinsi a chiudere gli occhi nella speranza di addormentarmi in un sonno profondo e che mi avrebbe ricaricata di forze, ma ovviamente ciò non avvenne.
 
 
Non era la prima volta che mi capitava, di non dormire, anzi.
Se l’indomani non avessi dovuto affrontare un volo di quasi due ore, la mia prima giornata in un nuovo paese –in cui non ero mai stata prima di allora-, nuove regole da imparare, una nuova camera in cui dovermi ambientare, nuove persone con cui si suppone io avrei dovuto fare amicizia –o almeno socializzare un po’-; di certo non mi sarei fatta problemi e sarei stata sveglia anche fino all’indomani.
 
Continuavo a fissare l’orologio come in attesa che qualcosa di sovrannaturale infondesse in me una stanchezza tale da non poter far a meno di dormire un po’.
 
Mi sentivo come se avessi bevuto trentasette tazze di caffè, una dopo l’altra senza fermarmi.
 
Decisi di cominciare a contare: partendo da cento e andando indietro -avevo letto in una rivista che aiuta a conciliare il sonno - e cominciai:
cento, novantanove, novantotto, novantasette, novantasei...settantuno...cinquantaquattro...trentadue...dodici...zero.


Niente.


Ero ancora sveglia.


Mi rigirai in continuazione tra le lenzuola del mio letto, ormai tutte stropicciate, cercando di trovare una posizione comoda nella quale sistemarmi per provare a prendere sonno, ma ogni tentativo di addormentarmi era vano.


Dovevo rassegnarmi.
 
Tesi la mano alla mia sinistra e accesi l’abatjour che produceva una luce fioca, delicata, ma che bastava a illuminare il percorso dal mio letto alla scrivania, che intrapresi con passo leggero, dopo di che staccai il computer dall’alimentatore e mi accomodai nuovamente a letto sistemandomi un po’ le coperte e adagiando il computer, che si stava accendendo, sulle mie ginocchia.
 
Una volta acceso, spensi l’abatjour –il computer faceva già abbastanza luce-, aprii il programma di word e come al mio solito iniziai a scrivere.
 
 
 
 
‘Cara pagina di Microsoft Word,
Sta sera mi servirò di te per scrivere, dal momento che il mio diario l’ho già messo in valigia, e non voglio tirarlo fuori, per paura di svegliare la mamma o Met.
 
Sono esattamente le tre e undici di mattina.
 
Ma perché cazzo non riesco a dormire?!
 Dopo mangiato ho pure preso le gocce che mi aiutano a rilassarmi, ma niente!
 
La cosa più fastidiosa –non so se ti è mai capitato- è che più ti ripeti nella tua testa che è tardi e che devi dormire più non ci riesci e ti agiti ancora di più.
Almeno, a me succede così.
 
Il motivo della mia agitazione è semplice: domani parto per Londra.
 
Dovrei essere felice? Beh, in un certo senso lo sono.
 
Tra meno di tre ore mia madre mi verrà  svegliare per condurmi in aeroporto: tutti i bagagli sono già pronti, devo solo caricarli in macchina e prendere le ultime cose: tipo lo spazzolino, il computer, il telefono…
 
In questo momento non riesco a capire quello provo, migliaia di emozioni contrastanti, si stanno scontrando senza controllo dentro di me: è come se la terza guerra mondiale avesse luogo nel mio cuore.
 
Le sensazioni che provo, sono così forti, le vivo così intensamente che mi tolgono il fiato.
 
Sono contenta –credo- perché studiare inglese a Londra è sempre stato il mio sogno, e finalmente andrò a stare in un college magnifico, proprio nel centro della città: ho letto su internet che è uno dei più prestigiosi di tutta l’Inghilterra.
 
Ho anche visto alcune foto sul sito della scuola: le camere sono semplici ma davvero graziose, le aule luminose, ordinate e molto grandi, la sala da pranzo è enorme e spaziosa: il pensiero che quella sarà la mia dimora per quattro settimane mi esalta, e non poco.
 
Non so davvero come mia mamma sia riuscita a permetterselo data la sua paga da insegnante.

Io non le avevo chiesto nulla: sapeva che era il mio sogno studiare in Inghilterra, che un giorno mi sarebbe piaciuto da morire trasferirmi lì –dato che metà delle mie origini erano di quelle parti- e magari mettere su una famiglia e inseguire i miei sogni; ma da quando le nostre vite erano tragicamente cambiate io non avevo neanche più accennato di voler trascorrere un solo giorno in quella città.
Non perché non mi piacesse, ma per ben altri motivi, dei quali però adesso non ho voglia di scrivere anche perché sono sicura che se lo facessi, crollerei in uno dei miei soliti pianti e non ne uscirei fino a domani mattina.
 
Comunque sia, non mi ci è voluto molto per capire il motivo di questo regalo così generoso da parte di mia madre:
A sentir lei, le motivazioni per le quali parto sono chiare: ‘consolidare il mio inglese’, ‘visitare nuovi posti’, ‘confrontarmi con abitudini e modi di fare diversi dai miei’, ‘forse –e ci tengo a sottolineare forse- stringere nuovi legami’.
 
Si, sono tutte scuse molto plausibili, mi chiedo quanto tempo mia mamma abbia impiegato per elaborarle.                                                                                                                                                              Ma io so perfettamente il motivo della mia partenza e so anche che non centra proprio niente con quelli che mi ha elencato lei quando mi ha annunciato l’iscrizione al college.
 
Penso che lei non sospetti niente sul fatto che io abbia capito la vera ragione delle quattro settimane a Londra, ma, dopo tutto quello che è accaduto in questi mesi anche uno stupido lo capirebbe.    
Tutto sommato comunque mi va bene così, sono contenta di partire, ho sempre desiderato andare a Londra, e anche se so che questa vacanza studio non cancellerà il passato e credo che non modificherà neanche il presente, sono contenta di ‘fuggire’ per un po’ dalla mia città, dalle solite strade, dai soliti luoghi che ho davanti agli occhi da tutta la vita e i quali –seppur sono legata per motivi brutti e belli- non mi dispiace lasciare per un po’ di tempo.
 
Penso anche che il clima in casa mia, nelle ultime settimane in particolare, sia diventato troppo pesante e difficile da sostenere, per via di un susseguirsi di avvenimenti poco gradevoli; fatto sta che spero che al mio ritorno tutto questo enorme casino che io chiamo ‘la mia vita’ si sia fatto meno scombussolato e che (soprav)vivere sia piu ‘semplice’.
 
Malgrado la mia felicità per il viaggio, non posso non pensare ad Abby e a quanto questo fosse il nostro sogno.
Non solo il mio.
 
Nina che è la mia psicologa –ed è anche una specie di sorella maggiore per me- dice che non devo lasciare che la nostalgia che ho per Abby –o per papà- rovini la mia vacanza.
Dice che devo riordinare le idee, fare “chiarezza dentro di me”, devo cercare di instaurare nuovi legami, perché in effetti avere come unica amica lei non va bene per una ragazza di quindici anni, ha detto che quando sarò a Londra potrò chiamarla se avrò bisogno di un consiglio, o di sentire semplicemente una voce amica, ma che preferirebbe che cercassi di fare io il primo passo per costruire dei legami con ragazzine della mia età.
 
Dato che lei crede molto in me, e in questi anni mi ha aiutato così tanto le ho promesso che avrei fatto del mio meglio per esaudire le sue richieste, che dopo tutto aveva espresso soltanto perché giovassero a me e alla mia salute.
 
 
Si sono fatte le quattro e sei, ora spendo il computer e riprovo ad addormentarmi, spero di avere più successo di prima.
 
Penso che ti scriverò non appena mi sarà possibile.
 
 
 
Con affetto,
Ever.’
 
 
 
 
Non appena conclusi di scrivere, salvai il file nella cartella dove tengo tutto quello che compongo, anche se di tutte quei file non ne ho mai riletti manco uno.
 
Chiusi tutte le cartelle, ma prima di spegnere definitivamente il pc, mi soffermai per due minuti abbondanti a guardare lo sfondo del computer: era una foto che raffigurava me ed Abby da bambine sedute in braccio a mio padre, di fianco a noi c’era pure Daisy –la cagnolina di labrador color miele che avevo- che con le orecchie alte e il musetto furbo ci guardava.
 
In quella foto io e Abby avevamo circa sette anni.
 
Il primo pensiero che mi attraversò la mente fu:
‘ma perché non può essere tutto così dannatamente facile come un tempo?’
 
 
 
Con questo interrogativo arrestai il pc, lo adagiai sul comodino, appoggiai la testa sul cuscino e sentii le gocce finalmente avere la meglio sul mio organismo: mi stavo addormentando.
 
 










































SPAZIO AUTRICE:


ciaooo a tuttii ;)
inizio col dire che è da tantisimo che non aggiorno e questo perchè ho deciso di riscrivere tutti i capitoli da capo, per renderli più ricchi e belli ;))
lo so che avevo già pubblicato un pò di capitoli ma ho deciso di cancellrli e inserire quelli "aggiornati" un pò alla volta ;)
la trama della storia non è molto cambita, è solo che ho fatto delle piccole aggiunte e qualche modifica, spero comunque che vi piaccia e che vi appassioni!
vi prego di lasciarmi recensioni sia positive che negative, perchè mi interessano davvero le vostre opinioni e i vostri consigli misarebbero utili!
per ora vi saluto e non vi anticipo nulla su ciò che accadrà nei prossimi capitoli, spero solo che seguiate la storia perchè si farà molto interessante e coinvolgente!
vi ringrazio davvero tanto e spero che quanto ho scritto vi piaccia!
un bacio.
-Giù
  
Leggi le 25 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: giveherlove