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Autore: Aretusa    23/02/2013    5 recensioni
Jonathan Christopher Morgenstern, ha deciso di consegnarsi al Conclave e chiedere di essere perdonato per le colpe commesse da suo padre. Sa di non avere alcuna possibilità, ma che importa quando sei solo al mondo e ciò che ti resta non è altro che te stesso?
Il rituale di legame con il suo fratellastro Jace sembra averlo cambiato definitivamente, al punto che forse... forse, potrebbe anche arrivare ad innamorarsi.
Ma chi mai potrebbe ricambiarlo?
Chi amerebbe mai, una bestia?
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Izzy Lightwood, Jonathan
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Aveva visto Sebastian guardare Jace, e anche se stessa, e sapeva che c’era qualche parte di lui che risuonava così sola come il vuoto più nero dello spazio. La solitudine lo aveva guidato molto più che il desiderio di potere, la solitudine e il bisogno di essere amato senza alcuna comprensione parallela che l’amore era qualcosa che si guadagnava.”

 

Tratto da Città delle Anime Perdute.

3

COLPA E DESIDERIO

 

 

Il sangue colava lentamente dalla ferita, denso e scuro come melassa e si espandeva sulla maglietta creando macchie astratte dalle strane forme. Le braccia reggevano un corpo piccolo e gracile, di bambino. Aveva gli arti magri come rami d’albero e le ginocchia ossute, le mani, che fino a poco prima avevano stretto tra le dita dalle unghia mangiucchiate un piccolo libricino tutto colorato, ora erano lasciate inermi e penzolanti come quelle di un pupazzo di pezza. 
Respirava ancora. Poteva ancora sentire il flebile battito del suo piccolo cuore stanco che arrancava tra i sospiri e i singhiozzi. Gli occhi grandi e scuri erano chiusi e fremevano impercettibilmente dietro agli occhiali dai vetri rotti, che poggiavano sbilenchi sul naso, erano seminascosti dai ciuffi di capelli scuri, che cadevano mosci sulla fronte, impastati del suo stesso sangue.
Sangue.
Sangue dappertutto.
Si mischiava alle lacrime, sporcando di un rosso slavato ogni cosa.
Il piccolo si strozzò con un singhiozzo prima di esalare il suo ultimo respiro.


 

 

***

 
«No!».
Sebastian si svegliò di soprassalto, mettendosi a sedere bruscamente sul letto. Le lenzuola attorcigliate attorno alle gambe raccontavano sogni inquieti e per un attimo, nella semilucidità della mente offuscata dal buio e dagli incubi, si aspettò di trovarvi chiazze rosse ad insozzarle. La maglietta bianca che aveva indossato prima di addormentarsi era umida e aderiva alle pelle appiccicosa di sudore come una seconda pelle, fastidiosa e sgradevole quanto quella del sangue che imbrattava di cremisi i suoi sogni.
Non era abituato a sognare, e di sicuro non aveva mai fatto quel genere di sogni, prima.
Non gli piaceva.
Non gli piaceva affatto.
Gli era gia capitato di sognare in passato, sebbene per uno come lui non fosse qualcosa di frequente, ne di necessario. Ma qualche volta, specie quando era bambino, aveva visto se stesso spargere il sangue di qualcun altro dappertutto. Straziargli la pelle e i muscoli sotto di essa con la lama argentea di una spada angelica, e mettere lentamente fine ad una vita. Lo aveva sognato e lo aveva fatto davvero, e mai, mai, mai una sola volta era stato vittima del senso di colpa.
Si era sentito orgoglioso, invece, soddisfatto per l’appagamento di un desiderio che non si preoccupava di tenere nascosto.
Nel profondo aveva sempre saputo di essere un abominio, ma la verità era che non gli era mai importato davvero.
Ultimamente, invece, era perseguitato dagli incubi.
Non faceva che rivivere quella maledettissima scena. La notte in cui, all’interno della casa dei Penhallow, a Idris, aveva tolto la vita ad un bambino innocente.
Max Lightwood.
Era questo il suo nome. Si trattava del minore del figlio minore di Maryse e Robert, il fratellino di Alec e Isabelle.
Isabelle.
Il ricordo dei suoi occhi color carbone puntati su di lui. L’odio furente del suo sguardo, era qualcosa che lo turbava incredibilmente.
Nel profondo.
Gli era subito stata simpatica, fin dalla prima volta in cui si erano incontrati. Era così bella e non faceva nulla per nasconderlo, non fingeva autocommiserazione per sembrare migliore, ne per ricevere complimenti da qualcuno. Era bella e lo sapeva. Usava la sua bellezza come un’arma, e ne andava fiera. Ogni tanto diceva qualcosa che la faceva apparire un po’ svampita, ma non era stupida, solo estremamente sincera, diceva tutto ciò che le passava per la testa, senza filtri o altro genere di macchinazioni. Non si preoccupava abbastanza dell’opinione che la gente poteva farsi di lei. Non le importava affatto. Per quanto potesse sembrare strano agli occhi di chiunque si fermasse ad osservare il suo aspetto fisico, era incredibilmente ingenua e spontanea.
Pura.
La sua freschezza lo aveva stuzzicato immediatamente, ma al tempo era troppo impegnato a servire la causa di suo padre per perdere tempo dietro a quelle futili sensazioni.
Al riparo tra gli argini di quel cuore che non aveva mai pensato di avere doveva pur esserci qualcosa. Il piccolo seme di qualche strano fiore che qualcuno si era dimenticato di annaffiare per bene, così da assicurarsi che germogliasse come doveva. Di sicuro anche la cavità dentro al suo petto doveva essere occupata da qualcosa, fosse anche solo un pezzo di carne del tutto inutile se non allo scopo di pompare il sangue dalle vene fino al cervello; qualcosa che non avrebbe mai avuto la necessità di usare, se non per le mere necessità anatomiche.
In realtà era sempre stato più che certo che il suo cuore non funzionasse a dovere.
D’altronde lui non era mai stato come gli altri.
Non c’è nessun altro come te.
Le parole di suo padre gli riecheggiarono nella mente, così lontane eppure così vere da essere scolpite come l’epitaffio sul marmo di una tomba.
Era come una maledizione.
La sua condanna.
Sarebbe stato solo.
Per sempre.
Un tempo aveva sperato in Clarissa. Aveva voluto credere che lei avrebbe potuto capirlo, amarlo, forse. Infondo condividevano lo stesso sangue. Il sangue orgoglioso e corrotto dei Morgenstern. Ma mentre quello di sua sorella era stato perfezionato con il sangue dell’angelo, il suo era stato contaminato da quello di un demone.
Non c’è nessun altro come te.
Sebastian scacciò via malamente le lenzuola che gli avvolgevano le gambe e si alzò da letto. La soffice lana del tappeto accolse i piedi nudi e freddi mentre cercava di non barcollare per l’improvviso cambio di posizione. Quei sogni lo lasciavano sempre esausto, stanco fino all’inverosimile e arrabbiato.
Terribilmente arrabbiato.
Con Valentine, con Lilith, con Jocelyn e Clary, con quel dannato ragazzino, per essere stato così fragile e non aver resistito alla sua forza come la sorella maggiore, e con se stesso. Con se stesso, più di chiunque altro.
Se non fosse stato così stanco avrebbe potuto mettere a soqquadro l’intera stanza, distruggere persino l’istituto, forse. Ma sapeva che lasciare senza un tetto sopra la testa le persone che lo avevano accolto – seppur costrette dal Conclave – non sarebbe stato un buon modo per mettere a posto le cose.
Decise di farsi una doccia, per togliersi di dosso il sudore freddo e la sgradevole sensazione di senso di colpa e frustrazione che lo attanagliava come acido su una ferita ancora aperta.
Si spogliò dei pantaloni e della maglietta che aveva indossato per dormire  e s’infilò sotto la doccia senza aspettare che l’acqua si fosse scaldata.
Era gelida e bruciava contro i muscoli contratti delle spalle, confondendosi con le cicatrici bianche dei marchi. Chiuse gli occhi e gettò la testa all’indietro, contro la parete di vetro, lasciando che l’acqua fredda lavasse via ogni cosa spiacevole. Pur sapendo che neanche il sapone avrebbe potuto ripulire la sua coscienza, ne purificare la sua anima. I suoi peccati non se ne sarebbero andati via tanto facilmente.
Forse davvero non c’era speranza per lui.
Dentro di se, Sebastian sapeva che Valentine aveva ragione.
Lui era diverso.
L’esatto opposto di quello che avrebbe dovuto essere, ciò che lui stesso avrebbe dovuto voler distruggere, se non fosse venuto al mondo come il figlio bastardo di un demone, partorito dalla lucida follia di suo padre. L’esatta essenza del male, qualcuno che persino la propria madre aveva rinnegato. Un mostro. Una abominio.
Una bestia.

Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?
 
***
 
La frusta di elettro schioccò in uno scintillò dorato avvolgendosi intorno alle braccia con un rumore secco. Isabelle ruotò il polso attorno all’impugnatura e tirò per consolidare meglio la presa, mentre con la mano libera lanciava un  pugnale kindjal in direzione del cuore. Il corpo cadde a terra inerme contro la tensione esercitata dalla frusta.
Stava per piantagli una spada angelica nella schiena, quando qualcosa ai margini del suo campo visivo la distrasse. Un movimento. Un lampo fulmineo di nero e oro chiaro.
Chiarissimo.
La porta di legno della sala d’addestramento era semi aperta e appoggiato allo stipite, come lo spettatore inopportuno di una rappresentazione teatrale al quale non era stato invitato, vi era Sebastian. Se ne stava a braccia conserte, alcune ciocche di capelli color platino lasciate cadere svogliatamente sulla fronte, a nascondere il nero assoluto dei suoi occhi. Indossava una leggera maglietta nera e aderente che gli fasciava i muscoli del petto e degli avambracci e un paio di pantaloni della tuta grigi che gli cadevano perfettamente sulle ossa dei fianchi.
I piedi erano scalzi e pallidi, quasi bianchi, come del resto qualsiasi altro pezzo di pelle sul suo corpo.
Non appena Isabelle si accorse della sua presenza, voltandosi verso di lui, irritata, lui si riscosse dai propri pensieri e sorrise appena, sciogliendo le braccia per applaudire pigramente.
«Che ci fai tu qui?», chiese la ragazza, con fare accusatorio, mentre con un movimento apparentemente casuale faceva roteare la spada angelica per impugnarla più saldamente.
Il sorriso di Sebastian scomparve così come era apparso, dissolvendosi in una scrollata di spalle. «Pensavo di allenarmi».
«Adesso?», fece lei con diffidenza, come se dubitasse delle sue parole, «nel cuore della notte?». Il suo sguardo era affilato, aggressivo, e non aveva niente dell’ impertinente spensieratezza che l’aveva colpito nella ragazza che aveva conosciuto a Idris, quando ancora si spacciava per Sebastian Verlac.
Il fatto che la colpa di quel cambiamento potesse essere sua, suscitava in lui uno strano misto di emozioni, rabbia verso se stesso, per il dolore causatole, e orgoglio per aver avuto un ruolo tanto importante nella vita di qualcuno da provocare un mutamento.
«E’ un reato forse? Ci sono degli orari prestabiliti da rispettare, per allenarsi qui?». E nonostante non fosse nelle sue intenzioni, si ritrovò ad ascoltare una leggera punta di sarcasmo nel tono della sua voce. Se lui era colpevole, di certo lei non lo era di meno, visto che si trovava nello stesso posto alla medesima ora.
Isabelle si irrigidì, la mascella contratta per la rabbia, i piccoli denti bianchi affondati nella carne tenera delle labbra, tanto che per un attimo lui temette di vedere uscire del sangue.
Indossava una canottiera nera, scollata e con le spalline sottilissime sopra ad un paio di pantaloni aderenti che le arrivavano al polpaccio. Non era la tenuta da combattimento,ma qualcosa di decisamente più comodo che lasciava scoperta buona parte della sua pelle ricamata di marchi bianchi e sottili come ricami di pizzo.
Era evidente che la sua sola vista le provocava fastidio. Un misto di irritazione, dolore e disgusto che aveva visto anche nei lineamenti della sua madre biologica.
«Non riuscivo a dormire», ribatté lei, cercando di ostentare una sicurezza di se stessa che il battito del suo cuore tradiva, grazie all’analisi attenta del suo orecchio allenato.
O era solo la fatica per l’allenamento?
«Lo stesso vale per me», disse lui, con aria di sfida, sorridendo soddisfatto.
Si guardarono per un lungo minuto, Isabelle con i lunghi capelli neri umidi di sudore che le si incollavano alla pelle candida e scoperta del seno e lui, con le punte che gli sfioravano la nuca che gocciolavano ancora sulle spalle della maglietta dopo la doccia.
Per un momento Sebastian si immaginò il groviglio dei loro capelli insieme, il petrolio e l’oro chiaro, le tenebre e la luce, il male e il bene… beh, non necessariamente con questa corrispondenza, ovviamente. Ma durò giusto un battito di ciglia, giusto il tempo di rendersi conto dell’assurdità della cosa.
«Ma certo, come no, non riesci a prendere sonno per via del letto scomodo? E scommetto che ti sei ritrovato in una stanza piena zeppa di armi per pura coincidenza», lo accusò, camminando lentamente verso di lui e facendo ondeggiare la spada.
«Potrei dire la stessa cosa di te, non credi?».
«Oh, potresti», rise lei, «peccato che questa sia casa mia e che io non sia uno psicopatico malato di mente e assassino di bambini».
Assassino di bambini.
«Quindi sei il tipo da due pesi e due misure», ribatté lui, con durezza. «Mi sembra quantomeno scorretto, non credi?».
Sapeva di non avere il diritto di dire niente del genere, ne di pretendere qualcosa di remoto ed improbabile come il suo perdono, ma non riuscì a fare a meno di dirlo ne,  segretamente, di sperarlo.
«Tu, vieni a parlare di scorrettezza a me?», latrò lei, e la sua voce assunse una sfumatura talmente macabra da non riuscire più a distinguere se stesse ringhiandogli contro o ridendo dell’assurdità della cosa. «Mi hai fregato una volta, Morgernstern, non accadrà di nuovo».
«Non ho nessuna intenzione di fregarti», chiarì Sebastian, e per qualche assurdo motivo sperò che gli credesse. «E quello che è accaduto a tuo fratello…».
«Non osare parlare di lui!», gridò Isabelle trattenendosi a stento per non rischiare di svegliare la madre, che probabilmente dormiva al piano superiore. «Tra qualche mese verrà indotto un nuovo consiglio, e quando chiederanno a me ed alla mia famiglia di fare rapporto riguardo al tuo comportamento, giuro sull’angelo che ti fotterò per bene, Sebastian!».
Speranza vana.L’ultima illusione di chi chiede di ricevere il perdono. Ora lo capiva. Una cosa era essere stato assolto per le colpe di suo padre dal Consiglio, un’altra pretendere di essere perdonato dalle persone a cui aveva causato dolore e sofferenza.
Nonostante tutto, non poteva lasciare che lei lo odiasse. Non voleva.. In un modo o nell’altro, non lo avrebbe permesso. Se c’era qualcosa che suo padre gli aveva insegnato era combattere per ciò che si vuole. Qualcosa dentro di lui si tese fino al limite del suo petto. Una strana sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco, angoscia e desiderio.
Lui la voleva.
Orgoglio, desiderio o semplice smania di possedere qualcosa che non era possibile avere.
Il fascino del proibito.
La voleva. Voleva che fosse sua e, non importava a che prezzo, lo sarebbe diventata.
Sua.
«Un giuramento sull’angelo», commentò lui, impassibile, senza lasciar trapelare minimamente la sua trepidazione, «non dovresti fare promesse del genere se non sei sicura di poterle mantenere».
«E questo cosa dovrebbe significare?», fece lei, spazientita.
«Oh, Isabelle, è molto semplice», sussurrò piano, spingendosi più vicino a lei fino a quando la spada che aveva puntata alla gola non gli sfiorò la pelle nuda. «Significa che quel giorno tu non testimonierai contro di me. Non dirai niente che possa aggravare la mia posizione, ne nuocermi in alcun modo».
Sollevò una mano e la portò vicino alla lama, poi la afferrò con lentezza, stringendola con una leggera pressione. Il sangue gocciolò piano attraverso il pugno chiuso e gli scivolò giù per l’avambraccio, fino al gomito, prima di stillare in piccole gocce simili a delicati petali di rosa sul legno scuro del pavimento.
Isabelle le fissò sorpresa e deglutì disgustata. Si era sempre immaginata che il sangue di Sebastian fosse nero, come quello dei demoni che era abituata ad uccidere ogni giorno da quando aveva ricevuto il suo primo marchio, invece le striature sbavate che gli macchiavano la pelle, erano rosse.
Semplicemente rosse.
Come quelle di chiunque altro cacciatore o essere umano.
 «E’ una minaccia?», chiese mentre lentamente tornava a fissarlo negli occhi.
«Nessuna minaccia, tesoro», pronunciò con dolcezza lasciando andare la lama della spada angelica, «una semplice constatazione piuttosto».
«Tu hai più problemi di quanto pensassi».
«Può darsi», disse Sebastian, piegando la testa di lato. Fece un passo indietro e poi si voltò per andarsene. «Ma per quel giorno, mia cara Isabelle, tu sarai talmente innamorata di me che farai di tutto per proteggermi».


 
***NOTE DELL'AUTRICE***
 
Con estremo ritardo, eccomi di nuovo qui a rompervi gli scatoloni con un nuovo capitolo di questa storia!
Sono piuttosto contenta della piega che sta prendendo la mente contorta del mio Sebastianuccio, speriamo che la sua smania di pos(sesso) non lo porti a fare stronzate XD ahahahaha no vabbé, si sa che gli uomini spesso dimenticano di usare il cervello in favore di altre parti corporee e sembra che gli ormoni stiano prendendo il sopravvento anche su Seb! Chissà come reagirà la bella Izzy a questa dichiarazione???
 
Commentate, commentate e commentate, vorrei davvero tanto conoscere i vostri pareri al riguardo.
 
XOXO Gossip Gi...ehm... _RosaSpina_

 

   
 
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