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Autore: exitwounds    28/02/2013    7 recensioni
[avril x evan]
«Wow, allora la voce ce l'hai, Lavigne!» esclama Dave, fingendosi sorpreso. «Voce di merda per una persona di merda.»
Silenzio.

Amy, Evan, Avril. Semplicemente tre adolescenti. E il potere dell'amicizia.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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(2)
 

27 agosto 2000, New York, NY, USA.

Amy.
«Amy, tesoro, hai preso tutto? Hai chiuso la valigia? Non dimenticare lo spazzolino da denti!» mi urla mamma dall’altra parte della casa. Dio, facesse lo sforzo di fare dieci metri e parlarmi da una distanza civile e ragionevole. E poi ho sedici anni, maledizione, mica tre!
«Sì mamma, ho preso tutto!» le rispondo chiudendo il mio trolley.
L’aereo parte fra meno di tre ora, l’aereo che mi riporterà da Evan, e questa volta per sempre. Lui non sa nulla, ma i suoi genitori sì. La casa di fronte alla sua era in vendita e l’abbiamo comprata, dato che a papà è stata offerta una promozione al lavoro proprio nelle vicinanze di Napanee. Dio, che fortuna che abbiamo avuto!
Io parto oggi, da sola, perché i miei devono lavorare ancora una settimana prima di attaccare il lavoro a Napanee. Quindi starò dai genitori di Evan per quei sette giorni. A dire la verità ce lo hanno proposto loro appena hanno saputo del trasferimento: dato che prima dell’inizio della scuola avevamo quindici giorni abbondanti, avevano pensato che mi sarebbe piaciuto arrivare prima per poter stare con Evan un po’ di più, ed avevo subito accettato. Per convincere i miei non era stato così facile, ma alla fine ci ero riuscita.
Sono già iscritta alla stessa scuola di Evan, secondo anno di superiori, ma non saremo in classe insieme, lui è più grande di me di un anno e quindi frequenterà il terzo. Mamma e papà mi accompagnano in aeroporto e mi salutano stringendomi forte. Non vado mica in guerra, e poi fra una settimana ci rivedremo!
Mentre l’aereo vola, non riesco a non pensare ad Evan e al fatto che lo rivedrò, ma stavolta per sempre, per non salutarci mai più. Mi pare un sogno.
Chissà se è cambiato. Chissà se porta ancora i capelli sempre scompigliati, chissà se si arrabbia ancora se glieli tocco e comincia a dirmi di smetterla perché glieli avrei scompigliati. Pft, come se non li portasse mai sparati verso ogni dove...
L’ora di volo passa in fretta, tra questi pensieri ed il rumore della signora seduto accanto a me che ha sgranocchiato rumorosamente patatine per tutto il viaggio.
Ritiro il mio trolley rosa dal nastro – che odio, non so come sia venuto in mente ai miei di comprarlo di quel colore, dato che sanno benissimo che non lo sopporto – e mi guardo intorno, alla ricerca del papà di Evan, Mark, che mi avrebbe portata in macchina fino a casa loro.
Eccolo lì, mi sta aspettando proprio sotto la scritta “Toronto Pearson International Airport”.
Gli corro incontro e lui mi stringe a sè. Mi conosce da quando ero nella culla, mi tratta come se fossi la figlia che non ha mai avuto e mi vuole un bene dell'anima, come anche io gliene voglio. Mi aiuta a caricare la valigia nel bagagliaio, ci allacciamo la cintura e partiamo alla volta di Napanee, a due ore abbondanti da Toronto.
«Amy, quanto sei cresciuta!» esclama ed io accenno un sorriso. Non so mai cosa rispondere a questo tipo di affermazioni.
«Scommetto che in questi quattro anni avrai fatto strage di cuori a New York! Il fidanzato ce l'hai?»
Ora arrosisco come una matta. Il fidanzatino, io? Mi scappa da ridere.
«No. C'era un ragazzo che mi piaceva, ma niente.» ho risposto sospirando.
«Magari te lo trovi a Napanee, non si sa mai!» mi ha detto con un sorriso.
«Tutto puó essere.» ho risposto sorridendo.
Le due ore di viaggio passano in fretta, e mi sveglio dal mio dormiveglia appena in tempo per vedere il cartello che ci da il benvenuto a Napanee. Mi passa un brivido lungo la schiena. Evan, sto arrivando.

27 agosto 2000, Napanee, ON, CA.

Evan.
Sdraiato sul divano in salotto, ascolto la musica con il mio inseparabile walkman. Senza musica non so proprio stare, e da qualche tempo ho cominciato a suonare la chitarra. Appena Amy l'ha saputo, mi ha detto che appena ci saremmo visti mi avrebbe voluto sentire suonare e avremmo cantato insieme.
Mi spunta un sorriso a pensare alla mia amica. Mi manca tanto. Le telefonate me la fanno sentire più vicina, ma mi manca da morire poter uscire di casa, bussare alla sua porta, abbracciarla e tenerla stretta a me per tanto tempo.
Sento suonare alla porta. Mamma, seduta sulla poltrona accanto a me, controlla l'orologio che tiene al polso sinistro, sorride e poi si rivolge a me. «Evan, vai te alla porta?» mi chiede. Annuisco e mi avvicino alla porta. Dietro di essa c'è papà, che mi saluta abbracciandomi forte.
«Evan, c'é una sorpresa.» mi dice e gli rivolgo uno sguardo interrogativo. Si sposta lateralmente e compare la figura di... «Amy!»
«Evan!» ci urliamo a squarciagola l'un l'altra, prima di stringerci in un forte abbraccio. Il trolley di Amy cade con un tonfo sulla strada, essendo stato lasciato all'improvviso.
«Hai presente la casa di fronte che era in vendita?» annuisco. «Beh, l'abbiamo comprata noi. Mamma e papá vengono la settimana prossima. Sorpresa!» mi sussura stringendomi forte a sé.
Sgrano gli occhi incredulo. No, non puó esser vero, é solo un bellissimo sogno.
«Ti giuro che é vero, non sto scherzando!» esclama ridendo Amy, al vedermi cosí sorpreso.
Mi ci vuole qualche minuto per realizzare tutto ció e per ricompormi.
Amy entra a salutare la mamma, e papá mi spiega che Amy sarebbe rimasta con noi una settimana e che poi i suoi genitori sarebbero arrivati. Era giá iscritta alla mia scuola, al secondo anno, quindi io che ero al terzo avrei potuto farle un po' da guida per ambientarsi.
Dopo averla aiutata a portare la sua valigia nella camera che sarebbe stata la sua per una settimana, proprio accanto alla mia, la prendo per mano e saluto i miei. «Noi usciamo, ciao!» urlo loro e senza aspettare una risposta chiudo la porta alle nostre spalle.
«Gelato come ai vecchi tempi?» mi propone. «Gelato come ai vecchi tempi.» approvo con un sorriso che non riesco a togliermi dalla faccia.
Ordiniamo entrambi una coppa enorme, con vari tipi di cioccolato, panna, crema, vaniglia e ciliegina, ma stavolta pago io, sono in debito.
«Mi sei mancata da morire.» le dico finendo il mio gelato.
«Anche tu, non puoi immaginare quanto!» mi sorride. «Ma ora devi raccontatmi tutto! Su dai, ragazze?» mi chiede, ed io mi irrigidisco.
«Ci sarebbe una ragazza...» ammetto a bassa voce.
«Aaah, lo sapevo! L'hai giá stesa con il tuo fascino newyorkese, ammettilo!» scherza lei, ma io scuoto la testa.
«No, niente, non so nemmeno se sa come mi chiamo... Tanto la incontrerai a scuola. Avete la stessa etá, potreste anche capitare in classe insieme.» sospiro.
«Piuttosto, tu? Qualche ragazzo?» le chiedo.
Scuote la testa anche lei. «C'era un ragazzo dell'ultimo anno che mi piaceva, il classico giocatore di football. Conoscendolo avevo capito che non faceva per me. Quindi sono libera come l'aria, pronta per qualche ragazzo canadese!» scherza con un sorriso.

Amy.
La settimana a casa di Evan é passata in fretta. Abbiamo girato piú o meno tutta Napanee, mi ha fatto vedere i posti più significativi e dove andremo a scuola. Mamma e papá sono arrivati l'altroieri, abbiamo sistemato le prime cose a casa e poi sono andata da Evan. Abbiamo suonato un po' la chitarra e abbiamo cantato. Cioé, lui ha suonato e ha cantato, io quando ho provato a suonare ho fatto cadere il plettro nella cassa armonica e per quanto riguarda il cantare...lasciamo perdere. Evan ha una bella voce e sta diventando davvero bravo a suonare.
Comunque, domani si comincia la scuola. Con mamma oggi pomeriggio sono andata in segreteria, mi hanno dato il mio orario e la lista dei libri da comprare. Uscendo dal portone principale, mi sono scontrata con una ragazza, bassina ma magra come un'acciuga, con i capelli biondi - sicuramente tinti - e delle meches di un rosa forse un po' troppo confetto. Non mi ha nemmeno rivolto uno sguardo, ha continuato la sua strada con passo veloce. Che ragazza strana.

Oggi comincia la scuola. Metto nel mio zaino eastpack azzurro l'astuccio con qualche penna e matita ed un quaderno, poi mi ricordo di portare un pennarello indelebile, perché Evan ieri mi ha detto che vuole scrivermi qualcosa sullo zaino, ed io faró lo stesso. Chiudo lo zaino, saluto mamma e papá e suono a casa di Evan per andare a scuola a piedi con lui.
Mi saluta con un abbraccio.
«Sei pronta per il tuo primo giorno alla Napanee District Secondary School?»
«Prontissima!»

Il preside ci ha accolti in aula magna, e dopo un discorso di un'ora abbondante sulle regole della scuola e bla bla bla, ci ha lasciati entrare nelle nostre classi. Evan mi ha accompagnata fino alla mia classe di letteratura inglese, poi mi ha salutata e si é diretto verso la sua classe.
Ho passato dei momenti imbarazzantissimi. Il professore mi ha detto di alzarmi in piedi e di presentarmi alla classe, alias altre 19 teste che mi scrutano e sembrano voler captare ogni mio minimo errore per poi sbattermelo in faccia. È un miracolo che mi sia uscita la voce.
Per fortuna, dopo un'altra ora ora di matematica in cui ho dovuto fare lo stesso sforzo, c'è la pausa pranzo. Io ed Evan ci siamo dati appuntamento al tavolo accanto alle inservienti che servivano il dolce - tipico, goloso com'è! - ed è proprio li ad aspettarmi.
Pranziamo insieme e ci raccontiamo la giornata. Evan impallidisce all'improvviso e rimane in silenzio.
«Che succede?» gli chiedo, ma dato che non risponde mi giro per vedere cosa o chi stia guardando.
È la ragazza dell'altra volta, ancora piú magra - se possibile -, seduta a due tavoli da noi, da sola.
«È seduta da sola, invitiamola a...» comincio a dire, ma Evan mi interrompe. «No!»
«Perché? La conosci? Io l'ho vista quando sono andata a prendere l'orario l'altro giorno...»
Evan prende un sospiro, prima di rispondermi.
«Si chiama Avril, Avril Lavigne. Sai Amy, quella ragazza é strana, cazzo se é strana. Alcuni giorni prende d'aceto aubito, non la puoi neanche salutare che ti manda a fanculo. Altri giorni abbassa la guardia... e anche le mutande. É abbastanza troia. E odia parlare del suo passato. Una volta le ho chiesto a che scuola andava alle medie e mi ha tirato una pizza in faccia!» mi risponde, a voce bassa, per evitare che ci senta.
«Evan... È lei?» gli chiedo.
Annuisce, con lo sguardo basso, fisso a guardarsi i piedi. «Sí.»


myspace.
sono in straritardo lalalalala
mi sa che vi ci dovrete abituare, lol
boh. comunque, spero vi piaccia, e approfitto per ringraziarvi delle cinque recensioni al primo capitolo, siete bellissime asdfghjkl
a presto (lo prometto, lol)
fabi.
ps: Luna, lollino. <3
  
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