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Autore: exitwounds    29/03/2013    1 recensioni
[selfharm]
Tiro fuori il mio vecchio e malconcio ipod, che per qualche misterioso motivo ancora funziona, e mi sparo i Simple Plan al massimo del volume. Posso anche distruggermi le orecchie, ma almeno lo faccio con della buona musica.
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La conoscete quella sensazione di totale inutilitá? Quel momento in cui ti rendi conto che sei un nulla, che il mondo gira lo stesso anche senza di te, e anzi, che se non ci fossi girerebbe meglio?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Chuck Comeau, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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(3)
 

Dopo il mio monologo che faceva molto Terenzio ed i suoi spettacoli pieni di riflessioni filosofiche e psicologiche ed essermi ricomposta – avevo tutto il trucco colato, e a detta di Jeff sembravo un panda –, ci spostiamo tutti sul divano, e Pierre accende la televisione. Assurdo come un uomo della sua età, trentatré anni suonati, ami ancora vedere i cartoni animati e rida come un matto. “Questa notizia la devo postare su tumblr” penso con un sorriso. “Pierre Bouvier ride come un demente guardando i cartoni animati.” Tumblr imploderebbe.
Finita l’ennesima puntata dei Looney Tunes che Pierre ci aveva costretti a guardare – più o meno, perché Sèb ne era rimasto entusiasta – Chuck spegne la tv e ci propone di suonare un po’ insieme.
«Chloe ha detto che suonava il basso, David, magari puoi suonare con lei e le rinfreschi la memoria.»
Tutti ne sono entusiasti, David soprattutto, che saltella a prendere due bassi, quello nero e quello bianco con il battipenna nero, che porge a me.
Lo afferro, tremando, con la paura di fare una figuraccia assurda. Non suono da... tre mesi. Jack se ne è andato via ed ha portato via con sé la mia voglia di suonare, almeno fino ad ora. Jeff e Sèb che accordano le loro chitarre, Pierre che riscalda la voce, Chuck che giocherella con le bacchette ma soprattutto gli occhi di David che brillano guardando il suo basso mi danno quella spinta per ricominciare.
Imbraccio il basso e sistemo la tracolla in modo che le corde mi stiano più o meno all’altezza del fianco. Ho sempre avuto la fissa di tenerlo molto giù, papà mi diceva sempre che ero l’opposto del bassista di un gruppo degli anni ’80 di cui lui andava pazzo, che lo portava praticamente all’altezza del petto.
Appoggio la mano sinistra sul manico del basso, assaporando il contatto delle mie dita con le corde dure e spesse. Dio, quanto mi era mancato quel freddo metallo sulla mia pelle.
«Suonaci qualcosa, dai.» mi propone David.
Prendo un respiro profondo, il polso sinistro brucia ma non importa, e preparo la prima nota. So già che canzone fare, una delle prime che ho imparato ed una delle canzoni con cui sono cresciuta, di una delle band più famose al mondo. Linea di basso inconfondibile, che mi mette i brividi ogni volta che ne sento anche solo un pezzetto.
 
Come as you are,
as you were,
as I want you to be,
as a friend,
as a friend,
as an old enemy.
 
Take your time,
hurry up,
the choice is yours,
don’t be late.
 
Take a rest,
as a friend,
as an old memoria.
 
Impossibile non canticchiare mentre suono. Ed è bello sentire i ragazzi cantare con me. D’altronde, chi non conosce questa meraviglia di canzone?
David imbraccia il basso nero e suona con me. Se qualcuno ieri mi avesse detto che oggi avrei suonato “Come As You Are” al basso con David probabilmente gli avrei riso in faccia per mezz’ora almeno. E invece lo sto proprio facendo.
Poso il basso sul divano, accanto a me, sicuramente rossa come un peperone, ripensando mentalmente agli errori che ho fatto. Ho saltato una nota su “memoria” e sono andata fuori tempo ad “and I don’t have a gun”. Penso che questa caratteristica del perfezionismo non riuscirò mai ad attenuarla. Per me non perfetto è uguale a uno schifo, quindi ho suonato da schifo. Due più due fa quattro. “Scusa, Kurt, scusate ragazzi.” penso tra me e me.
«Brava!» si complimentano i ragazzi. Li ringrazio con un sorriso, non pienamente convinta di aver suonato bene ma okay.
 
 
Le ore con i Simple Plan passano ad una velocità assurda. Mi sembra neanche mezz’ora fa quando ho varcato la soglia di questa casa con Chuck, impaurita e silenziosa, ed adesso sono quasi le undici e siamo tutti e sei con una bottiglia di birra in mano, non ubriachi, ma neanche completamente sobri, un po’ brilli.
«Diamine, sono già le undici!» esclama Sèb, guardando l’ora sul suo iphone.
«Devo andare...» faccio per alzarmi dal divano, ma Jeff mi richiama. «Rimani per stanotte, è tardi.»
«Poi dormire nella stanza degli ospiti!» propone Pierre e tutti approvano. «Va bene, grazie ragazzi.»
«Ti faccio vedere qual è la stanza.» si offre Chuck, che mi accompagna su per le scale, al piano superiore.
Il primo piano è composto da un corridoio su cui si affacciano molte porte, che immagino siano le stanze dei ragazzi. Al mio sguardo salta all’occhio una libreria, e nella penombra spicca un libro, “1984” di George Orwell, di cui mi hanno sempre parlato bene, ma non ho ancora avuto occasione di leggere.
«Questa è la tua stanza» Chuck mi indica l’ultima porta verso la destra, «quello laggiù in fondo è il bagno e per qualsiasi cosa chiamami, la mia stanza è accanto alla tua.»
È un attimo. Non so perché, non so come, ma mi avvicino a lui e gli getto le braccia al collo. Mi stringe a sé.
«Grazie per non avermi preso per una pazza, per avermi aiutata, per la tua disponibilità, per tutto.»
«Non devi ringraziarmi, te l’ho già detto.» mi risponde con un sorriso. «Domani pomeriggio noi partiamo.» mi alza il viso, in modo da guardarlo negli occhi. «Abbiamo le prove per il concerto di sabato a Ottawa. Vuoi venire con noi?»
Cerco nei suoi occhi un segno, un qualcosa che mi faccia capire se sia serio o sia io a dare i numeri. Ed è serio. Sarebbe un sogno partire con loro, ma purtroppo ho il lavoro e non posso mollare di punto in bianco, il mio capo si infurierebbe. E perdere il lavoro non sarebbe un grande aiuto data la situazione.
«Chuck...io...darei oro per venire con voi, ma lavoro, non ho ferie e non posso rischiare di perdere il posto, ci mancherebbe solo quello...» abbasso lo sguardo per terra.
«Tranquilla, capisco. Domani ti riaccompagniamo noi a casa, e per qualsiasi cosa ti lascio il mio numero.» gli porgo il telefono e segna il suo numero. «Per qualsiasi cosa non farti problemi a chiamarmi o a scrivermi. Buonanotte!» mi dà un bacio sulla guancia ed ognuno si dirige verso camera sua. Riesco appena a sussurrare un timido “buonanotte” a lui ed ai ragazzi che stanno salendo le scale e mi rifugio nella stanza degli ospiti.



myspace.
siete autorizzati ad odiarmi. non mi arrabbio, giuro, avete ragione. ma in fondo che saranno mai più di due mesi di ritardo nel postare? niente. naaah.
.....lasciamo perdere. sono successi casini su casini e non ho avuto neanche il tempo di pensare di rimettermi a scrivere.
e poi ho abbastanza dato di matto perché vedrò i Green Day e gli All Time Low lo stesso giorno e non riesco a smettere di fangirlare asdfghjkl
vabbè, spero di non tardare troppo con il prossimo lol
fabi <3
  
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