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by _marty
02
- Un vecchio amico
Osaka
Era
una
casetta nella periferia di Osaka, a due piani e un meraviglioso
giardino.
Bianca, come la maggior parte delle case in quella zona.
Reila
camminava tranquillamente, con i suoi inseparabili occhiali e il trench
color
kaki chiuso per bene sulla vita. Tirava un po’ di vento in
quella stagione, ma
non faceva tanto freddo.
Quello
che
non si notava dai gesti di Reila era il guardarsi sui due lati scoperti
e ogni
tanto le spalle, lo
faceva sembrare un
comportamento molto naturale.
Quando
arrivò alla casetta bianca, che conosceva bene, premette il
pulsante del
citofono. Attese qualche istante prima che una voce
dall’interno si facesse viva.
-Sì?
-I
ciliegi
in fiore sono bellissimi.
Reila
conosceva bene la parola d’ordine per farsi riconoscere. Ma a
Jin non serviva
tutta quella trafila, avrebbe riconosciuto la voce della donna anche
mascherata
da qualche apparecchio.
Il
cancelletto della casa si aprì e Reila, attenta a non
inciampare a quel solito
gradino, percorse il vialetto fino alla porta che si era dischiusa.
Entrò
all’interno e subito abbracciò calorosamente il
proprietario di casa, poco più
basso di lei.
Jin
era un
signore di mezza età che era stato insieme al padre di Reila
nell’esercito e del
quale nutriva una profonda stima. Ormai prossimo ai
sessant’anni, Jin era ormai
distrutto dall’artrite e dai reumatismi, venuti precocemente.
-Jin,
che
piacere vederti.
Reila
sorrise, contenta di rivedere il suo vecchio tutore. Erano ormai due
anni che
non gli faceva una visita.
-Non
posso
dire altrettanto, Reila.
Disse
Jin,
chinando leggermente il capo. Reila rimase interdetta per qualche
istante.
-So
perché
sei venuta da me e non è certo per una visita di cortesia.
Reila
storse le labbra portando lo sguardo verso il volto di Jin. Sapeva bene
cosa
volesse intendere il suo tutore, ma la decisione ormai
l’aveva presa.
-Ti
prometto che questa sarà l’ultima volta. Ho
bisogno di lei.
Reila
sorrise nel pronunciare quella frase, ma in cuor suo sapeva che non si
sarebbe
mai liberata di quella vita. Ormai l’aveva assorbita
interamente e né Jin, né
George avrebbero potuto farle cambiare idea.
Jin
la
guardò perplesso. Sapeva come la ragazza ragionava,
però
in quel momento voleva crederle. Il problema è che Jin
sapeva
bene che non sarebbe servito a salvarla dal guaio in cui si
sarebbe messa da lì a poco.
-Seguimi.
__________________
Reila
si
rigirava nel letto senza riuscire a chiudere occhio. Come quando faceva
un
tempo, si era rifugiata per una notte a casa di Jin.
Fissava
il
soffitto e stringeva le coperte tra le mani. I suoi pensieri andarono a
ciò che
avrebbe fatto. E dire che aveva deciso di metterci una pietra sopra a
tutta
quella storia, almeno da quando aveva saputo che Dmìtrij era
morto.
Un
morsa
prese il suo cuore, all’improvviso. Il solo pensare a lui la
faceva ancora star
male e non riusciva a togliersi il suo fantasma da davanti gli occhi in
quell’ultimo istante, quando lo aveva ucciso.
Reila avvicinò la
propria bocca a quella
dell’uomo. Voleva ancora il suo sapore sulle labbra e il suo
calore sul proprio
corpo.
La
donna
non riusciva a pensare ad altro e l’immagine
dell’uomo che la teneva stretta a
sé, anche per qualche istante, non era scomparso. Era come
se le avesse
lasciato un pezzo di sé a torturarla nei giorni a venire.
Continuava a
tormentarsi per ciò che aveva fatto.
Si
alzò dal
letto e accese la luce, portandosi verso la finestra. Reila aveva
scostato le
tende con una mano e lo sguardo sfiorò quelle stesse mani
che ancora
ricordavano.
Le
immagini
si sovraffollarono e si confusero tra loro. Vorticarono rendendola
cieca alla
realtà per qualche istante. Era cose se stesse rivivendo
alcuni ricordi, ma non
erano tali. Erano veri, tangibili.
Le
capitava
spesso. I fantasmi del passato non avrebbero mai cessato di presentarsi.
Reila
guardò fuori, nella notte, mentre le luci di una timida alba
cominciavano ad
intravedersi all’orizzonte. Era arrivato il momento di andare.
-Riuscirò
a
dimenticare tutto.
Lo
disse a
bassa voce. Una promessa che fece a se stessa e che doveva
assolutamente
mantenere.
Kyoto
Ricordava
bene le parole di Jin. Non avrebbe mai potuto dimenticarle. Gliele
aveva dette
nel momento in cui aveva nuovamente stretto tra le sue mani la sua
fedele
compagna, lei almeno non l’aveva mai tradita.
-Reila, ricordati quello che mi hai
promesso.
L’assassina
aveva solo annuito e per qualche istante era rimasta in silenzio,
accarezzando
la canna lucida di Firestorm, come l’aveva chiamata. Quando
ti affezioni ad una
cosa, non si può resistere nel darle un nome. Sia pure un
oggetto freddo e
pericoloso.
A
Jin gli
aveva risposto di non preoccuparsi, che tutto sarebbe filato liscio.
Che presto
sarebbero ritornati ad essere una famiglia felice, come tantissimo
tempo fa.
Reila
camminava
per le vie di Kyoto distrattamente e qualche volta era andata a
sbattere anche
contro qualche passante.
Quegli
occhiali scuri le coprivano il volto, per paura che qualcuno la
riconoscesse.
Aveva fatto scintille un giorno nella cittadina di Kyoto e ancora se ne
ricordava. Al solo pensiero un sorriso le sfuggì dalle
labbra rosse come il
sangue. A quegli occhi imploranti che aveva lasciato vivere.
Scosse
il
capo a scacciare quel pensiero. Era stata l’unica volta che
si era lasciata
sfuggire un’emozione, ma dopotutto, a quel tempo, era ancora
all’inizio della
sua carriera.
Quel
giorno
era stato abbastanza emozionante ed eclatante, tanto che i giornali ne
parlarono per giorni
e giorni. Per Reila era stato un lavoro come tutti gli altri.
Già,
anche
Dmìtrij era stato un lavoro come gli altri, solo che ci era
rimasta scottata
pesantemente.
Sul
viso di
Reila comparve un velo di tristezza, cosa che non volle per nulla
nascondere
anche perché nessuno l’avrebbe mai vista. Era una
passante come tutti, solo con
un po’ di tristezza ancora viva nel cuore.
La
donna
prese un profondo respiro, spostando la mano destra verso il fodero
della
pistola. Le infondeva sicurezza e null’altro
l’avrebbe fatta calmare come
faceva quel pezzo di metallo.
Era
la sua
garanzia ad una vita migliore in quel momento. Anche se lei non ci
aveva mai
creduto a questa favola.
Si
soffermò
per qualche istante, alzando il capo verso l’alto, guardando
la croce sulla
diocesi di Kyoto.
Quante
volte aveva sperato di potersi sposare ed avere una vita senza
rimpianti e
ripensamenti.
Forse
lei
non era destinata ad avere tutto questo, era destinata solo a rovinare
la vita
a quelle persone che lei stessa invidiava.
Poi,
dopo
Dmìtrij era arrivato di nuovo George.
A
quel
pensiero si soffermò per qualche istante. Strinse
leggermente le labbra e sorrise
appena. Nonostante non fosse felice, non era quello che voleva, ma si era arresa
all’idea
che, forse, era lui l’uomo con cui doveva dividere quella
misera esistenza.
Fatta
di
sotterfugi e incontri al buio. Non era questo però, non era
quello che lei
voleva e in un momento nel quale si sentiva così debole,
George sembrava
l’unica ancora di salvezza. Quella della disperazione.
Ora
doveva
concentrarsi solo a quello che era venuta a fare in Giappone e
più precisamente
a Kyoto, la sua città di origine.
Alzò
nuovamente il capo e notò che il cielo si stava rabbuiando.
Avrebbe agito da lì
a poche ore e forse qualcosa sarebbe successo. Dipendeva tutto dalla
sua
capacità di dimenticare il passato.
Reila
iniziò nuovamente a camminare. I suoi passi più
decisi e i suoi movimenti più
femminili, così come aveva dovuto imparare per far cadere
gli uomini ai suoi
piedi e poterli uccidere.
La
donna
sentiva dentro di sé qualcosa, non sapeva dargli forma e
nome, ma sentiva che
sarebbe successo qualcosa. Scosse il capo, sorridendo a quel pensiero.
Sapeva
bene che non sarebbe successo niente, anche perché sapeva
fare il suo sporco
lavoro.
__________________
Si
era
nascosta dietro le tende. Attendeva nella penombra della stanza il suo
obiettivo. Sapeva che sarebbe arrivato da solo e che sarebbe stato
molto
semplice prenderlo di sorpresa.
In
Russia
era stata braccata e a stento era riuscita a sfuggire agli uomini di
Natasha.
Era stato debilitante e faticoso, ma alla fine era riuscita a tornare
in
Giappone, per poter risolvere quel piccolo problema scaturito a Mosca.
Sentì
improvvisamente dei passi che si avvicinavano alla porta
dell’appartamento. Si
era acquattata ancora di più contro la finestra, sua unica
via di fuga.
L’uomo
entrò. Natasha era ai suoi comandi, poiché la
donna fredda e calcolatrice non
era solo una proprietaria di bordelli, ma era quella che forniva le
armi e la
droga all’uomo che avrebbe dovuto uccidere.
Dopo
che
Natasha aveva divulgato la descrizione del suo volto alle persone che
erano in
affari con lei, tra cui lo zio di Dmìtrij, Reila era dovuta
scappare con la
coda tra le gambe. Era stata braccata per tutta la Russia e adesso, ne
era sicura,
che altri erano sulle sue tracce. Doveva solo arrivare per prima.
Pensavano
volesse sabotare la loro missione, ma era stato solo un tremendo
malinteso.
Solo
un
inutile malinteso.
Ora
il suo
uomo, Hideori, era a pochi passi da lei, che stava sollevando il
bicchiere di
whisky che si era preparato.
Ma
altri
passi sentì improvvisamente dirigersi verso la porta e
Hideori, dopo che aveva
sentito bussare, si era diretto verso l’uscio per aprire.
Reila
strinse le labbra e si acquattò di più contro il
muro. Questo imprevisto non ci
voleva. Stringeva Firestorm nella mano destra come se fosse la sua
unica ancora
di salvezza e in effetti in quel momento lo era. Se fosse stato
necessario
avrebbe ucciso entrambi. Anche perché era la prima volta che
era lei a decidere
il bersaglio, la prima volta che gli ordini erano dettati solo dalla
sua testa.
Prese
un
profondo respiro, attenta ad ogni movimento e rumore sospetto.
Sentì nuovamente
Hideori ritornare indietro e al suo seguito un altro uomo, dalla sua
posizione
non poteva distinguerne i tratti.
Non
passò
che un istante, il tempo di ideare un piano secondario per poterne
uscire
illesa, che sentì vibrare un colpo sordo e un corpo cadere a
terra
pesantemente.
Reila
strabuzzò gli occhi, non avendo al momento il coraggio di
uscire fuori dal suo
nascondiglio. Strinse con più veemenza la pistola e
sbirciò attraverso la tenda
per vedere ciò che era successo.
-Reila.
La
sua
sorpresa si fece palese e sul suo volto accrebbe la paura di non
comprendere
quello che stava succedendo.
Sentì
che i
passi dell’uomo che era entrato con Hideori si avvicinavano a
lei, senza avere
la forza di reagire. Era stata troppo in inattività per
avere la forza di
andare e scappare. Ma la voce dell’uomo era tremendamente
familiare, un uomo
che si perdeva nei suoi ricordi.
E
poi una
domanda le affiorava nella mente. Come faceva a sapere che lei era
lì?
L’uomo
scostò la tenda e Reila, presente a se stessa, gli punto
Firestorm alla testa,
proprio in mezzo agli occhi. Alla fine era rinsavita, doveva pensare
alla sua
vita adesso. Ma proprio quando lei stava per premere il grilletto, la
mano
libera dell’uomo la disarmò e sentì la
presa vigorosa sul polso bloccandola
contro il proprio corpo, puntandole alla tempia la stessa pistola che
aveva ucciso Hideori.
Reila,
nel
riconoscerlo, le si bloccò la voce in gola, sgranando gli
occhi come se avesse
visto un fantasma.
-Ka...
jiro.
Reila
fece
uscire quel nome come vomitato dai meandri della sua mente.
Cercò di guardarsi
intorno senza avere a portata di sguardo la sua Firestorm,
l’unico essere
capace di difenderla adesso.
-Rivedermi
non ti fa piacere?
La
voce
dell’uomo dagli occhi nocciola e dalla forma di mandorla
appena accennata, la fece trasalire. Aveva fatto
crescere i suoi capelli castani e i tratti erano come quelli di lei,
molto
occidentali, anche se c’era la predominante orientale.
Le
labbra
sottili di Kajiro erano stirate in un sorriso appena accennato.
-Non
in
questo modo e non in questa situazione.
Reila
aveva
ponderato per bene le parole da dirgli. Lui era l’unico che
l’aveva sconfitta e
l’unico a cui aveva risparmiato la vita.
La
presa
dell’uomo sui polsi di Reila si fece più
prepotente per farla avvicinare
abbastanza al proprio volto. Reila aveva accennato una smorfia di
dolore sul
volto pallido e scostò il viso più che
poté dalla vicinanza che lui aveva
assicurato.
-Ti
dispiace che io sia diventato ciò che sono?
Reila
non
poté far altro che annuire e lasciare un sospiro che le
provocò la stretta
particolarmente violenta dell’uomo.
-Non
pensavo che avresti scelto questa strada. Se lo avessi saputo, non ti
avrei
lasciato vivere.
Kajiro
non
fece altro che sorridere e rilasciare la presa da Reila pian piano, in
modo che
il sangue refluisse lentamente nelle mani della donna e che
l’odore di lei gli
si insinuasse nelle narici.
-Non
sei
cambiata per niente, Reila.
Reila
corrugò leggermente le sopracciglia, ma non rispose. Il quel
periodo era
cambiata molto, ma cosa poteva saperne un pivello di ciò che
era diventata
ormai la sua vita?
L’assassina
raccolse la sua pistola, riponendola nel fodero. Voltò le
spalle all’uomo,
sapeva bene che non le avrebbe fatto del male, almeno per adesso.
Reila
non
rispose, si limitò a spostare lo sguardo verso il basso.
Persa nei ricordi di
quegli ultimi anni. Non fece neanche caso a Kajiro che si era
avvicinato
talmente tanto da farle sentire il proprio alito sul collo.
-Ho
una
cosa da dirti.
La
voce
dell’uomo era bassa e il volto di Reila si fece
più duro. Prese un profondo
respiro e si voltò di scatto, facendo in modo di guardare
Kajiro negli occhi e
carpire le parole che le voleva dire, prima che lui pronunciasse
realmente
qualcosa.
Reila,
nel
volto dell’uomo, lesse qualcosa e fece qualche passo
indietro.
-Mi
hanno
chiesto di ucciderti.
Reila
non
rispose, di rimando però le labbra si curvarono in un
leggero sorriso.
Naturalmente non si poteva uccidere facilmente chi uccideva per
mestiere.
-E
credi di
potercela fare, Kajiro?!
L’uomo
non
poté far altro che spostare il suo peso sulla mano che si
era appena poggiata al
muro e guardare l’assassina con sicurezza. Reila non si era
minimamente accorta
che era finita con le spalle contro la parete.
-Oggi
no,
ho prima un conto da regolare con te e poi ti devo un favore.
Reila
era
bloccata tra il muro e l’assassino, e non poteva muoversi
perché qualsiasi via
le era stata preclusa. Ciò che non le piaceva di Kajiro era
la voce, le faceva
tremare le gambe e non per qualche emozione, assolutamente. Non sapeva
dare il
nome a ciò che provava.
-Allora
fammi passare.
Sostenne
lo
sguardo di Kajiro fino in fondo senza più una parola, tanto
che lui si scostò
poco dopo alzando le mani in segno di resa.
Reila,
senza voltarsi, uscì proprio da dove era entrata, dalla
finestra, che
fortunatamente era situata anche al piano terra. Non rivolse nessuna
parola
prima di andarsene, né Kajiro provò a fiatare.
Non voleva sapere cosa
l’aspettava, non ne aveva voglia.
Ora
aveva
solo un nuovo nemico da mettere sulla lista e naturalmente, questa
volta, non
avrebbe avuto rimorsi ad ucciderlo.
Osaka: (Ōsaka-shi,
(letteralmente "grande pendio"), è una città del
Giappone di 2,7
milioni di abitanti situata nella regione del Kansai, nell'isola di
Honshu,
alla foce dei fiumi Yodo e Yamato.
È
la capitale dell'omonima
prefettura e la terza città del Giappone per numero di
abitanti, posta al
centro della popolata area metropolitana chiamata Keihanshin, di cui
fanno
parte Kobe e Kyōto, con le quali raggiunge il numero di 17.510.000
abitanti.
Osaka fu storicamente la capitale commerciale del
Giappone, di cui ancora
oggi è uno dei maggiori distretti industriali e portuali.
Diocesi di Kyoto: (in latino Dioecesis
Kyotensis) è una sede della Chiesa cattolica
suffraganea dell'arcidiocesi
di Osaka. Nel 2004 contava 19.198 battezzati su 7.314.195 abitanti.
È
attualmente retta dal vescovo Paul Yoshinao Otsuka.
La prefettura apostolica di
Kyōto fu eretta il 17 giugno
1937 con la bolla Quidquid ad spirituale
di papa Pio XI, ricavandone
il territorio dalla diocesi di Osaka
(oggi arcidiocesi).
Il 12 luglio 1951 la prefettura apostolica
è
stata elevata a diocesi con la bolla Inter supremi
di papa Pio XII.
Angolo
dell'autrice
Rinnovo
sempre il mio invito a farmi sapere come vi sembra, non credo vi porti
via molto tempo una recensione, facendomi sapere cosa ne pensate di
questa storia. Vi inviterei infine a leggere "Dopo la pioggia" per
poter capire un po' meglio dell'intera vicenda. Infine vi ringrazio per
chi l'ha messa tra le preferite/seguite/ricordate.
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