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Autore: Grahammish    15/04/2013    5 recensioni
Dal quarto capitolo:
Quella scena gli lasciava una stretta al petto che John non voleva ancora analizzare bene, era così tranquillo,
così appagato dal vedere la sua amica serena, così lontano da tutto.
Il fulcro della vita era lasciare che fosse, lasciarsi amare, lasciare amare, lasciare che le cose andassero- in maniera sbagliata o no- il fulcro della vita era lasciarsi vivere.
E non avrebbe potuto dire se tutto sarebbe andato bene,
ma sentiva che tutto alla fine sarebbe andato per il verso giusto, e se pure non fosse successo non era la fine,
perché per John Lennon la parola fine non esisteva.
Dal terzo capitolo:
-John.. aspetta- aveva farfugliato la ragazza- il giaccone!
Ma lui fece finta di non sentire cominciando a fischiettare allegramente.
-Glielo porto io, devo parlarti.
-Su avanti dimmi..
Paul riflettè, doveva avere il fegato e il carisma.
- Vuoi sapere un segreto?- disse con una faccia ammiccante.
Lily sorrise, era una persona molto curiosa.
-Non lo dirò a nessuno.
- Ti amo.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, Quasi tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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La trama di questa storia nasce da un’idea di Little Bird_, che gentilmente me l’ha ceduta (in)consapevole di cosa le avrei fatto, dunque oltre che ringraziarla per avermi concesso l’idea base le chiedo scusa LoL.

PROLOGO- Ticket to ride

Poteva ricordare benissimo quel volto leggermente allungato con la mascella accentuata e maschia,
ma che nonostante questo possedeva una dolcezza virile donata dai lineamenti nordici.
I capelli che stavano ordinati, quel sorriso carismatico, quella voce, che sembrava subire una modellazione lungo il percorso che compiva fino alle labbra, leggermente carnose e davvero provocanti.

La ragazza scrollò il capo, mentre un sorriso silenzioso che coinvolgeva le sue labbra si faceva spazio in tutto il volto.
Immaginò mentre parlavano che le sue gote probabilmente fossero diventate rosse e un brivido di contentezza la percorse.
Si sgridò mentalmente rammentandosi che Stuart era il fidanzato di Astrid, una delle sue amiche più strette, ma questo non decrebbe la sua attrazione per lui, la rese unicamente più strisciante.

Il sorriso nacque ancora una volta nel momento in cui realizzò che quel pomeriggio avrebbe rincontrato Stuart, e avrebbe conosciuto anche i membri del suo gruppo. La sua mente, ancora impressionata dall’impronta del bassista, immaginava altri quattro ragazzi che avevano qualcosa di simile a quest’ultimo, ma razionalmente era consapevole che avrebbe potuto trovarsi qualunque tipo di persona.

Chiuse la finestra, mentre un odore di sigaretta le inondava le narici.
Tranciò in maniera decisa i Jeans troppo lunghi sgraffignati a una megera che abitava poche strade più avanti e li infilò,
sperando che non le andassero grandi.
Salì sulla sedia e poi sulla scrivania per vedersi le gambe nello specchio a mezza figura appeso a metà parete.
Le evidenziavano le cosce rotonde e sode mentre cadevano larghi sulle gambe e anche un po’ sulla vita.
Esultò in silenzio, i jeans erano un capo di ultima tendenza e non tutti ne possedevano un paio.
Avrebbe dovuto toglierseli, perché andando al lavoro rischiava di sporcarseli, ma era troppo impaziente di indossarli.

Diede un ultimo sguardo alla stanza, come tentando di rammentare qualcosa.Si infilò il giubbotto, e uscì.
Nell’atrio del palazzo diede uno sguardo all’orologio, era tardi, avrebbe ancora una volta dovuto correre fino al lavoro.
Percorse le strade ben conosciute, ma non familiari, fino a giungere al locale aperto notte e giorno. 
Sgusciò tra i clienti e i camerieri, passando per la cassa e poi per le cucine, e raggiungendo i grandi lavandini dove qualche pila di piatti sporchi la aspettava.

Era un lavoro umile e faticoso. Alle volte le sue braccia erano così distrutte, e le mani rosse e gonfie.
Ma il suo unico modo di mantenersi era quello, al momento, anche se sperava di trovare un’occupazione migliore.
Quel giorno ad ogni modo, il lavoro fu meno pesante del solito.
Non perché i piatti fossero di meno o meno sporchi, ma perché la prospettiva di incontrare i ragazzi occupava i suoi pensieri. In realtà rimbombavano in mente le immagini dell’incontro con Stuart.

Non poteva proprio togliersi dalla mente il discorso che avevano portato avanti sull’arte, il modo di parlare del giovane, e quello sguardo. I suoi ripetuti tentativi di distogliere  per qualche momento lo sguardo da quella figura che emanava sia luce che ombra, con potenza straordinaria.

Almeno quel pomeriggio, una volta uscita dal locale in cui l’odore di carne era insopportabile, non sarebbe corsa a casa per una stupida questione seria, ma per mettere un po’ di trucco su quella faccia da bambina e allietare il tempo.
Non che fosse mai stata una persona troppo seria, giudiziosa o responsabile, anzi era una ragazza che seppur sensibile era molto distratta e frivola, che non amava  seguire ciò che veniva imposto. Nel corso degli anni chi l’aveva conosciuta l’aveva giudicata perfino matura, ma era una maturità che preservava per poche occasioni.
Tutto ciò che aveva intenzione di fare era divertirsi e spostarsi, non riusciva a stare ferma, tutto ciò che sapeva fare era cambiare.

Quando scoccarono le quattro la ragazza corse nel bagno del locale per lavarsi la faccia e si mise un po’ di matita. Era troppo tardi per tornare a casa, per fortuna che aveva pensato a portarsi una maglietta di ricambio. Salutò i gestori, intascando la paga del giorno e corse al di fuori del ristorante. Faceva freddo e il vento era forte, il suo cappotto si era lacerato di lato ed esso entrava colpendola alle costole. Raggiunta la fermata dell’autobus si sedette sulla pensilina, mentre il cuore le batteva a mille.

Era quasi sul punto di tornarsene a casa, voleva andare da Stuart.
Ma la timidezza, che era solita a celare dietro l’arroganza, le impediva di affrontare l’incontro serenamente.
Si aggiustò i capelli sulla fronte sebbene non avesse alcuno specchio con sé, e si alzò sventolando le braccia per far fermare l’autobus.

Il mezzo era più piccolo degli altri e un odore di umido si faceva spazio tra i sedili freddi e scomodi.
Si accomodò, la fredda plastica sembrava toccare la pelle del suo fondoschiena, pregando in silenzio perché non salisse il controllore. Se l’avesse visto salire avrebbe deciso dalla faccia se schizzare via o mettere su una qualche farsa.
Il bar dove dovevano incontrarsi non era troppo lontano, non rischiava più di tanto.

Osservava i palazzi, le strade asciutte che nelle ore notturne si sarebbero infuocate delle sconcezze notturne di quella città brava.  Poche fermate dopo, i suoi occhi si spostarono fulmineamente, e un senso di agitazione la percorse.
Con la sua uniforme color  senape e le grosse sopracciglia marrone scuro, aggrottate sopra quegli occhi incavati e vuoti, l’uomo si preparava a svolgere il suo mestiere. Fece per alzarsi e scendere, ma tutte le porte erano chiuse,
allora si appoggiò alla sbarra fingendo disinvoltura. In pochi minuti, l’uomo preciso e scattante aveva controllato tutti i passeggeri seduti davanti, e stava dirigendosi verso di lei. Egli si schiarì la gola e disse con voce profonda e pomposa:

-Biglietto signorina?

La ragazza guardo l’uomo annuendo in silenzio e simulò un controllo nei jeans e nel cappotto.
Fece una faccia agitata, e disse timidamente cercando un tremore nella voce:

-Un attimo solo, non lo trovo.

-Non si preoccupi signorina.

Quella fece finta di guardare nella piccola sacca che portava sulle spalle, mentre simulava una crescente agitazione. L’uomo sembrava essersi leggermente innervosito ma aveva ancora un’espressione benevola.

- Mio dio non lo trovo!- disse mentre controllava nella piccola tasca posteriore della sacca- Deve essermi caduto..
signore giuro che lo avevo!

- Ma io non posso saperlo, anche volendo crederle, mi dispiace ma devo farle la multa.
- Eccolo qui- disse una terza voce dall’accento straniero, che si trovava alle spalle della ragazza- la signorina deve averlo perso quando è salita sull’autobus.

La ragazza si girò con gli occhi spalancati verso il suo salvatore.
Era un giovane di normale statura, con i capelli biondo scuro e il naso leggermente lungo.
Aveva gli occhi vispissimi che saettavano da un volto all’altro, e la sua voce era di un colore particolare e accattivante.

-         L’ho notato proprio poco fa vicino alle porte dell’autobus.- aveva proseguito il ragazzo- ora se permette io e la signorina avevamo intensione di scendere proprio a questa fermata.

Il controllore scrutò i due, obliterò il biglietto e li lasciò andare.
La ragazza scese in silenzio seguendo il giovane che, rifletté tre sé e sé, era davvero attraente.

- Dio santo, avevo solo quel biglietto, se mi avesse chiesto il mio saremmo stati fregati. Tu devi essere Lily, vero?

La ragazza lo guardò con fare interrogativo negli occhi castano chiaro allungati.

- Si sono io, Lily Evans. Ma tu come lo sai?
- Stu. Comunque piacere, sono John, John Lennon. Faccio parte del gruppo con Stu e altri miei amici,
  un gruppo sconosciuto perso nel cuore del puttanaio chiamato Amburgo.

 
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Come andrà l’incontro? Lily penserà ancora a Stuart dopo aver conosciuto i Silver Beetles? E i Silver Beetles saranno interessati a questo nuovo incontro? E Astrid..? 
E' la mia prima long che pubblico , forse anceh la prima cosa sui Beatles che pubblico abbiate pietà pls.
Se sei arrivato fino a questo punto ti do un premio:
recensisci, LoL.
Bye Bye!
   
 
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