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Autore: LadyMaria    16/04/2013    0 recensioni
Mary è stata nuovamente accolta, finalmente in maniera definitiva, alla corte del padre.
Seppur nella sua attuale "felicità" non può certo fare a meno di esser riconoscente a quell'uomo che le è rimasto accanto per tutti quegli anni di sofferenza: l'ambasciatore Eustace Chapuys.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La Corte si faceva sempre più vicina.
La carrozza viaggiava in maniera spedita lungo il sentiero setacciato.
Eustace era più ansioso che mai.
Non sapeva nemmeno che cosa avrebbe detto alla povera Lady Mary in merito al quel ritorno che tanto sarebbe apparso improvviso quanto inaspettato, ma di una cosa era certo: desiderava vederla.
Quando il cocchiere fece fermare la vettura e aiutò il povero ambasciatore a discendere, Eustace gli sorrise grato e lo congedò con qualche moneta lasciata a mo’ di tariffa per il favore che gli era appena stato fatto.
 
Mary, invece, si trovava chiusa nell’alto e piccolo appartamento, lontana dagli sfarzi di corte intenta a rileggere per l’ennesima volta l’unico libro che riusciva a confortarla in ogni momento difficile: la Sacra Bibbia.
Le esili e bianche dita della giovane solcavano le candide pagine del libro mentre uno dei piedi tamburellava uno strano, insolito e assai lento ritmo a causa del lieve rumore provocato dal tacchetto della scarpina quando esso si ritrovava a toccare il pavimento.
“Tic… tic… tic-tic… tic…” Era proprio così che faceva.
Tutto ad un tratto, però, quel piede smise di muoversi e lo sguardo fu sollevato verso l’alto a causa dell’arrivo di una delle domestiche.
Mary si ritrovò a sospirare appena, sicuramente le veniva annunciata una qualche visita di cui, al momento, poco le importava.
 
-L’ambasciatore Eustace Chapuys per voi, Madama…- mormorò la dama di compagnia prodigandosi in un profondo inchino mentre a Mary le forze vennero quasi meno.
Era dunque tornato? Per restare o solo per dirle “addio”? Ad ogni modo, dopo un istante di titubanza, sussurrò:
-Fatelo accomodare…- mentre ella stessa si alzava lentamente dalla sedia, sistemava un lembo mal ripiegato del vestito per muovere un passo in avanti e fermarsi di colpo. Incrociò le mani all’altezza del ventre e rimase lì, immobile ad attenderlo.
Non la fece aspettare molto perché non appena la domestica svanì oltre la soglia della stanza ecco che Chapuys vi faceva il proprio ingresso.
Le apparve subito un poco impedito nei movimenti, zoppicava più di quanto ricordasse, ma la ragazza imputava la cagione di tale “malessere” alla malattia che l’uomo aveva da poco superato.
Mentre lui si inchinava Mary cercò di ricambiare con eleganza quei piccoli segni di riverenza che le circostanze gli imponevano  di seguire nei minimi dettagli e di rivolgerle.
Ma Eustace avrebbe voluto avvicinarsi subito a lei, afferrarla per le spalle e stringerla a sé con il desiderio di non lasciarla andare mai più.
E tuttavia non lo fece. Si limitò a fissarla intontito non ben consapevole di cosa poter dire o di cosa poter fare per giustificare il cattivo comportamento che le aveva riservato. A lei! All’unica persona che Chapuys poteva definire “amica”.
-Lady Mary…- borbottò Eustace inchinandosi per l’ennesima volta portandosi un braccio all’altezza dello stomaco
-Eustace vi prego- esclamò lei notando con quanta fatica il poveretto riuscisse a piegare la schiena per generare un inchino decente, ogni muscolo del suo viso denotava un intenso e soffocato dolore
-Non mi sembrate proprio nelle condizioni per piegarvi a quel modo…- ed ecco che tutta la rabbia e la delusione provata per l’improvvisa e non rivelata partenza di lui erano svanite nel nulla. Era bastato che Chapuys la chiamasse per nome per dimenticare ogni cosa, era bastato ascoltare il soave tono della sua voce, era bastato vederlo e in un attimo l’oggetto del dolore provato nel frangente passato era diventato l’oggetto della presente gioia.
Quelle parole lasciarono senza fiato e senza parole il poveretto. Era sempre stata troppo buona con lui e, in quel momento, lui era ben consapevole di non meritare un simile e cortese trattamento come quello.
Muovendo un passo verso di lei riuscì a trovare il coraggio di guardarla, finalmente negli occhi, e a mormorare un sentito:
-Mi dispiace….-
La giovane gli fece cenno di sedersi mentre lei stava già facendo la medesima cosa. Solo allora si affrettò a rispondergli:
-E di cosa?- sorridente come non mai. –Di essere partito e di non aver detto niente?- le rosee labbra di lei si assottigliarono e per un attimo ad Eustace parve di scorgere nel suo sguardo un qualcosa che assomigliasse vagamente alla tristezza. Ormai la riconosceva bene la tristezza che si rifletteva nelle iridi di Lady Mary. Gliel’aveva vista, purtroppo, dipinta sul volto molte (troppe) volte.
Stavolta era lui stesso ad esser stato la cagione di quello sguardo dolorante e, in cuor proprio, non riusciva a perdonarsi per il male che le aveva procurato.
-Esattamente….- non sapeva nemmeno lui in quale maniera fosse in grado di articolare mentalmente quelle povere sillabe né tantomeno di come fosse capace di pronunciarle.
Se avesse ascoltato il proprio cuore sarebbe rimasto in silenzio, con il colpevole sguardo rivolto verso il basso, ma gli occhi di lei erano troppo belli per non essere guardati perennemente.
Fu tutta una questione di attimi. La situazione si rovesciò e,quella volta, fu Mary a non trovare parole per rispondere dato che gli occhi le si stavano iniziando a fare, stranamente, lucidi.
Eustace si alzò di scatto non appena vide sgorgare da quelle terse iridi qualche lacrima. Senza rendersene nemmeno conto le fu vicino e, afferrandole la mano, le baciò teneramente il dorso ripetendo:
-Mi dispiace infinitamente, Lady Mary…-
Quel contatto fece avvampare le guance della ragazza, le labbra vennero percosse da un lungo ed intenso tremolio mentre la morbida mano, che Eustace ancora teneva stretta tra la propria, cominciò ad essere pervasa da lievi ed impercettibili scosse.
-Ho forse detto qualcosa che non dovevo?- domandò il poveretto non riuscendo a capacitarsi della sua reazione. Aveva sbagliato nel non riferirle la propria partenza, ma perché Mary ne pareva così tanto turbata?
Ovviamente non riusciva a capire che anche lei s’era resa conto di essergli molto legata e, purtroppo, non nella maniera in cui entrambi s’erano sempre pensati: non erano più “amici” erano diventati due innamorati.
E come ogni innamorato che merita tal nome si ritrovarono con l’anima in angoscia e col cuore in tumulto. Perché l’amore provoca questo: enormi picchi di sofferenza alternati a piccole dosi di felicità.
Purtroppo per loro nessuno dei due osava rivelare all’altro la natura del proprio sentimento: entrambi per paura d’essere respinti, entrambi ben consapevoli del fatto quanto una simile unione avrebbe provocato uno scandalo di proporzioni inaudite.
Mary adagiò la mano libera su quella dell’ambasciatore, la quale era poggiata sull’altra mano della ragazza. Fu un’unione di mani e di sguardi e di silenzi nei quali l’uno trovò pace nell’altra.
-Siete tornato.. è questo l’importante.- disse Mary con un tono di voce che fece sciogliere maggiormente il vecchio e palpitante cuore di lui.
Eustace chinò la testa eprese a mormorare:
-Sì sono tornato – ripeté quasi in un sussurro mentre sulle labbra di lei si dipingeva un sorriso adorabilmente dolce
-e non me ne andrò più-
Sarebbe rimasto a corte ancora un po’, se allontanarsi da Lady Mary pareva impossibile avrebbe dovuto rassegnarsi e celare quel che provava per lei. In fondo avrebbe continuato a svolgere il lavoro che tanto lo avevano occupato negli ultimi anni: preoccuparsi per lei, aiutarla in ogni difficoltà e rimanerle vicino.
Si accontentava di questo. L’avrebbe resa felice, avrebbe convinto il Re a cercare un ottimo partito per la principessa.
Mary sarebbe stata felice con un altro e non con lui, ma Eustace ne sarebbe stato ugualmente “soddisfatto”. La felicità di lei veniva prima della propria.
Questo era amore.
  
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