Serie TV > Criminal Minds
Segui la storia  |       
Autore: ScleratissimaGiu    16/04/2013    3 recensioni
Serial killer a Seattle: sei persone sono già morte. Era il primo caso per Julie, nuovo membro dell'Unità Analisi Comportamentale arrivata fresca fresca dalla CIA. Ma lei non si sentiva sicura... e forse, visto quello che è successo, aveva ragione.
La storia è dedicata a BecauseOfMusic_, che mi sopporta, mi corregge ed ispira :)
Genere: Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Peter Gordon si aggirava per le strade di Seattle con innata soggezione.
Non aveva mai posseduto una macchina, e si pentì di non aver voluto prendere la patente: doveva andare dall’altra parte della città, per sbrigare la sua commissione.
Teneva entrambe le mani nelle ampie tasche dell’impermeabile beige: nella sinistra, stringeva la sua preziosa lista; nella destra, una pistola appena caricata.
Era di suo padre, la teneva nel cassetto della scrivania della mamma come “possibile emergenza, non si sa mai”.
Era una Smith & Wesson, 38 special, per la precisione, americana;  secondo suo padre la pistola migliore che un produttore d’armi potesse offrirti.
Peter fece scivolare la mano destra su di essa, fino a sfiorare il grilletto: con quella accanto, si sentiva decisamente più sicuro.
Prese un respiro profondo e accellerò il passo: non c’era un secondo da perdere.
 
 
 
I Suv stavano facendo del loro meglio per arrivare il prima possibile al numero 24 di Spring Street, e noi facevamo del nostro meglio per non vomitare, dato che alla guida c’era Hotch.
Vicino a lui era seduto Rossi, e non potei non notare che, ogni tanto, lanciava qualche occhiata allo specchietto retrovisore per controllarmi.
Dietro con me, invece, c’erano Emily e Morgan; Reid e JJ erano in macchina col commissario.
Dietro il nostro Suv, cinque o sei auto della polizia cercavano di tenere il nostro ritmo, invano.
- Mi raccomando, - disse Hotch, senza distogliere gli occhi dalla guida - state attenti. Una personalità schizofrenica è difficile da gestire.
Ancora una volta, notai un’occhiata di Rossi, che ricambiai senza paura.
- Abbiamo stabilito che è un individuo forte, - continuò.
Non avevo per nulla paura: avevo iniziato a fare boxe quando avevo dieci anni, e mi sentivo pronta per un corpo a corpo con un uomo del genere.
Hotch accostò, e scendemmo dalla macchina; il resto degli agenti che ci aveva seguito ci imitò.
Dopodichè, estraemmo le pistole e ci dirigemmo cautamente verso l’ingresso.
Anche solo osservando l’uscio di quella casa, saresti scappato a gambe levate: il giardino, molto probabilmente, aveva ricevuto l’ultima potatura due anni prima, senza contare tutta la sporcizia presente sulla veranda.
Emily bussò con energia alla porta, ma nessuno rispose.
- Peter Gordon, - disse - apra, FBI.
Nessuno venne alla porta, e all’interno non si udì alcun rumore.
- Peter Gordon! - ripetè, più sicura - apra immediatamente o butteremo giù la porta.
Ovviamente, fummo costretti a sfondare la porta.
All’interno della casa non c’era nessuno; più che una casa, a dir la verità, sembrava una discarica: c’erano lattine di birra vuote, chiazze d’umido sulle pareti, rifiuti d’ogni genere sparsi sul pavimento.
- Ehi, guardate… - richiamai la loro attenzione su un punto particolare di una parete nel soggiorno.
- Sembrano graffi, - disse Morgan, avvicinandosi.
- Cerchiamo in giro, magari c’è qualche indizio - intimò Hotch.
Frugammo in mille cassetti, setacciammo ogni centimetro dei pavimenti, sollevammo quadri e tappeti, ma niente, nessuna traccia.
Fortunatamente, Garcia era stata più fortunata di noi.
- Sono riuscita a trovare qualche nome che potrebbe esservi utile: Heather McAllister, aveva fatto perdere il lavoro alla madre di Gordon perché aveva riferito che suo marito faceva uso di droghe; Hank La Gatta, ex datore di lavoro di Gordon, che ha licenziato quando ha picchiato un collega; e Keith Bowen, un altro degli spacciatori di Arthur Gordon.
- Grazie mille, Garcia - la congedò Morgan.
- Adesso dividiamoci, - ordinò Hotch - JJ, tu vieni con me da Bowen; Reid, Morgan: voi andrete da La Gatta; Rossi, Prentiss e Bolton, voi andrete dalla McAllister. 
Rossi non pareva sorpreso da quella scelta, che a me sembrava come una specie di sfida.
Comunque non c’era tempo per pontificare, così noi tre prendemmo il Suv e ci avviammo verso l’appartamento di Heather McAllister che, come ci aveva appena spedito Garcia sui nostri palmari, abitava al numero 30 di Pike Street, interno 8.
 
 
 
Peter Gordon stava tremando come una foglia.
Aveva davanti a sé i due cadaveri, eppure aveva lo stesso paura.
Guardava il sangue allargarsi in una pozza sotto il cranio della donna e di suo figlio, e non riusciva trattenere un’emozione che era un miscuglio tra paura, ribrezzo e compassione.
La Smith & Wesson era davvero una pistola magnifica, come gli aveva detto suo padre, ma adesso perdeva ogni attrattiva di fronte ai due cadaveri ancora caldi.
“Cosa stai facendo, Peter?” gli chiese con disprezzo suo padre.
“N-niente” rispose l’uomo, guardandosi intorno.
Suo padre comparve davanti ai corpi senza vita, un’espressione di trionfo sul volto.
“Sono fiero di te,” gli disse sorridendo.
“Grazie” rispose Peter, facendo scivolare la pistola in tasca.
“Ma devi fare ancora qualcosa, lo sai…” riprese, indicando la tasca sinistra del suo impermeabile.
La lista.
“Lo so, papà. Me ne occuperò immediatamen…”
Il rombo di un motore interruppe quella promessa, e indusse Peter a guardare alla finestra cosa stesse succedendo.
Un grosso Suv nero era appena stato parcheggiato di sotto, e da esso scesero due donne e un uomo, tutti muniti di giubbotto antiproiettile.
“Merda…” mormorò suo padre.
L’uomo si girò di scatto verso di lui, implorando con gli occhi che lo aiutasse a trovare una soluzione.
“Tira fuori la pistola, idiota!” lo ammonì, camminando sopra i cadaveri come fossero stati spazzatura.
“Puntala verso l’ingresso…” continuò “ricorda: qualunque cosa accada, non devi permettergli di prenderti vivo.”.
Peter annuì, deciso; niente avrebbe potuto fermarlo.
 
 
 
Entrammo forzando la porta, senza nemmeno bussare o suonare il campanello: i convenevoli sarebbero stati utili in un altro momento.
Ormai, come potemmo constatare, per Heather calliste e per suo figlio era troppo tardi; giacevano inermi, nel sangue.
La figura di Peter Gordon troneggiava sopra di loro, con la sua Smith & Wesson puntata verso di noi.
- Buttala via, - gli disse Rossi, con quel suo tono incoraggiante e persuasivo, ma tuttavia sempre un po’ duro.
- No. - disse l’altro.
- Siamo tre contro uno, come credi che andrà a finire?
“Non dargliela vinta, Peter” gli ordinò suo padre.
- Mai, - rispose.
Decisi di provare a ragionare.
- Peter, - iniziai - ascoltami. Dovresti dare retta al mio collega, butta la pistola. Sappiamo perché l’hai fatto.
- Vendetta… - mormorò, stringendo l’arma ancor di più.
- Esatto, esatto. Non siamo qui per condannarti, Peter. Siamo qui per aiutarti. 
- Voi non mi potete aiutare! - gridò - Nessuno mi può aiutare, nessuno mi ha mai aiutato!
Vidi che si stava palesemente agitando, e non andava per niente bene.
Provai ad avvicinarmi, e fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Premette il grilletto, ma io e Rossi lo tempestammo di proiettili e cadde a terra, morto.
Ci guardammo fugacemente, poi capimmo che c’era qualcosa che non quadrava.
Ci girammo, e vedemmo Emily riversa a terra, ansimante, il sangue che le colava dallo stomaco.
- Chiama un’ambulanza! - mi urlò Rossi - Muoviti!
Stordita, composi il 911 e, pochi minuti dopo, osservammo Emily che veniva trasportata d’urgenza all’ospedale.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Criminal Minds / Vai alla pagina dell'autore: ScleratissimaGiu