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Autore: MissNothing    28/04/2013    2 recensioni
«..Ti salvo io.» Esordì timidamente il più piccolo, e se non fosse più o meno sicuro di non averlo mai granché fatto in vita sua, avrebbe potuto giurare di essere arrossito. Era difficile fare considerazioni quando Gerard era così, perché le situazioni di sbocco erano tre: o finivi per sentirti un completo idiota, o finivi per sentirti un completo genio, o, come era accaduto poco prima in via straordinaria, finivi a letto con lui. Frank sperava in un misto fra le ultime due, ma d'altronde non c'era da biasimarlo. «Quanto potrà mai essere difficile?» Domandò, chiedendo mentalmente a sé stesso se mai la sua voce fosse suonata così stridula in vita sua, se mai le sue gambe fossero state così intorpidite, se mai si fosse sentito così lontano dalla realtà e dalla concretezza che lo circondavano.
[Dall'inizio, una storia il più realistica possibile.]
Genere: Angst, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Nuovo personaggio, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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17. Trade mistakes

a.k.a “the epilogue”.

 

 

 

Caro Andy,

Oggi è lunedì. Il lunedì alla Saint Mary's la sveglia suona alle otto due punti doppio zero. Abbiamo riso in bianco a pranzo e pollo a cena. Dalle quindici due punti dieci alle sedici due punti trenta, qui alla Saint Mary's facciamo il mini-torneo di Poker e subito dopo la seduta di terapia di gruppo. Abbiamo, per quelli a cui girano i coglioni di fare effettivamente qualcosa, la palestra aperta e il recupero delle aree disboscate intorno al giardino. Io però personalmente non faccio niente di tutto questo, e alla Saint Mary's mi sembra di non starci più di tanto.

Il lunedì come il martedì, e il martedì così come dal mercoledì alla domenica.

Io non faccio proprio niente di tutto questo perché non sono venuto qui per trovare me stesso o la fede in Dio, né tanto meno per piantare alberelli o prendere il vizio del gioco.

Io sono venuto qui per andarmene. Ma non andarmene e rimanere in contatto con l'amichetta anoressica o il vicino di stanza cocainomane: andarmene proprio. Andarmene e non sentire più il bisogno di tornare, capisci? Perché altrimenti che senso avrebbe?

Guardo tutti i pazienti intorno a me e mi rendo conto che forse sono l'unico ancora recuperabile.

Più che di “disintossicazione”, stanno seguendo un percorso di “intossicazione”; si riempiono la testa di stronzate e si uccidono il cervello di psicofarmaci, fanno amicizia con gente che non vedranno mai più e si auto-convincono che agli infermieri importi davvero della loro vita. Poi domani sarà martedì, la sveglia suonerà di nuovo alle otto due punti doppio zero e saremo tutti punto e a capo: ma cosa faranno quando non ci sarà nessuno a decidere a che ora dovranno svegliarsi e il compagno fedele sarà dall'altro lato del paese?

Sinceramente, se c'è una cosa che ho capito, è che questi sono problemi che non mi riguardano.

Però forse ti dovrei spiegare come ci sono finito in un posto del genere, eh?

Non mi va di girarci e rigirarci intorno: potrei indorarti la pillola dicendo che “ho passato un brutto periodo” e altre stronzate del genere, ma la verità è che bevevo fino a stare di merda e mi ci sarà voluto un annetto per capire che non potevo “smettere quando volevo”. Mi sono calato psicofarmaci di tutti i tipi senza nessuna prescrizione e se tu potessi vedere le cicatrici che ho sparse per tutto il corpo penseresti che sia uscito da uno di quei film dell'Enigmista.

Ecco tutto. Ecco cosa succede.

Succede che certe volte hai bisogno di qualcosa che ti faccia stare bene subito, e non pensi tanto alle conseguenze. E con tutta la merda che c'era nella mia vita, credimi, ti dirò che adesso mi sembra impossibile pensare che uscirò da qui e starò automaticamente bene.

Non hai la minima idea dell'inferno che è la Saint Mary's.

La notte tremo, e ti giuro che ucciderei cinque infermiere per una birra. Forse sei. Tanto mi stanno tutte sul cazzo. L'altra sera, cercando di prendere un sorso d'acqua dal bicchiere sul comodino accanto al letto, l'ho fatto cadere senza nemmeno averlo sfiorato. Non mi sentivo più le mani.

La mattina vomito. Non so cosa, però vomito di continuo. Vomito finché non vedo il sangue mischiarsi alla bile e, psicologicamente, mi sento bene. Lo so che non c'è un motivo per cui dovrei vomitare; il dottor Cooper mi ha detto che è il fegato che reagisce alla mancanza di alcool, e io gli credo. Il dottor Cooper è l'unico che mi ha ascoltato quando gli ho detto che non volevo prendere alcun farmaco, e come minimo devo fidarmi se mi dice che passerà presto.

La cosa peggiore, però, è che mi manca la vita fuori da questo posto.

Sembra sempre di essere in qualche universo parallelo: le infermiere usano parole come “acciderbola” e abbiamo telecamere ovunque. Grazie a Dio nel giardino c'è come una specie di “area libera”: un buco nella sorveglianza video, come il nostro piccolo triangolo delle Bermuda. Tutti fanno finta di non sapere che esista -infermiere comprese-, ma tutti sanno che c'è. E grazie a Dio che c'è, Andy, perché se ti dico che sarei fottutamente impazzito se Mikey non mi avesse portato regolarmente sigarette da fumare come un clandestino, allora devi credermi. Credo di aver raggiunto la quota di due pacchetti al giorno: entro per disintossicarmi ed esco con un tumore ai polmoni.

Oh, e poi mi manca la gente. Non la gente in generale: è ovvio che posso ricevere visite, ma mi manca stare con chi voglio all'orario che voglio. Per esempio mamma e papà non possono ancora venirmi a trovare perché hanno problemi con il lavoro e il viaggio (ti ho detto che questo buco è in Canada?), e Cortez non è venuto. Mikey e Ray dicono che se l'è data. Non “se l'è data” per un po' di tempo: “se l'è data” nel senso che non risponde alle chiamate, non è nel suo vecchio appartamento e nemmeno dai suoi genitori. Pace all'anima sua. Non tutti restano quando la merda arriva al ventilatore, giusto? Tra l'altro, volendo dire la verità, non mi manca nemmeno. Sono talmente incazzato che non potrebbe mancarmi: mi odierei da morire se mi mancasse. Però sai chi mi manca? Mi manca Frank.

Non fraintendermi, lo capirei se si fosse rotto il cazzo di me. Ha resistito per così tanto tempo che non potrei biasimarlo se non volesse più avere avermi in giro, ma il problema è che lo amo così tanto e nemmeno gliel'ho mai detto o anche solo dimostrato. Se mai dovesse decidere che abbiamo chiuso vorrei soltanto potergli chiedere scusa, perché infondo aveva ragione: saremmo stati perfetti. Con tutto quello che ha passato per avere una possibilità, ne avrebbe meritate anche mille. Ed io continuavo a volerlo “proteggere”, senza capire che se c'era qualcuno che alla fine di tutto questo ne sarebbe uscito ancora più fottuto di prima ero io. Cazzo. Quante cose che ti sei perso.

Non hai idea di come mi faccia star male parlare di tutto questo... di quello che provo. Parlare del passato, di “se” e di “ma” mi è sempre parso inutile: tanto indietro non posso tornare, il futuro non lo posso prevedere e in questo momento sono chiuso qui dentro, e posso solo fermarmi e aspettare che succeda qualco-

Gerard sentì qualcuno bussare alla porta -nonostante fosse aperta- e sobbalzò, chiudendo immediatamente il quaderno e rimanendo pietrificato alla vista di Frank fermo all'entrata, mazzo di fiori in una mano e bicchiere di caffè Starbucks nell'altra, tutto sorridente come se niente fosse.

«Non sapevo quale dei due avresti preferito, ma qualcosa mi dice che sei più tendente al caff-»

«Tu.»

«Cosa?»

«Quello che avrei preferito. Sei tu.» Gerard avrebbe giurato di non essersi mai sentito così stupido in tutta la sua vita, e osservò Frank cambiare radicalmente espressione e fissare lo sguardo a terra. Gli batteva così forte il cuore che era convinto che probabilmente Lenny, il paziente della stanza accanto, lo avrebbe potuto sentire senza nemmeno troppi problemi.

«Posso?» Chiese il più piccolo, e l'altro sperò davvero che fosse una domanda retorica anche mentre annuiva in una specie di stato di trance. Aggiustò di fretta e furia i fiori nel vaso sul comodino accanto al letto e si andò a sedere vicino a Gerard, dalla parte opposta del tavolo rotondo di legno, porgendogli il caffè con lo stesso sorriso di prima. Il più grande, intanto, non riusciva nemmeno a muovere le mani per prenderlo; teneva le dita intrecciate, cercando di limitare i tremori e di riuscire a tenere lo sguardo fisso nel vuoto. «Mi dispiace se non sono venuto prima.» Disse Frank, spezzando il silenzio imbarazzante e trasformandolo in una conversazione che forse era ancora peggio.

«Non... non fa niente.» Si sforzò di dire Gerard, trafficando impacciatamente con il coperchio di plastica del suo Starbucks per toglierlo e zuccherare il caffè. Frank lo fissò, e non gli ci volle molto per capire che non stava per niente bene e che, a giudicare da come si muoveva, probabilmente non si sentiva più le mani. Non sapeva perché una parte di lui si aspettasse di trovarlo esattamente come prima che tutto quel casino iniziasse: razionalmente era consapevole del fatto che forse era un desiderio piuttosto irrealizzabile, ma che ci poteva fare? Aveva fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità e alla fine si era rivelato utile, quindi grazie al cazzo che avrebbe continuato così. Sussurrò un “dai, faccio io” e gesticolò verso il ragazzo in modo da farsi passare le bustine di zucchero e il caffè con il cucchiaio di plastica, evitando che Gerard facesse cadere tutto e ripassandogli la bevanda pochi secondi dopo. Lo vide arrossire; probabilmente era imbarazzante non riuscire a fare nemmeno le cose più basilari ed era comprensibile, ma ad ogni modo non riuscì a trattenersi dal fargli la paternale.

«Non hai nulla di cui vergognarti... ti rendi conto di quello che hai fatto? Cazzo. Se ci fossi riuscito io probabilmente mi sentirei invincibile o qualcosa del genere.» Disse, poggiando un gomito sul tavolo e sorreggendosi il capo con la mano mentre continuava a sorridere per cercare di metterlo a suo agio. Gerard riuscì a compiere la titanica impresa di bere un sorso del suo caffè, e rimase in un silenzio tombale mentre fissando il pavimento. «Gearard?» Provò Frank in un tentativo di far reagire l'altro.

«Scusa.» Replicò semplicemente.

«Cosa?»

«...Non lo so. E' che pensavo davvero che- che non saresti venuto, ecco, e quindi non... non ero pronto per vederti.» Frank perse un battito a quella risposta.

«Vuoi che ti dica la verità?» Chiese, pensando che effettivamente con lo sforzo che aveva fatto se la meritasse in tutto e per tutto e aspettando che Gerard annuisse per continuare. «Sono venuto il quinto giorno. Giusto il tempo per stare un po' a casa, fare le valigie e prenotare i biglietti. Sono subito corso qui. Però sai cosa è successo?» Il più grande lo guardò in volto per la prima volta in quelli che sembravano secoli, aspettando. «E' successo che ho incontrato una donna... la tua psicologa. E mi ha detto che se veramente sono innamorato di te allora dovrei starti lontano, perché ora come ora hai bisogno di tempo per te stesso, e che io- che io ti ho fottuto il cervello, e dovrei lasciarti perdere perché non hai tempo per me.» Gerard rimase a bocca aperta. Le mani smisero di tremargli. Era tutto vuoto. «Ed io le ho creduto.»

«Hai creduto a lei ma non... non a me.»

«Non una sola volta mi hai detto di volermi nella tua vita. O almeno non recentemente.» Rispose Frank, e fu come se a Gerard stessero piovendo addosso centinaia di coltelli affilati. Come se solo in quel momento si fosse reso conto di quanto aveva fatto schifo in quell'ultimo periodo. «Ti amo.» Disse il più piccolo, pensando all'ultima volta che si era lasciato scappare quelle due parole.

«...Lo so. Ti ho sentito quella sera e mi dispiace di non aver detto niente, però ti prego... non te ne andare.»

«Non vado da nessuna parte.» Replicò Frank, che in quel momento non riusciva nemmeno ad essere arrabbiato.

«Anche io ti amo.» Disse Gerard almeno dieci minuti dopo, e fu come se in quel momento tutto il peso che quella situazione aveva fatto gravare sulle sue spalle per ben tre anni fosse scomparso. Svanito. Dissolto nel nulla. Non si sentiva debole o vulnerabile come aveva sempre pensato che si sarebbe sentito nel dire una cosa del genere a qualcuno, anzi, si sentiva come se niente e nessuno avrebbero potuto anche solo scalfirlo.

Guardò il volto shoccato di Frank accanto a lui e si lasciò prendere la mano. Era surreale quanto fosse riuscito a procrastinare quel momento, e soprattutto, ora come ora, tutti quei motivi che si era dato per farlo gli sembravano così insignificanti rispetto a ciò che provava che era quasi assurdo che li avesse anteposti alla felicità di entrambi. Nonostante tutti i dubbi, era una follia. E quegli stessi dubbi continuava ad averli anche in quel momento: continuava a non sapere dove sarebbero andati a finire. Cosa avrebbero fatto, come sarebbero stati capaci di farlo. Continuava a chiedersi se quella fosse la cosa giusta, se mai se ne sarebbero pentiti. Continuava a non avere la più pallida idea di come si sarebbe dovuto comportare adesso.

Ma se c'era una cosa di cui era convinto, era che Frank lo aveva salvato.

 

**

 

Okay, ora è proprio la fine.

Wooooooooooow.

Ciao?

Sul serio, non so proprio cosa dire.

Non sono brava con i “ciao”, gli “addio”, i finali in generale, ma posso dirvi che mai, nel complesso, sono stata così soddisfatta del risultato di qualcosa scritto da me. E vi dirò di più: sono così soddisfatta che credo che alla fine questa storia non continuerà come avevo pensato in principio, per il semplice motivo che mi sento apposto così, in un certo senso. Non vorrei infilarmi in una situazione che non so come gestire e finire per rovinare tutto il precedente (?)

Quest'ultimo capitolo l'ho scritto di getto in veramente poco tempo rispetto ai miei standard (non pensate alla data di pubblicazione dello scorso perché davvero, mi ci sono messa solo oggi), ma credo che segni la conclusione adatta. (?)

Non sono per i finali che “schiattano” insieme tutto ciò che ci sarebbe dovuto essere in una storia intera: insomma, per quanto il mio parere riguardo ad un mio stesso lavoro possa valere, credo di aver messo in questi diciassette capitoli tutto ciò che che avevo preventivato di metterci, ed è per questo che quest'ultimo capitolo è così corto. In effetti, più che un capitolo vero e proprio mi sento di chiamarlo un epilogo.

Il titolo è preso, appunto, da “Trade Mistakes” dei Panic! At The Disco (che, a proposito, se proprio non avete nulla da fare è proprio un bel sottofondo per leggere <3), e per l'ennesima volta sto qui a ringraziarvi perché mi fate sorridere come una cretina ogni volta con tutti 'sti complimenti.

Ringrazio chi ha recensito, costantemente e non.

Ringrazio le cinquantotto persone che hanno messo questa storia nelle seguite, le venti che l'hanno preferita e le cinque che l'hanno ricordata.

Non ho davvero parole, siete un casino di gente. Tipo che certe volte immagino di mettere ottantatrè persone in una stanza sola e wow (?)

Mi pare tutto così assurdo çwç

Grazie mille <3

Prima o poi mi rifarò sentire!

-MissNothing (che vorrebbe cambiare nickname in una maniera che nemmeno vi immaginate)

   
 
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