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Autore: Forever_Never    30/04/2013    60 recensioni
Laila è una ragazza di 16 anni, la sua vita viene sconvolta dalla morte dell'amica,e tutto sembra volgersi contro la protagonista. Ma ben presto Laila tornerà a vivere.
"Sono le quattro del mattino e da circa un’ora fisso il soffitto bianco della mia camera. Ormai sono otto notti consecutive che mi sveglio e tutto ciò a cui riesco a pensare è quanto odio la mia vita. So che sono fortunata rispetto ad altre persone che non hanno neppure da mangiare, ma quando tutto va male non riesci ad esser grata per qualcosa. E così tutte le notti rimango immobile a fissare il soffitto. Tutte le notti sempre la stessa storia, ma ormai non riesco neppure più a piangere, e come se le lacrime mi avessero lasciato, ho solo una voragine incolmabile dentro. Dipenderà dal fatto che sono incondizionatamente sola? O forse perché come persona faccio schifo. Be' l'una comprende l'altra.Ma procediamo con ordine."
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Sono le quattro del mattino e da circa un’ora fisso il soffitto bianco della mia camera. Ormai sono otto notti consecutive che mi sveglio e tutto ciò a cui riesco a pensare è quanto odio la mia vita. So che sono fortunata rispetto ad altre persone che non hanno neppure da mangiare, ma quando tutto va male non riesci ad esser grata per qualcosa. E così tutte le notti rimango immobile a fissare il soffitto. Tutte le notti sempre la stessa storia, ma ormai non riesco neppure più a piangere, e come se le lacrime mi avessero lasciato, ho solo una voragine incolmabile dentro. Dipenderà dal fatto che sono incondizionatamente sola? O forse perché come persona faccio schifo. Be' l'una comprende l'altra.                                                                                                                          
Ma procediamo con ordine. Tutto è incominciato l’anno scorso, e da allora nulla è andato come avrebbe dovuto. Meno di un anno fa, in una cupa giornata di Novembre, mentre uscivo da scuola con lo zaino in spalla e un paio di libri in mano, affianco a me la mia migliore amica, Mya, d’un tratto si fermo nel bel mezzo del corridoio, non feci neppure in tempo a voltarmi che lei cadde a terra svenuta, sbraitai cercando di attirare l’attenzione di qualcuno, solo dopo due minuti, che a me parvero un’eternità, la signorina  Nixon accorse. Non ricordo che successe poi, ricordo la gente intorno a Mya, ricordo le mie lacrime che cadevano sul pavimento, ricordo l’ambulanza, ma ciò che non potrò mai dimenticare è la faccia della mia amica. Aveva gli occhi chiusi e con la bocca formava un piccolo sorrisetto, ma probabilmente era solo una mia sensazione. Quella notte non riuscì a dormire, ero preoccupata e agitata, continuavano a ripetermi che era un calo di zuccheri, una cosa normale nelle ragazze della nostra età, riuscì quasi a convincermi. Il giorno seguente andai all’ospedale, i genitori della mia amica erano nella sala d’aspetto con due enormi occhiaie, ma non erano gli unici, anche io non scherzavo. Chiesi informazioni, ma nessuno rispose, così in un attimo tutte le mie convinzioni della notte precedente svanirono. Non chiedevo molto volevo solo sapere come stava la mia amica. Avrei voluto urlare, sbattere i piedi per terra come i bambini, ma tutto quello che riuscì a fare fu singhiozzare. La madre di Mya mi accolse sotto la sua ala protettiva. Non ricordo per quanto tempo mi abbracciò, ma ricordo che mentre ero tra le braccia di quella donna pensai: “Questo non significa niente di buono”. E infatti non sbagliavo, poco dopo arrivò la risposta alla mia domanda. Sciolta da quell’abbraccio sua madre con le lacrime agli occhi mi disse:-Le hanno fatto degli esami del sangue e…-si interrupe per asciugarsi le lacrime-le hanno diagnosticato la leucemia.                                                      
La madre di Mya continuò a parlare, ma non la stetti ad ascoltare. A quelle parole il mio mondo era crollato. Restai in ospedale tutto il giorno con la speranza che me la facessero vedere, ma non ci fu modo. Allora la sera quando tornai a casa feci le mie ricerche riguardo la leucemia. Purtroppo non scoprì nulla di buono. Beh quello che cercavo io era una pozione magica che facesse guarire la mia amica.
I giorni seguirono, ormai dopo la scuola invece di tornare a casa, andavo dalla mia amica in ospedale, le raccontavo gli ultimi pettegolezzi, mi aiutava a fare i compiti e cercavo di non piangere almeno non di fronte a lei. Poi a causa della chemio iniziò a perdere i capelli, i suoi lunghi capelli biondi. Ma nonostante tutto era sorridente e sempre di buon umore. Non ricordo mai una volta che varcai la porta della sua stanza e la vidi triste o con le lacrime agli occhi. Mya era così. Nulla la abbatteva. Era una quercia. Poi in un pomeriggio di inizio Marzo mentre gli parlavo dei nuovi accaduti a scuola lei mi disse:
-Ho paura.                                                                                                                                                                
Rimanemmo in silenzio per un po’, non sapevo proprio che dirle, non potevo scoppiare a piangere, dovevo essere forte anche per lei. Non riuscivo neppure  a confortarla, come potevo? Io ero la prima ad avere paura. Fu lei a interrompere quell’imbarazzante silenzio:
-Ho paura che un giorno riguardando le foto del tuo matrimonio, le foto dei compleanni dei tuoi bambini io non ci sarò.                                                                                                                    
In quel momento non riuscii proprio a trattenere le lacrime. Volevo dirle qualcosa, volevo rassicurarla, ma non ci riuscii.                                                                                                                                                                                             
 –Sai, non ho paura di andarmene. Ho solo paura che la vita delle persone a cui voglio bene continui senza di me, e non riesco a rassegnarmi, non riesco a credere che qualcuno si possa dimenticare di me.                                             
–Nessuno si dimenticherà di te. Nessuno. E tanto meno io. Non dimenticherò mai la bambina dalle lunghe trecce bionde. Non dimenticherò mai la ragazzetta con quei assurdi vestitini e non dimenticherò mai quella ragazza che nei momenti in cui stavo male mi veniva a consolare. Non potrò mai dimenticarla. E sai perché? Perché quella ragazza farà parte della mia vita per molto molto tempo.                                                                               Forse in quel momento non sono stata una grande amica, forse avrei solo dovuto piangere in silenzio con lei, forse non avrei dovuto dirle delle bugie. Ma in quel momento mi sembrava l’unica cosa giusta da fare. Dovevo darle coraggio. Non parlammo più di tutta questa faccenda. Trascorrevamo i pomeriggi normalmente come se ne avessimo a disposizione quanti ne volevamo. Tornavo a casa come se nulla fosse, poi però la notte le lacrime non smettevano di scendere, bagnavo le lenzuola, il cuscino e mi sentivo una merda. La mia amica giorno dopo giorno se ne stava andando e io non potevo far niente se non star a guardare. Poi arrivò il giorno in cui le non riuscì più a star seduta, e i suoi occhi pian piano si spensero. Continuavo ad andarla a trovare, nonostante i medici mi dicessero che dovesse riposare, io dovevo starle accanto come se la mia presenza potesse darle forza, ma in realtà era il contrario. Era a me che serviva la sua presenza. Mi serviva il suo sorriso per portare avanti la giornata. Mi serviva la sua voce per tranquillizzarmi. Ma anche essa divenne debole, Mya era continuamente affannata e ormai erano poche le parole che riusciva a pronunciare pur facendo sforzi enormi. Poi dopo quattro mesi da quella giornata di fine Novembre, arrivò il giorno in cui salutami per sempre la mia amica. Avevamo trascorso un pomeriggio tranquillo, le avevo raccontato che la signorina Nixon e il signor Collins si stavano frequentando, lei aveva accennato un sorriso e sapevo che se fosse stata la Mya di sempre quel sorrisetto sarebbe stata una rumorosa risata. Avevo fatto un po’ di compiti e poi l’avevo salutata. Il sole di Marzo filtrava dalle finestre e illuminava il suo viso pallido, mi aveva sorriso, e non potrò mai dimenticare quel sorriso. Era il sorriso che mi faceva quando combinava qualcosa e non voleva dirmelo, era il sorriso che faceva da bambina quando la faceva franca. Era il suo sorriso. Ricordo che le dissi:
-Ciao, torno domani.                                                                                       
 Quel domani non arrivò, non ci fu. Il giorno dopo quando mi svegliai mia madre era in cucina con i miei fratelli, stava preparando le merende per la scuola, non potevo immaginare cosa fosse successo, non mi passava neppure nell’anticamera del cervello. Mia madre si sedete accanto a me e con un sorriso che solo una madre riesce a fare mi disse:-E’ andata via.                                                                                                                                 
Non ci volevo credere. Non riuscivo a realizzare il fatto che lei non ci fosse più. Era assurdo. Passai tutto il giorno a bagnare il letto. Nessuno mi cercò, nessuno mi venne a consolare, eppure io avevo bisogno di qualcuno con cui sfogarmi. Riflettei tanto il giorno, e pensai cose che i quei quattro mesi non mi vennero mai in mente. Capì che non era giusto morire a sedici anni per una stupida leucemia. Non era giusto. Tutti devono avere la possibilità di vivere una lunga vita. Mya aveva fatto solo la comparsa di un enorme film.  Così mi resi conto che anche io ero una semplice comparsa. E in quel momento decisi che non volevo essere una comparsa. Volevo far qualcosa per qualcuno, volevo essere importante per qualcuno. 
Mya era la mia migliore amica. Tutti provano a descrivere gli amici con frasi fatte, che personalmente trovo anche abbastanza insulse. Io non proverò a descriverla in questo modo, io non la descriverò come si descrive una persona che ormai non c’è più. Io la descriverò così come era. Con i suoi lunghi capelli biondi e la voglia di migliorarsi. Ricordo che quando eravamo piccole io non la sopportavo, era la preferita delle maestre, aveva ottimi voti e portava fastidiosi vestitini a righe. Io ero più la bambina timida che se ne stava in un angolo, ma lei riusciva sempre a trovare il mio nascondiglio, forse era questo il motivo per cui proprio non la digerivo, ma è stato questo il motivo per cui siamo diventate amiche. Lei riusciva a capire le mie fughe dal mondo, forse era l’unica. Crescendo le sue lunghe trecce sparirono lasciando il posto a dei capelli liscissimi, le lentiggini che da bambina le coprivano completamente il viso si dimezzarono, ma non sparirono del tutto. Ma ciò che adoravo erano i suoi occhi azzurri, azzurri come il cielo, tanto chiari che ti ci potevi specchiar dentro. Era una bellissima ragazza, diceva sempre che voleva aiutare gli altri, che voleva trovare uno scopo alla sua vita. Quello che mi fa più rabbia e che non è riuscita a trovarlo.                                                                    
Nei giorni che seguirono la sua morte, i genitori invitarono la nostra famiglia ai funerali, i miei andarono, ma io proprio non riuscivo a capacitarmi del fatto che stessi andando ai funerali della mia migliore amica, così mi venne da rigettare, e finì che andai a letto. Per un paio di giorni feci la stessa cosa: mi svegliavo, andavo a vomitare e tornavo a letto. Poi un giorno mia madre mi venne a svegliare dicendomi che la madre di Mya voleva vedermi, declassai immediatamente l’offerta. Non avevo le forze per andare a trovare i genitori di Mya. Ma mia madre insistette. Così mi arrabbiai con lei, ma non ricordo come alla fine mi trascinò nella villetta dove una volta abitava la mia amica. Sua madre ci venne ad aprire con un sorriso nitido, Mya le assomigliava molto. Ci accomodammo in salotto e io mi scusai per non essermi presentata ai funerali, ma lei mi mise una mano su una spalla e mi disse:
-Oh, non ti preoccupare, so che stai passando.                                          
Quelle parole non potevano che essere vere. Quella donna aveva appena perso sua figlia. Non oso immaginare quanto sia straziante per una madre dire addio alla sua bambina. Con calma prendemmo un the e io a momenti collassavo là, le gambe mi facevano male come se improvvisamente pesassero tonnellate. Poi non ricordo come la mamma di Mya mi porse una lettera. Non la aprì subito anzi ci misi dei giorni. Ogni mattina la osservavo, ma dentro di me non c’era curiosità, dentro me c’era paura. Avevo paura che leggendo quella lettera mi tornassero alla mente tutti i momenti in cui ho visto la mia amica soffrire.   Poi una sera prima di andare a letto, me la trovai davanti, così senza esitare un attimo, apri la busta e la lessi.  
                                                                                                                                                                               
Cara Laila,                                                                                                                                                                      
è da un po’ che cerco di scrivere questa lettera, ma non riesco mai a trovar le parole giuste, sappiamo entrambe che quella brava con le parole sei tu.                                                     
Sai, è una bellissima giornata, il sole splende e i passeri fuori dalla mia finestra cinguettano, tutto sa di vita. Vorrei potermi alzare e godermi questo bel sole, ma purtroppo le gambe non mi reggono più. Ma non mi importa, ormai sono rassegnata. Andrò incontro al mio destino sorridendo. È l’unica cosa che mi resta da fare. Ma tu, hai tutta la vita davanti, hai ancora molti momenti da vivere, lacrime da versare e cazzate da fare, per cui voglio che tu mi prometta una cosa. Voglio che tu non ti nasconda più dietro le tue paure e insicurezze. Non hai bisogno di insicurezze e paure. Sei una persona stupenda, sempre a disposizione di tutti eppure cosa c’è che non va? Te lo dico io: devi imparare a credere in te stessa. Non starò a ripeterti quanto ti voglio bene e quanto sia grata per quello che hai fatto per me, non solo in questi ultimi mesi, ma sin da quando eravamo bambine.                          Spero che tu abbia tutti i momenti che desideri e che meriti. Spero che troverai la persona che ti faccia star bene.                                                                                                                                                                                            
Mi dispiace se ho reso la tua vita più complicata, mi dispiace per un sacco di cose. Ma più di tutto mi dispiace di non aver mai avuto l'occasione di dirti che indipendentemente da cosa accadrà, io ti sarò sempre grata per ogni momento passato insieme e anche se continuo ad annaspare, cercando le parole giuste, quello che volevo dirti davvero era grazie.                                                          P.S. Volevo lasciarti la mia collanina, so che non ti è mai piaciuta, però forse se avrai qualcosa di mio ti sarà più difficile scordarti di me.                                                                                                                                                                     
Con affetto Mya


Prima di scoppiare a piangere ripiegai la lettera con cautela e mi sdraiai nel letto stringendo quell’orrendo ciondolo. Forse solo all’ora mi resi conto che tutto quello che restava di lei era una stupida pecorella tenuta da un filo d’oro.                                                                                                                                                               
L’anno scolastico volgeva a termine. Io di studiare neanche ci pensavo, ma nonostante i miei compiti consegnati in bianco e le interrogazioni a scena muta, i miei voti erano tutti positivi, probabilmente il mio sguardo vuoto metteva ansia i professori fino a regalarmi la sufficienza. I miei compagni mi stavano vicino quanto potevano, ma poi fuori dalle quattro mura scolastiche ognuno aveva la propria vita. Proprio così la vita continuava per tutti. Ma non la mia. La mia andava incontro al baratro più assurdo. È la cosa più frustrante era che nessuno sembrava accorgersene. Neppure la mia famiglia.                                                                                       
Con l’arrivo dell’estate non cambiò nulla, se non il fatto che non dovessi più fingere che andasse tutto bene.  A giugno tutti i miei compagni partirono per campi estivi e campeggi, ma io mi rifiutai nonostante i miei insistettero molto.                                                                                                          
Eh così mi ritrovo a trascorrere le mie giornate estive all’ombra del cipresso nel nostro giardino a fissare i miei fratelli che scherzano e ridono. E poi la notte bagno completamente il letto, pregando di poter cambiar vita. Pregando che accada qualcosa che mi faccia cambiar vita. Ma più aspetto e più nulla succede.                            
Spesso mi domando se i miei si accorgono di quanto stia soffrendo. Non chiedo qualcuno che mi stia sempre addosso, ma mi servirebbe qualcuno con cui parlare.                                                                                                    
Eh così per l’ennesima volta mi ritrovo a fissare il soffitto della mia camera senza aver via di fuga. Sono circa le dieci del mattino quando mia sorella Ashley mi viene a svegliare. Lei è la piccola di casa, ha appena cinque anni, ma è molto grande per la sua età. Ha i capelli sul rossiccio biondo, una cosa davvero straordinaria per la nostra famiglia dal momento che siamo tutti molto scuri. Poi c’è Vincent che ha undici anni, lui assomiglia molto alla mamma, stessi capelli lisci color nocciola e stessi occhi verdi. E poi ci sono io, oso definirmi l’esperimento uscito male. Ho i capelli neri e mossi, ma di un mosso strano che sembra incasinato, ho gli occhi scuri, quasi sul nero. Insomma niente di speciale.                                                                                     
Ashley mi costa le coperte e con la sua vocina stridula mi dice: “La mamma ti voule in cucina”                                                                                         “Voule? Ash si dice vuole”                                                                                                                                                                   
“Si, ti vuole in cucina”                                                                                                                                                                        
Ho ancora sonno, ma sento le grida di mia madre che mi chiamano. Non capisco cosa ci sia di così urgente.        
Quando arrivo in cucina, trovo la mamma con mio padre fare colazione. Afferro un biscotto e chiedo cosa c’è di così urgente da svegliarmi. Così mia madre prende parola: “Laila, io e il papà abbiamo pensato che forse è il caso di cambiare aria, non ti fa bene restare qua.”                                                                                                                                            
Annuisco: “Quindi andiamo in vacanza?”- Ma mio padre scuote la testa- “Allora ci trasferiamo?”- Ma mia madre fa un cenno di smentita.                                                                                                                                                              
“Non capisco” dico quasi supplicante.                                                                                                                                                        
“Vedi, abbiamo riflettuto molto e siamo giunti alla conclusione, che forse è meglio per te se quest’anno scolastico lo frequenti in un collegio…”-Interrompo mio padre scioccata: “Collegio?”                                                                     
 “Esatto. Hai trascorso tutta l’estate sotto un albero, non sei uscita nulla, non hai incontrato neppure un tuo compagno, io e tuo padre siamo molto preoccupati”-interviene mia madre-“E pensiamo che stare a contatto con altri ragazzi della tua età possa solo farti bene”                                    
“Quindi mi state buttando fuori di casa?!”-ribadisco io.                                                                                                                            
 “Assolutamente no. Noi vogliamo solo il tuo bene.”                                                                                                                           
Non sto là ad ascoltare i miei, giro i tacchi e me ne torno a letto. Prima di sprofondare nel sonno più profondo, ragiono sul fatto che forse partire non mi farà poi così male. Tutte le notti prego che qualcosa cambi la mia vita. Forse questa partenza è quel qualcosa che sto aspettando.                               Quando mia madre mi viene a chiamare, credo sia pomeriggio inoltrato, mi spiega che non mi vogliono abbandonare, ma io sono ancora in uno stato di dormiveglia per cui non capisco granché. Alla fine capisco solo le ultime parole: “Dovresti chiamare Chris, lui frequenta il collegio da due anni, così solo per informarti…”                                                                                                                                                                                                            
Si, probabilmente dovrei, ma non sono una persona che da soddisfazioni, per cui mi giro nel letto dando le spalle a mia madre. Quando finalmente lei lascia la stanza cerco di capire chi possa essere questo Chris da lei nominato. Ma proprio non riesco a trovare una persona che io conosca di nome Chris e mentre cerco di ricordare mia sorella entra in camera zampettando.                                                                                       “Laila giochi con me?” mi supplica lei con la faccia da cucciolo bastonato, ma nonostante mi impietosisca molto, non ho tempo. Non faccio neppure in tempo ad alzarmi dal letto che mia madre come una furia entra in camera mia urlando: “Dai Laila, mi serve il tuo aiuto, vestiti e andiamo al supermercato.”                                        Non faccio tante storie, da un po’ di tempo mi sento quasi un burattino. Ricevo ordini ed eseguo. Ricevo ordini ed eseguo. Semplice.   
Mi infilo degli short e una canottiera, mi spazzolo i capelli arruffati e sono pronta. Mia madre invece ci mette molto più tempo, così per non scontentare mia sorella gioco con lei per ingannare l’attesa.             
Mentre vesto una bambola mi domanda: “È vero che parti?”                                                                             
Scuoto appena la testa e poi vado a vedere se mia madre è pronta. Parla al telefono e mi fa cenno di uscire dalla camera e di chiudere la porta. Mia madre non è una persona riservata quindi mi spaventa un poco che non mi faccia ascoltare alla telefonata. Mi spaventa perché ho terrore che quella telefonata possa riguardare il collegio. Poco dopo entra in cucina sorridente e mi chiede se sono pronta, senza rispondere esco in strada e salgo in macchina. Non mi sono mai piaciuti i sotterfugi. Tanto meno da mia madre.            
Dal momento che durante il viaggio non spiccico parola è lei a parlare: “Abbiamo ospiti a cena”-dice sorridente. Annuisco svogliatamente in modo da farle credere che non mi intessi più di tanto, ma in realtà sono curiosa di saper chi verrà a cena.
Solitamente non abbiamo ospiti, alla mamma non piace invitare le persone a casa, io penso si vergogni, ma lei dice che dovrebbe pulire e rimettere tutto in ordine, come se già non lo facesse.                                                                                                                        
 “Beh, non mi chiede chi viene?”-odio il fatto che cerchi di coinvolgermi in tutto.                                                                       
“Chi viene?”-chiedo io sbuffando.                                                                                                                                                                                
“Chris con la sua famiglia. Felice?”-dovrei risponderle con il mio solito sarcasmo, ma non ne ho le forze.                                      
“Volete buttarmi fuori di casa a tutti i costi allora eh?”- mi madre ridacchia e scuote la testa: “Ma che dici!”                      
“Si può sapere chi è questo Chris?”- altra risatina stupida.                                                                                                  
“Ma come non ti ricordi, quei colleghi di papà…”-scuoto la testa, ho l’impressione che neppure mia madre sappia chi è questo Chris…                                                                                                                                                                     
 “Ma dai, quando eravate piccoli eravate come fratelli”-la guardo con aria critica, come se da un momento all’altro la dovessi sputare in un occhio. La conversazione si chiude lì e io mi sento profondamente ferita da mia madre. Va bene, capisco che è preoccupata per me, ma invece di spedirmi in un collegio perché non prova a togliersi dalla faccia quel sorrisetto idiota e venirmi a parlare? Non è tanto difficile.                                         
Fortunatamente la visita al supermercato dura poco, e io tutto quello che devo fare è camminare, per cui mi va anche bene. Quando torniamo a casa, secondo mia madre è tardi, adoro vedere mia madre disperata. No che io sia sadica, ma mia madre disperata è uno spettacolo, fa la melodrammatica, come se da un momento all’altro il mondo le cadesse addosso. Ma ormai ci ho fatto l’abitudine e non le do neanche più peso. Vuole fare una scenata? Che la faccia.                                                                                                                               
Si, è vero. Non sono una figlia modello. Non aiuto in casa. Non ho voti altissimi e non sono bella. Ma mia madre questo lo sa, sa come sono e anche se non rispetto i canoni di figlia perfetta e non siamo in perfetta sintonia, ha imparato a prendermi. E devo dire che vedo i suoi sforzi, ma io sono così.                                                   
Lei è una donna molto espansiva, ha stampato in faccia un odioso sorrisetto insopportabile, che sfoggia in tutte le occasioni, e mi domando come mai nessuno si sia ancora accorto che è falso. È una bella donna, non ho certo preso da lei: è alta con dei lunghi capelli nocciola e due enormi occhi verdi.                                             
Quando ancora i miei fratelli non erano nati, ricordo che fosse dispiaciuta che sua figlia fosse “diversa” dagli altri bambini, io capivo questo su disaggio, così mi sforzavo di assomigliare agli altri, ma invano. Credo che iniziò da lì il nostro rapporto di odio amore. Non ho mai vissuto in uno di quei film patetici dove tuo zio o zia, che fosse, nel mentre che tua madre non ti apprezzava per quello che eri, ti diceva: “Tu bambina mia, sei speciale.”
Purtroppo nessuno mi ha mai detto che sono speciale se non Mya...                                                                                        
Me ne sto rinchiusa in camera sino a quando non sento bussare alla mia porta, solitamente nessuno bussa mai alla mia porta, neppure Vincent, mi domando perché non lo faccia, non ha paura di trovarmi in mutande? Così deduco che “gli ospiti” debbano essere arrivati. Così controvoglia vado ad aprire alla porta ma con mia grande sorpresa mi ritrovo di fronte a mio fratello, lo guardo dall’altro in basso. Porta un’assurda camicia a quadri.                                                                                                                                                                     
 “Che vuoi?”- lui tace, non dice una parola e non fa gesti. Questo mi spaventa. Riformulo la domanda: “Vincent che vuoi?”- lui si volta e mi indica dei signori in soggiorno, si avevo ragione sono arrivati “gli ospiti”. Mi guardo un attimo allo specchio:tutto regolare.                                                                                                   
I signori che mi ritrovo davanti sono un poco buffi. La donna è robusta e indossa una gonna a rombi, solo a guardarla mi viene caldo. L’uomo accanto a lei e smilzo e secco, è proprio vero gli opposti si attraggono.           
Inizialmente non mi accorfo del loro figlio, ma poi quando mi volto noto una figura secca all’angolo della cucina. Non posso far a meno di sorridere. È in contro luce quindi non riesco a vederlo bene in faccia, ma mi pare che anche lui stia sogghignando, ma non posso dargli torto, non sono di certo la tipica ragazza con la minigonna e le cosce fini.      
“Salve”-mormoro mordendomi il labbro. Alla mia vista la donna sembra illuminarci, così mi afferra a mi da due bacia sulle guance. Mi sforzo di sorridere nonostante la strattonata, l’uomo invece non si scomoda neppure a stringermi la mano per cui io non mi avvicino da lui. Non mi importa se farò la maleducata, sono dell’idea che se tu rispetti me io faccio altrettanto, in questo caso l’età è solo un numero.                                                            
 Dopo aver preso uno stupido aperitivo analcolico, ci sediamo a tavola per la cena. Mia madre è parecchio oca, più del solito. Mi vergogno da parte sua. Ma come al solito lei non si accorge di star esagerando.                               
 Per tutta la cena i miei non fanno altro che parlare di quanto sia eccitante la vita in collegio o robe simili.         
Ho mal di testa solo a vederli aprir bocca e mi domando come mai non si siano ancora stancati di ripeterlo.   
Ogni tanto incrocio lo sguardo di Chris, ha l’aria divertita, e quando mio padre lo interpella con una domanda, lui rimane un attimo scioccato poi incomincia a balbettare e infine riesce a dire una frase di senso compiuto:
"Oh, certo è proprio un bel posto per trascorrere la propria adolescenza."                                                                       
Mi grato la testa per non scoppiare a ridere, non ci crede neppure lui che l’ha detto. Fortunatamente la cena è quasi finita, ma ovviamente mia madre deve prolungare l’agonia: “Ragazzi perché non andate a prendervi un gelato?”- io scuoto la testa, ma lei mi ignora così si rivolge a mio padre:
“Tom dai dei soldi a Laila”.
Credo che a momenti ucciderò mia madre con un evidenziatore se non smette di fare quello che sta facendo. Nel mentre mia sorella urla di voler anche lei il gelato, spero solo che non mi dica di portar anche lei, perché altrimenti giuro che faccio un genocidio. Ma fortunatamente la spedisce a letto nonostante i suoi lamenti. Così afferro un cardigan e esco di casa controvoglia.
Quando siamo per strada Chris sogghigna e mi dice:
“Vogliono proprio buttarti fuori di casa eh?”                                                                                                                                          
“Umh, tu dici? Ma no è solo una tua impressione…”-lui sorride cercando di sdrammatizzare, ma non c’è modo, a momenti giuro che scoppio a piangere. Chris sembra capirlo così si affretta a dire:                                                                                             
 “Dai, su non scoraggiarti, la vita in collegio è sul serio una figata. Pensaci un attimo: niente genitori, niente fratelli rompi palle, solo tu e le tue regole. Beh, ok non è proprio così ma, almeno niente genitori. È già qualcosa.”- sorrido, cercando di ringrazialo per lo sforzo.                                                                                                                     
“Vuoi sul serio il gelato?”-Gli domando, lui fa un sorrisetto sghembo e scuote la testa- “ Allora che si fa?”                   
Lui senza neppure rispondermi si ferma in mezzo alla strada, estrae dalla tasca un pacchetto di sigarette, lo apre e me ne porge una, ma io scuoto la testa e declino l’offerta così lui si accende la sua e resto lì a guardarlo mentre fuma. Ora che lo osservo, non sembra affatto buffo, anzi è anche un bel ragazzo. Ha i capelli su biondo cenere, la carnagione chiara e due enormi occhi azzurri. È alto ed secco. E con quella sigaretta in bocca sembra anche molto sicuro di sé.
Mi fermo un attimo a riflettere: io non ho mai fumato. Credo sia strano dal momento che ho sedici anni e non ho mai fatto un tiro. Credo che questo sia imbarazzante. Anzi lo è. Credo dovrei provare. Al più presto. Così mi avvicino da Chris e gliene domando una lui me la porge con fare menefreghista. Dopo avermela accesa me la porto alla bocca, tiro il fumo dalla sigaretta, lo respiro con la bocca come se stessi prendendo una boccata d'aria, e poi mi sento soffocare.Incomincio a tossire come se da un momento all’altro dovessi sputar fuori tutti i miei organi interni compresi gli occhi. Chris invece di aiutarmi ride come se fosse la cosa più divertente al mondo.                                         
“Prima volta eh?”- sorrido per non sembrare più deficiente di quanto non sia e cerco di buttarla sul ridere:
“Non potevo andare in collegio senza aver mai fumato… chissà quanto mi ricapitava di poter provare."
Lui sorride e fa spallucce: “Non ti preoccupare, fumare in quel posto è molto più semplice che farsi una doccia!”                                                                                                                                                                                                        
“Scherzi?! Vuoi dire che andrò a lezione sudicia e con odore di fumo addosso?”-lui scuote la testa e afferma:  
“Pura verità ragazza mia!”-entrambi scoppiamo a ridere.
Chris non è proprio niente male. Così aspetto che lui finisca la sua sigaretta, sto per spegnere la mia ancora integra quando lui me la prende dalle mani e la finisce. Sembra essere a suo agio. Lo invidio per questo. Io non lo sono. Io mi sto mordendo il labbro superio per paura che ne esca con una di quelle domande che fanno i ragazzi. Una di quelle domande che ti fanno restare senza parole e di conseguenza la figura di merda è garantita. Ma lui sembra sereno e questo fatto è veramente insopportabile. Così mentre ci dirigiamo verso a casa lui mi dice:
“Dai, sul serio il collegio non è male, ti ci troverai bene. Sul serio.”                                                                                                                                                            
Sembra credibile. E forse in fin dei conti i miei non hanno tutti i torti, forse cambiare aria non mi farebbe poi così male. Forse la vita in collegio mi piacerà da vero. C’è solo un modo per scoprirlo.                                                                               
Quando informo mia madre che partirò per il collegio come vogliono loro impazzisce. Ma non perché è triste, anzi sprizza felicità da tutti i pori.



SPAZIO AUTRICE:
Vi ringrazio davvero tanto per aver letto il primo capitolo, mi farebbe tanto piacere sapere cosa ne pensate c: per cui se lasciate delle recensioni ne sarei felice e inoltre ci tengo a farmi sapere che ho caricato il secondo capitolo, quindi vi supplico *siinginocchia* andate a leggerlo c;
Graziee per il vostro tempo. Baci Laila :*
  
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