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Autore: RomanticaLuna    10/05/2013    0 recensioni
Avete mai avuto un libro preferito? O un cartone animato, un film, una serie televisiva che vi ispirasse particolarmente? Beh, io si, e questa storia è Harry Potter. Ho sempre adorato gli scritti di J.K.R., hanno accompagnato la mia infanzia e la mia adolescenza. Era il mio sogno segreto poter andare ad Hogwarts, poter fare magie e, beh si, anche conoscere i ragazzi particolarmente belli che la mia mente creava mentre leggevo le pagine della serie.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Bip. Bip. Bip. Bip. Questi sono gli unici rumori che riesco a sentire intorno a me. Muovo il mignolo con successo, poi anche le altre dita. Prima una mano, poi l’altra. Cerco di aprire gli occhi, ma non mi risulta facile. Sembrano incollati. Non so dove mi trovo. Le mie dita si chiudono attorno a qualcosa di morbido, probabilmente una coperta o un lenzuolo. Riprovo ad aprire gli occhi e le mie pupille vedono un piccolo spiraglio di luce. Li sbatto per abituarmi e poi mi guardo intorno. Sono in una stanza, mio padre sta dormendo ai piedi del letto, due piccoli fiori viola sono posati sul lenzuolo. Un monitor accanto a me forma linee regolari, su e giù, su e giù, continuamente. Un ago è inserito nel braccio ed un liquido cala al suo interno, goccia a goccia. Tanti fiori, pupazzi e lettere sono posati per terra. Apro bocca, ma non esce nessun suono. Perché mi trovo qui? Perché non sono ancora ad Hogwarts con Hugo? Ricomincio ad avere paura, ma il mio cuore mi dice di stare calma, mi invita a respirare ed a non agitarmi.
“Jef” sussurro. Un bisbiglio che arriva al suo orecchio come il canto di un uccellino: cristallino, ma troppo lontano per farlo svegliare.
“Jef” dico un po’ più forte. I suoi occhi si aprono di scatto. Mi vedono, mi scrutano e mi studiano. Poi l’abbraccio e le lacrime.
“Kate, o Kate. Sei sveglia, finalmente!” la voce rotta dal pianto di gioia e paura mescolate insieme.
“Mi fai male” mi lamento. Ma non voglio che mi lasci. Mi mancavano i suoi abbracci.
Mi molla, esce dalla stanza e rientra con una donna vestita di bianco: un’infermiere. Quindi sono in ospedale. Perché? Cosa è successo?
Un ricordo galleggia leggero nella mia mente, ci impiega un po’ di tempo prima di mostrarsi completamente: l’incidente.
Non mi sono svegliata, dopo l’incidente, sono stata portata in ospedale. Non sono mai andata ad Hogwarts, ho vissuto l’avventura solo nella mia testa. Com’è possibile? Sembrava tutto così reale. Beh, sempre che si possa chiamare “reale” far parte della tua storia preferita, incontrare i figli dei tuoi eroi e frequentare una scuola di magia.
La luce di una pila controlla i riflessi dei miei occhi.
“Beh, sembra che tu stia bene. Ma gradiremmo che restassi un’altra notte” dice l’infermiera. Annuisco, piano e, quando ci lascia soli, chiedo a mio padre cosa sia successo.
“L’incidente” bisbiglia, la voce è poco più di un tremito che un soffio di vento avrebbe potuto portare via.
“Mi sono svegliato in ospedale e tu eri qui, distesa, come morta. E credo che sei morta davvero, perché il tuo cuore ha smesso di battere e i dottori l’hanno fatto riprendere con i defibrillatori” piangeva. Grosse lacrime salate scendevano dai suoi occhi e, come pioggia, cadevano sulle lenzuola.
“Una scheggia di vetro conficcata in un’arteria. Non lasciava il passaggio del sangue e il cuore si fermava. Questo è quello che hanno detto i dottori. Ti hanno portata via da me, in sala operatoria. Dovevano toglierti la scheggia. Ma quando sei tornata qui non ti sei svegliata. Sua figlia è in coma, signore. Pensavo volessi morire e lasciarmi da solo. Pensavo che non volessi più tornare da me”. I singhiozzi non gli permettono di parlare, cede e nasconde il viso.
Alcuni ragazzi bussano alla porta, una di loro tiene un peluche a forma di orso in braccio. Sono i miei compagni di classe e ci sono anche i miei due amici d’infanzia, entrano un po’ intimoriti e si avvicinano al letto.
“Sono contenta che tu ti sia svegliata!” dice Janette Prince. Mi porge l’orsetto e mi prende la mano. È identica a come l’ho vista ad Hogwarts, i capelli raccolti, gli occhi ombrati. Suo fratello si avvicina e, col suo modo giocoso, esclama “Ci sono mancati i tuoi racconti ed i tuoi suggerimenti, a scuola!” mi sorride ed io lo ricambio.
“O si, ci è mancato il tuo Harry Potter” dice beffardo Robert Iurs, il suo tono di voce mi faceva innervosire “cosa ha fatto il tuo eroe per riportarti indietro?” mi chiede poi.
“Tanto! Molto più di quanto non abbia fatto tu, stanne pur certo!” rispondo. Lui rimane basito, non avevo mai avuto il coraggio di rispondergli. Faccio un sorriso malizioso e poi guardo i miei amici d’infanzia. Helena Maureen tiene un libro tra le mani. Normale che l’abbia messa in Corvonero, la sua mente è sempre aperta alle novità, legge e discute con i maestri di teorie complicate. La saluto e lei mi si avvicina.
“Avevo paura di perderti. Ogni giorno, venivo in ospedale e ti facevo compagnia. Su Internet ho letto che i malati in coma sentono tutto quello che succede accanto a loro” spiega.
“Ti sentivo. Ti ho vista, in sogno” le dico. Lei sembra contenta, mostra i suoi denti perfetti.
L’ultimo del gruppo è Kevin Mandley. “Quando venivo a trovarti, lui era sempre qui. Ti teneva la mano, ti leggeva storie. Usciva quando qualcuno di noi arrivava e poi riprendeva posto al fianco di tuoi padre” bisbiglia Helena. Lo guardo, lui arrossisce leggermente. Possibile che possa provare qualcosa per me?
“Cos’hai sognato?” domanda Janette.
“Ho vissuto un’avventura fantastica. Sono andata ad Hogwarts ed ho incontrato tanti amici e ho visto tutti voi e ho provato sentimenti che pensavo non mi appartenessero” dico, entusiasta di poter raccontare a qualcuno la mia esperienza ultraterrena.
“Ancora con Harry Potter. Ma cresci!” urla Robert.
“Si, l’ho fatto. Sono cresciuta! E sono cambiata” esclamo. Lui tace e si rifila in fondo al gruppo.
“Vai avanti” mi prega Janette.
“Ho imparato cosa vuol dire avere un’amica, ho vinto la timidezza, sono diventata coraggiosa e poi, ho scoperto cos’è l’amore di una persona che ti vuole veramente bene!” spiego.
“Dev’essere stato fantastico!” esclama Helena.
“Si, lo è stato” rispondo.
Entra mio padre ed i miei amici escono. È seguito da una donna famigliare: la professoressa Parkinson. Allora non è stato tutto un sogno!
“Kate, lei è…” inizia mio padre
“Tua madre” finisce la donna.
Come ho fatto a sognarla se non me la ricordavo nemmeno? Possibile che la sua immagine datata a 9 anni prima fosse ancora sigillata nella mia mente e il coma l’avesse fatta uscire?
Ha gli occhi verdi, come me e mio padre. I boccoli biondi le ricadono sulle spalle, sono spillati con una molletta a forma di cuore.
“Sono contenta di rivederti” dice lei.
Ricordo della lettera di mio padre. Deve avermele dette, quelle parole, in un momento di debolezza o sperando che io davvero le sentissi e tornassi indietro. Beh, ha funzionato. Ricordo la frase su mia madre.
È passata anche tua madre. Vuole vederti, vedere i tuoi splendidi occhi color smeraldo brillare di nuovo, il tuo sorriso riaccendersi di fronte a lei.
Le sorrido. Un sorriso dolce che racchiude un enorme ringraziamento per quello che lei ha fatto per me, anche se non può saperlo. L’ha fatto nel sogno: mi ha amata.
Mi abbraccia e mio padre fa lo stesso. Mi sento di nuovo parte di una famiglia, non voglio più lasciare questa bolla di calore e perfezione.

  
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