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Autore: Call_me_James    25/05/2013    1 recensioni
«Ti amo»... oh diamine l'ha detto! «È uno scherzo?!» chiesi istericamente. Lui corrugo la fronte:«No. Ti amo. Da quella sera in cui ti vidi al pub. Perchè dovrei scherzare?» Inutile dire che ero al settimo cielo. «Perchè io ti amo da quando avevo tredici anni, genio!»
Genere: Comico, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Qualcuno bussò piano alla porta del bagno. Ero talmente concentrata che anche quel lieve rumore mi fece sobbalzare: lo scovolino del mascara mi finì nell'occhio, costringendomi a sbattere forte le ciglia, che si tatuarono sullo zigomo destro. Sbuffando rumorosamente presi a smacchiarmi con una salviettina. «Angie, posso entrare?» chiese una voce da dietro la porta; «Mhmh» risposi in segno di assenso e quest'ultima si aprì un poco. Una figura alta e snella scivolò dentro e la richiuse piano. Ammirai il suo riflesso nello specchio: aveva i capelli in disordine come sempre, gli innumerevoli tatuaggi in mostra sulle braccia scoperte e un sorriso furbo sulle labbra. Si appoggiò alla parete e rimase a guardarmi. Poichè non sembrava avere l'intenzione di dire qualcosa decisi di stare al gioco e continuai a truccarmi, ignorandolo. Afferai il tubetto dell'eye-liner e lo stappai, passondomene un filo sottile sulle palpebre. Poi presi la matita e la distesi sulla parte inferiore dell'occhio. Eppure lui era lì che continuava a fissarmi, con la sua aria furbetta. «Oh, si può sapere che c'è?!» sbottai esasperata, alla fine. Lui ridacchiò e mi si avvicinò. Lo vidi venirmi dietro, riflesso nello specchio, e cingermi la vita con le mani. Era spaventoso come i nostri corpi combaciassero alla perfezione, come il suo volto si adagiasse così naturalmente sulla mia spalla... "Your hand fits in mine like it's made just for me". Continuò ad abbracciarmi e mi baciò sulla guancia; uscivamo insieme da circa due settimane, e ancora non ci eravamo baciati. «Che ne dici se stasera non uscissimo?». Lo guardai, fingendomi infastidita: «Mi hai fatto truccare per niente?!» esclamai prima di prorompere in una risatina divertita. Non mi importava affatto uscire o non uscire, mi bastava stare con lui. Mi prese una mano e mi guidò fuori dal bagno. La casa di Harry era enorme: al pian terreno, appena entrati c'era un grande atrio, sul quale si affacciavano due rampe di scale, una a destra e una a sinistra, inframezzate da una porta a vetri che dava sul giardino. Sempre a destra si apriva una porta che dava sulla cucina, mentre dalla parte opposta un'altra si apriva su un piccolo salottino con tanto di caminetto, TV al plasma e scrivania. Salendo una delle due rampe di scale ci si ritrovava al piano superiore, precisamente in un immenso soggiorno munito di tre poltroncine, un divano, TV (sempre al plasma) e un tavolino basso; una parete della stanza era occupata da un'altra porta a vetri, stavolta affacciata su una sterminata terrazza con tanto di piante dei più svariati tipi adagiate ai lati, un tavolo nel mezzo e un dondolo in un angolo. Sul salotto si aprivano due porte: una portava ad una grande camera da letto, dove dormiva Harry, con tanto di bagno a fianco, dall'altra si accedeva ad un lungo corridoio, con una porta in fondo -quella del bagno dove ero a truccarmi appunto- e altre due sul lato destro che portavano rispettivamente ad una camera meno ampia e ad una piccola loggia con tanto di divanetti in vimini, tavolino di vetro e magnifica vista su Londra. Una volta raggiunto il salotto Harry si abbassò e mi cinse l'incavo delle ginocchia con un braccio, sollevandomi e prendendomi in collo. Gli passai un braccio intorno alle spalle e mi rannicchiai contro il suo petto; amavo il suo profumo, così familiare ormai, così inebriante e dolce. Per me era l'odore dell'amore. Mi portò in terrazza, dove petali di rose multicolori erano sparsi ovunque, mentre la dolce fragranza sprigionata dai fiori e dalle candele color pastello, posizionate sul tavolino apparecchiato, si diffondeva nell'aria tiepida di inizio estate. «È bellissimo...» sussurrai emozionata. Harry arrossì un po' e poi mi mise giù, prima di accendere un piccolo stereo nascosto in un angolo, che emise le prime note de "La nuova stella di broadway" di Cremonini. Ci sedemmo e mangiammo, mentre il sole ci inondava del suo calore arancio e oro. Passavo gran parte del nostro tempo a guardarlo: era la perfezione fatta persona. Quando finimmo di mangiare lui si alzò per sparecchiare ed insistette perchè rimanessi seduta e comoda. Mi alzai ugualmente e mi incamminai verso la ringhiera in ferro battuto, fitta di convolvoli rosa, bianchi e viola in fiore. Il profilo di Londra, luccicante e moderna contrastava con la quiete incantata di quella casa; percepii una mano raggiungermi la schiena e risalirla, spostando i capelli, per poi cingermi le spalle con tutto il resto del braccio. In quel momento lo stereo emise le note di una delle canzoni più struggenti che abbia mai conosciuto: "Caruso" di Lucio Dalla. Mi vennero le lacrime agli occhi e mi girai verso Harry. Lui sostenne il mio sguardo e poi estrasse qualcosa dalla tasca, sventolandomi un foglio sotto il naso: la traduzione della canzone, molto approssimata, ma sufficiente a fargliene capire il senso. Mi abbracciò forte. Di nuovo quel profumo... Chiusi gli occhi. Lo amavo. Da morire. Da vivere. Da resuscitare. Le ultime note sfumarono nell'aria raffrescata. Il cielo andava riempiendosi di stelle e le candele creavano un'atmosfera romantica, gettando ombre incerte e tremolanti e colorando tutto di una soffusa luce dorata. Harry si sciolse dall'abbraccio e mi guardò con un sorriso compiaciuto, che si allargò a dismisura quando lo stereo attaccò le note di una canzone piuttosto vivace... "When the moon hits your eye like a big piazza pie..." «That's ammorreee» concluse Harry. Scoppiai a ridere. «Ti amo» riuscii a dire alzando gli occhi al cielo, con un gesto teatrale, come se ormai avessi dovuto accettare una scomoda verità. Lui sorrise e fece un inchino, tendendomi la mano. Io la presi e cominciammo a volteggiare come due ubriachi sulle piastrelle color mattone della terrazza. E intanto ridevamo, ridevamo felici e spensierati. Alla fine della canzone ci sedemmo sul dondolo, l'uno a fianco dell'altra, la mia testa sulla sua spalla, il suo braccio attorno al mio fianco. Passò un altro paio di canzoni, ma quando lo stereo ci d liziò con i primi accordi di "Give me love" Harry si alzò di nuovo, prendendomi le mani e alzandomi di peso. Sempre tenedole piano se le appoggiò sulle spalle e poi mi cinse i fianchi lievemente. Prendemmo a dondolare piano sul posto, sorridendoci a vicenda e improvvisando, ogni tanto, qualche passo di danza. Rimanemmo stretti in quel soffice abbraccio finchè la voce di Ed non intonò per l'ultima volta il ritornello. A quel punto ci guardammo: il mio mento si alzò lievemente, la sua testa si inclinò verso destra. La sua stretta sui miei fianchi si fece più solida, arrivando a cingermi tutta la schiena; lo spazio tra i nostri corpi si ridusse in un fruscìo di pelle e abiti che si sfiorano impercettibilmente. Abbassai le palpebre, mentre la voce di Ed svaniva, salendo verso il cielo stellato della notte più bella della mia vita "oh my my oh my my...Give me loooveee..."
  
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