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Autore: SimmyLu    11/12/2007    3 recensioni
Esiste veramente qualcosa di assolutamente imperfetto o completamente perfetto? Che differenza c'è in fondo fra il bianco e il nero?
Genere: Malinconico, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Don’t Say A Word


... di Simmy-Lu ...


Capitolo Sedicesimo: L'ALBA



Se solamente mi toccassi il cuore, [...]
se soffiassi nel mio cuore, vicino al mare, piangendo [...]

[P. Neruda, “Barcarola”, dalla raccolta “Poesie (1924-1964)”]






In quel momento provai una grande paura.
Ero incapace di muovermi, come se il mio corpo fosse stato solo un involucro vuoto.
Avevo sempre saputo che quel giorno mia madre non era morta e che gli adulti mi avevano mentito.
Ma allo stesso tempo ero così stanco di sopportare quel peso, che ho preferito credere ad una bugia.
Non ricordo se sono stato io a spingerla quel giorno... ho preferito dimenticare.
Non capivo perché mi avesse messo al mondo...
Lei che per essere felice aveva bisogno di dimenticarmi...
Rifugiandomi in una menzogna ho allontanato la sofferenza.
Così non avevo potuto credere a quello che mi era parso di vedere alla stazione.
Nascondendomi dietro una bugia avevo finito per crederci anch'io.
Non so se sia stata la realtà o un parto della mia fantasia... ma in quel momento provai una grande paura.
Pensavo che fosse tornata... per rimproverarmi.



Fu un grido o un rumore secco a far riemergere Piton alla realtà. I suoi occhi si erano fermati ad osservare qualcosa in un punto imprecisato dello spazio attorno a sé.
«Silente...» sussurrò a se stesso.
Si guardò intorno prima di alzarsi e dirigersi verso la Foresta Proibita. Camminò spedito, come se sapesse dove andare, poi si fermò di colpo, si guardò le mani sporche e si rese conto che non era affatto così. Forse avrebbe dovuto evocare il Patronus e avvisare il Preside che lo stava cercando, ma era ancora troppo confuso per agire a livello pratico.
Il forte rumore che lo aveva attirato in precedenza lo scosse ancora. Il mago cercò la sua bacchetta, per niente sicuro di averla ancora con sé; la trovò nella tasca e la estrasse avanzando fra le grosse radici degli alberi, nella direzione del suono.
Dopo pochi secondi riconobbe nella foschia, che tardava sempre a diradarsi fra quella vegetazione, la schiena dell'anziano Preside. Lo chiamò aumentando l'andatura per raggiungerlo.
Silente non prestò al mago la minima attenzione.
«Cerca di resistere...» disse Albus «...tra poco sarà tutto finito.»
Severus affiancò il Preside rendendosi conto che non parlava con lui, ma con quello che si ritrovò a fissare con orrore un secondo dopo.
Davanti a loro stava Alhena Inimeg, i vestiti a brandelli, ricoperta di sangue, cenere e terra; due grandi ali di pipistrello nascevano dalla sua schiena, una ripiegata su se stessa, l'altra trafitta dal ramo dell'albero a cui si stava appoggiando.
«Non avvicina... tevi... Non guardate... mi...» balbettava, gli occhi infossati, cerchiati di rosso.
«E' quasi cosciente...» disse Albus a Severus, il quale non capì assolutamente di cosa stesse parlando. Il professore di pozioni spostò lo sguardo prima sull'ala intrappolata, poi sugli occhi della donna.
«Non guardarmi...» soffiò lei, fuori di sé.
Silente alzò la bacchetta.

* * *

Alhena era svenuta, sarebbe caduta a terra se l'ala non fosse stata trafitta dal ramo, così la donna, con le ginocchia che quasi toccavano il terreno, sembrava pendere dall'albero.
Con l'aiuto di Severus, che continuava a fissare l'ala ferita e sanguinante, Silente liberò la donna.
«Tienila ferma.» ordinò a Piton che immediatamente eseguì, pur non sapendo cosa stessero facendo.
«Professore...?» tentò di chiedere spiegazioni.
«Non ora, Severus.» rispose l'altro e Piton si zittì.
Il vecchio mago respirò a fondo, poi alzò un braccio e schiaffeggiò la donna.
Sverus rimase a bocca aperta per lo stupore, stava per dire qualcosa in proposito ma lo sguardo affranto del Preside lo ammutolì.
Alhena si agitò un poco, poi aprì gli occhi.
«Alhena... come stai?» chiese Albus.
La donna dischiuse le labbra a fatica e tentò di parlare, ma non ci riuscì.
«Non importa, lo so.» disse Silente, «Ora torniamo al castello.»
Detto questo si alzò e, anche se titubante, Piton fece lo stesso; poi entrambi aspettarono che lo facesse anche la signorina Inimeg, ma le grandi ali erano più pesanti di quello che sembravano.
«Non possiamo aiutarla...?» domandò il professore di pozioni.
Silente scosse la testa tristemente: «E' cosciente, ma non totalmente in sé. Potrebbe benissimo rivoltarsi contro di noi senza alcun motivo apparente, quindi... fai attenzione.»
Quando Alhena recuperò l'equilibrio cominciarono tutti e tre a camminare lentamente verso il castello; ogni passo sembrava costare all'intero gruppo una grossa fatica. Piton faceva saettare lo sguardo dalla donna, che sembrava agire come sull'orlo del sonno, al vecchio mago che aveva assunto un'espressione dura. Scosso da qualche brivido di freddo Severus non si accorse subito che la donna si era fermata qualche passo indietro, la testa leggermente piegata e inclinata.
Il professore di Pozioni si rivolse al Preside: «Cosa...?»
Silente lo zittì con un gesto della mano e afferrò la propria bacchetta. Aspettarono in silenzio fino a quando non sentirono un flebile fischio.
«Ki...?» biascicò la donna e poi mosse qualche passo in direzione del rumore.
Con le mani fredde e le dita saldamente strette attorno alla bacchetta, Piton la seguì fra gli alberi insieme a Silente.
Ai piedi di un grosso tronco trovarono Kirck, il gufo della professoressa Inimeg; entrambe le ali erano spezzate e le piume scompigliate erano sporche di fango e sangue. Il volatile emise un altro sottile verso di dolore.
Alhena lo fisso senza espressione, poi si guardò intorno e, trovato un grosso sasso lo raccolse trascinandosi a fatica per il peso delle ali. Poi si inginocchiò accanto al proprio animale e, reggendo in grembo il sasso, lo accarezzò: Kirck emise ancora un piccolo fischio.
«Scu... sa...» disse Alhena, poi afferrò il grosso sasso.
Lo sollevò in alto prima di farlo ricadere per colpire.

* * *

Non vorresti dimenticare?
Non vorresti dimenticare tutta questa tristezza?
Dimenticare è dolce, dimenticare è leggero. E' facile.
Quindi dovrei dimenticare...
Basta che tu chiuda gli occhi e la lasci andare.
Il ricordo forse volerà via? E se non scomparisse?
Ci sono io qui.
La tristezza se ne andrà, resterà solo il ricordo della rabbia.
La tristezza volerà via...
...su ali di farfalla.
Ma dimenticare ciò che proviamo... non è ancora più triste della tristezza stessa?
Vorrei che tornasse.
Vorrei che non andasse via.
E tornasse da me.
Dimenticare è molto più triste. Più triste di quel dolore
Perché anche se dimentichiamo... in realtà...
...il passato non cambia.



Quando Harry Potter si svegliò era mattina e la luce penetrava forte e bianca dalle finestre. Non ricordava per quanto tempo avesse dormito e si accorse che le tende attorno al suo letto gli coprivano interamente la visuale.
Le parole del vampiro gli riecheggiarono nella mente per qualche minuto, ondeggiando. Si mise a sedere e cercò i suoi occhiali; li trovò poco distante, sul comodino accanto, e li inforcò mentre allungava un braccio per scostare le tende.
Non si seppe spiegare come, ma non era affatto sorpreso di ciò che il suo sguardo incontrò.
La professoressa Inimeg sedeva in un letto poco distante; aveva grandi ali nere, piegate su loro stesse, secche e livide.
Gli sorrise e lo salutò con piccolo cenno.
«Mi dispiace.» disse Harry.
Lei scosse il capo.

* * *

Severus Piton era seduto alla propria scrivania. La luce del mattino filtrava opaca dalla piccola finestra e donava un pallido colore agli oggetti e ai barattoli ammassati sugli scaffali. Il piccolo tavolo da lavoro su cui aveva posizionato il complicato marchingegno per la distillazione giaceva ormai vuoto, ricoperto dalla polvere.
Il professore di Pozioni sfogliò le ultime pagine di un sottile volume consunto. Era stato sveglio tutta la notte per leggere quel libro che credeva solo una leggenda e che Silente gli aveva consegnato la sera precedente con le indicazioni dovute. Piton chiuse il libro, prese una delle penne d'oca poggiate sul tavolo, intinse la punta nell'inchiostro e scrisse un'ultima riga di appunti su un foglio di pergamena.
Rilesse velocemente ciò che aveva scritto mentre si alzava e cominciava ad accendere il fuoco sotto un piccolo calderone.
Quando ebbe finito di versare alcuni ingredienti, tornò a sedersi per aspettare che il contenuto arrivasse ad ebollizione prima di inserire il resto. Prese allora fra le mani il libro e fece scorrere le dita sulla copertina in pelle; inciso su di essa vi era il titolo: "La Maledizione di Euriale".

"All'interno di questo volume ci sono le indicazioni necessarie per preparare una pozione per la signorina Inimeg in modo che si possa liberare più velocemente e meno dolorosamente possibile... delle ali." aveva quasi sussurrato il Preside sporgendo un vecchio libro a Piton.
"Ma...! Professor Silente... Credevo fosse solo una leggenda." aveva detto Severus all'anziano mago nel momento in cui aveva letto il titolo del volume che reggeva tra le mani.
"Lo è stato e probabilmente continuerà a rimanere tale, ora va', Severus..."

Il Preside lo aveva congedato senza troppe spiegazioni.
La Maledizione di Euriale era una leggenda, una fantasia a cui una mente razionale non poteva credere. Chi sarebbe stato così pazzo da...
Chi era stato così pazzo da fare una cosa del genere?
Così folle da costruire una realtà basandosi su una follia?

* * *

Passarono due giorni prima che Piton potesse incontrare Alhena. Madama Chips aveva impedito praticamente a chiunque di avvicinarsi a lei, giustificando l'isolamento della paziente con una febbre da cavallo e in effetti quando Severus arrivò al suo capezzale reggendo fra le mani una brocca fumante di pozione maleodorante non fece fatica a credere che la donna non fosse stata bene.
La professoressa di Difesa sembrava aver attraversato un lungo periodo di denutrizione, la pelle pallida e gli occhi cerchiati e stanchi ne costituivano una prova ben visibile.
Piton consegnò a Madama Chips la brocca il cui contenuto aveva passato le ultime ventiquattro ore bollendo a fiamma bassa; quando si fu allontanata il professore prese il libro che reggeva nell'altra mano e lo buttò sul letto di Alhena.
Lei lo raccolse, dopo la sorpresa del gesto di lui, e lesse con stupore la copertina, poi abbassò il volume e lo sguardo insieme.
«La pozione servirà a far seccare le ali e a...» disse in un sussurro ma fu subito interrotta.
«Credevo fosse una leggenda.» esordì acido e allo stesso tempo curioso Piton.
«Lo è.» rispose la professoressa.
«Chi sarebbe tanto folle da ridurre la propria vita ad una manciata di anni soltanto per acquisire un potere di cui si ignora la provenienza e l'entità e persino l'efficacia? Non credo proprio che si possa fare una cosa del genere da soli e di propria volontà!» l'incalzò.
Ci fu un lungo minuto di silenzio, poi vedendo che Alhena si rifiutava di rispondere e non si stava nemmeno dando la pena di guardalo in faccia, Severus, per nulla pago delle risposte che il libro poteva avergli fornito, proseguì con il suo interrogatorio.
«Questo...» disse avvicinandosi al letto e riprendendo in mano il volume, «...è un manoscritto. Qualcosa mi fa pensare che probabilmente sia la sola copia esistente. Chi ha scritto questo libro? Chi il folle che ha giocato in questo modo con la tua vita?»
Alhena faticò a trattenere oltre le lacrime che cominciarono a rigarle il volto; Severus se ne accorse perché avevano cominciato a chiazzare e bagnare le lenzuola.
La donna sollevò il viso cercando di contenere le emozioni.
«Mi dispiace di avervi messo... in pericolo. Non è mai stato nelle mie intenzioni...» disse.
«Non mi interessa. Chi, voglio sapere chi.» disse Severus, per nulla toccato dalle lacrime di lei.
«Mia madre morì... a causa dell'attacco di un piccolo clan di vampiri nella nostra città... Mio padre faceva parte... del gruppo dei Pari di Forcide... lui... sperimentava incantesimi lavorando per il Ministero.» disse lei in un soffio.
Piton inarcò un sopracciglio.
«Quindi tuo padre era J.F. Ceto Inimeg?» chiese con una punta di incredulità.
Alhena annuì. Severus sbatté le palpebre più volte chiedendosi come avesse fatto a non pensarci prima.
«Tuo padre ha lavorato per anni all'Ufficio Misteri.» disse più a se stesso che alla sua interlocutrice.
«Sì... fino a quando mia madre non morì.»
«Cosa è accaduto dopo?» chiese il mago, riducendo gli occhi a due sottili fessure.
«Le creature oscure erano sotto il controllo e l'influenza di Tu-Sai-Chi... mio padre divenne pazzo per il dolore e il solo pensiero di poter perdere anche me...» sospirò rumorosamente e sollevò la testa incontrando lo sguardo del mago, «... lui mi amava. Ha fatto questo per... proteggermi!»
Severus rimase colpito da quell'affermazione, una reazione logica avrebbe comportato dell'odio. La maledizione di Euriale era, a quanto aveva appreso da quel libro, un incantesimo assai complicato, che di certo non poteva essere compiuto da mani inesperte e comportava il consumo della vita della persona maledetta per ogni trasformazione compiuta. Ciò stava a significare che c'era un numero ridotto di possibilità di sopravvivenza oltre una data soglia anche perché il potere che la maledizione comportava non era controllabile da alcuno, tantomeno da chi ne era il portatore.
Significava morire più velocemente.
Come poteva quella donna giustificare chi le aveva fatto tanto?
Piton la guardò per un momento con una strana smorfia sul volto.
«Pensavo che l'amore fosse qualcosa di diverso.» disse infine.
«Diverso?!» quasi urlò Alhena con la voce stridula e rotta dal pianto, «Lui mi ha protetto! Ha fatto in modo che nessuno potesse farmi del male!»
«Tutti tranne te stessa! Come puoi provare dell'affetto per una persona che altro non affatto se non...» disse Severus senza rendersi conto di aver alzato un po' troppo la voce.
«Sembra sempre che tutti sappiano di più degli altri ma alla fine non fanno nulla per cambiare le cose. Anche tu quel giorno...! Stavi lasciando che gli elefanti affogassero!»
Piton spalancò gli occhi senza preoccuparsi di celare quella che era una evidente espressione di stupore e fastidio insieme. Era la prima volta che Alhena gli si rivolgeva in maniera così diretta e violenta: era stato un attacco chiaro, volto unicamente a ferire.
«Tu come...?» sibilò il mago.
«I sogni sono ossessioni nel momento in cui diventano reali, diceva mio padre.»
La donna fece profondi respiri, tremando, senza avere il coraggio di guardare in faccia il collega.
«E' così che mi hai trovato quella sera? Dunque è la maledizione che ti dà la possibilità di... frugare nei pensieri altrui?» domandò velenoso, il professore.
Alhena annuì azzardandosi a gettare un'occhiata nella sua direzione: «Ognuno di noi lascia una scia... sì, una sorta di traccia nei punti che attraversa... Io sento.»
Severus si accigliò non c'era nulla del genere nella spiegazioni sul libro della Maledizione di Euriale. Probabilmente non era la sola cosa a mancare.
Piton prese fiato e parlò ritrovando un contegno: «Tu sei un pericolo.» sentenziò.
Alhena lo guardò sbarrando gli occhi come se il mago l'avesse appena colpita in faccia.
«Nonostante questo Silente ti ha ospitato nella scuola e ti ha dato un posto da insegnante...» constatò lui, «...perché?»
La domanda era stata diretta e asciutta, a Piton poco importava delle condizioni di salute di lei o del suo stato d'animo; cercava delle risposte e le avrebbe avute, stanco di essere tenuto all'oscuro e stuzzicato dal fatto che la professoressa potesse confermare le idee che si era fatto sul piano di Dora di cui, si era reso ormai conto, era stato solo un burattino.
Alhena sospirò e rispose: «Il gruppo dei Pari di Forcide.» disse, «Si sono ritirati ormai da tempo in solitudine, sono vecchi e non vogliono avere contatti con il mondo magico ormai. Silente ha provato a contattarli, ma la loro risposta è stata negativa. Io sono la figlia di uno di loro e, anche se mio padre ormai è morto, Silente credeva che sarebbero stati disposti ad ascoltarmi, ma non è stato così. La loro risposta è stata ancora una volta negativa... ricorderai di certo quella sera in cui portai la loro lettera al preside... tu non volevi che ascoltassi i vostri discorsi.»
«Sì, lo ricordo.» disse Piton la cui mente lavorava frenetica per mettere insieme i pezzi di quella storia.
«Questo è quanto.» sospirò lei.
Tacquero entrambi senza dirsi nulla o scambiarsi uno sguardo. In quel frangente Madama Chip sembrò spuntare dal nulla con una tazza fumante fra le mani. Parve non accorgersi della tensione che si era creata fra i due, troppo presa dalle sue mansioni, appoggiò la tazza sul comodino vicino al letto della professoressa di Difesa e le raccomandò di berne l'intero contenuto dopo averlo lasciato raffreddare un po'. Poi, come se nulla fosse, li lasciò di nuovo soli.
Severus la guardò mentre si dedicava alle sue mansioni, ma in realtà non la vedeva affatto; un pensiero assai contorto aveva cominciato a farsi strada nella sua mente: che senso aveva avuto far lavorare ad Hogwarts la signorina Inimeg? Non c'era affatto bisogno di darle un posto di lavoro perché spedisse una banale lettera agli ex-colleghi di suo padre.
«Mi dispiace di averla uccisa.» disse Alhena ad un certo punto interrompendo i pensieri di Piton.
Severus non afferrò immediatamente l'argomento di quella nuova parte della conversazione ed assunse un'espressione interrogativa.
«Parlo del vampiro.» spiegò lei.
Piton aggrottò le sopracciglia: «Non capisco cosa tu intenda dire.»
«Mi dispiace perché... sembrava trovare divertente parlare con te. Ma... era quello che lei voleva.» disse infine afferrando la tazza dal comodino e reggendola saldamente con entrambe le mani.
«Quello che voleva?» Severus ormai faceva fatica a seguirla.
«Sì, lei ha combattuto contro la sua natura pur di rimanere libera.» disse Alhena sussurrando le parola al bordo della tazza prima di appoggiarvi le labbra e bere un sorso della pozione. Un secondo dopo espresse tutto il suo disgusto per il suo sapore con una smorfia eloquente.
«Dora... voleva morire? Perché?» chiese il mago.
«Perché sapeva che la natura del vampiro avrebbe presto preso il sopravvento su ciò che di lei ancora rimaneva, forse quel poco di umanità che le era rimasta... sarebbe caduta. Non avrebbe resistito a Tu-Sai-Chi... una seconda volta, non ora che i suoi poteri oscuri erano così forti e così poco di umano albergava in lei. Era questo che la spaventava. E' per questo che ha avuto bisogno di Harry.» spiegò tristemente.
Per l'ennesima volta durante quella conversazione Severus si ritrovò spiazzato dalla parole della donna. Dunque era andata in quel modo? Era stata tutta una scusa per cercare una fine e una vendetta. Dora si era servita di lui per arrivare a Potter e di Potter per arrivare ad Inimeg. Tutto per evitare di perdere la propria libertà e di essere comandata e allo stesso tempo per vendicarsi degli esseri che l'avevano privata un tempo della sua vita.
E di nuovo quell'idea tornò a balenargli nella mente: che Silente avesse organizzato tutto avendo ipoteticamente indovinato il piano di Dora? Che avesse assunto Inimeg solo per disfarsi del pericoloso e potente vampiro che, sotto il controllo del Signore Oscuro, sarebbe diventato una seria minaccia? Scose appena la testa, cercando di accantonare una simile ipotesi, ma non riuscendoci del tutto.
«Già...» aggiunse Alhena posandosi la tazza in grembo, ma continuando a reggerla saldamente fra le mani tanto che le nocche divennero bianche, «C'era bisogno di un mostro per uccidere un altro mostro.»
La sua espressione si indurì e i suoi occhi tornarono acquosi e lucidi; la donna sembrò combattere contro il desiderio di piangere ancora, ma a Piton non interessava se fosse riuscita ad arginare le lacrime o meno; se era stato veramente quello il piano di Silente, il Preside aveva condannato a breve, costituendo anch'ella un pericolo, Inimeg a morire... era assurdo.
«Perché sei venuta qui? Ti sei esposta ad un pericolo che non avresti potuto controllare.» disse il mago.
Alhena scosse la testa e cercò di parlare ma non ci riuscì.
«Avresti potuto godere degli anni che ti restavano. Quanto ti rimane da vivere adesso?» chiese il professore di Pozioni.
La donna lo guardò, «Ero così stanca di dirmi "andrà tutto bene", "tutto si sistemerà". E' così triste... dirlo a se stessi. Ogni volta che lo ripetevo ci credevo sempre meno. Ogni pensiero positivo era una bugia... e mi sentivo sempre più sola. Se devo morire, allora voglio fare qualcosa di utile. Qualsiasi cosa... ma non voglio più sentirmi così sola.» la sua espressione era sofferente e allo stesso tempo esaustiva.
Severus la guardò negli occhi senza dirle niente, poi abbassò lo sguardo fissando una mattonella del pavimento. Quando tornò a guardare in alto, la sua attenzione non era fissa su nulla in particolare.
«Credo che sia meglio che io vada adesso.» disse.
Alhena annuì asciugandosi una guancia con una mano.
Severus si avviò verso la porta, ma a metà strada si fermò e si voltò; avrebbe voluto dire qualcosa per farla smettere di piangere perché le sue lacrime lo irritavano, qualcosa di appropriato.
Ma non riuscì a trovare nulla che non suonasse scortese o aggressivo, anche un semplice "mi spiace" gli sembrava ridicolo e fuori luogo. La guardò ancora per un momento senza trovare una sola parola da poterle dire, mentre lei gli sorrideva con le guance bagnate e gli occhi arrossati.

* * *

Attacchi, assassinii e sparizioni nel cuore della notte erano ormai ricominciati. Sembrava che il tempo avesse giocato un brutto scherzo agli uomini, maghi e non, tornando indietro di quasi vent'anni.
L'Ordine della Fenice si era presto riunito per organizzare operazioni di salvataggio e protezione.
Alhena si era in parte ristabilita, le ali si erano seccate ed erano cadute, lasciando solo la stanchezza e un'ombra anomala nei sui occhi.
Severus la osservò alzarsi e farsi avanti.
«Non importa Remus.» disse rivolta a Lupin che stava illustrando i pericoli dell'operazione che stavano progettando al resto del gruppo, «Vi coprirò io la fuga.»
I membri dell'Ordine la guardarono sorpresi.
Piton indovinò cosa stessero pensando: avrebbero potuto pensare al piano senza il problema della difesa durante la fuga, senza Inimeg non sarebbe stato in effetti possibile e probabilmente molti non si sarebbero spinti a tanto.
«E' deciso, allora.»

* * *

Le spie agiscono nell'ombra.
Era per quel logico motivo che Piton non partecipava mai alle azioni dell'Ordine a meno che non volessero dire procurare informazioni partecipando alle azioni di qualcun'altro.
Quando il gruppo tornò dalla missione era ormai l'alba e il sole spargeva qua e là i suoi colori dorati.
Severus contò i presenti e li guardò in faccia. Qualcosa non andava nelle loro espressioni, ma non voleva ascoltare l'istinto. Si avvicinò alla ricerca di Lupin e, senza preoccuparsi che gli altri potessero sentire o meno, gli domandò: «Inimeg? Dov'è Inimeg?»
Lo sguardo di Lupin si abbassò e cercò le parole nei volti degli altri, ma non ne trovò di adatte.
«Ci ha coperto la fuga.» spiegò.
Severus lo guardò e sembrò trapassarlo da parte a parte.
«L'avete lasciata sola... a morire?» chiese irritato e incredulo.
«Severus...» cominciò Lupin, ma non disse altro perché venne interrotto.
«Zitto.» ordinò Piton, gli occhi sottili e velenosi, «Non dire una parola. Non dire... nemmeno una parola.»
Quella che a Lupin era sembrata rabbia si trasformò presto in qualcosa di diverso negli occhi di Piton; il professore di Pozioni si afferrò il braccio sinistro sentendo il Marchio Nero bruciare all'improvviso, rivolse un'ultima gelante occhiata al suo interlocutore e poi se ne andò.
Alle spalle il sole e davanti il buio.






[...] Qualcuno verrebbe forse,
qualcuno verrebbe,
dalle cime delle isole, dal fondo rosso del mare,
qualcuno verrebbe, qualcuno verrebbe. [...]

[P. Neruda, “Barcarola”, dalla raccolta “Poesie (1924-1964)”]





Don’t Say A Word - Fine.


N.d.A.: Vi spiegherò alcune cose che nessuno ha notato nonostante gli indizi presenti fin da primi capitoli. Mi sono molto divertita a giocare coi nomi e con la mitologia in questa storia.
Per cominciare si parte dal fatto che il nome Severus Snape è l'anagramma di Perseus Evans e viceversa. Nella mitologia Perseo è l'eroe greco figlio di Zeus e Danae che uccise Medusa e con la sua testa pietrificò Atlante e liberò Andromeda che poi sposò.
Io sono partita proprio da qui, infatti Dora Maden altro non è che l'anagramma di Andromeda.
Infatti nel secondo capitolo Dora dice a Piton: ‹‹Perseo, Perseo… come sei scontroso questa sera. Non sei forse contento di vedere la tua Andromeda?››.
Era un indizio abbastanza evidente, ma proseguiamo.
Alhena è il nome di una delle stelle che formano la costellazione dei Gemelli (guarda un po', il mio segno zodiacale) e infatti se leggete al contrario il suo cognome (Inimeg) leggerete la parola Gemini, ovvero Gemelli.
Anche Euriale non è un nome dato a caso. Infatti Euriale è una delle Gorgoni della mitologia greca, una delle sorelle di Medusa figlia di Forcide (il nome del gruppo del padre di Alhena), una divinità marina, e di Ceto (il nome del padre di Alhena), un mostro oceanico.
Dora e Alhena sono contrapposte anche per natura, la prima possiede il potere del fuoco e la seconda le si oppone in quanto Euriale è figlia di due entità marine, quindi con una natura che si può definire acquatica.
Seppur opposte, sono però simili. Le ho immaginate come le parti dello Yin e dello Yang, come notte e giorno, come oscurità e luce. Come nel simbolo, queste entità non sono completamente pure e si possono trasformare l'una nell'altra. Entrambe possiedono qualcosa dell'altra: Dora dimostra di non essere completamente malvagia e così Alhena dimostra di avere parti oscure nel prorio carattere.
Fin dall'inizio aveva pensato che ‹‹Non dire una parola›› sarebbe stata l'ultima battuta di Piton, la quale dà il titolo alla storia.




A proposito delle recensioni:


Non risponderò ai commenti perché non c'è davvero nulla da dire. Ringrazio chi ha letto e se avete apprezzato ciò che ho scritto anche se solo in piccola parte, sono contenta.
Se vorrete lasciare un commento a questo ultimo capitolo ne sarò felice, ma vi prego di evitare commenti minimali e poco utili.
Non fraintendetemi: sono ben felice di ricevere anche quel tipo di commenti, ma se la stessa persona ad ogni nuovo capitolo ripete sempre la solita solfa (che bel capitolo, continua presto), io mi chiedo se davvero la storia le sia piaciuta e se davvero ha capito quello che ho scritto. A questo punto mi sorge spontaneo chiedermi se la colpa non sia nella mia incapacità di trasmettere qualcosa e innescare un ragionamento nel lettore, ma a ragion veduta qualcuno fa commenti di più di una riga o due e spende delle parole per giustificare le sue opinioni ed esprimere osservazioni.
Non abbiate paura di dire e scrivere quello che pensate, perché un commento che non dice nulla è inutile che venga scritto perché non serve a niente. Un commento deve aiutare l'autore a capire quali sono le cose fatte bene e quali quelle fatte male in ciò che scrive.
Se una persona scrive "questa storia mi è piaciuta molto" oppure il contrario, io da parte mia posso benissimo pensare "va bene, grazie tante, ma che cosa ne pensi? e perché?".
Non credete che io voglia costringere qualcuno, ognuno è libero di commentare e scrivere quello che vuole oppure di non farlo neppure; quello che vi sto invitando a fare è esternare veramente quello che pensate senza preoccuparvi di dire anche qualcosa di negativo.
Mi rendo conto da sola che questa fanfic non è una gran cosa, quindi, se sono io la prima ad ammetterlo, perché non dovete esprimere voi stessi qualcosa di più di un semplice "mi piace/non mi piace"? E' il mio invito non solo per questa storia ma anche per tutte le altre che sto scrivendo.
Grazie a tutti.


# Harry Potter (C) J.K. Rowling

   
 
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