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Autore: Thurin    04/06/2013    2 recensioni
L'immagine di un oscuro passato riaffiora nella mente di Nico Robin, un ricordo a lungo nascosto capace di sconvolgere l'intera umanità. Un segreto a lungo celato ai suoi più intimi amici, il ricordo di un dolore mai sopito, per Franky il viaggio insieme a Cappello di Paglia non è solo voglia di avventura, ma fuga da un destino che lo chiama con voce ossessionante, un destino legato a doppio filo al passato della giovane archeologa. A poco a poco la consapevolezza del legame reciproco porterà i due pirati a ricomporre i pezzi di un puzzle diabolico, portando alla luce ciò che per lunghi anni era stato nascosto.
Vorrei dedicare questo racconto in più capitoli all'utente Avventuriera, che mi ha spinto (dopo un'appassionata discussione) a provare a cimentarmi in una fan-fic. In effetti questa è una commissione per suo conto! Spero che questo mio primo lavoro riesca ad appassionarvi, buona lettura...aspetto i vostri commenti (siete liberi di distruggermi come e quando volete!).
Genere: Avventura, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Franky, Nico Robin | Coppie: Franky/Nico Robin
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Capitolo II
L'uomo di latta

 
Due anni. Erano passati ben due anni dall’ultima volta che aveva visto la Sunny, la sua Sunny. Quando la vide ancora alla fonda tra le insenature dell’Arcipelago Sabaody, per un momento ebbe paura che svanisse tra le molteplici bolle provenienti dalle mangrovie che la circondavano. Era sempre stato un po’ sentimentale, non amava molto darlo a vedere ma sotto quella camicia floreale, batteva un cuore umano anche se a volte, portando le grandi mani al petto, sentiva soltanto un grande vuoto intervallato da due battiti simmetrici.
L’ora di cena era passata da un pezzo, Sanji aveva preparato un nuovo manicaretto davvero gustoso: -Gli devo chiedere dove ha imparato tutte queste nuove ricette- Franky si annotò la domanda nella mente, mangiando a sazietà qualsiasi cosa avesse davanti. Erano anni che non si ritrovavano tutti insieme nella grande sala sotto coperta e tutti erano davvero felici di poter tornare a divertirsi insieme. Al solito non mancavano le smancerie di Sanji verso Nami e Robin, servite di tutto punto dal cuoco di bordo con ogni lusso. Dall'altra parte del tavolo Usopp era intento ad aggiungere letteralmente un po' di pepe alla carne del capitano; Luffy non riusciva a capire come mai quella carne gli facesse venire così tanta sete. Lui era seduto di fianco a Brook, che quella sera pareva avere un discreto appetito, se non fosse che tutto il cibo era finito nello suo stomaco di ferro. Zoro e Chopper, seduti di fronte a loro, non mangiarono molto e la cosa gli sembrò davvero strana: si chiese da quando Zoro avesse cominciato a badare alle porzioni. Ripensando alle risse per gli avanzi degli anni passati provò un po' di nostalgia. Da un po’ di tempo a quella parte, invece, lo spadaccino sembrava più tranquillo del solito.
Le ragazze, finita la cena, fecero ritorno alla loro stanza, mentre il resto della ciurma si fermò a lungo nel salone a far festa al suono della chitarra di Brook; Franky non era solito rifiutare una serata in compagnia dei suoi amici, ma per qualche ragione, o forse mille ragioni, quella sera non se la sentiva di festeggiare. Ripensò all'intera giornata che aveva passato come un leone in gabbia in giro per la nave, l'aveva esplorata in lungo e in largo controllandone ogni angolo quasi in cerca di qualche cosa di storto o fuori posto; nessuno sembrava aver notato la sua inquietudine e forse era meglio così, non voleva certo causare preoccupazioni inutili ai suoi compagni.
Chissà cosa avrebbero pensato poi, se avessero saputo che il carpentiere di bordo, il cyborg super-perfetto, sentiva delle voci nella testa: -Probabilmente Luffy penserebbe che mi sono installato una qualche sorta di radio nel cervello- quel pensiero lo fece sorridere. Ma non poteva ignorare quelle voci, le voci delle sue creature, ognuna aveva un suono particolare; ricordò quando per la prima volta sentì il richiamo di una sua macchina, lavorava come apprendista da Tom, ancora oggi aveva impressa nella mente il sorriso sornione del grande uomo-pesce, mentre gli raccontava di come potesse comunicare con le navi da lui create.
Tom, la persona a cui doveva tutto, la persona che più di ogni altro aveva saputo capirlo ed accudirlo, tramandandogli un mestiere, una passione ed un entusiasmo impareggiabili. Erano passati tanti anni dalla scomparsa del suo mentore, una tragedia che lo segnò nel corpo e nell'animo. Lentamente si portò una mano al petto e per un attimo gli sembrò che l’intervallo fra i due battiti simmetrici fosse aumentato. Ora il viaggio della sua Sunny lo avrebbe portato verso il luogo d’origine del suo mentore, e chissà se proprio laggiù non avrebbe trovato qualche indizio sul passato del più grande carpentiere del mondo.
“Ci hai lasciato una bella gatta da pelare vecchio” si accorse di aver pensato ad alta voce, si voltò verso la porta della stanza come per assicurarsi che nessuno avesse sentito, impossibile, quella camera era solo per lui, grande e spaziosa abbastanza da poter contenere la necessaria strumentazione per le riparazioni e la fabbricazione di nuove invenzioni. Dal suo ritorno dall'isola del Dr. Vegapunk, poi, aveva raccolto e ordinato nei diversi scaffali e armadietti, vari e curiosi materiali utili per i mille progetti che aveva in mente. Tuttavia, non era passato giorno, su quell'isola invernale, senza che la sua mente ritornasse agli ultimi mesi con Tom ed Iceburg, dalla foga con la quale spingeva i due apprendisti a svolgere lavori sempre più intraprendenti, sembrava quasi che il vecchio uomo-pesce capisse che il suo tempo andava esaurendosi.
In quella stanza, la sua stanza, attrezzata come un vero e proprio laboratorio, Franky si ritrovò a guardare il tetro paesaggio al di fuori dell’oblò, quasi ipnotizzato dall'ondeggiare delle enormi alghe radicate sulla sabbia del fondale, le strutture coralline illuminate tenuamente dagli organismi bioluminescenti mostravano parte della loro vastità perdendosi nell'orizzonte scuro degli abissi. In quelle profondità oceaniche i concetti di giorno e notte perdevano ogni significato. Anche se coperti dalla penombra, nella stanza di Franky si potevano ben distinguere il grande tavolo da lavoro posto su un lato, pieno di cassetti ai bordi e con accanto un baule dal contenuto un po’ eccentrico: capigliature intercambiabili, utili per sfoggiare un look sempre differente. Dall'altro lato stavano il letto e un armadio pieno di vestiti ed armi, l’intera stanza era a prova d’esplosione, si era preso tutte le precauzioni del caso poiché, conoscendosi, sapeva bene quali rischi potevano correre i suoi amici mentre era intento a lavorare su qualche nuova e stramba invenzione.
 
In quel momento, senza alcun preavviso, un lampo di luce gli balenò davanti agli occhi, seguito da una fortissima fitta alla testa che quasi lo fece inginocchiare dal dolore; barcollando cercò di arrivare alla porta per chiamare aiuto ma le gambe non sembravano volergli dare ascolto. Stette immobile vicino all'oblò cercando di aprire gli occhi per rendersi conto se fosse ancora nella sua stanza, ma quella luce bianca rendeva tutto sfuocato ed incerto, poi, tra una fitta e l’altra avvertì chiaramente una voce risuonare nella sua testa:
“Svegliati” la voce dapprima era fievole poi via via sempre più intensa e continuava a ripetere sempre la stessa parola: “Svegliati!” Svegliarsi? Franky era ormai in pieno stato confusionale a causa del dolore, ma se c’era una cosa di cui era sicuro, era che non stesse dormendo. A poco a poco la voce cominciò ad assumere una forma, Franky vide davanti a sé una sagoma indistinta in risalto nella luce bianca, la sola cosa che potesse vedere, era nera come le profondità dell’oceano, flessuosa e dalla forma vagamente familiare.
“Ora devi svegliarti Franky!” la voce, che ora aveva assunto un tono chiaramente femminile, continuava a rivolgersi al cyborg insistentemente, “non c’è più tempo, abbiamo bisogno di te”
“Questa voce…non puoi essere tu!” si rivolse alla sagoma guardandola per avere conferma dei suoi sospetti e, purtroppo, la sua intuizione si rivelò esatta.
Nico Robin stava davanti a lui, la consistenza di una nuvola di fumo, lo sguardo fisso su di lui e la sua voce come un’eco nell'aria:
“Svegliati Franky, ho bisogno del tuo aiuto, solo tu puoi aiutarci”
“Aiutarvi?! Cosa vorresti dire? Siamo al sicuro qui sulla Sunny!”
Ora Franky, che distingueva chiaramente la figura davanti ai suoi occhi: Nico Robin lo osservava intensamente, i capelli spazzati dal vento e una sola tunica nera che lasciava scoperte le braccia, ondeggiava lasciando trasparire le forme flessuose del suo corpo; si accorse che il bianco attorno a loro stava lentamente svanendo, lasciando il posto ad un paesaggio a dir poco spettrale: dietro la figura che gli stava parlando, le fiamme circondavano un grande albero bruciandone i grandi rami e le foglie, tutt'intorno la terra era bruciata, riarsa, attraversata da rivoli di magma. In mezzo a questo caos persone in fuga urlavano in cera d’aiuto, alcuni erano divorati dalle fiamme, altri si gettavano in mare in cerca di una via di scampo; Nico Robin stava in piedi, impassibile, guardava il cyborg negli occhi quasi inconsapevole della realtà che li circondava.
“Cosa significa tutto questo? Chi sei veramente?” Franky ora urlava, il terrore negli occhi, la rabbia negli intervalli di vuoto tra i battiti simmetrici del suo petto.
“Tu hai causato tutto questo, tu ci hai portato a questa rovina e solo tu puoi salvarci”
“Io non so di cosa stai parlando Robin! Io non sono mai stato ad Ohara”
Si fermò agghiacciato, cosa aveva appena detto? - Ohara!? - era sicuro di non essere mai stato sull'isola degli archeologi, ma allora come mai gli era uscita quella frase così spontanea; certo Ohara era famosa per l’immenso Albero della Conoscenza, ma Franky era sicuro che non lo avrebbe mai potuto riconoscere, perché era sicuro di non avere alcun ricordo al riguardo, né di averne mai vista un’immagine in nessun libro.
Una fitta ancora più dolorosa, questa volta alla zona cervicale, interruppe il flusso dei suoi pensieri, in preda al dolore, guardava ancora la figura dell’amica in piedi di fronte a lui, attorno a loro la devastazione e le fiamme.
“Cosa mi stai facendo Robin? Cosa vuoi da me?”
“Tu ci hai portato questo e tu ora ci devi salvare”
“Come potrei, ormai la tua isola è stata distrutta da molti anni, ed anche il suo ricordo sta svanendo dal mondo”
“Se non ci puoi salvare, almeno salva lei”
Ora di fianco a Robin era apparsa una bambina, gli occhi spauriti e in lacrime, il viso tremante e i capelli corvini scompigliati, teneva la mano della ragazza stretta come una morsa e non sembrava volerla lasciare tanto facilmente. Franky guardò ancora la bambina, ma lei non ricambiava il suo sguardo, muoveva la testa alla ricerca di sperata di qualcosa, senza muovere un passo da Robin
“Hey! Bambina! Chi sei? Come ti chiami?” la piccola non sembrava dargli ascolto, volse la testa verso l’alto e subito dopo lanciò un grido di terrore che fece trasalire Franky.
Volse anche lui lo sguardo verso l’alto e la vide, tra le nuvole di fumo grigio dell’incendio, e il cielo reso rosso dalle fiamme, un’immensa figura si stagliava imponente sopra l’isola, sospesa per aria, sembrava osservare impassibile la devastazione circostante, in quel momento avvertì chiaramente che i battiti simmetrici del suo petto avevano lasciato il posto al vuoto assoluto. Il cyborg s’inginocchiò ansimante e stremato, le mani al petto alla ricerca di un segnale a lui familiare ma che in quel momento lo aveva abbandonato, le bambina intanto continuava ad urlare
“Piccola! Piccola!! Calmati, spiegami cos’è quella cosa lassù, perché ti fa così tanta paura?” Franky cercò ancora una qualche comunicazione con la piccola figura terrorizzata, anche se in quel momento avrebbe preferito capire cosa non andasse all’interno del suo corpo
“Non ti risponderà, Franky, non finché non l’avrai salvata dal suo dolore”
“Come posso salvarla se non so neanche di cosa ha tanta paura?”
“Tu conosci già la risposta, ma non vuoi accettarla”
“Tutto questo è assurdo, Robin, quando tornerò indietro mi dovrai dare delle spiegazioni!”
Robin sorrise, allungò la mano verso il petto del cyborg ora ai suoi piedi, appoggiò l’indice sul punto esatto dal quale fino a poco prima giungevano quei battiti simmetrici, ora oppressi dal vuoto insostenibile
“I cuori non saranno mai una cosa pratica finché non ne inventeranno di infrangibili”
Il dolore di Franky svanì di colpo, si rialzò stupito di quel gesto, così innaturale per la sua amica, ma notò subito che il petto sembrava funzionare come prima, anche la bambina aveva smesso di gridare, ora entrambe le figure, mano nella mano, guardavano il carpentiere che per la prima volta notò una certa somiglianza fra loro
“Aspetta un attimo Robin, che mi hai fatto!?”
“Non c’è più tempo, abbiamo bisogno di te”
“Ma non so cosa devo fare! Dimmi di più Robin!!!”
“Tu conosci già la risposta ma non vuoi accettarla”
Il paesaggio cominciò lentamente a svanire intorno a loro, in poco tempo rimasero solamente Franky e la figura di Nico Robin circondati dalla luce bianca, poi con un ultimo buffo di fumo, anche la giovane archeologa svanì alla vista e tutto fu nero.
La stanza tornò a materializzarsi davanti agli occhi del cyborg come una scena svelata da un sipario, Franky era ancora in piedi vicino all’oblò, le mani alla testa il respiro pesante. Si guardò intorno, buio, guardò di nuovo all’esterno, le profondità oceaniche erano ancora lì. Confuso e stordito osservò l’orologio sul tavolo da lavoro, non era passato neanche un minuto. Gli sembrava di essere stato assente per una vita intera, aveva ancora impresse le immagini di quella visione e l’ansia colma di dubbi che questa strana esperienza aveva lasciato, tuttavia, ripensando ancora a quella visione e a quella figura nel cielo in fiamme, fu preso da un improvviso bisogno di verificare una sua teoria.
Si sedette al tavolo da lavoro, allungò la mano al di sotto di esso e senza guardare premette un piccolo pulsante, un leggero click anticipò l’uscita di uno scomparto nascosto, dal quale Franky tirò fuori un oggetto di forma rettangolare, un po’ consunto e sciupato, un comunissimo raccoglitore.
   
 
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