Fanfic su attori > Logan Lerman
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Autore: Illa_    07/06/2013    1 recensioni
“Tornerò a casa presto” le mimo silenziosamente con le labbra, per paura che qualcun altro oltre me e lei, possa recepire il messaggio.
Vedo qualche sua ciocca di capelli castano chiaro, come i miei, scivolarle da dietro le orecchie, per sfiorare le guance arrossate dal freddo.
I suoi occhi castani mi stanno implorando, così decido di girarmi, ma prima di poterlo fare vedo le sue piccole e rosse labbra muoversi.
Non riesco più a sopportare il peso della partenza, così mi dirigo in fretta verso il cancelletto in ferro battuto che divide la villetta dalla strada, ed esco.
La via che devo percorrere è breve, so dove devo andare e non mi piace affatto.
Percorro qualcosa come duecento metri e finalmente posso sentire il peso delle parole di mia sorella.
“Salvaci”.
L’eco della sua voce mi rimbomba nella testa, anche se non ha mai sfiorato le mie orecchie con quella parola.
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 2








Mi formicola il braccio, involontariamente la mia mano corre ad accarezzare il punto, ma c’è qualcosa che non va.

Apro gli occhi di scatto, fissando la flebo attaccata al mio braccio destro, immediatamente comincio a guardarmi intorno, qualcuno mi deve togliere questa cosa dal braccio.

Intorno a me è pieno di lettini bianchi, vuoti, non c’è una fonte di luce naturale, solo neon.

Mi metto seduta e mi accorgo di non avere più un dolore, nessuno sembra essere in quest’enorme infermeria che puzza di disinfettante da far venire la nausea.

< Hey! > urlò nell’immenso locale, ma l’unica voce a farmi compagnia è il mio eco.

Qualcosa scricchiola familiarmente sulla mia destra e mi accorgo esserci una porta, da dove, un secondo dopo, esce una donna alta, dai capelli corti, con un lungo camice bianco.

< Mary, chiama Luke, la ragazza si è svegliata > la donna non sembra mostrare alcuna espressione, il suo viso è impassibile.

< Scusi mi può togliere questa cosa dal braccio? > chiedo guardando il tubo che finisce da una sacca, al mio braccio.

< Si chiama flebo > aggiunge la donna scrutandomi una seconda volta per poi voltarsi e sparire oltre la soglia della porta da cui è uscita.

< Mi può togliere la flebo allora? > urlo per farmi sentire, gli aghi mi terrorizzano più di ogni altra cosa e averne uno nel braccio ora, non mi mette molto a mio agio.

< No! > grida di rimando con un tono calmo mentre sento che armeggia con qualcosa.

Un’altra porta si apre poco lontano da me, infondo alla sala, da dove il ragazzo di nome Luke entra con passo deciso.

Il capelli gli ricadono sulla fronte più disordinati di quanto non fossero la volta precedente, gli occhi azzurri brillano e il sorriso, a contatto con la luce del neon, è così smagliante da far impallidire chiunque gli si ritrovi di fronte.

Avanza risoluto verso il mio lettino, con la tenuta blu scura sporca di terra e un elmetto, altrettanto sudicio, sotto il braccio sinistro.

Rimango incantata ad osservare la figura avvicinarsi, se non avessi avuto un ago nel braccio a distogliermi da tutti i miei pensieri, l’avrei trovato affascinante.

Mi tasto l’ennesima volta il braccio con la flebo, vorrei strapparla, ma so che mi farei molto male, purtroppo le esperienze passate mi hanno insegnato molto.

< Ciao! > dice sorridente Luke, mentre io sono del tutto presa dal muovere impercettibilmente la farfallina attaccata alla mia pelle.

Mugugno qualcosa che dovrebbe essere un saluto.

< Sai come togliere questa cosa!? > esclamo con un tono esasperato e gli occhi imploranti, lui ride e si avvia verso la stessa porta dove qualche istante prima è sparita l’infermiera.

Non riesco a comprendere il veloce scambio di battute, ma un secondo dopo sento l’infermiera borbottare qualcosa su una possibile aggiunta di una macchina del caffè  e lo schioccare di una serratura che si apre e poi si chiude.

Luke spalanca la porta e riesco a vedere la stanza, illuminata da una larga porta a vetri e da una finestra, non è molto arredata, ci sono solo alcune sedie, un tavolino, diversi armadietti e un lavandino, dove  lui si sta lavando le mani.

Si asciuga con un panno lì accanto e torna verso di me.

Accuratamente toglie il nastro adesivo che tiene la farfallina sulla pelle e poi sfila l’ago, se non l’avessi visto con i miei occhi non avrei mai potuto credere che un ragazzo con le sue mani, potesse fare un lavoro così preciso e delicato.

< Ora ho la tua attenzione? > chiede passandomi un batuffolo di ovatta candida.

Annuisco sorridendo, non so lui, ma io sto decisamente meglio.

< Scusami, è che ho un po’ il terrore degli aghi > spiego, stringendo l’avambraccio sul bicipite.

< Beh, benvenuta al campo di addestramento di Eria! > esclama, alzando le braccia al cielo e poi lasciandosele cadere sui fianchi.

< Deduco non sia solo questo il campo > rispondo spostando il lenzuolo.

Abbassando le gambe mi accorgo che non indosso i vestiti, e anche che non ho idea di come io sia arrivata lì, Luke sembra accorgersene e si affretta a spiegarmi.

< Appena siamo arrivati dormivi così bene che non me la sono sentita di svegliarti, poi eri ridotta così male che ti ho portato in braccio fin qui, tranquilla, credo sia stata Chantal a cambiarti > conclude indicando il camice verde chiaro che sbuca fuori dalle coperte candide.

Annuisco decisa e cerco con lo sguardo qualche vestito.

< I vestiti dovrebbero essere questi > dice indicando una divisa su una sedia accanto al letto.

Il mio sguardo si picca di nuovo quando cerco un posto dove cambiarmi.

Luke ride sonoramente e mi indica una porta a qualche metro.

< Torno subito e mi porti a fare un giro, avete troppe cose da spiegarmi > urlò mentre corro verso il bagno.

Una stanza color turchese mi si presenta davanti, con tanto di doccia, di lavandino e water, poggio i vestiti sul bancone del lavabo, mentre mi guardo di sfuggita allo specchio.

Cerco di allisciare con le mani i capelli biondi, che sono molto più disordinati del solito.
Degli asciugamani ben ripiegati mi aspettano su uno sgabello accanto alla doccia e non esito ad usarli, non impiego più di due minuti per lavarmi la stanchezza di dosso.

Davanti a me adesso ho la divisa, con tanto di biancheria.
Indosso una maglietta a maniche corte aderente blu scuro e pantaloni leggermente larghi del medesimo colore.

Esco in fretta e mi ritrovo davanti Luke, con un paio di scarponi, quando li indosso l’interno è morbido, molto probabilmente in pelliccia.

Poi mi porge una giacca che decisamente non è della mia taglia.

< Andiamo? > chiede retoricamente, prima di aprire una delle enormi porte da cui è entrato.

Quello che trovo davanti a me è un paesaggio sconosciuto, una foresta alta e tanto fitta da far filtrare pochissima luce, il terreno è popolato da moltissime case e campi per gli allenamenti, per la corsa, per l’arrampicata e anche un’area di poligono, il resto non riesco ad inquadrarlo perché Luke mi afferra il braccio e mi trascina lungo una strada di terra.

< Cosa vuoi sapere? > mi chiede, mentre sono distratta a guardarmi intorno.

Mi riprendo e lo guardo in faccia.

< Quando sono rimasta svenuta? > la mia voce è seria e lui sembra sorpreso.

< Un paio di orette, è ora di pranzo. > mi fa un cenno con la testa, con cui molto probabilmente mi chiede altro.

< Dove siamo? > questa domanda sembra essere ben accolta, evidentemente non sono la prima a chiederglielo.

< In una foresta, un luogo nascosto e sicuro, dove possiamo addestrarvi tranquillamente. >

Un gruppo di persone passa in quell’istante accanto a noi e mi fissa, per poi salutare il ragazzo al mio fianco.

< La guerra? Perché? Dove starò adesso? Che dovrò fare? > tutte le domande rimaste irrisolte, escono dalla mia bocca articolandosi con parole compiute, il ragazzo dagli occhi azzurri mi fa cenno di sederci su un’amaca, su cui un timido raggio di sole si riposa.

< Beh la guerra, la guerra, è una bella domanda, tu sai bene che Eria e Corantya sono in lotta da otto anni no? – annuisco mestamente mentre il mio sguardo cade sugli scarponi, che mi vanno stranamente bene  – noi siamo qui perché non è rimasto quasi più nessuno a combattere per i due paesi, e così dai dodici anni vanno di casa in casa nel giorno del compleanno dei ragazzi per portarli qui, tu sei stata fortunata Olivia, sei arrivata qui a diciassette anni, hai avuto la possibilità di crescere al sicuro, io sono qui da quando ho dodici anni > aggiunge con una nota di tristezza nella voce, mentre lo vedo giocare con le sue mani.

< Non ho molti ricordi dei miei genitori, a parte dei debiti di cui si stavano riempiendo per cercare di salvarmi, non potevo permettergli di morire di fame, così gliel’ho detto, ero davvero molto coraggioso per la mia età, ne vado molto fiero… Ma non era di questo che stavamo parlando, noi qui ci alleniamo, impariamo a combattere, viviamo come una grande famiglia, siamo divisi in capanne, poi vedremo di trovare un alloggio anche per te > un caldo sorriso compare sul suo volto, molto probabilmente per rassicurarmi.

< Mio fratello, Matthew Mills, dov’è ? > chiedo guardandolo negli occhi.

Lui boccheggia un paio di volte e poi abbassa lo sguardo.

< Io non mi aspettavo che me lo chiedessi, lui, lui è stato catturato in una battaglia, non è morto se è questo che vuoi sapere, è da qualche parte, nel quartier generale di Corantya >

Il mio sguardo è vacuo e me ne accorgo dal modo in cui, adesso, Luke mi sta guardando.

< Scusa, io, forse.. > incomincia a gesticolare, ma non ho la forza di assecondarlo, ne tanto meno di rispondergli, mi limito ad annuire.

Un istante dopo sento due braccia avvolgermi le spalle.

< Dovrai abituarti a queste cose, che tu lo voglia o no >.

Dette queste parole si alza, mi lancia un’occhiata e procede per un’altra strada, mentre io rimango seduta, con troppi pensieri per la testa e un groppo in gola che non vuole andare giù.

Non ho idea di quanto tempo rimango ferma, so solo che dopo quella che mi sembra un’oretta mi riprendo e decido che non posso passare il resto della mia vita a rimuginare su cose che non posso impedire.

Incomincio a girovagare per il campo, fermandomi ad osservare qualcuno che tira a poligono, qualche pista di esercizio, dove scavalcano, saltano, strisciano e fanno altre cose con cui anche io, molto presto, mi ritroverò a combattere.

Luke non sembra essere da nessuna parte, ma appena giro un angolo mi ritrovo Emma davanti.

< Mills, benvenuta al campo di addestramento di Eria! > il suo sorriso mi mette a disagio, ha un aria troppo cattiva.

< Salve Emma > mormoro fissando gli occhi chiaramente grigi.

< Sergente Emma, prego > esclama fissandomi negli occhi e continuando a sorridere, mostrando due file di denti bianchi come perle.

< Sergente Emma > ripeto, con un po’ di timore nella voce.

< Così va meglio cadetto Mills, adesso ti farò fare un bellissimo esercizio > dichiara afferrandomi saldamente per un braccio e trascinandomi verso un campo racchiuso da uno spessissimo materiale che non riesco ad identificare.

Due ragazze all’ingresso guardano prima me e poi la donna al mio fianco.

< Signora Duran! > esclamano portandosi una mano alla fronte e armeggiando con un armadietto.

Un ragazzo al mio fianco ridacchia mentre vestono entrambe con pesanti tute anti proiettili e protezioni su braccia, gambe, piedi e testa.

Non riesco ad afferrare cosa mi sta per succedere, ma credo sia molto pericoloso e la cosa non mi ispira per niente fiducia.

Le due ragazze mi fanno cenno di entrare in una porta e mi indicano che una volta chiusa  quella da dove sono entrata, dovrò aprire la seconda.

Sento lo chiocco della serratura alle mie spalle ed eseguo le indicazioni, per poi percorrere una rampa in discesa e aprire un’altra porta.

Quello che mi ritrovo di fronte mi fa tremare le gambe, sono in un’enorme arena di terra rossa.

Alla mia destra ci sono delle pareti munite di armi, tante armi, pistole, fucili, scudi, manganelli, insomma, tante cose che non ho mai visto in vita mia e che non ho idea di come si usino.

< Ti farò sentire come ci si sente con un proiettile nella pancia cadetto Mills, devi imparare > il suo tono adesso è di scherno e il suo sorriso esprime chiaramente molta cattiveria.

< Questa è la nostra arena, vedi lì – dice indicando numerosi spalti protetti da vetri molto spessi – tra poco saranno pieni di ragazzi, solo per vedere me, mentre ti faccio tanto male > esclama ridendo sonoramente.

Il suono della sua risata mi fa accapponare la pelle sotto numerosi strati di protezioni, mi hanno detto che nonostante le precauzioni, un proiettile ha la stessa potenza di un cazzotto ben assestato, ed è questo che vuole, farmi chiedere scusa e farmi implorare pietà.

Prima che io me ne possa rendere conto uno sparo squarcia l’aria e un colpo fortissimo mi ferisce il fianco sinistro, un urlo straziante fa girare tutti i ragazzi sugli spalti, che cominciano a guardare curiosi nell’arena.

“ Signora Duran, deve aspettare l’avviso dell’inizio” una voce metallica rimbomba nell’arena, ma non la sento, perché il mio sguardo è concentrato sul labiale di Emma.

< Fa male eh? > dice a voce così bassa che dubito che qualcun altro oltre me e lei possa averlo sentito.

Guardo alla mia destra e il più veloce possibile afferro diversi coltelli, non bado esattamente a quello che faccio, so che è istinto di sopravvivenza.

“ E vietato colpire alla testa e nei punti scoperti “ la voce metallica continua ad elencare avvertimenti che non ascolto.

Diversi coltelli sono nelle mie mani, lo scontro è aperto, non ci sono muri dove posso ripararmi, solo uno scudo può parare i colpi, decido che le mani mi servono per tenere e lanciare i coltelli.

Appena mi giro un altro colpo mi prende in pieno lo stomaco, il dolore è tanto forte che mi piego cadendo a terra, i coltelli mi scivolano di mano.

Emma avanza decisa verso di me e mi solleva per i capelli che escono dal casco, lasciando che dalla mia bocca escano soltanto rantoli di dolore.

< Sei proprio una novellina – esclama ad alta voce per poi bisbigliare qualche parola – è per questo che ti farò così male, così impari chi comanda >

La sua presa cede e io ricado a terra, neanche il tempo di realizzare che i coltelli sono vicini al mio fianco, che mi slancio e punto alle spalle coperte da uno strato molto fino di tessuto, il coltello nella mano destra giunge alla carne, mentre quello sinistro si pianta male e non tocca neanche la pelle.

La  testa della donna è coperta da un enorme casco, ma riesco comunque a leggere l’espressione arrabbiata.

Corro alla postazione vicino a me, afferro lo scudo e una pistola, infilandomi velocemente un piccolo pugnale nella cinta.

< Come ci si sente con un coltello nella spalla? > la schernisco, facendo riferimento al coltello che mi ha lanciato la prima volta che ci siamo viste.

E’ ancora a terra quando mi spara tre colpi di fila, di cui riesco a parare il primo e deviare il secondo, ma, sfortunatamente, il terzo mi prende in pieno il braccio con lo scudo.

Adesso il braccio sinistro, quello colpito, è quasi difficile da muovere, altri colpi mi feriscono la gamba destra in due punti molto vicini ed un ultimo, a sorpresa, mi sfiora il ginocchio scoperto, che incomincia a sanguinare copiosamente.

La voce metallica continua a sgridarci, dicendo che ci stiamo colpendo in punti vietati, ma la partita non è più un allenamento, è diventata una sfida e questo è chiaro a chiunque stia guardando.

Afferro la pistola accanto al mio piede destro e sparo finché non finiscono le munizioni.

Quando sposto l’arma dalla mia visuale Emma è ancora in pieni, zoppicando corro alla postazione che è sempre alla mia destra ed incontro con lo sguardo il viso sconvolto di Luke, insieme a quello rassegnato di Noah.

Questa piccola distrazione mi costa molto, la mia avversaria è avanzata e mi ha colpito con una serie di pallottole in piena schiena, sono molto dolorose e non posso fare a meno di cadere a terra agonizzante.

Lei è vicina, lo sento, ha la pistola puntata su di me, mi giro lentamente, per guardarla in faccia, preme il grilletto, ma le pallottole sono finite e nel brevissimo lasso di tempo in cui afferra l’altra arma dalla sua cintura, il piccolo pugnale sul mio fianco è affondato nella sua caviglia.

Striscio fino alla postazione poco distante da me e prendo l’arma più bassa, una rivoltella che a questa distanza è completamente inutile, la infilo nell’imbottitura della spalla e afferro un’altra pistola, non conosco la differenza tra tutte le armi che ho davanti, sto pensando solo alla mia sopravvivenza.

Il dolore che provo alla schiena è talmente forte che penso sverrò presto, mi alzo aiutata dal muro, mentre Emma fa lo stesso.

Mentre controllo quante munizioni ha la pistola che ho in mano, lei mi punta con un fucile che non ho idea da dove sia sbucato.

Nonostante l’impossibilità comincio a correre per l’arena, protetta dallo scudo di Emma che ho afferrato per la strada.

Continua a sparare colpi e alla fine mi accorgo che le è rimasto solo un fucile tra le mani, un flashback mi colpisce in pieno, mentre ricordo mio padre che mi spiega quanti colpi ha, ricordo la scena, le parole, ma non il numero.

Un ricordo può essere la mia salvezza, ho un piano.

Il ricordo non è nitido e non sono sicura, ma corro il più veloce che posso verso di lei, un fucile classico quanti colpi ha ? Nove? Sei? Dieci ? Sette? L’ultimo mi sembra il più probabile, così incomincio a contare.

I primi quattro colpi prendono in pieno lo scudo, ed è ridotto così male da sembrare una groviera, non può parare più niente, così lo butto e gli altri tre colpi mi prendono in pieno.

Ormai le munizioni sono finite e io le sto sparando apertamente, alcune pallottole riesce ad evitarle, altre le prendono parti poco importanti, ben protette, altre colpiscono punti non vitali, ma scoperti, da cui fiocca molto sangue.

Ho ancora qualche coltello nella cinta, così quando mi trovo di fronte a lei li affondo nell’imbottitura, finché non sento la carne.

Mi sento come un animale e la cosa mi fa salire la nausea, sto decretando la mia fine in questo campo, m1assacrando un sergente, sento che il coltello è arrivato al massimo, quando dei bisbigli mi giungono all’orecchie.

< Di addio > la voce di Emma arriva come un proiettile alla mia testa.

In un istante realizzo tutto, la guardo negli occhi grigi, la pressione della rivoltella è assente sulla mia spalla, la sua mano destra è occupata da un’arma che sono sicura prima non avesse.

Mi rendo conto che i proiettili sulla mia testa non sono le sue parole, sono i colpi della rivoltella, della mia rivoltella.



Characters:

Luke Di Donato
Olivia Mills
Noah Chase
Emma Duran

  
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