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Autore: margheritanikolaevna    14/06/2013    7 recensioni
In un'intervista Tim DeKay ha detto che la città di New York è un personaggio vero e proprio di White Collar e non solo un semplice sfondo: se questo è vero, vi siete mai domandati dove fossero Neal, Peter e tutti gli altri nel giorno più tragico per la Grande Mela? Si conoscevano già, oppure i loro destini si sono incrociati per la prima volta in quel drammatico mattino di settembre del 2001?
Questo racconto è la risposta che ho cercato di darmi. Ma non temete, non è una storia angst, perché il sentimento dominante sarà sempre e comunque la speranza.
Per adesso - e non so per quanto - sarà il mio ultimo lavoro su efp e spero veramente che riesca a emozionarvi.
Il racconto è stato scritto per il bellissimo contest "La speranza vive in una creativa realtà", indetto da HopeGiugy sul forum di efp e con mia grande gioia di è classificato al secondo posto (su ben ventinove concorrenti!).
Seconda classificata al contest "Anime, serie tv e sentimenti", indetto da bakakitsune su efp.
Terza classificata al contest "Dal linguaggio iconico a quello verbale", indetto da darllenwr su efp.
Grazie a chiunque avrà voglia di leggere e lasciare un suo parere.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Come vedrete, la struttura di questo racconto cita quella del celebre romanzo di Italo Calvino “Se una notte d’inverno un viaggiatore”: infatti, i titoli dei capitoli e l’ultima frase, aggiuntiva, compongono il potenziale incipit di un altro racconto.

La frase “Bisogna sempre giocare onestamente quando si hanno le carte vincenti” è una citazione di Oscar Wilde.

Per alcune idee sono debitrice alla bellissima fic di LubyLover su CSI NY dal titolo “September Morn” di cui vi lascio qui di seguito il link.

 http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1516175&i=1

Dateci un’occhiata, perché merita davvero.

Grazie in anticipo a chi leggerà e lascerà un suo parere. Infine, un doveroso ringraziamento a Night Sins per i preziosi consigli.

 

Se un mattino d’estate un truffatore

 

 

«Bisogna sempre giocare onestamente quando si hanno le carte vincenti» mormorò Neal Caffrey, tirando fuori le banconote e allungandole con un sorriso alla signora di mezza età che sedeva, ancora tutta assonnata, nella biglietteria della Galerie St. Etienne; guardò di sfuggita l’orologio e poi levò gli occhi oltre l’ampia vetrata inondata del sole del primo mattino.

Fuori, un vento leggero proveniente dall’Oceano scompigliava i capelli dei passanti indaffarati e faceva fremere le cime degli alberi;  il truffatore si sorprese a pensare che sì, in giornate come quella persino New York riusciva a sembrare affascinante.

Già, sebbene fosse arrivato lì da alcuni mesi, la città che non dorme mai non aveva ancora conquistato il suo cuore: a uno che, come lui, amava godersi la vita e le cose belle - possibilmente con calma - quel posto appariva come un’accozzaglia confusionaria di vecchio e nuovo, allineati e intrecciati senza alcuna grazia, in cui la gente si affannava ogni giorno per raggiungere obiettivi impossibili, o inutili, e ignorandosi reciprocamente.

Una città dalle mille facce, ma senza un vero volto.

Una selva di grattacieli costruiti non per il bene pubblico, bensì grazie al denaro, all’iniziativa a volte spregiudicata e al potere dei singoli.

Sovente gli era capitato di ritrovarsi a pensare che in luoghi come quello gli uomini erano solo microscopiche rotelle strette in un ingranaggio che nessuno di loro aveva contribuito a creare, che si agitavano, ossessionati dal desiderio di conquistare mete che lui giudicava puerili, dedicando tanta energia al futuro da dimenticare di vivere bene il presente e non riuscendo, così, a godere né del presente né del futuro.

Vivendo come se non dovessero morire mai e morendo come se non avessero mai vissuto (1).

No, per sé desiderava un’esistenza diversa, libera dai condizionamenti, in cui poter godere di ogni singolo momento e dedicarsi ad assaporare il piacere e la bellezza; tuttavia, sapeva bene che la sua personale ricerca della felicità non poteva prescindere dal denaro, almeno in quel particolare momento della sua vita, e da questo punto di vista doveva ammettere che New York City era un posto assolutamente ideale per condurre i propri affari.

Pertanto, fino a che non fosse riuscito a mettere insieme abbastanza per ritirarsi in un  pittoresco paesino della campagna francese o italiana, meglio sforzarsi di sopportare lo smog, il caos e la gente perennemente frettolosa.

C’era anche da dire che talvolta la metropoli gli riservava piacevoli sorprese, svelandogli il suo lato luminoso, vivo e ricco di suggestioni: quella tiepida mattina di settembre, infatti, Neal Caffrey si apprestava a prendere parte all’inaugurazione della mostra organizzata dalla galleria di West Midtown per celebrare il grande pittore austriaco Gustav Klimt, dove sarebbero state esposte insieme - per la prima volta dopo decenni - due famose tele che l’artista dedicò al tema della speranza.

In particolare, avrebbe potuto ammirare Speranza n. 1, la più antica delle due versioni: il giovane richiamò alla mente ciò che aveva scrupolosamente studiato il giorno prima - giacché lui era un professionista e sapeva che ogni tipo di lavoro deve essere fatto al meglio -  ricordando come avesse letto che il quadro, dopo essere finito nelle grinfie dei nazisti e ritenuto per decenni distrutto nell’incendio del castello di Immerdorf (2), fosse stato ritrovato per caso l’anno prima nei sotterranei del museo nazionale di Ottawa. Da allora, quella era la prima volta che il dipinto lasciava il suolo canadese per ricongiungersi alla sua seconda versione, che invece era da tempo esposta al MOMA(3).

Neal attraversò a passi lenti l’ampia sala guardandosi intorno con aria solo apparentemente oziosa: nonostante l’arte fosse una delle sue passioni più accese, infatti, non doveva dimenticare il motivo per il quale era arrivato lì a quell’ora insolita, troppo in anticipo per la conferenza di apertura della mostra e quando era certo che in giro non vi sarebbe stato quasi nessuno.

Il committente che l’aveva assoldato era stato chiaro, anzi più che chiaro: Speranza n.1 doveva essere suo e il giovane aveva assoluto bisogno che quel riccone senza scrupoli, ma appassionato di Art Nouveau come pochi al mondo, si convincesse che scegliere lui era stata a cosa migliore da fare, giacché solo in quel modo sarebbe diventato la sua personale gallina dalle uova d’oro.

Come aveva immaginato, infatti, il locale era pressoché deserto e per il truffatore non fu difficile compiere una rapida, ma precisa, ricognizione dei sistemi di allarme e delle possibili vie di fuga: non che il colpo presentasse difficoltà insormontabili per uno come lui - intendiamoci - però Neal sapeva che a volte una minima disattenzione, una leggerezza, un dettaglio apparentemente trascurabile potevano far fallire anche il piano meglio congegnato. E lui non aveva nessuna voglia di finire in prigione; no, decisamente quello non l’avrebbe sopportato.

Preso da queste considerazioni, il ragazzo giunse davanti alla parete dove erano esposte, una accanto all’altra, le due tele e l’ispezionò velocemente con lo sguardo: perfetto, pensò, c’era solo una telecamera a circuito chiuso orientata esattamente sui quadri e non sull’uscita. Le opere non erano protette da cristalli speciali e, avvicinatosi fin quasi a sfiorare la tela, notò che non era stato sistemato neppure un rilevatore di prossimità collegato a un allarme sonoro.

Sorrise leggermente, considerando che il lavoro sarebbe stato anche più facile di quanto avesse immaginato all’inizio, e per la prima volta quella mattina cominciò a rilassarsi: sospirò e si allontanò di qualche passo per poter finalmente ammirare l’opera che avrebbe rubato.

Perché era lavoro, certo, ma anche piacere per uno che come lui si piccava di essere un artista.

Inclinò appena il capo e socchiuse le palpebre: ecco, senza dubbio ancora una volta doveva constatare che l’arte dei primi del Novecento non era in cima alle sue preferenze estetiche. Le figure di Klimt non avevano né la tranquilla, malinconica, dolcezza dei paesaggi del suo amato Monet e neppure il vigore plastico, virile, del San Giorgio e il drago di Raffaello: erano esangui, livide, come malate.

E questa  Speranza, poi… cosa poteva avere a che fare con la speranza quella giovane donna pallida, dal viso ossuto e dalle labbra serrate? In lei - gli zigomi sporgenti, gli occhi cerchiati, il seno cadente, i glutei quasi scavati, il ventre sproporzionatamente prominente, come estraneo rispetto al resto del corpo - non vi era nulla della tradizionale idea di maternità. Non un corpo morbido, accogliente, opulento, nessuna poetica esaltazione della carne femminile come soffice terra dell’attesa e del miracolo della vita.

Le braccia magre raccolte sul seno, le mani intrecciate in un gesto di difesa e non già, come di solito, in una carezza spontanea al nascituro… e il suo sguardo, che pareva rivolgersi esattamente verso l’osservatore trafiggendolo con un gelido dardo ceruleo, carico di interrogativi senza risposta.

Una maternità che non conosce dolcezza - pensò il giovane truffatore - ma è attraversata da un senso palpabile di inquietudine.  Sensualità e tormento fuse in arte.

Il suo sguardo si spostò poi sulle figure mostruose che incombevano sulla donna, demoni grotteschi e insieme ieratici, e sulla creatura nera che le serrava in un laccio le caviglie, protendendo verso il suo grembo sporgente un’orribile zampa artigliata: ombre e minacce misteriose che attendevano il bambino? Era quello il senso? La felicità dell’uomo è sempre in pericolo, la speranza combatte quotidianamente una battaglia difficile, che forse è destinata a perdere.

A Neal sfuggì un sospiro triste: l’immagine gli aveva lasciato dentro una sensazione ambigua, sibillina, eppure densa, che lo induceva a interrogarsi sull’umanità e la sua sorte. La maternità dovrebbe essere in sé foriera di speranza, eppure come può un sentimento del genere nascere contemplando questa creatura pallida, scarna, dal volto irregolare e dallo sguardo tormentato, come oppressa da tragici presentimenti di sventura?

«Inquietante, eh?» sibilò una voce al suo orecchio, come se gli avesse letto nel pensiero, cogliendolo di sorpresa e facendolo quasi sobbalzare.

Era talmente assorto nei propri pensieri da non essersi accorto che, nel frattempo, una vecchietta canuta gli si era avvicinata e stava fissando il quadro proprio come lui; Neal non aveva voglia di chiacchierare e, tra l’altro, non doveva dimenticare di trovarsi lì per lavoro, quindi si voltò e rispose semplicemente con un cenno del capo, sperando che ciò la scoraggiasse e la convincesse ad allontanarsi.

Ma lei - almeno ottant’anni, un volto ricamato da rughe profonde e occhi grigi, mobilissimi, e scintillanti d’intelligenza - aveva un programma diverso, perché per tutta risposta prese sotto braccio il ragazzo e disse: «Scommetto, giovanotto, che lei sta pensando che il titolo non c’entra niente con l’opera e che nulla, in questo quadro, fa pensare alla speranza, non è così?».

La sua voce conservava un accento straniero, quasi impercettibile, che il ragazzo non riuscì a identificare ed era sottile, a volte persino tremula, in contrasto con l’aria allegra del viso e la forza con cui gli aveva artigliato il braccio, impedendogli di sottrarsi alla conversazione.

«Eppure» proseguì, senza alcuna intenzione di lasciarlo andare «deve sapere che per me e la mia famiglia è stato veramente un simbolo di speranza…».

Neal non voleva mostrarsi scortese, non con una vecchietta, e quindi suo malgrado tirò fuori un sorrisetto di circostanza e si rassegnò ad ascoltare il racconto che lei, a tutta evidenza, moriva dalla voglia di fargli.

«Lei è talmente giovane e non può conoscere la storia di questo dipinto: essa è intrecciata a quella della mia famiglia e del mio popolo» aggiunse con un’improvvisa nota di tristezza nella voce «Fu grazie a Speranza n. 1 che mio padre, ricco industriale ebreo appassionato d’arte, riuscì a corrompere un ufficiale delle SS barattando il quadro con la salvezza mia, di mia madre e di mio fratello, che all’epoca era solo un bambino. Così scampammo alla deportazione, espatriammo prima in Francia e alla fine venimmo qui, in America; mio padre fu, invece, costretto a rimanere a Vienna come garanzia dell’autenticità del dipinto e morì qualche anno dopo a Mauthausen, mentre del quadro si persero le tracce».

«Lui non ce la fece» disse, mentre un velo umido le appannava d’improvviso lo sguardo «e io e mia madre ci ritrovammo da sole in un paese sconosciuto, eppure questo quadro per noi volle dire la salvezza. Una nuova speranza, la speranza di una nuova vita.

Non ho mai più trovato il coraggio di mettere piede in Europa, anche se so che questa non è casa mia e non lo diventerà, nemmeno quando sarà la mia tomba».

Si passò sul volto una mano coperta di macchie scure, sorrise appena e strizzò l’occhio al ragazzo, che nel frattempo si era inconsapevolmente chinato verso di lei per non perdere nemmeno una delle sue parole.

«Voi siete così… così americani!» ridacchiò.

Poi, cambiando ancora una volta tono e tornando a osservare il quadro, concluse: «Perciò non potevo perdere l’occasione di vederlo ancora una volta prima di morire».

 

 

***

 

Neal Caffrey percorse di nuovo con lo sguardo l’ampia sala lastricata di marmo chiaro, considerando che adesso stava iniziando a riempirsi e che trattenersi oltre sarebbe stato inutile, oltre che potenzialmente rischioso; in fondo si era già attardato troppo per un semplice sopralluogo e sapeva che così sarebbero aumentate anche le possibilità che qualcuno potesse, in seguito, riconoscerlo e associarlo al furto.

Tuttavia, non riusciva ancora ad andarsene, né a staccare lo sguardo dagli occhi azzurri della Speranza n.1: era un professionista - o almeno si era sempre considerato tale - ma nonostante ciò doveva ammettere che il racconto che aveva ascoltato quella mattina l’aveva turbato, più di quanto potesse permettersi date le circostanze.

Speranza, destino, casualità: pensieri disordinati gli turbinavano nella mente, quasi cercassero di sfuggire alle grinfie del mostro nero del quadro, in tal modo impedendogli di concentrarsi come avrebbe dovuto.

Guardò distrattamente l’orologio: era ancora presto, mancavano dieci minuti alle nove e magari poteva restare lì dentro un altro po’…

Ciò che il truffatore non avrebbe in alcun modo potuto prevedere, né tanto meno immaginare, fu che in quell’istante un grido, proveniente dal bar dove erano situati i due televisori che aveva notato entrando, lacerò il silenzio ovattato della galleria; subito dopo i cellulari di alcuni visitatori iniziarono a trillare disperatamente e tutti i presenti, come spinti dalla stessa forza invisibile, si affrettarono verso il punto ristoro.

Una brunetta molto carina che aveva adocchiato al momento di fare il biglietto e che aveva tutta l’aria di essere una delle galleriste nella foga quasi gli andò a sbattere addosso; non si scusò nemmeno e mentre gli passò accanto il giovane lesse nei suoi chiari occhi celesti la medesima inquietudine che gravava sul volto della fanciulla di Klimt.

Fu solo un istante e Neal dimenticò la sua faccia quasi subito, mentre il ricordo del suo sguardo continuò ad attraversarlo tutto, come una lama gelata, ancora per molti anni dopo quella mattina di settembre.

Senza ancora aver capito, un’improvvisa scarica di adrenalina lo scosse, mentre le luci oscillavano per un istante e un brusio metallico lo avvisava che anche la telecamera di sorveglianza era andata momentaneamente in corto: la fortuna lo assisteva, considerò allora, tanto che forse non sarebbe stato nemmeno necessario tornare.

Neal vide l’occasione  e la colse, prendendo la decisione in una frazione di secondo: attese che anche l’ultima guardia lasciasse il proprio posto per correre fuori, tirò fuori dalla tasca un temperino affilatissimo e in pochi istanti - senza nemmeno staccare il quadro dalla parete - tagliò con precisione chirurgica la tela. Si guardò ancora una volta intorno rapidamente, lesto come un felino e altrettanto silenzioso, spiegò il sacchetto di tessuto sottile che ripiegato occupava pochissimo spazio e che, per prudenza, portava sempre con sé, arrotolò la tela con la massima cura e la ripose nello zaino.

Poi, come se nulla fosse, raggiunse gli altri visitatori che se ne stavano inebetiti davanti alla tv: passò loro accanto come se fosse un essere invisibile e solo fuggevolmente si rese conto che la CNN aveva interrotto la normale programmazione, mentre una giornalista dall’aria attonita dava la notizia di un non meglio precisato disastro appena accaduto al World Trade Center.

Neal dentro di sé trionfava, nonostante si sforzasse di mantenere un’espressione del tutto impassibile, e non prestò nessuna attenzione alla cosa; guadagnò velocemente l’uscita, ancora incredulo che la sorte gli avesse confezionato un simile regalo, offrendoglielo per di più sul proverbiale piatto d’argento.

Sulla porta notò una delle guardie giurate che, camminando nervosamente su e giù e parlando al cellulare con aria trafelata, aveva lasciato cadere sul pavimento il badge di identificazione; quando Neal lo raccolse e glielo restituì, quello borbottò uno stentato ringraziamento e, senza nemmeno guardarlo in faccia, si rituffò nella convulsa conversazione che lo agitava.

Il truffatore, invece, sorrise e mentre si lasciava alle spalle la St. Etienne considerò, tutto soddisfatto di sé, che è sempre bene giocare onestamente.

Quando si hanno in mano le carte vincenti.

 

(1)   La frase è una citazione del Dalai Lama;

(2)   Il castello di Immendorf, che si trova nel parte settentrionale dell’Austria, grazie alla sua posizione geografica e alla sua ampiezza era utilizzato dai nazisti come deposito di opere d’arte; tra quelle che vi erano custodite alla fine della Seconda guerra mondiale c’erano anche alcune delle più significative tele di Gustav Klimt. Queste opere vennero distrutte, insieme a tutte le altre, da un incendio provocato da un’unità delle SS naziste che, in seguito alla dichiarazione di resa delle truppe naziste in Austria - il 7 maggio 1945, con effetto dal giorno successivo - decisero di passare l’ultima notte di guerra nel castello di Immendorf. Tredici quadri erano di Gustav Klimt, esposti nelle stanze; gran parte di essi veniva dalla maggior collezione privata del tempo delle opere di Klimt, quella dell’industriale ebreo August Lederer, al quale vennero requisiti dai nazisti nel 1938. Il rapporto degli agenti di polizia che indagarono sull’incendio afferma che, la notte tra il 7 e l’8 maggio, gli ufficiali delle SS si diedero a un’orgia nelle stanze del castello dove venivano conservate le opere, così sensuali, dell’artista viennese: il giorno dopo, le SS decisero di distruggere il castello per evitare che le truppe russe, conquistandolo, entrassero in possesso delle opere d’arte. Piazzarono l’esplosivo nelle quattro torri del castello e se ne andarono: l’esplosione causò un incendio che continuò per giorni interi, distruggendo completamente la struttura e le opere che essa conteneva;

(3)   Il quadro fu dipinto nel 1903 e subito suscitò scandalo e critiche, tanto che l’autore ne dipinse una seconda versione, decisamente più castigata. Vi lascio il link per vedere l’immagine: http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_dipinti_di_Gustav_Klimt

 

 

  
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