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Autore: Hyorangejuice    21/06/2013    7 recensioni
[Rock Band!AU SuChen]
Sono passati quattro anni da quando i Back Up Plan si sono sciolti e Jongdae è tornato.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chen, Chen, D.O., D.O., Suho, Suho, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Parte 4

 

 

 

 

Si sveglia con un leggero mal di testa, i capelli umidi e si sente le gambe incastrate tra le lenzuola. Sbuffa e allunga la mano verso l'altra metà del letto e la trova vuota e fredda. Joonmyeon giura che questa è l'ultima volta che beve così tanto.

Le tende sono tirate e prende un profondo respiro prima di cercare di sedersi sul bordo del letto. Il mondo gira troppo veloce e il suo stomaco protesta. Sul comodino ci sono un bicchiere d'acqua e un tablet di aspirine, Joonmyeon ringrazia chiunque le abbia lasciate prima di mettersene due in bocca aiutandosi con l'acqua a mandarle giù.

 

Mentre si trascina fino al bagno giura che l'ultima volta che si era svegliato dopo una notte fuori con Chanyeol e Jongin non si era sentio così vecchio.

 

La casa è stranamente silenziosa, non c'è musica a trascinarlo fuori dal letto. È lunedì, ricorda mentre apre la porta del bagno spingendola con la spalla e per poco non cade inciampando nel tappeto che non dovrebbe trovarsi lì.

Lunedì significa Ray Charles, Aretha Franklin e Abba, perché Jongdae ha sempre bisogno della musica giusta per il momento giusto e il lunedì è già brutto di suo quindi c'è biosgno di qualcosa che ti tiri giù dal letto.

 

Apre l'acqua della doccia e si domanda se ci sia un altra boccetta di sciampo nel mobiletto. Quando si vola verso lo specchio il cuore sembra salirgli un gola per poi andarglisi a piazzare sotto le piante dei piedi.

 

 

 

Avere a che fare con un rifiuto è un po' come avere a che fare con tutti gli errori che tu abbia mai commesso e identificarli come una mancanza. Joonmyeon aveva sempre avuto a che fare con l'idea di 'non essere abbastanza'. C'era sempre un obiettivo e per raggiungerlo avrebbe dovuto essere abbastanza. Abbastanza intelligente, abbastanza adatto, abbastanza bravo. Suo padre lo chiamava crescere, più forte fa male quando cadi più impari e meno ti farai male la volta successiva.

 

 

Lo sai, vero?

 

 

Il dolore acuto che aveva sentito si è stemperato col tempo e adesso risiede da qualche parte dietro il suo cuore, pronto ad allungare la mano e stringere.

 

 

Joonmyeon-ah.

 

 

Sapeva che era tra le possibilità, ma non lo aveva fatto soffrire di meno. La scomparsa di Jongdae significava la fine, significava che Joonmyeon non era stato abbastanza per farlo rimanere, significava che Joonmyeon non era abbastanza importante. A volte si lasciava immaginare di aver significato troppo, ma non indulgeva per molto in quel pensiero.

 

Jongdae non lo aveva scelto, Jongdae non lo voleva e Joonmyeon aveva imparato a non volere Jongdae, a dimenticare piuttosto che odiare, nascondendo tutto il più lontano possibile.

 

 

 

 

Joonmyeon siede di fronte al piano verticale, allunga le dita sopra i tasti bianchi senza permettersi di premerli.

 

Stringe in mano quel pezzetto di carta e vorrebbe ordinargli di scomparire, ma rimane lì dov'è e gli angoli appuntiti premono contro il suo palmo ricordandogliene.

 

 

«Che stai facendo?» Kyungsoo sbircia dalla porta spalancata dello studio. Sembra preoccuparo e Joonmyeon gli mostra un sorriso, il più sincero da un po'.

 

«Stavo pensando ad un po' di cose» risponde, riportando l'attenzione sul pianoforte.

 

Non sente Kyungsoo avvicinarsi, vede soltanto le sue dita scivolare sui tasti andando a schiacciare con forza un Do Minore. Preme un tasto dopo l'altro, con grazia, ma senza cognizione, solo per riempire il silenzio.

 

«Che fai?» Joonmyeon domanda, e scansandosi perché Kyungsoo possa raggiungere anche l'estremità più lontana del piano.

 

«Questo è sempre meglio di quel continuo ribollire che arriva dal tuo cervello quando pensi troppo.»

 

«Ero davvero così rumoroso?»

 

«Stavo per tirarti un secchio d'acqua temendo che ti surriscaldassi.»

 

Joonmyeon ride e Kyungsoo sembra soddisfatto.

 

«Quindi, stavo andando a rimpinzarmi con il più peccaminoso samgyeopsal che tu abbia mai mangiato e sono pronto a condividere questo segreto con te, ci stai?»

 

Joonmyeon passa un braccio sulle spalle di Kyungsoo e annuisce. «Chi sono io per rifiutare del cibo gratis?»

 

Kyungsoo arriccia il naso e guarda Joonmyeon di sbieco. «Ho detto che ero disposto a condividere non che avrei pagato.»

 

Joonmyeon si sente coraggioso, con Kyungsoo stretto al suo fianco e la mano di Kyungsoo nella propria. Si sente di nuovo bene nella propria pelle, come se non ci fosse niente di sbagliato in sé.

 

«Se sono io a pagare allora questo è un appuntamento.»

 

Kyungsoo lo guarda falsamente scioccato e si mete una mano davanti alla bocca. «Non riesco a credere quanto il successo ti abbia dato alla testa.»

 

«Sono una rock-star decaduta, sono autorizzato a vantarmene e a trarne il meglio.»

 

Joonmyeon ride e Kyungsoo lo spinge, ma sorride e Joonmyeon sa che andrà tutto bene.

 

 

 

 

 

Il primo giorno di nuovo in studio è un uggioso giovedì mattina. Sono appena le otto quando Joonmyeom mette piede piede nel palazzo che ospita lo studio con un caffè bollente e una strana sensazione alla bocca dello stomaco. È passato così tanto tempo dall'ultima volta che è entrato in uno studio come Suho, come un membro dei Back Up Plan.

Non aveva realizzato quanto gli fosse mancata quella sensazione finché non era entrato e aveva visto Minseok di fronte all'ascensore.

 

Dalla tasca posteriore sinistra di Minseok spuntano due bacchette.

 

«Buongiorno.» dice Joonmyeon dando una significativa occhiata al posteriore del proprio batterista.

 

«Guarda quanto vuoi, ma non toccare. Sono proprietà privata.»

 

Minseok sogghigna e l'ascensore arriva proprio in quel momento.

 

«E da quando?» domanda Joonmyeon mentre stanno salendo.

 

«Non molto, ma mi piace pensare che stia andando da qualche parte.»

 

Minseok sembra felice con il suo sorriso tutto gengive, è evidente, è scritto con colori sgargianti nei suoi occhi limpidi.

 

 

Entrando in studio trovano Jongin seduto sul divano e Chanyeol già posizionato sulla sedia con le ruote di fronte alla soundboard. Vicino alla poltrona c'è la vecchia custodia della chitarra di Jongin, con i bordi sbucciati e il buco in basso dove Lu Han aveva cercato di incendiare una pallina di formaggio. Minseok sorpassa Joonmyen lanciandosi sul divano e atterrando su Jongin che lascia andare un lamento e cerca di spingerlo via.

Chaneyol si limita a ridere della miseria di Jongin.

 

«Non dovresti dirgli qualcosa, leader?»

 

Jongdae è sulla porta sorridente. C'è qualcosa a nei suoi occhi, però, sembra quasi a disagio. Per un attimo Joonmyeon ha davanti un Jongdae più giovane, eye-liner che cola e bugie bianche, e qualcosa gli si stringe in petto. Qualcosa che dovrebbe essere stato dimenticato. Sepolto lontano lontano lontano.

 

Quanto può cambiare una persona in quattro anni? Joonmyeon se lo domanda mentre Jongdae entra togliendosi il cappotto. Abbandona il pensiero però, non ha bisogno di preoccupazioni inutili quando ci sono due ore di pazzia musicale ad attenderlo.

 

«Quindi, ragazzi, cominciamo?» domanda Minseok, sendendosi finalmente.

 

Chanyeol batte le mani come una foca impazzita e trascina la sedia vicino al divano.

 

«Abbiamo delle piccole restrizioni, deve essere una canzone d'amore e deve avere un ritmo molto soft. »

 

Minseok sembra pensieroso, mentre Jongdae si limita ad annuire, seduto sul bracciolo. Jongin ha una penna e un blocchetto e sta già scrivendo con le sopracciglia corrucciate.

 

«Quello sarebbe un cactus?» domanda Minseok avvicinandosi.

 

«È un gatto.» risponde Jongin insultato. Joonmyeon sospira.

 

Jongdae ride e gli dà una pacca sulla spalla, mentre Chanyeol e Minseok discutono su quante zampe un gatto abbia normalmente e Jongin sembra sull'orlo di una crisi di nervi. Joonmyeon però sente solo la mano che pesa sulla propria spalla, mentre si sente gelare e realizza quanto questa sia stata una cattiva idea.

 

Data l'agenda fittissima di Chanyeol e le loro rispettive occupazioni, trovare un momento in cui possano ritrovarsi tutti insieme e iniziare a lavorare sul pezzo era stato difficile. Minseok si porta il lavoro in studio, articoli da controllare, interviste da sistemare, sempre pronto a dare la propria opinione, e Jongin si presentava ad orari impossibili cercando di essere il più utile possibile in quel poco tempo che i suoi numerosi impegni gli lasciano.

 

Jongdae, al contrario, si fa vedere almeno una volta al giorno, di solito con del caffè e si siede di fronte alla soundboard canticchiando o, principalmente, fissando una pagina bianca.

 

L'aria in studio è stranamente calma, salvo il caos creativo che si scatena ogni volta che tutti ecinque sono presenti.

 

Jongdae sorride molto adesso, Joonmyeon non sa se sia genuino o se serva solo a nascondere qualcos'altro. Che cosa, poi, non ne ha idea. Dalla breve chiacchierata che avevano avuto, ormai due settimane prima, Joonmyeon aveva potuto capire che Jongdae aveva fatto del suo meglio per stare lontano da qualunque cosa avesse a che fare con la musica.

 

Si domanda da che cosa Jongdae stesse realmente fuggendo.

 

Ai vecchi tempi il loro cantante sembrava essere sempre in studio, sempre seduto in qualche angolo o disteso scompostamente sul divano, sempre intento a cercare parole o melodie.

 

Joonmyeon si ricorda di nottate passate tra caffè, sigarette e sesso sotto le luci bianche dello studio. Si ricorda quella volta che Jongdae era scomparso per tre giorni tra il loro primo e secondo album per tornare, come se niente fosse, con un sacco di candele e un blocchetto pieno di parole e sogni infiniti.

 

«Dove sei stato?» Joonmyeon aveva chiesto seduto sul divano semidistrutto del loro studio nel seminterrato, cercando di non lasciar trasparire quanto stanco si sentisse.

 

«Qua e là.» Jongdae aveva risposto, ma Joonmyeon aveva imparato a leggere tra le righe.

 

«E qua e là non hai trovato un cazzo di telefono per chiamare e far sapere a tutti che eri vivo?» aveva domandato coprendosi il voto con le mani. «Non siamo più nel garage di Chanyeol, Jongdae, non puoi sparire in questo modo.»

 

Jongdae non aveva detto niente, si era semplicemente alzato da dove stava seduto sul pavimento per andarsi a sedere sulle cosce di Joonmyeon.

 

«Dì qualcosa.» lo aveva pregato Joonmyeon, poggiando la testa sul suo stomaco, ma Jongdae era rimasto in silenzio.

 

Jongdae non diceva mai niente. Jongdae non chiedeva mai scusa.

 

È un mercoledì quando Jongin si presenta in studio alle dieci e mezza con delle occhiaie significative e la custodia di un violoncello ricoperta di stickers. Joonmyeon lo guarda e Jongain scuote la testa lasciando il violoncello dietro la porta.

 

«Ho solo bisogno di dormire un paio d'ore, hyung.»

 

Joonmyeon gli indica il divano, ma Jongin si arrotola sulla poltrona viola e sospira soddisfatto mentre chiude gli occhi. Joonmyeon lo osserva per un po', mentre il suo respiro rallenta e cade in un sonno pacifico.

 

Torna alla soundboard dopo aver riempito la propria tazza di tea caldo e cerca di concentrarsi sulle due pagine ricoperte di inchiostro che dovrebbe trasformare in una canzone.

 

 

 

 

 

 

 

 

«Kyungsoo» Joonmyeon sussurra nel buio della stanza, mentre le sue dita corrono lungo la schiena di Kyungsoo. «Kyungsoo-yah» ripete, mentre i suoi polpastrelli carezzano le costole scoperte di Kyungsoo, premendo appena dove sa che avrà una risposta. Sente Kyungsoo agitarsi sotto le proprie dita, cerca persino di scacciare la sua mano, ma Joonmyeon è più veloce e trascina Kyungsoo a sé.

 

Kyungsoo non cerca di resistere, ma tiene gli occhi ostinatamente chiusi, Joonmyeon si lascia scappare una risata e lascia un bacio sulla spalla nuda di Kyungsoo.

 

Con un movimento felino, Kyungsoo si volta nell'abbraccio, piantando un bacio bagnato in mezzo alle clavicole di Joonmyeon e Joonmyeon sorride stringendo la presa sui suoi fianchi.

 

«Dormi ora.» Kyungsoo sussurra, mordendo la spalla di Joonmyeon.

 

«Buonanotte.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una settimana e mezzo dopo iniziano a registrare la canzone. È un mercoledì pomeriggio e il primo è Minseok. Si siede dietro la batteria e prova la canzone una volta prima di iniziare a registrare.

 

Jongin siede vicino a Joonmyeon dall'altra parte del vetro e sorride appena mentre guarda Minseok provare.

 

«Hyung, perché abbiamo smesso?» domanda sopra i suoni ovattati della batteria. «Che cosa è stato più forte di questo?»

 

Non c'era stato niente di sbagliato, avevano semplicemente sentito il bisogno di andare avanti, di provare altre cose. Ne avevano parlato, ne avevano urlato, e alla fine era sembrata l'unica soluzione possibile.

 

«Niente è più forte di questo» risponde sospirando. «Credo che tutti noi volessimo solo liberarci di un ruolo che avevamo mantenuto per così tanto tempo.»

 

Jongin corruccia le sopracciglia mentre sfiora una dei mille tasti della board. «Pensavo... c'erano così tante cose che avrei voluto fare, ma alla fine la musica è l'unica cosa in cui sono bravo.» ride a quel punto, e le nuvole si dissipano dai suoi occhi e guarda Joonmyeon con un sorrido abbagliante.

 

«Sono contento che abbiamo deciso di farlo, hyung»

 

Joonmyeon sorride, anche lui è contento. La maggior parte del tempo.

 

Venerdì Chanyeol dovrebbe passare per registrare la propria parte, Joonmyeon aveva prenotato lo studio per un'ora, ma alle sette e un quarto Chanyeol gli manda un messaggio dicendo che gli dispiace, ma le registrazioni si stanno dilungando più del rpevisto e non ce la farà a passare in studio.

 

Il messaggio termina con due file di ㅠㅠ.

 

Non ti preoccupare, fammi sapere quando hai tempo.

 

Sta per andarsene quando la porta si apre e Jongdae entra. Le sue guance sono tinte di rosa e sembra che abbia corso. Ha i capelli umidi e qualche ciocca gli si è incollata alla fronte.

 

«Ha iniziato a piovere e ero senza ombrello.» dice tirandosi indietro i capelli con una mano. «Dov'è Chanyeol?»

 

«Non ce l'ha fatta.» risponde tornando a sistemare gli spartiti che aveva preparato aspettando Chanyeol.

 

«Avevo pesato di passare per vedere come stava andando, ma... »

 

Joonmyeon non è ancora sicuro di quale sia la giusta distanza, Jongdae è ancora un marasma di domande senza risposta e segreti sussurrati dietro porte chiuse e in quel preciso momento ha la sensazione di trovarsi ad un bivio. Può decidere di gettarsi di faccia in questo casino o andare avanti e non guardare più indietro.

 

Quattro anni sono lunghi, e Joonmyeon forse si era illuso di stare andando avanti, mentre in realtà, per tutto questo tempo, non aveva fatto altro che scappare.

 

Si domanda quanto siano diversi in realtà, lui e Jongdae. Mentre Jongdae aveva scelto il distacco fisico, Joonmyeon aveva preferito quello emozionale, lasciandosi trascinare da vecchie abitudini.

 

Joonmyeon si domanda quanto di tutto questo Kyungsoo abbia capito.

 

Ha bisogno di risposte.

 

«Hai tempo? Potremmo mangiare qualcosa.» si volta verso Jongdae che gli sorride, ancora sulla porta.

 

«Sì, ho tempo.»

 

Joonmyeon prende un respiro e sorride.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Jongdae è seduto sul divano, le ginocchia al petto, e guarda pensieroso fuori dalla finestra.

 

Non ha dormito, ma non si sente stanco.

 

Sono appena le cinque del mattino e la casa è ancora silenziosa.

 

C'è qualcosa nelle mattine che le rende finali, come se con ogni mattino che sorge qualcosa del giorno prima morisse, e Jongdae non è mai stato bravo a lasciar andare.

 

Si alza e va in cucina.

 

Il caffè è freddo, ma non vuole far rumore quindi lo beve così.

 

Jongdae si dà il tempo di una tazza di caffè e poi se ne andrà.

 

Prima di andarsene però cerca nei cassetti e trova una penna e dei post-it.

 

Joonmyeon-ah.

 

 

 

 

 

Si fermano ad un ristorante messicano sulla strada verso l'appartamento di Joonmyeon. È venerdì quindi il ristorante è pieno e Joonmyeon è segretamente grato per il sottofondo che il vociare degli altri clienti gli fornisce, impedendogli di stare troppo ad ascoltare la propria mente che non vuole smetterla di pensare.

 

Il cameriere li accompagna verso il centro della sala, facendolo accomodare ad un piccolo tavolo vicino al caminetto.

 

«Sono venuto solo una volta, ma il cibo è ottimo.» Joonmyeon assicura mentre guardano il menù.

 

Jongdae annuisce. «Non credo di saper pronunciare la metà delle parole scritte qui.»

 

Joonmyeon sorride e finisce per ordinare per entrambi.

 

«Quindi, come sta venendo il testo?»

 

Joonmyeon ripensa all'immane quantità di possibili rime e cori e ritornelli e sorride.

 

«Sto ancora cercando qualcosa che rimi con 'love muffin'.»

 

Jongdae ride. «Spero tu stia scherzando perché di certo io non lo canto.»

 

La conversazione si muove tranquilla da lì e non si interrompe per tutta la cena, almeno fino alla prima bottiglia di vino. La seconda sembra sciogliere il masso che gli si era piazzato nello stomaco e Joomyeon riesce finalmente a rilassarsi mentre Jongdae ricorda la prima volta che avevano cercato di scrivere il testo di una canzone.

 

Joonmyeon da la colpa al vino quando con la punta del piede sfiora quello di Jongdae sotto al tavolo. Il tavolo è piccolo e, per quanto lui sia basso, non è così strano. Ma Jongdae lo spinge a propria volta prima di risalire lungo la sua caviglia.

 

Joonmyeon paga, perché hyung paga sempre, e Jongdae lo segue fuori verso il suo appartamento. Mentre camminano fianco a fianco Joonmyeon respira il vento freddo di metà Novembre e cerca di schiarirsi la mente.

 

Non sa se voglia davvero che Jongdae torni o se si snete solo nostalgico.

 

Non è sicuro di niente e sente un fiume scorrere tra di loro, e teme che nel momento in cui deciderà di attraversarlo affogherà.

 

Poi la mano di Jongdae sfiora la sua, forse di proposito, forse no, ma a Joonmyeon non importa, perché gli sembra di aver continuato ad affogare per tutto questo tempo, senza mai rendersene conto.

 

Quando mettono piede in casa Joonmyeon non sente il bisogno di accendere la luce e Jongdae lo segue. Essere in casa propria lo dovrebbe far sentire meglio, più forte, ma il rumore dei passi di Jongdae sul parquet lo rendono ansioso. Non può dare tutta la colpa all'alcol.

 

Guida Jongdae verso il salotto, riescono a mala pena a intravedere le silhouette dei mobili, ma Jongdae sembra essere a proprio agio nel buio e si accomoda sul puff viola.

 

«Ti sei tenuto questo coso?» mormora, cercando di mettersi comodo.

 

Joonmyeon si siede sul pavimento con la schiena appoggiata al divano. Disegnando ghirigori sul tappeto chiude gli occhi, perché non riesce ancora ad affrontarlo, non riesce ancora a guardarlo, ma deve sapere.

 

Non è mai buio abbastanza quando vuoi nasconderti da qualcosa.

 

«Perché te ne sei andato?» non è nient'altro che un sussurro, ma Jongdae lo coglie comunque, deve averlo sentito perché il silenzio è assordante ed è ovvio perché siano lì.

 

«Credo che fossi sapventato.»

 

Appena le parole lasciano le labbra di Jongdae Joonmyeon si sente esausto. Questo è esattamente ciò che temeva, che niente aveva spinto Jongdae ad andarsene.

 

Non era stato abbastanza per trattenere Jongdae, e la paura era stata più forte di qualsiasi cosa avessero avuto.

 

«Per quasi vent'anni avevo lavorato per un unico sogno, lo avevo visto sorgere come la stella più brillante.» prende un respiro e Joonmyeon sente la rabbia iniziare ad arrampicarsi lungo le proprie membra, perché sa di che cosa Jongdae sta parlando, lo sa. «E poi era caduto come una stella cadente, era durato così poco e avevo fatto la stessa cosa per così tanto tempo che non ero sicuro di poter fare nient'altro.»

 

Joonmyeon non è sicuro di averlo mai sentito parlare di se stesso per così tanto.

 

«Ero terrorizzato dall'idea di scomparire.»

 

Non sa se sia arrabbiato con Jongdae per aver pensato solo a se stesso, o perché sa esattamente di cosa Jongdae stia parlando e non riesce ad arrabbiarsi davvero.

 

Probabilmente lo aveva già perdonato, ma non avrebbe dovuto essere così facile.

 

«Quindi hai preso un aereo e te ne sei andato dall'altra parte del mondo per andare a pulire i tavoli chissà dove?» il suo tono è amaro.

 

«Avevo il mondo in mano un attimo prima e poi non avevo più niente, avevo bisogno di sapere che avevo qualcos'altro... qualcosa di diverso dalla mia voce, che ero qualcuno al di fuori della gabbia che mi ero costruito.»

 

Joonmyeon si domanda se non fosse stato fuori da quella gabbia, anche quando l'uccello del paradiso era scappato.

 

«Avevamo qualcosa... »

 

«Non ero esattamente la persona più ragionevole del mondo allora, Joonmyeon. Non tutto può essere spiegato razionalmente, ero spaventato e quel biglietto rappresentava la mia via d'uscita.»

 

Joonmyeon è arrabbiato adesso. Con entrambi. Perché se Jongdae gli avesse spiegato avrebbe capito e forse lo avrebbe lasciato andare con un sorriso. Forse non lo avrebbe accompagnato all'aeroporto, ma sicuramente non si sarebbe ritrovato a dover affrontare questa discussione con la testa che sembra dovergli esplodere.

 

«Io... »

 

«Nessuno di noi due era pronto per qualsiasi cosa avessimo. Ero troppo preso da me stesso per poter pensare di lasciar entrare qualcun altro nella mia vita e tu ci hai provato, Joonmyeon, e io non volevo far altro che arrendermi, ma poi tu mi guardavi come io avessi dovuto scomparire da un momento all'altro. Sapevo fosse vero, ma... Avrei voluto che tu credessi di più in me.»

 

Joonmyeon apre gli occhi e Jongdae lo sta guardando. I suoi occhi sono vitrei e sembra sfiancato. Probabilmente lui non ha un aspetto migliore.

 

«Lo so che è stato egoista.» Jongdae sussurra.

 

Joonmyeon si domanda chi dei due sia quello egoista, mentre scivola verso Jongdae e gli prende il viso tra le mani. Le sue labbra si muovono a formare delle mute scuse, a un respiro dalle labbra dell'altro, prima di baciarlo, con tutta la nostalgia che ha cercato di sopprimere per anni, con tutto il risentimento e la rabbia. E tutto si dissolve in quel momento.

 

Mentre si spogliano con le mani tremanti, entrambi si liberano di qualunque peso si sono trascinati dietro per tutti questi anni.

 

Le mani di Jongdae sul proprio corpo lo fanno tremare, le sue dita gli percorrono la schiena trascinando via la maglietta, mentre Joonmyeon carezza fianchi stretti e una pancia piatta.

 

È frettoloso e senza arte, hanno solo bisogno di toccare, toccare e ancora toccare. Hanno bisogno di vedere quanto più possibile dell'altro. Mordono e succhiano e lasciano segni e si appropriano l'uno dell'altro. Beve i gemiti di Jongdae e Jongdae morde più forte mentre Joonmyeon gli sfila i boxer.

 

Non si dà tempo di pensare e si concentra solo sulla pelle dell'uomo che ha davanti e si prende tempo per tracciare la mascella definita con le labbra, scendendo poi lungo il collo fino alle clavicole.

 

Ritrova la piccola cicatrice, proprio sotto la clavicola sinistra. Le dita di Jongdae sono ancora nei suoi capelli, mentre carezza le linee nere che abbracciano la cicatrice. Solo due parole.

 

Love Bites.

 

«Quando te lo sei fatto?» Joonmyeon domanda e gli occhi di Jongdae sono pieni di una vecchia tristezza.

 

«L'ho dimenticato.» risponde, ma sta mentendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il mattino dopo manda un messaggio a Kyungsoo. Quando Kyungsoo suggerisce di andare fuori per pranzo, Joonmyeon insiste per stare a casa. Mentre Jongdae è sotto la doccia, prepara il caffè, entrambi sono d'accordo che è troppo presto per parlarne. Jongdae se ne va dopo avergli lasciato un bacio a stampo e la mano di Joonmyeon va istintivamente alla sua clavicola.

 

 

Kyungsoo gli apre la porta con indosso i pantaloni di una tuta e una maglietta con Iron Man stampato sopra, spinge Joonmyeon verso la cucina e lo fa sedere prima di preparare una tazza di tea per entrambi.

 

«Avanti, dillo.» dice, dopo aver preso un sorso del proprio tea.

 

Joonmyeon rispetta Kyungsoo abbastanza da andare dritto al punto, cercando di far suonare il tutto migliore di quanto non sia. Kyungsoo ascolta attentamente mentre parla, dal suo volto non traspare nessuna emozione. Si appoggia allo schienale della sedia e la sua presa è serrata sul manico della tazza.

Joonmyeon parla di sentimenti, del passato, di cose che pensava aver dimenticato, ma erano ancora lì, pronti a tornare in superficie.

Kyungsoo lo lascia parlare, perché per una volta Joonmyeon deve vedersi come lui lo ha visto in questi anni.

 

Joonmeyon e Jongdae sono sempre stati simili, era solo quello che mostravano a essere diverso.

 

«Vorrei dire che non me lo aspettassi.» dice, e Joonmyeon sembra tradito, e in colpa. Proprio come Jongdae. «Vi meritate.»

 

È arrabbiato, ma le sue parole non vogliono ferire, sta semplicemente esprimendo un fatto. Potrebbe resistere, potrebbe gridare, ma non lo farà, perché sa che non porterà a niente. Non c'è già più spazio per lui.

 

«Credo che dovresti andartene.» dice, e si alza, aspettando che Joonmyeon lo segua.

 

Quando sono sulla porta Joonmyeon si volta per un attimo e Kyungsoo gli sorride, prima di piantargli un pugno sulla mascella, storcendo il naso per il dolore subito dopo. Non ti dicono mai che quando prendi a pugni qualcuno che ti ha fatto del male, ma che tu ami comunque, è come prendersi a pugni nello stomaco.

Joonmyeon strizza gli occhi e si massaggia la mascella offesa, ma non si lamenta. «Spero che tu ti senta meglio adesso.»

 

Kyungsoo gli chiude la porta in faccia.

 

 

 

 

 

 

Ci vogliono due settimane per registrare la canzone, e quando il drama comincia a essere messo in onda Joonmyeon ha già lasciato il proprio lavoro per aprire la propria casa di produzione.

 

Si sveglia una mattina e all'improvviso è primavera e ci sono i Def Leppard che arrivano dal salotto.

 

«Giovedì.» biascica, mentre rotola sulla pancia e nasconde il viso nel cuscino. Pensa di rimettersi a dormire, ma sente la porta aprirsi e si ritrova a sorridere.

 

«Pour some sugar on me, oh in the name of love... » una voce quasi copre quella di Joe Elliot. «Pour some sugar on me, come on fire me up...»

 

«Jongdae-yah, non sono neanche... » cerca di ribattere, ma Jongdae si sta già lanciando sul letto, spingendo via le lenzuola e non lasciando a Joonmyeon altra scelta che soffocarlo con un cuscino. Jongdae si dimena liberandosi in tempo per cantare l'ultima strofa.

 

«I'm hot sticky and sweet from my head to my feet.. yeah!» e poi si sporge e gli ruba un bacio.

 

«Urgh... alito di prima mattina» Joonmyeon sbuffa.

 

«Non è che tu profumi di zucchero filato.» Jongdae mette in chiaro.

 

Joonmyeon sorride, scusandosi e trascina Jongdae fuori dal letto, cercando di non badare al fatto che Jongdae è in mutande e anche tutti i brutti pensieri che gli annebbiano il cervello alla vista.

 

«Andiamo a lavarci i denti come i bravi bambini.»

 

quando sono l'uno di fianco all'altro davanti al lavandino, porge a Jongdae il suo spazzolino prima di prendere il proprio e mettere il dentifricio su entrambi.

 

«Grazie, nonno.» Jongdae dice prima di iniziare a spazzolare.

 

«Prego, figliolo.»

 

«Spero che questo non sarà il nostro prossimo role-play a letto perché è disgustoso.» Jongdae è disgustoso con la schiuma del dentifricio che gli esce dalla bocca, mentre sputacchia parlando.

 

Joonmyeon gli dà una pacca sul sedere e inizia a spazzolarsi i denti, guardandosi soddisfatto allo specchio.

 

Sì, è decisamente felice. 






















 

a.n:

-ho dormito tipo 4 ore oggi pomeriggio. Non so come. Quindi ho dovuto tradurre di corsa perché domani non ci sono tutto il giorno.
     -sto spendendo tutti i miei soldi in scarpe. qualcuno mi fermi. 
     -eventuali correzioni/modifiche per quando avrò 5 minuti di tempo. 

     -spero sia stato un finale quantomeno degno. Di cosa non lo so.
     -chi se lo aspettava?
     -vi amo tutti. 

   
 
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