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Autore: LeMuseInquietanti    11/01/2008    3 recensioni
spoiler hp7: è ufficiale: Albus Silente aveva amato. Amato e sofferto, amato e lottato. Cercato. Sbagliato infinite volte. Sbagliato per un amore incontrollabile, per una vita famigliare difficile. Era solo un uomo, seppure grande. Un uomo che troppe volte agì male per il Bene superiore. per il bene di un lui....Salve! La storia su Albus e Gellert avevo iniziato a pubblicarla da circa un mese, ma dopo ho deciso di fermarmi, essendomi accorta di aver sbagliato troppe cose, non avendo ben compreso il libro prima di poter mettere le mani sulla traduzione in italiano. Ad esempio, credevo che Balthilda fosse studentessa ai tempi di Al, invece era la vicina di casa nonché la zia di Gellert… quindi ripubblico questo primo capitolo, e man mano modificherò la storia, sperando che qualcuno abbia il cuore di seguirmi! Grazie mille!
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
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Salve! La storia su Albus e Gellert avevo iniziato a pubblicarla da circa un mese, ma dopo ho deciso di fermarmi, essendomi accorta di aver sbagliato troppe cose, non avendo ben compreso il libro prima di poter mettere le mani sulla traduzione in italiano. Ad esempio, credevo che Balthilda fosse studentessa ai tempi di Al, invece era la vicina di casa nonché la zia di Gellert… quindi ripubblico questo primo capitolo, e man mano modificherò la storia, sperando che qualcuno abbia il cuore di seguirmi! Grazie mille! Devo scusarmi con chi mi ha commentato, in particolare sakijune, harryely e chi mi ha salvato tra i preferiti... se volete scriverò per voi i prossimi capitoli, impegnandomi a seguire la trama accennata dalla Rowling, o almeno non variare il carattere e le informazioni che lei ci ha donato...^^

                                                  THE GREATER GOOD- UNO

 

Lo vedeva passeggiare con in mano un libro sdrucito, incartapecorito e sul volto lo sfigurava l’espressione inquieta di chi sa troppo e vorrebbe rivelare agli altri un mistero grosso quanto un macigno. Camminava troppo velocemente, solo Fanny riusciva con le sue ali leggiadre e infuocate, a stargli dietro, e a volte lo beccava per indurlo a fermarsi. Ma il giovane uomo indugiava, si rifiutava di stare al pari con la gente normale, lui voleva essere sempre anche solo per un passo più vicino al suo futuro, lui nascondeva un piano geniale e malefico, in quel libro scuro che puzzava di muffa e pelle di drago mal conciata.

Lui veniva da una famiglia del Nord, aveva visto crollare imperi e morire i suoi cari nelle guerre di indipendenza, aveva scorto la neve nello stesso istante in cui aveva aperto gli occhi per la prima volta. Non aveva mai posseduto una donna, non gli interessavano certe cose, gli bastava sentirsi superiore in ogni campo, per sentirsi appagato e sicuro di fronte ai cambiamenti del mondo. Era stato costretto a fuggire, nei giorni in cui i Babbani avevano perso la testa, nell’epoca delle brigate con la svastica sul braccio e l’espressione beffarda, inferocita, da belva affamata che sfigurava i loro volti. Grindelwald aveva assistito all’inizio del Reich dalla sua scuola, Dumstrang, con il cuore che scoppiava, tra l’ammirazione per tanto ardore e l’orrore della morte, che veniva a strappare dal letto  suoi compagni e la gente dei dintorni, con l’insistente tocco freddo della sua falce aguzza, tagliente.

<< un giorno arriverà anche per te, amico >> gli disse un compagno, dandogli una pacca veloce sulla spalla. Erano rassegnati. Tutti avrebbero fatto la stessa fine. Ma lui no.

Aveva scansato quell’opportunità, MORIRE, AH!e aveva capito che lì, a Dumstrang, nessuno avrebbe potuto aiutarlo, a sconfiggere colei che conduce con sé la fine, quella signora in nero, l’unica sovrana a cui perfino i generali più valorosi si inchinavano. Lui non sarebbe morto.

Con un pugno di soldi e un incantesimo di smaterializzazione, aveva salutato la gente sdentata con il sangue grumoso ancora attaccato alle ferite sulla pelle giallastra e stanca, aveva detto addio alla neve e ai monti, percorso all’indietro l’Europa, per giungere nella terra circondata dalle acque, dove ancora la minaccia dell’inflazione, delle persecuzioni, della morte per una fucilata ben assestata erano ancora vagheggiamenti per superstizioni e donne insoddisfatte, perché i giornali dicevano che andava tutto bene, i tea delle cinque venivano dilapidati con sfarzo ogni giorno nei salotti delle belle signore opulente, e i lord ancora passeggiavano per Picadilly con passi baldanzosi, gesti plateali. Grindelwald aveva scorto tutto questo in una passeggiata ininterrotta che durò per due giorni, scrutando in ogni finestra, respirando il fasto e la gioia, sentendosi sporco nella sua tenuta da contadino povero, credendo che lo avrebbero sbattuto in carcere perché puzzava come un villano e faceva paura quella sua barba incolta e la testa su cui non troneggiavano cilindri o bombette, e quelle mani pesanti e scure, che potevano essere mani da assassino, e gli occhi foschi, disillusi, in cui aveva celato, con molte difficoltà, il pressante desiderio di sopravvivere, di trascendere l’umanità, cedevole, fragile come la neve al sole, di diventare quasi simile a Dio, anche se Grindelwald dubitava della sua esistenza.

Si trovò un appartamento poco distante dalla capitale, in un posto in cui nemmeno i topi avrebbero voluto vivere, una stanza dalle pareti fatiscenti, dove l’intonaco profumava di merluzzo e la carta da parati a fiori si staccava al minimo tocco, crollando e mostrando le macerie di un’epoca sull’orlo di una crisi di nervi. Ma poteva permettersi solo quel posto, senza acqua calda né riscaldamento, senza una cucina decente ed un bagno dove poter cagare in santa pace, un posto che non era tale, un posto degno solo di esser chiamato bunker. Ma lui poteva permettersi solo quello, e poi non aveva tempo per trovare altri problemi su cui crucciarsi. Di grattacapi per una sola esistenza ne aveva già abbastanza. Quando i proprietari della dimora videro chi sarebbe stato il loro affittuario, un ragazzo dagli occhi neri, pericolosi, spudorati come tutti i tedeschi e la loro razza, ebbero un tremito nell’intimo, ma non lo lasciarono a vedere: gli inglesi non si sarebbero mai fatti mettere i piedi in testa da nessuno.

<< se vuoi vivere qui devi sganciare la grana il cinque di ogni mese. Non puoi pagarci neanche un giorno dopo, o stai ai patti, o sloggi >> gli disse il padrone, un uomo macilento con un’eterna canottiera unta di olio che non nascondeva il petto villoso e ripugnante.

Grindelwald aveva annuito velocemente << stia tranquillo. Pagherò per la topaia come stabilito. Non dovrà preoccuparsi di questo. Ma starò ai patti se voi e il resto del condominio farete finta che io non esista. Sono un giornalista, e devo vivere in solitudine per scrivere dei pezzi convincenti >>

L’uomo macilento aveva alzato un sopracciglio, poco convinto, e la bocca, nascosta da un paio di baffoni scuri, aveva assunto una piega di disprezzo. Ecco, questo è un altro finocchio che si paga da vivere con il suo corpo. Dovrebbe almeno lavarsi, prima, ma forse a qualcuno piace l’odore di sporco, aveva pensato il padrone, ma temendo che dando voce alle sue idee quel tedesco strano lo avrebbe mandato al diavolo, o peggio ucciso, rimase in silenzio, perché quei soldi gli servivano, e per la gente del popolo non andava sul serio tutto bene: il pane iniziava a scarseggiare, non c’erano soldi per pagare le rate della propria casa, le giovani figlie dovevano smettere di stare in casa a filare la lana e dovevano sfasciarsi la schiena pure loro, a vendere mele al mercato o peggio, a falciare i campi e a farsi venire le rughe a quindici anni. Grindelwald lo capì molto dopo, quando Albus gli mostrò quel mondo, quando quel giovane dai capelli rossi e dagli occhi buoni e limpidi, lo portò in un campo, dove fecero l’amore senza che se lo avessero stabilito all’inizio, e scoprirono l’amarezza di quella terra. Ma allora, all’epoca del trasferimento dettato dalla asfissia provata nella sua terra natale, all’epoca in cui Albus passava la vita sui libri domandandosi come avrebbe potuto aiutare sua sorella Ariana e come si sarebbe fatto valere, nella vita, se nemmeno Aberforth suo fratello, sapeva amarlo, il futuro e i suoi problemi non erano mai parsi così distanti. Quasi un'illusione per le monache e i frati sdentati. Albus sapeva di essere diverso, e la cosa lo divertiva e lo intralciava diverse volte. Non avrebbe però mai creduto, quando anni dopo, avrebbe visto il cadavere di Grindelwald, il suo bel viso da straniero insanguinato e senza vita, non avrebbe mai creduto che avrebbe dato tutta la sua intelligenza, le sue stranezze, ogni sorta di ingegno in lui albergante, per essere suo fratello, per essere il più povero dei miserabili, per non essere l’acclamato difensore del bene e della magia, la maschera permanente che da allora avrebbe accompagnato quell’uomo per il resto della sua esistenza.

Fu un giorno di primavera quello in cui Albus e Grindelwald si incontrarono per la prima volta. Erano troppo giovani, e credevano di poter tener in pugno il mondo intero quando si guardarono, si cercarono, si trovarono, e parlarono per due ore sotto l’insegna sbilenca e scheggiata della Testa di Porco, mentre la natura si svegliava ed uno strano tepore avviluppava le loro guance giovani e rilassate. Fu quello, il principio della fine.

Continua, ma solo se lo volete voi!! Fatemi sapere, Maria

 

  
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