Capitolo
identico a quello che avevo scritto prima di
cancellare la ff, dal prossimo credo che la storia dovrebbe un
po’ modificarsi…
beh, Ariana non è impazzita a Godric’s Hollow, ma
la Row non specifica dove sia
accaduto, così ho lasciato quel paese^^
Grazie a Saki, spero di
acchiapparti prima o poi su msn (
oggi sono entrata ma ho subito dovuto spegnere ), a Cathleen e
Felicity89…
spero vi piaccia questo capitolo, grazie anche a chi la salva tra i
preferiti,
spero di non deludervi!
ARIANA’S
TALE
Era
primavera quando Albus Silente decise di dare gli
esami del sesto anno in anticipo per potersi recare a casa dalla sua
famiglia e
aiutare sua madre in quel difficile compito di crescere una figlia
diversa.
Perché Ariana Silente non si poteva definire una persona
normale. Da bambina
aveva incominciato a giocare con quel dono speciale che albergava nel
suo
stesso sangue, la magia, e aveva sperimentato la forza devastante che
padroneggiare quell’arte arcana comportava. Era piccola, e
forse particolarmente
portata, e per questo non sapeva trattenersi dalla gioia di evocare
oggetti,
richiamare le mele dai rami degli alberi più alti, dal far
volteggiare a
mezz’aria il suo pupazzo preferito. Una volta, Albus la vide
con i suoi stessi
occhi, Ariana si era alzata a mezz’aria, nel centro della
sala da pranzo, ed
aveva galleggiato con l’aria per nulla stanca o spaventata
attorno al grosso
tavolo rotondo, su cui erano sparsi i suoi giocattoli intagliati nel
legno,
regali di Aberforth, e i libri dimenticati da Albus nella fretta di
cercarne di
nuovi. Ariana era una creatura meravigliosa, libera, innocente,
ingenua. Sapeva
far arrossire con la dolcezza del suo candore perfino le persone che
credevano
di esser simili alle rocce, indistruttibili, dalla flemma ruvida,
inscalfibile.
Perfino Percival, il loro vecchio padre, che non aveva mia riso per le
battute
dei suoi bambini, si era lasciato piegare dalla freschezza di quella
piccola
streghetta, dagli occhi luminosi, dal sorriso di perla, così
fragile e minuta
che a tutti appariva come un meraviglioso fantasmino ambulante. Albus
la amava,
e non avrebbe mai voluto distogliersi da lei. Suo fratello Ab poi, la
adorava,
la idolatrava. Lei era così dolce, e delicata, e non si
poteva far a meno di
amarla. O almeno questo avevano sempre pensato in famiglia.
<<
sarai per sempre una principessa, Ariana.
Nessuno potrà mai fermare la tua luce >> aveva
detto una volta Aberforth,
mentre cullava la piccola dai capelli rossicci e dal viso lattigginoso,
affidandola ad Orfeo come ogni notte. Albus era sceso dal suo lettino
saltando
via dal materasso dalle molle mezze sfasciate, aveva mosso qualche
passo
nell’oscurità, brandendo solo un moccio di cera
acceso quasi del tutto consumato,
e a tentoni si era recato nella camera attigua, dove la Sovrana della
famiglia
ormai sonnecchiava apertamente. Aberforth aveva appena alzato lo
sguardo,e
Albus per la prima volta aveva notato quegli occhi. Erano azzurri e
duri,
simili ad un mare di ghiaccio, occhi in cui la spensieratezza doveva
esser
passata solo per un velocissimo tea, poi se n’era dovuta
andare, senza scusarsi
troppo, perché lui era solo il figlio mediano dei Silente,
non era né il
responsabile, favoloso, colto, intelligentissimo primogenito della
famiglia, né
l’adorabile principessina che cavalcava sulle nuvole e
tingeva la casa
d’allegria, era semplicemente un incidente che aveva imparato
presto a
considerarsi tale, a portare rancore verso l’incarnazione
della perfezione e ad
amare in segreto, a ricoprir di baci solo quando la luna era alta nel
cielo e i
suoi genitori si erano addormentati profondamente, quel batuffolo di
dolcezza,
l’unica creatura che aveva saputo sciogliere la scorza dura e
rude di quel
ragazzo sottovalutato. Si, solo Ariana sapeva farlo sentire un essere
umano
amato. Perché tra i due fratelli era nato un amore
incredibile, che ardeva come
il fuoco nell’inferno, alimentato costantemente
dall’ossigeno della
quotidianità, centuplicato nei giorni di attesa, irrazionale
ed inestinguibile,
un gioco in cui Ariana era la acclamatissima regina, e Aberforth il suo
servo
più fedele, e nessuno, nemmeno quel fratello maggiore la cui
ombra avrebbe
oscurato il passato e colorato la storia futura della
comunità magica, avrebbe
potuto interrompere, o modificare quell’equilibrio di affetto
intenso,
spossante, qualcosa che forse superava perfino l’amore, o
forse era la forma
perfetta e immutabile di quel sentimento, una sua mutazione, una sua
evoluzione…
Ma Aberforth
sotto sotto, non capiva che l’odio e l’amore
fossero sentimenti relativi, fragili e delicati, che si scioglievano
per colpa
del Fato nell’istante infinitesimale di un battito di ciglia,
potevano cambiare
stato, e rivolgersi a persone differenti, e l’uomo non poteva
né impedirlo né
opporsi, poteva solo sedersi tranquillo con se stesso e accettare quel
valzer
irrefrenabile.
<<
dorme? >> chiese Albus, sedendosi accanto
al fratello, la sera che precedette l’incidente fatale.
Aberforth si alzò,
arrossendo allarmato. Non era abituato a farsi vedere
nell’atto di sussurrare
parole dolci alla sorellina, anche perché questa immagine
cozzava con il suo
aspetto esteriore: era un poeta, un rivoluzionario, un ribelle
intrappolato
nelle sembianze di un orso, non avrebbe saputo definirsi meglio.
Perciò a
quella domanda neutra ma così densa di significati, Ab
scattò in piedi, con il
capo basso, annuì con un cenno appena percettibile e poi si
dileguò nella sua
camera, ed Albus per un attimo credette di aver sognato suo fratello,
che
avesse avuto a che fare con uno spirito, ma poi a convincerlo del
contrario
furono quegli strani rumori dati contro le pareti azzurre della camera
attigua
a quella in cui dormiva Ariana, la stanza del figlio mezzano, ed erano
pugni di
protesta quelli con cui Aberforth si massacrava le nocche, pugni che
diede con
gli occhi di ghiaccio ridotti a due fessure, e i denti digrignati,
l’espressione famelica da belva arrabbiata. Erano pugni per
Albus quelli che
sarebbero riecheggiati per sempre nella memoria del vecchio preside.
Albus li
udì, e lasciò che suo fratello si sfogasse.
Pensò per tirarsi su, che un giorno Ab sarebbe cresciuto. Lo
avrebbe capito. Ma
inizialmente, anche solo per un secondo, il giovane mago si disse
tristemente
che non solo suo padre, ma adesso anche suo fratello lo odiava, e lui
non
poteva che chiudersi in camera, accendere una nuova candela, e sedersi
sul
materasso dalle molle distorte, che gli si ficcavano nella pelle e lo
facevano
sanguinare nel sonno, prendere un libro e cominciare un nuovo viaggio,
mano
nella mano con i demoni della sua vita, per nulla semplice e felice
come tutti
credevano.
**********************************
Ariana quel
giorno indossava un abitino verde, che non
faceva a pugni, una volta tanto, con quei capelli tipicamente color
sangue, che
tutti i Silente sfoggiavano per almeno una quarantina d’anni
sul capo. Erano
capelli di artisti e di maghi, capelli di Shakespeare e probabilmente
anche di
Merlino, ma a sei anni cosa poteva saperne una principessina di queste
futilità
da romanticoni? Ariana non sapeva nemmeno che la sua nazione di
lì a poco
sarebbe entrata in guerra, o che ormai non ci fosse denaro nemmeno per
comprare
una bambola di porcellana da donarle a natale, non sapeva che suo
fratello
Aberforth aveva pianto lacrime amare quando se n’era reso
conto, né poteva
capire perché Albus la osservasse con quegli occhi furbi ed
ironici, e le
sorridesse in maniera enigmatica ogni qualvolta i loro sguardi si
incontrassero. Sapeva però da qualche tempo che se solo lei
lo avesse voluto,
intensamente desiderato si intende, allora le mele del vecchio fattore
Jones si
sarebbero ribellate alla pianta madre, seppure imponente e arcigna, che
avrebbero sconfitto la gravità e sarebbero planate dritte
dritte nella sua
manina grassoccia, così come, sempre se lei lo avesse
bramato, sarebbe potuto
accadere l’effetto contrario, e lei si sarebbe distaccata dal
terreno,
ritrovata a mezz’aria come una piccola nuvola, e avrebbe
potuto raggiungere
anche i rami più alti, dove le mele migliori crescevano
illuminate dal sole,
lentamente. Non poteva spiegarsi sul serio quel fenomeno, ma qualunque
cosa
fosse, le causava esplosioni di incontenibile gioia, voglia di ridere e
di
elargire bacetti alla madre e agli uomini della famiglia, che li
ricevevano ora
sorridendo e ricambiando, ora facendosi rossi e irrigidendosi, come nel
caso di
suo padre e di Abby, il cui nome troppo difficile per lei era stato
devastato e
storpiato in quella maniera per nulla virile e gratificante. Ariana
però, per
quanto amasse Kendra e Aberforth e si fidasse di Percival e del
fratello
maggiore, creatura assente per studi e impegni, ma decisamente oggetto
di molte
attenzioni per una principessa come lei, si decise a mantener chiusa la
bocca
circa quelle sue capacità perché le sembrava che
se avesse dato un nome alla
magia l’avrebbe immancabilmente persa, e Ariana non avrebbe
certamente retto a
tale mancanza.
Poiché
la minaccia della guerra aveva fatto chiudere le
scuole e i negozi, seppure quello fosse un lunedì di maggio
come tanti, Ariana
si rese conto che l’intero paese di Godric’s Hollow
fosse gettato per strada,
apparentemente senza fare niente: gli uomini si lanciavano fra loro
occhiate
furtive e turbate, le donne parevano avessero da sfamare un esercito
per quanto
pane arraffavano, uscendo cariche come muli dal fornaio di fiducia, le
giovanette si avvicinavano furtivamente ai loro fidanzati segreti, con
i visi
appannati dal pianto e rossi per l’emozione, e infilavano
nelle loro tasche
delle lettere d’amore melense e fitte di terrore, terrore
perché per una volta
tanto avevano ascoltato alla radio e poi letto sui giornali di quello
strano
folletto vestito di verde, che si preparava a distruggere
l’Europa e a
plasmarla in una forma del tutto poco piacevole. I giovani blandivano
le
ragazzine, si battevano il petto con la mano pesante, come fosse un
invito a
tastare la loro forza interiore e fisica. Si sentivano esaltati e
pronti alla
battaglia, era tempo di sbattere in galera una volta e per tutti quei
diavoli
dei tedeschi, così finalmente gli inglesi avrebbero
dimostrato il proprio
coraggio, la loro superiorità. Ariana vide dei bambini che
stavano in cerchio
attorno ad una bancarella del mercato squallido e sbilenco che per la
troppa
gente assomigliava ad una malinconica fiera, li osservò e le
parvero ammassati
e sognanti, e ridendo felice decise di avvicinarsi anche lei,
perché non le
pareva vero di incontrare degli esemplari di cuccioli di uomini, visto
che gli
unici bambini che lei potesse ricordare erano i suoi fratelli, che
comunque
stavano già assumendo una forma diversa e sconosciuta, e
sembravano sempre di
meno quei due bambini rossi e allegri che lei si ricordava vagamente
d’aver
conosciuto anni addietro, e di aver spartito con loro i bagni nello
stagno e le
merende pomeridiane.
Quando
Ariana si mise a correre verso quei bambini che si
quasi picchiavano per contendersi la trincea di una strana bancarella
Albus e
Aberforth la scorsero saltellare poco distante dal bar in cui stavano
placidamente bevendo un po’ di burrobirra. Albus aveva notato
le mani graffiate
del fratello, ma aveva preferito fingerle di non essersene accorto. Se
fosse
stato possibile, quella reazione così finta aveva reso
ancora più livido
Aberforth, il quale beveva per non sputar veleno, e quasi si era
dimenticato il
perché si trovassero lì: Kendra aveva chiesto
loro di dare un’occhiata alla
piccola Ariana, perché la piccola non aveva ancora ben
chiaro il confine tra il
lecito e l’illecito, e probabilmente avrebbe potuto
ingenuamente usare la magia
mentre i babbani sbrigavano le loro faccende giornaliere. Kendra non
voleva
scandali, non dopo l’ultima figuraccia di Perce alla festa
del paese, quando
aveva bevuto troppo e ne aveva dette di tutti i colori sulla moglie e
sui
figli, l’aveva chiamata puttana, aveva gridato che Albus non
era suo figlio,
che Aberforth era un idiota senza cervello e che la loro bambina stava
male un
giorno si e uno no perché la madre preferiva battere le
strade con il sedere
all’aria piuttosto che badare
all’incolumità della loro creatura. Kendra,
ferita e oltraggiata, non aveva proferito parola. Davanti alla folla di
mogli e
di bambini incuriositi che avevano assistito a quella scena, ella prese
per il
polso il marito, con la delicatezza che solo le madri conoscono, e
aveva
sussurrato ad Albus di tornare a casa non appena finiva la festa
<< vado
a mettere a nanna papà, Ariana cara >> aveva
detto alla figlioletta, ed
era sfuggita, simile al profumo delle rose spazzato via dal vento, con
la
dignità intatta e il cuore grave come un macigno.
<<
sembra che Ariana stia socializzando >>
disse all’improvviso Albus, indicando la bancarella dei
trucchi di magia, dove
la carta rossa vinceva e quelle blu perdevano,e bisognava scoprire dove
si
nascondeva la noce dai bordi ammuffiti. Aberforth non vedeva di buon
occhio le
amicizie tra nanerottoli, così come amava definire i
lattanti, perché quelle
erano le peggiori alleanze possibili, inossidabili, indelebili. Non
cambiare,
restare in stallo con le proprie idee conduceva alla rovina, o per lo
meno lui
la vedeva così. Per questo cercava ogni giorno di vedere suo
fratello come un
esempio, e non come qualcosa con cui paragonarsi e vedersi sempre
inferiore. Ma
poi, chi non si sentiva così, di fronte ad Albus- sono fatto
d’oro- Silente?
<<
sembra che sia così >> commentò
freddo, e
si pulì le labbra dalla schiuma amarognola della sua
bevanda, con fare
risoluto. << com’è la scuola,
fratello? >>
Albus si
illuminò a quella domanda << oh, è
un
luogo stupendo. Mi stimano tutti e non vedono in mio padre
l’essere violento,
freddo e detestabile che si dimostra a Godric’s Hollow.
Credono che sia un
comune uomo, e che un giorno anche noi diventeremo come lui
>>. Abbassò
il capo, sentendo che le lacrime che aveva sempre represso in onore di
sua
madre stavano per sgorgare. Bisognava piangere, per non avere
più lacrime da
gettare.
<<
non fare la femminuccia con me! >> disse
il fratello, fingendosi schifato. Ma in fondo ammirava anche un lato
così
dannatamente poco virile del fratello, perchè lui sarebbe
morto piuttosto che
mostrarsi nudo di fronte al mondo. Era un orso, e solo Ariana poteva
sapere che
anche lui era in grado perfino di amare.
<<
io non voglio diventare come Percival! Non
voglio ubriacarmi, non voglio far la fine dei miserabili, Ab! Io non
posso ridurmi
così! >>.
Suo fratello
si strozzò con la burrobirra, battè una mano
violentemente sul tavolo. I suoi occhi gravi si riempirono di dissenso.
<<
cosa c’è che non va in nostro padre? Non ci ha
mai picchiato, sbraita solamente, e quelle sberle che ci da ogni tanto
servono
a raddrizzarci! Se ti sembra miserabile uno che si spacca la schiena
per
portare il pane a casa e tener su una famiglia, allora non riesco
proprio a
decifrare il tuo modo di pensare! Ma fai pure, sono sicuro che sai cosa
è
meglio per te! Sai sempre tutto tu! >>
Albus
fissò intensamente suo fratello, il boccale
adagiato sul bancone lurido ed un libro aperto sulle gambe.
L’impressione che
diede fu di voler supplicare << voglio solo portarvi via
di qui >>
<<
non si può Albus! Presto verrà la guerra, e io
combatterò
mentre tu prenderai onoreficenze su onoreficenze, una catasta di premi
e titoli
con cui io potrei benissimo pulirmi le chiappe. La vita vera
è quella in cui si
suda, si marcisce, si sanguina. È vedere Ariana crescere e
sperare per lei un
mondo migliore. No si sfugge da qui, e lo sappiamo bene. Per questo io
lavorerò
fino a sentirmi vecchio, e mi comprerò una locanda, e
farò I soldi con cui
manterrò la mia famiglia, se Dio me ne darà una.
Non si sfugge da qui, Albus
>>
Albus
avrebbe replicato, magari con qualche virtuosismo
imparato a memoria dai suoi amati trattati di scuola, ma un urlo
riempì l’aria
surriscaldata di un maggio anacronistico.
<<
come hai fatto? Dicci come hai fatto! >>
Bastò
poco ai fratelli per scorgere una folla di bambini
inferociti che stavano sommergendo e circondando la piccola Ariana. E
lei,
minuscola, bianchissima, con in mano la noce marcia che il ragazzo
bugiardo che
si spacciava per mago aveva infilato nel suo cappello, stava tremando
per il
terrore.
********************************************************************************
Ariana
sgomitò fino a trovarsi all’altezza della
bancarella. Vide tre bicchieri scuri capovolti ed un ragazzino con in
testa un
cappello troppo grande che li mescolava, usando un ritmo ipnotico,
veloce,
impossibile da seguire. Anche lei ne rimase colpita. Come molti altri
bambini,
cacciò fuori la lingua, in segno di ammirazione. Il
ragazzino vide quella
nanerottola lattiginosa e seppe di aver trovato un nuovo pollo da
spennare.
Sorrise smagliante << e chi abbiamo qui! Una topolina!
Allora bella
bimba, perchè non provi questo gioco? Se trovi la noce che
sta sotto a uno dei
tre bicchieri vinci. Vuoi giocare? Ehi, vedo che ti ho convinto! Allora
guarda
bene: la noce è qui. Adesso mescolo >> prese a
trafficare con I
bicchieri, a dare di matto in un valzer di cristalli che cozzavano
l’uno contro
l’altro senza ritegno. Dopo un po’ le chiese dove
fosse quella nocella.
Ariana si
portò un dito sulle labbra pensosa. Poi indicò
senza parlare il cappello bluastro dell’accattone.
Fu come una
folata di vento, quella che partì dal dito
della piccola. Peccato che Ariana avesse appena fatto una magia,
davanti a dei
babbani, e dei bagliori rossastri si fossero dispersi
nell’aria. Il ragazzo
vide la noce galleggiare a mezz’aria, finire direttamente
nelle mani della
bambina che la osservò soddisfatta raggiante.
<< cosa ho vinto? >>
Da allora,
per tutta l’estate, Ariana, Albus e Aberforth
vissero come dei vampiri. Uscivano solo a notte fonda, e non potevano
far
rumore, in parte per quella gente impicciona, che aveva assistito alla
scena
della levitazione di una fottuta noce, in parte perchè
Percival aveva dato di
matto, prendendo a sberle I suoi figli maschi, che non sapevano nemmeno
difendere la loro sorellina senza darla in pasto ai babbani alla prima
occasione. Ariana fortunatamente non aveva capito cos’era
accaduto. O meglio,
aveva creduto che la stessero prendendo in giro, perchè non
aveva valutato che
ci fosse gente incapace di far volare gli oggetti a piacimento, anzi,
non
credeva di essere lei la persona anormale. Aberforth e Albus non
avevano avuto
il cuore di rivelarglielo, nemmeno quando l’avevano strappata
da quella babele
di folletti curiosi che le si erano accalcati addosso, che
l’avevano pizzicata,
toccata, chiamata strega, si erano rubati quel premio di
superiorità, la noce
della discordia, e avevano voluto sapere come ci fosse riuscita, il
truffatore
compreso. Ariana non aveva capito e sinceramente era stato un sollievo
sentire
le mani delicate di Albus che la trascinavano via, mentre Aberforth
intimava al
ragazzino furfante di stare alla larga da sua sorella, di non parlarle
mai più,
di andare a farsi fottere, se non voleva assaggiare la forza delle mani
di quel
lavoratore serio, indurito come una quercia.
<<
tu non devi mostrare la tua bravura alla gente,
Arya >> le aveva detto la stessa sera Aberforth, mentre
Kendra piangeva e
Percival si sfogava a lanciar calci contro il muro. Albus era uscito a
fare
quattro passi, scappato via come sempre. Ariana aveva guardato suo
fratello con
occhi docili, dolcissimi, occhi da donna. Per la prima volta Aberforth
capì che
proprio gli occhi la rendevano così speciale, nella sua
anima. << perchè
non posso, Abby? >> chiese la bimba, fra le lacrime.
Il fratello
la strinse forte a se << perchè la
gente è gelosa, e non capirebbe quello che siamo
>>
Ariana
cercò di far tesoro delle parole del fratello, ci
provò sul serio a reprimere quella sua forza
inspiegabilmente forte, tentò
anche di affogarla, di rispedirla al mittente, ma la magia restava
semre lì,
chiusa in gabbia, relegata nel suo corpicino. Le dava fastidio, la
cattività.
La tediava, vedere l’estate morire, poter uscire solo di
notte. Lei aveva paura
del buio perchè non poteva più accendere mille
lucine rosse con cui farsi
forza. Suo padre, sua madre, I suoi fratelli glielo avevano ripetuto
troppe
volte. La bambina diede un’occhiata a Kendra, che
sonnecchiava nel suo letto
dopo giorni di continuata insonnia. Suo padre e I suoi fratelli erano
andati a
Diagon Alley, a far compere per il primo anno di Aberforth. La finestra
era
socchiusa.
Le parve un
reato non godersi un sole talmente luminoso,
che la richiamava come un amante insoddisfatto, con quei raggi
splendenti,
dorati.
Fu allora
che Ariana fece l’incontro che le avrebbe
distrutto la vita. Una banda di quindicenni la riconobbe come la strega
bambina
che muoveva le cose e adorava il demonio, colei che avrebbe gettato il
malocchio sull’isola e avrebbe fatto entrare i tedeschi con
questo e
quell’altro metodo maligno. Una bambina pericolosa, o una
semplice impostora,
in entrambi I casi un essere da punire. Da zittire. Questo pensava la
banda di
Godric’s Hollow.
La banda di
Godric’s Hollow consisteva un gruppo
eterogeneo di banditi quindicenni che avevano dimenticato la cartella
il primo
giorno di scuola e l’avevano lasciata ad ammuffire in quella
catapecchia vuota
appena dietro la chiesa preferendo svaligiare le tasche dei passanti e
passare
la vita imparando il gergo e le abitudini dei ladruncoli di strada fino
a
perferzionarsi nella lotta agli angoli di strada, nelle occhiate torve,
nello
schernire e nel trovare difetti su tutti, nel non temere nemmeno la
regina in
persona, nel non lasciarsi scappare una giornata di mercato dove rubare
un po’
di cibo da portare a casa, coperti dai genitori ridotti a scheletri per
l’inflazione, nel non lasciarsi sfuggire le stranezze di quei
tre fratelli dai
capelli rossi, uno più svitato dell’altro. La
banda di Godric’s Hollow
riconosceva universalmente nel primogenito la figura del secchione
disperato
che parlava con le farfalle, in assenza di amici in carne ed ossa.
Sarebbe
diventato un depresso, o lo avrebbero castrato presto o tardi uno degli
uomini
che avrebbe cercato di violentare. Il secondogenito sembrava affetto da
autismo. Non parlava con nessuno, non faceva che guardare il mondo con
occhi
torvi colmi di rancore, la banda riteneva che nelle notti di luna piena
subisse
la trasformazione in mannaro e che passasse il tempo sbattendo
convulsamente la
testa contro la scroza delle robuste querce. E la piccola Silente? Beh,
quella
era l’apoteosi della follia: a parte che assomigliava ad un
folletto, poi aveva
quei capelli rossi per cui l’avrebbero cotta
nell’olio bollente solo due secoli
prima, e per di più il capo di quella comitiva di strada,
Joe mano svelta,
aveva visto all’opera le stranezze di quella creatura. Tutto
il paese l’aveva
vista: aveva svelato il trucco con cui Joe campava da cinque anni, da
quando
era un bambino cencioso pieno di pidocchi, e aveva fatto volteggiare la
noce
stagionata e coperta da una sorta di peluria verdastra, nel cielo del
paesino,
fino a portasela nella mano. La banda non capiva come avesse fatto, ma
sapeva,
nonostante nessuno dei quindicenni avesse mai aperto libro, che quegli
atteggiamenti potevano esser definiti solo con il termine stregoneria.
Che poi
Ariana fosse davvero una strega, ai giovani di strada poco importava.
Quando la
videro correre allegramente per le stradine sbilenche che portavano ai
campi di
mele, Joe mano svelta, che quel giorno non era andato a guadagnarsi da
vivere
perchè ormai tutti conoscevano il suo trucco, sorrise
malignamente, e con un
gesto della mano richiamò a se gli altri ragazzi, che
stavano placidamente
masticando un po’ d’erba e fumando sigarette
artigianali. << ehi,
guardate un po’ chi sta passando! >>
<<
ma è quella stramba di Ariana Silente! >>
disse
una giovinetta che aveva imparato troppo presto a tener le gambe aperte
per
qualche spicciolo in più << ehi! Ariana! Vieni
qui! >>
La bambina
non se lo fece ripetere due volte. Corse
dolcemente, fata della primavera, verso quel gruppo sorridente, che
pareva
volessero farle delle coccole, o magari insegnarle altri trucchi,
perchè aveva
riconosciuto Joe anche senza il suo cappello ridicolo.
<<
cosa volete? >> chiese la piccola, quando
fu faccia a faccia con la ragazzina dal viso disilluso e
dall’aria troppo
sveglia.
<<
niente di che! Io e I miei amici ci domandavamo …
tu come hai fatto a scoprire il giochetto di Joe? Insomma, insegnacelo,
saremmo
felici di imparare da te! >>
Ariana
rimase sorpresa, aprì la bocca, scosse il capo
dolcemente << basta puntare il dito e gli oggetti volano
>>
<<
faccelo vedere! >>
La bambina
scosse il capo << non posso! >>
<<
e perchè, di grazia? >>
Ariana
rimase in silenzio: Aberforth le aveva fatto
promettere che non avrebbe usato la magia in pubblico. Non poteva, ecco
tutto.
Un
giovanotto scoppiò a ridere << ah, Joe ti sei
fatto fregare! Questa nanetta non ha niente di speciale, sei tu che
perdi
colpi! >>. Le guance di Ariana si colorarono di rosso
intenso.
Una seconda
ragazzina si avvicinò dolcemente e le chiese
una dimostrazione. << certi credono che tu dica bugie,
Ariana. Tua mamma
ti ha spiegato che le bugie sono un peccato? Bene, allora fai vedere a
questi
miscredenti che tu sei davvero capace di muovere gli oggetti
>>
Ariana si
guardò attorno rassegnata. Lottò con la sua
coscienza, ma gli sguardi della banda di Godric’s Hollow
erano scettici e le
facevano male. Allora cercò qualcosa che potesse smuovere,
lo individuò: aprì
il palmo verso una mela matura posta ad almeno quattro metri di
altezza, e in
un attimo essa le venne in mano, mentre tutti I giovani la osservarono
incuriositi e sconvolti. Solo Joe si fece avanti, con un sigaro stretto
fra I
denti. Le accarezzò la testa, e Ariana lo lasciò
fare << bambina, come è
possibile che tu sappia fare queste cose? >>
<<
non lo so >> replicò lei, sinceramente.
Joe le
strattonò il capo, stringendole I capelli in un
pugno << sai come si chiama questa tua
capacità? >>
<<
MI FAI MALE! >> gridò la piccola,
piangendo e sospirando affannata. Le ragazzine scoppiarono a ridere,
Joe le
stava strappando I capelli. L’avrebbe rapata, sarebbe
diventata una palla
lucida la sua testa.
<<
sei una STREGA! >>
<<
si, strega! >>
<<
STREGA, STREGA STREGA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
>>
La banda la
indicava, rideva, strillava, le sputava
addosso, qualcuno la spingeva, le davano calci, la prendevano in
braccio e la
poggiavano sui rami di un albero. Le tirarono sassi, le strapparono gli
abiti
ridendo come porci, continuando a chiamarla strega. Ariana non sapeva
che fosse
un difetto essere una strega. Perchè nessuno glielo aveva
detto? Perchè
continuava a piangere, e nessuno la veniva a salvare? Chiuse gli occhi,
aspettando che Albus o Aberforth la scorgessero, ma I suoi fratelli
dovevano
essere lontani, e lei era fuggita di casa, nessuno sapeva dove si
trovava. Era
nei guai. Tremava, piangeva.
<<
scendi giù se ci riesci, sporca stregaccia!
>>
<<
perchè mi fate questo? >> chiese Ariana,
piangendo disperata.
Joe le
lanciò la mela raccolta per magia addosso. La
colpì in piena faccia, la rabbia le annebbiò la
vista. Lui la fissò rabbiosa
<< perchè ti facciamo questo?
Perchè voi ci fate questo! Andatevene da
questo paese! Siete come una maledizione! Streghe e adoratori del
demonio non
ci servono! Ci fate schifo! >>
E dopo
averla maltrattata un altro po’, I babbani della
banda scapparono ridendo e saltellando, mentre Ariana piangeva,
raggomitolata
sul ramo su cui l’avevano adagiata, sporca di sputi e pien di
bernoccoli e
graffi, tremante come una foglia al vento, sconvolta e diversa per
sempre: lei
era strana, lei era diversa. Nessuno l’avrebbe mai accettata.
Albus,
Percival e Aberforth stavano ritornando a casa, su
un vecchio calesse trainato da un vecchio cavallo. La notte era da
parecchio
calata sulle colline del paese, la gente si era rintanata a casa per
godersi il
meritato sonno dei giusti, tranne qualche luce alla finestra, le
tenebre
regnavano sovrane. << dovrebbe essere sempre
così >> sorrise
Percival, grattandosi la barba appena colorata di grigio. Albus si
stupì dello
sguardo di suo padre, non l’aveva mai visto così
luminoso.
Fu Aberforth
il primo a capire che qualcosa non andasse,
quando vide quelle strane fiaccole accese nella notte <<
ma che diavolo
succede? >>. Indicò agli uomini un puntolino
nell’orizzonte, un circolo
di piccole luci che a quell’ora non sarebbero dovute restar
accese. A cosa
serviva, quella specie di faro nel nulla? Che fosse una processione di
spiriti
in rivolta?
Percival
aumentò il passo del calesse, pressando sul
cavallo stanco e in men che non si dica essi videro Kendra in un mare
di
lacrime, rossa in viso e con I capelli scomposti che le erano franati
addosso,
che assomigliava davvero ad uno spettro in pena, afflitto dal peggiore
dei mali
che una madre possa sopportare. La folla di donne del paese e dei loro
mariti
si muovevano preoccupati in ogni dove, spostando oggetti, guardando in
ogni
angolo, scuotendo il capo, quasi in lacrime.
<<
è sparita Ariana! >> strillò, non
appena
riconobbe gli uomini della sua famiglia. Aberforth sbiancò:
il tempo che Albus
resse Kendra, ormai in procinto di svenire, e Percival cominciasse a
chiedere
spiegazioni strattonando la moglie preso dalla furia, il giovanotto
orso partì
in una corsa marziale, sfrenata, irrefrenabile, mentre il viso gli si
colorava
di rosso, e il cuore gli esplodeva in petto.
<<
ARIANA! ARIANA! >> strillava, mentre
scalciava di strada in strada, mandava al diavolo le coppiette di
amanti che si
erano incontrate per qualche bacio rubato, gettando scompiglio nei
vicoli
ciechi, svegliando I bambini, incrociandosi con Joe e la sua banda, che
riconosciutolo non potè che scoppiare a ridere.
Quando fu
sicuro che sua sorella non fosse nel paese,
tentò di percorrere I campi di mele che la piccola era
solita prediligere nelle
sue peregrinazioni pomeridiane, prima dell’orrendo incidente.
Per questo
riprese a gridare, ruggendo come un leone, senza darsi pace.
<< ARIANA
ARIANA!!! >>
Un sussurro
lo riportò alla vita << Abby >>
Aberforth
quasi svenne quando la vide: raggomitolata,
raffreddata, tremante, sporca. Mezza nuda. Senza pensarci
usò la magia e se la
caricò in braccio, coprendola di abbracci, togliendosi la
camicia per
scaldarla, baciandola dolcemente, mormorandole parole di conforto.
Nonostante
gli prudessero le mani da morire. << chi ti ha fatto
questo? Ariana, chi
ti ha fatto questo? >>
La bambina
non rispose, scoppiò a piangere, continuò a
tremare, senza che lui potesse capire. Aberforth si godette la
passeggiata con
in braccio l’unica persona che amasse davvero. Quando
passarono davanti a Joe e
alla sua banda, il fratello mediano notò in Ariana un
cambiamento: la piccola
iniziò a battere I denti, e il corpo fu scosso da
convulsioni irrefrenabili.
<<
merda >> disse Aberforth. Erano stati
loro.
Joe lo
fissava, come a volerlo sfidare << cosa
vuoi, Silente? Per caso sei venuto a dirmi che tuo fratello si
è innamorato di
me? O per caso vogliamo parlare di quella strega di tua sorella?
Sappiamo
tutto, sappiamo delle vostre deviazioni! Tornatevene da dove siete
venuti,
adoratori del demonio! >> e lo prese a sbeffeggiare e
rise come un
idiota, spalleggiato dai suoi copagni idioti. Aberforth non ci vide
più. Poggiò
a terra Ariana, che riprese a gridare e a strapparsi I capelli, scossa
da
tremori che non erano di quella terra, a strillare << no,
basta, per
favore, perchè questo? >> mentre il giovane
assestò un calcio nei
gioielli di famiglia di quel bastardo << NON TOCCARE MIA
SORELLA! NON
NOMINARE MIO FRATELLO! NON PRONUNCIARE IL NOME DEI SILENTE IN VANO! HAI
CAPITO
SPORCO D’UN BABBANO???? >>. E nel frattempo
affondava, picchiava, gli
faceva sputare sangue, perchè non c’era miglior
punizione per uno stronzo che se
la prendeva con una bambina, un angelo come sua sorella, dovev
ucciderlo,
doveva renderlo zoppo, doveva perdere tutti I denti, mentre Albus e
Percival
erano giunti in quella stradina, il primo aveva raccolto la piccola e
l’aveva
portata via, messa a letto e fermato le convulsioni, che erano
diventati
attacchi isterici simili ad una possessione demoniaca, a badare a
Kendra che
stava quasi peggio di Ariana, mentre Percival, sconvolto, incapace di
credere
che se la fossero presa con una bambina, aveva cacciato la bacchetta,
che non
usava da una vita, da quando si erano stabiliti a Godric’s
Hollow per la salute
di Ariana, e li aveva puniti nell’unico modo che sapeva
utilizzare. Con quella
magia che I babbani odiavano e temevano.
Quella notte
Percival era stato condotto ad Azkaban e
giudicato colpevole di aver attaccato dei babbani senza una motivazione
lecita.
I Silente erano troppo orgogliosi per parlare di Ariana, di quella
bambina che
aveva perso la dolcezza e l’intelligenza per aver fatto
volteggiare una mela, per
essersi opposta ad una sporca banda di paese. Perchè,
pensava Percival, meglio
farsi crocifiggere lui, che aveva ottenuto già tutto dalla
vita, che rendere
pubblico un male eterno della piccola, che coprire di vergogna
Aberforth.
Meglio morire piuttosto che far male alla sua famiglia, a Kendra, ad
Albus. A
quelli che non avrebbero capito il suo gesto, non lo avrebbero
apprezzato,
divenire brutale come quei babbani, divenire peggiore. Ma lui era un
padre, e
quella notte gli era morta la sua unica figlia.
Albus
non lo capì inizialmente. Riuscì a comprendere
cosa
significasse tornare a casa, vedere Ariana nel suo lettino e non
poterle dire
niente, perchè era divenuta come una bambola di porcellana,
candida, bella per
sempre, ma vuota, distante, su un altro pianeta solo quando fu
costretto a
vivere con lei, a non poterla ignorare. Il suo spettro avrebbe per
sempre
tormentato Albus, anche cinquant’anni dopo, anche quando il
mondo magico stava
crollando sotto I colpi di Tom Riddle e la morte lo stava prendendo, e
nessuno
dei suoi vecchi amori sarebbe stato accanto a lui, solo quel figlio,
quel
nipote che non aveva mai avuto, Harry Potter, lo avrebbe guardato
preoccupato e
sconvolto cadere giù dalla torre di Astronomia.