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Autore: LeMuseInquietanti    15/01/2008    2 recensioni
spoiler hp7: è ufficiale: Albus Silente aveva amato. Amato e sofferto, amato e lottato. Cercato. Sbagliato infinite volte. Sbagliato per un amore incontrollabile, per una vita famigliare difficile. Era solo un uomo, seppure grande. Un uomo che troppe volte agì male per il Bene superiore. per il bene di un lui....Salve! La storia su Albus e Gellert avevo iniziato a pubblicarla da circa un mese, ma dopo ho deciso di fermarmi, essendomi accorta di aver sbagliato troppe cose, non avendo ben compreso il libro prima di poter mettere le mani sulla traduzione in italiano. Ad esempio, credevo che Balthilda fosse studentessa ai tempi di Al, invece era la vicina di casa nonché la zia di Gellert… quindi ripubblico questo primo capitolo, e man mano modificherò la storia, sperando che qualcuno abbia il cuore di seguirmi! Grazie mille!
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo identico a quello che avevo scritto prima di cancellare la ff, dal prossimo credo che la storia dovrebbe un po’ modificarsi… beh, Ariana non è impazzita a Godric’s Hollow, ma la Row non specifica dove sia accaduto, così ho lasciato quel paese^^

Grazie a Saki, spero di acchiapparti prima o poi su msn ( oggi sono entrata ma ho subito dovuto spegnere ), a Cathleen e Felicity89… spero vi piaccia questo capitolo, grazie anche a chi la salva tra i preferiti, spero di non deludervi!

 

ARIANA’S TALE

 

Era primavera quando Albus Silente decise di dare gli esami del sesto anno in anticipo per potersi recare a casa dalla sua famiglia e aiutare sua madre in quel difficile compito di crescere una figlia diversa. Perché Ariana Silente non si poteva definire una persona normale. Da bambina aveva incominciato a giocare con quel dono speciale che albergava nel suo stesso sangue, la magia, e aveva sperimentato la forza devastante che padroneggiare quell’arte arcana comportava. Era piccola, e forse particolarmente portata, e per questo non sapeva trattenersi dalla gioia di evocare oggetti, richiamare le mele dai rami degli alberi più alti, dal far volteggiare a mezz’aria il suo pupazzo preferito. Una volta, Albus la vide con i suoi stessi occhi, Ariana si era alzata a mezz’aria, nel centro della sala da pranzo, ed aveva galleggiato con l’aria per nulla stanca o spaventata attorno al grosso tavolo rotondo, su cui erano sparsi i suoi giocattoli intagliati nel legno, regali di Aberforth, e i libri dimenticati da Albus nella fretta di cercarne di nuovi. Ariana era una creatura meravigliosa, libera, innocente, ingenua. Sapeva far arrossire con la dolcezza del suo candore perfino le persone che credevano di esser simili alle rocce, indistruttibili, dalla flemma ruvida, inscalfibile. Perfino Percival, il loro vecchio padre, che non aveva mia riso per le battute dei suoi bambini, si era lasciato piegare dalla freschezza di quella piccola streghetta, dagli occhi luminosi, dal sorriso di perla, così fragile e minuta che a tutti appariva come un meraviglioso fantasmino ambulante. Albus la amava, e non avrebbe mai voluto distogliersi da lei. Suo fratello Ab poi, la adorava, la idolatrava. Lei era così dolce, e delicata, e non si poteva far a meno di amarla. O almeno questo avevano sempre pensato in famiglia.

<< sarai per sempre una principessa, Ariana. Nessuno potrà mai fermare la tua luce >> aveva detto una volta Aberforth, mentre cullava la piccola dai capelli rossicci e dal viso lattigginoso, affidandola ad Orfeo come ogni notte. Albus era sceso dal suo lettino saltando via dal materasso dalle molle mezze sfasciate, aveva mosso qualche passo nell’oscurità, brandendo solo un moccio di cera acceso quasi del tutto consumato, e a tentoni si era recato nella camera attigua, dove la Sovrana della famiglia ormai sonnecchiava apertamente. Aberforth aveva appena alzato lo sguardo,e Albus per la prima volta aveva notato quegli occhi. Erano azzurri e duri, simili ad un mare di ghiaccio, occhi in cui la spensieratezza doveva esser passata solo per un velocissimo tea, poi se n’era dovuta andare, senza scusarsi troppo, perché lui era solo il figlio mediano dei Silente, non era né il responsabile, favoloso, colto, intelligentissimo primogenito della famiglia, né l’adorabile principessina che cavalcava sulle nuvole e tingeva la casa d’allegria, era semplicemente un incidente che aveva imparato presto a considerarsi tale, a portare rancore verso l’incarnazione della perfezione e ad amare in segreto, a ricoprir di baci solo quando la luna era alta nel cielo e i suoi genitori si erano addormentati profondamente, quel batuffolo di dolcezza, l’unica creatura che aveva saputo sciogliere la scorza dura e rude di quel ragazzo sottovalutato. Si, solo Ariana sapeva farlo sentire un essere umano amato. Perché tra i due fratelli era nato un amore incredibile, che ardeva come il fuoco nell’inferno, alimentato costantemente dall’ossigeno della quotidianità, centuplicato nei giorni di attesa, irrazionale ed inestinguibile, un gioco in cui Ariana era la acclamatissima regina, e Aberforth il suo servo più fedele, e nessuno, nemmeno quel fratello maggiore la cui ombra avrebbe oscurato il passato e colorato la storia futura della comunità magica, avrebbe potuto interrompere, o modificare quell’equilibrio di affetto intenso, spossante, qualcosa che forse superava perfino l’amore, o forse era la forma perfetta e immutabile di quel sentimento, una sua mutazione, una sua evoluzione…

Ma Aberforth sotto sotto, non capiva che l’odio e l’amore fossero sentimenti relativi, fragili e delicati, che si scioglievano per colpa del Fato nell’istante infinitesimale di un battito di ciglia, potevano cambiare stato, e rivolgersi a persone differenti, e l’uomo non poteva né impedirlo né opporsi, poteva solo sedersi tranquillo con se stesso e accettare quel valzer irrefrenabile.

<< dorme? >> chiese Albus, sedendosi accanto al fratello, la sera che precedette l’incidente fatale. Aberforth si alzò, arrossendo allarmato. Non era abituato a farsi vedere nell’atto di sussurrare parole dolci alla sorellina, anche perché questa immagine cozzava con il suo aspetto esteriore: era un poeta, un rivoluzionario, un ribelle intrappolato nelle sembianze di un orso, non avrebbe saputo definirsi meglio. Perciò a quella domanda neutra ma così densa di significati, Ab scattò in piedi, con il capo basso, annuì con un cenno appena percettibile e poi si dileguò nella sua camera, ed Albus per un attimo credette di aver sognato suo fratello, che avesse avuto a che fare con uno spirito, ma poi a convincerlo del contrario furono quegli strani rumori dati contro le pareti azzurre della camera attigua a quella in cui dormiva Ariana, la stanza del figlio mezzano, ed erano pugni di protesta quelli con cui Aberforth si massacrava le nocche, pugni che diede con gli occhi di ghiaccio ridotti a due fessure, e i denti digrignati, l’espressione famelica da belva arrabbiata. Erano pugni per Albus quelli che sarebbero riecheggiati per sempre nella memoria del vecchio preside.

Albus li udì, e lasciò che suo fratello si sfogasse. Pensò per tirarsi su, che un giorno Ab sarebbe cresciuto. Lo avrebbe capito. Ma inizialmente, anche solo per un secondo, il giovane mago si disse tristemente che non solo suo padre, ma adesso anche suo fratello lo odiava, e lui non poteva che chiudersi in camera, accendere una nuova candela, e sedersi sul materasso dalle molle distorte, che gli si ficcavano nella pelle e lo facevano sanguinare nel sonno, prendere un libro e cominciare un nuovo viaggio, mano nella mano con i demoni della sua vita, per nulla semplice e felice come tutti credevano.

                                                **********************************

Ariana quel giorno indossava un abitino verde, che non faceva a pugni, una volta tanto, con quei capelli tipicamente color sangue, che tutti i Silente sfoggiavano per almeno una quarantina d’anni sul capo. Erano capelli di artisti e di maghi, capelli di Shakespeare e probabilmente anche di Merlino, ma a sei anni cosa poteva saperne una principessina di queste futilità da romanticoni? Ariana non sapeva nemmeno che la sua nazione di lì a poco sarebbe entrata in guerra, o che ormai non ci fosse denaro nemmeno per comprare una bambola di porcellana da donarle a natale, non sapeva che suo fratello Aberforth aveva pianto lacrime amare quando se n’era reso conto, né poteva capire perché Albus la osservasse con quegli occhi furbi ed ironici, e le sorridesse in maniera enigmatica ogni qualvolta i loro sguardi si incontrassero. Sapeva però da qualche tempo che se solo lei lo avesse voluto, intensamente desiderato si intende, allora le mele del vecchio fattore Jones si sarebbero ribellate alla pianta madre, seppure imponente e arcigna, che avrebbero sconfitto la gravità e sarebbero planate dritte dritte nella sua manina grassoccia, così come, sempre se lei lo avesse bramato, sarebbe potuto accadere l’effetto contrario, e lei si sarebbe distaccata dal terreno, ritrovata a mezz’aria come una piccola nuvola, e avrebbe potuto raggiungere anche i rami più alti, dove le mele migliori crescevano illuminate dal sole, lentamente. Non poteva spiegarsi sul serio quel fenomeno, ma qualunque cosa fosse, le causava esplosioni di incontenibile gioia, voglia di ridere e di elargire bacetti alla madre e agli uomini della famiglia, che li ricevevano ora sorridendo e ricambiando, ora facendosi rossi e irrigidendosi, come nel caso di suo padre e di Abby, il cui nome troppo difficile per lei era stato devastato e storpiato in quella maniera per nulla virile e gratificante. Ariana però, per quanto amasse Kendra e Aberforth e si fidasse di Percival e del fratello maggiore, creatura assente per studi e impegni, ma decisamente oggetto di molte attenzioni per una principessa come lei, si decise a mantener chiusa la bocca circa quelle sue capacità perché le sembrava che se avesse dato un nome alla magia l’avrebbe immancabilmente persa, e Ariana non avrebbe certamente retto a tale mancanza.

Poiché la minaccia della guerra aveva fatto chiudere le scuole e i negozi, seppure quello fosse un lunedì di maggio come tanti, Ariana si rese conto che l’intero paese di Godric’s Hollow fosse gettato per strada, apparentemente senza fare niente: gli uomini si lanciavano fra loro occhiate furtive e turbate, le donne parevano avessero da sfamare un esercito per quanto pane arraffavano, uscendo cariche come muli dal fornaio di fiducia, le giovanette si avvicinavano furtivamente ai loro fidanzati segreti, con i visi appannati dal pianto e rossi per l’emozione, e infilavano nelle loro tasche delle lettere d’amore melense e fitte di terrore, terrore perché per una volta tanto avevano ascoltato alla radio e poi letto sui giornali di quello strano folletto vestito di verde, che si preparava a distruggere l’Europa e a plasmarla in una forma del tutto poco piacevole. I giovani blandivano le ragazzine, si battevano il petto con la mano pesante, come fosse un invito a tastare la loro forza interiore e fisica. Si sentivano esaltati e pronti alla battaglia, era tempo di sbattere in galera una volta e per tutti quei diavoli dei tedeschi, così finalmente gli inglesi avrebbero dimostrato il proprio coraggio, la loro superiorità. Ariana vide dei bambini che stavano in cerchio attorno ad una bancarella del mercato squallido e sbilenco che per la troppa gente assomigliava ad una malinconica fiera, li osservò e le parvero ammassati e sognanti, e ridendo felice decise di avvicinarsi anche lei, perché non le pareva vero di incontrare degli esemplari di cuccioli di uomini, visto che gli unici bambini che lei potesse ricordare erano i suoi fratelli, che comunque stavano già assumendo una forma diversa e sconosciuta, e sembravano sempre di meno quei due bambini rossi e allegri che lei si ricordava vagamente d’aver conosciuto anni addietro, e di aver spartito con loro i bagni nello stagno e le merende pomeridiane.

Quando Ariana si mise a correre verso quei bambini che si quasi picchiavano per contendersi la trincea di una strana bancarella Albus e Aberforth la scorsero saltellare poco distante dal bar in cui stavano placidamente bevendo un po’ di burrobirra. Albus aveva notato le mani graffiate del fratello, ma aveva preferito fingerle di non essersene accorto. Se fosse stato possibile, quella reazione così finta aveva reso ancora più livido Aberforth, il quale beveva per non sputar veleno, e quasi si era dimenticato il perché si trovassero lì: Kendra aveva chiesto loro di dare un’occhiata alla piccola Ariana, perché la piccola non aveva ancora ben chiaro il confine tra il lecito e l’illecito, e probabilmente avrebbe potuto ingenuamente usare la magia mentre i babbani sbrigavano le loro faccende giornaliere. Kendra non voleva scandali, non dopo l’ultima figuraccia di Perce alla festa del paese, quando aveva bevuto troppo e ne aveva dette di tutti i colori sulla moglie e sui figli, l’aveva chiamata puttana, aveva gridato che Albus non era suo figlio, che Aberforth era un idiota senza cervello e che la loro bambina stava male un giorno si e uno no perché la madre preferiva battere le strade con il sedere all’aria piuttosto che badare all’incolumità della loro creatura. Kendra, ferita e oltraggiata, non aveva proferito parola. Davanti alla folla di mogli e di bambini incuriositi che avevano assistito a quella scena, ella prese per il polso il marito, con la delicatezza che solo le madri conoscono, e aveva sussurrato ad Albus di tornare a casa non appena finiva la festa << vado a mettere a nanna papà, Ariana cara >> aveva detto alla figlioletta, ed era sfuggita, simile al profumo delle rose spazzato via dal vento, con la dignità intatta e il cuore grave come un macigno.

<< sembra che Ariana stia socializzando >> disse all’improvviso Albus, indicando la bancarella dei trucchi di magia, dove la carta rossa vinceva e quelle blu perdevano,e bisognava scoprire dove si nascondeva la noce dai bordi ammuffiti. Aberforth non vedeva di buon occhio le amicizie tra nanerottoli, così come amava definire i lattanti, perché quelle erano le peggiori alleanze possibili, inossidabili, indelebili. Non cambiare, restare in stallo con le proprie idee conduceva alla rovina, o per lo meno lui la vedeva così. Per questo cercava ogni giorno di vedere suo fratello come un esempio, e non come qualcosa con cui paragonarsi e vedersi sempre inferiore. Ma poi, chi non si sentiva così, di fronte ad Albus- sono fatto d’oro- Silente?

<< sembra che sia così >> commentò freddo, e si pulì le labbra dalla schiuma amarognola della sua bevanda, con fare risoluto. << com’è la scuola, fratello? >>

Albus si illuminò a quella domanda << oh, è un luogo stupendo. Mi stimano tutti e non vedono in mio padre l’essere violento, freddo e detestabile che si dimostra a Godric’s Hollow. Credono che sia un comune uomo, e che un giorno anche noi diventeremo come lui >>. Abbassò il capo, sentendo che le lacrime che aveva sempre represso in onore di sua madre stavano per sgorgare. Bisognava piangere, per non avere più lacrime da gettare.

<< non fare la femminuccia con me! >> disse il fratello, fingendosi schifato. Ma in fondo ammirava anche un lato così dannatamente poco virile del fratello, perchè lui sarebbe morto piuttosto che mostrarsi nudo di fronte al mondo. Era un orso, e solo Ariana poteva sapere che anche lui era in grado perfino di amare.

<< io non voglio diventare come Percival! Non voglio ubriacarmi, non voglio far la fine dei miserabili, Ab! Io non posso ridurmi così! >>.

Suo fratello si strozzò con la burrobirra, battè una mano violentemente sul tavolo. I suoi occhi gravi si riempirono di dissenso.

<< cosa c’è che non va in nostro padre? Non ci ha mai picchiato, sbraita solamente, e quelle sberle che ci da ogni tanto servono a raddrizzarci! Se ti sembra miserabile uno che si spacca la schiena per portare il pane a casa e tener su una famiglia, allora non riesco proprio a decifrare il tuo modo di pensare! Ma fai pure, sono sicuro che sai cosa è meglio per te! Sai sempre tutto tu! >>

Albus fissò intensamente suo fratello, il boccale adagiato sul bancone lurido ed un libro aperto sulle gambe. L’impressione che diede fu di voler supplicare << voglio solo portarvi via di qui >>

<< non si può Albus! Presto verrà la guerra, e io combatterò mentre tu prenderai onoreficenze su onoreficenze, una catasta di premi e titoli con cui io potrei benissimo pulirmi le chiappe. La vita vera è quella in cui si suda, si marcisce, si sanguina. È vedere Ariana crescere e sperare per lei un mondo migliore. No si sfugge da qui, e lo sappiamo bene. Per questo io lavorerò fino a sentirmi vecchio, e mi comprerò una locanda, e farò I soldi con cui manterrò la mia famiglia, se Dio me ne darà una. Non si sfugge da qui, Albus >>

Albus avrebbe replicato, magari con qualche virtuosismo imparato a memoria dai suoi amati trattati di scuola, ma un urlo riempì l’aria surriscaldata di un maggio anacronistico.

<< come hai fatto? Dicci come hai fatto! >>

Bastò poco ai fratelli per scorgere una folla di bambini inferociti che stavano sommergendo e circondando la piccola Ariana. E lei, minuscola, bianchissima, con in mano la noce marcia che il ragazzo bugiardo che si spacciava per mago aveva infilato nel suo cappello, stava tremando per il terrore.

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Ariana sgomitò fino a trovarsi all’altezza della bancarella. Vide tre bicchieri scuri capovolti ed un ragazzino con in testa un cappello troppo grande che li mescolava, usando un ritmo ipnotico, veloce, impossibile da seguire. Anche lei ne rimase colpita. Come molti altri bambini, cacciò fuori la lingua, in segno di ammirazione. Il ragazzino vide quella nanerottola lattiginosa e seppe di aver trovato un nuovo pollo da spennare. Sorrise smagliante << e chi abbiamo qui! Una topolina! Allora bella bimba, perchè non provi questo gioco? Se trovi la noce che sta sotto a uno dei tre bicchieri vinci. Vuoi giocare? Ehi, vedo che ti ho convinto! Allora guarda bene: la noce è qui. Adesso mescolo >> prese a trafficare con I bicchieri, a dare di matto in un valzer di cristalli che cozzavano l’uno contro l’altro senza ritegno. Dopo un po’ le chiese dove fosse quella nocella.

Ariana si portò un dito sulle labbra pensosa. Poi indicò senza parlare il cappello bluastro dell’accattone.

Fu come una folata di vento, quella che partì dal dito della piccola. Peccato che Ariana avesse appena fatto una magia, davanti a dei babbani, e dei bagliori rossastri si fossero dispersi nell’aria. Il ragazzo vide la noce galleggiare a mezz’aria, finire direttamente nelle mani della bambina che la osservò soddisfatta raggiante. << cosa ho vinto? >>

 

Da allora, per tutta l’estate, Ariana, Albus e Aberforth vissero come dei vampiri. Uscivano solo a notte fonda, e non potevano far rumore, in parte per quella gente impicciona, che aveva assistito alla scena della levitazione di una fottuta noce, in parte perchè Percival aveva dato di matto, prendendo a sberle I suoi figli maschi, che non sapevano nemmeno difendere la loro sorellina senza darla in pasto ai babbani alla prima occasione. Ariana fortunatamente non aveva capito cos’era accaduto. O meglio, aveva creduto che la stessero prendendo in giro, perchè non aveva valutato che ci fosse gente incapace di far volare gli oggetti a piacimento, anzi, non credeva di essere lei la persona anormale. Aberforth e Albus non avevano avuto il cuore di rivelarglielo, nemmeno quando l’avevano strappata da quella babele di folletti curiosi che le si erano accalcati addosso, che l’avevano pizzicata, toccata, chiamata strega, si erano rubati quel premio di superiorità, la noce della discordia, e avevano voluto sapere come ci fosse riuscita, il truffatore compreso. Ariana non aveva capito e sinceramente era stato un sollievo sentire le mani delicate di Albus che la trascinavano via, mentre Aberforth intimava al ragazzino furfante di stare alla larga da sua sorella, di non parlarle mai più, di andare a farsi fottere, se non voleva assaggiare la forza delle mani di quel lavoratore serio, indurito come una quercia.

<< tu non devi mostrare la tua bravura alla gente, Arya >> le aveva detto la stessa sera Aberforth, mentre Kendra piangeva e Percival si sfogava a lanciar calci contro il muro. Albus era uscito a fare quattro passi, scappato via come sempre. Ariana aveva guardato suo fratello con occhi docili, dolcissimi, occhi da donna. Per la prima volta Aberforth capì che proprio gli occhi la rendevano così speciale, nella sua anima. << perchè non posso, Abby? >> chiese la bimba, fra le lacrime.

Il fratello la strinse forte a se << perchè la gente è gelosa, e non capirebbe quello che siamo >>

Ariana cercò di far tesoro delle parole del fratello, ci provò sul serio a reprimere quella sua forza inspiegabilmente forte, tentò anche di affogarla, di rispedirla al mittente, ma la magia restava semre lì, chiusa in gabbia, relegata nel suo corpicino. Le dava fastidio, la cattività. La tediava, vedere l’estate morire, poter uscire solo di notte. Lei aveva paura del buio perchè non poteva più accendere mille lucine rosse con cui farsi forza. Suo padre, sua madre, I suoi fratelli glielo avevano ripetuto troppe volte. La bambina diede un’occhiata a Kendra, che sonnecchiava nel suo letto dopo giorni di continuata insonnia. Suo padre e I suoi fratelli erano andati a Diagon Alley, a far compere per il primo anno di Aberforth. La finestra era socchiusa.

Le parve un reato non godersi un sole talmente luminoso, che la richiamava come un amante insoddisfatto, con quei raggi splendenti, dorati.

Fu allora che Ariana fece l’incontro che le avrebbe distrutto la vita. Una banda di quindicenni la riconobbe come la strega bambina che muoveva le cose e adorava il demonio, colei che avrebbe gettato il malocchio sull’isola e avrebbe fatto entrare i tedeschi con questo e quell’altro metodo maligno. Una bambina pericolosa, o una semplice impostora, in entrambi I casi un essere da punire. Da zittire. Questo pensava la banda di Godric’s Hollow.

 

La banda di Godric’s Hollow consisteva un gruppo eterogeneo di banditi quindicenni che avevano dimenticato la cartella il primo giorno di scuola e l’avevano lasciata ad ammuffire in quella catapecchia vuota appena dietro la chiesa preferendo svaligiare le tasche dei passanti e passare la vita imparando il gergo e le abitudini dei ladruncoli di strada fino a perferzionarsi nella lotta agli angoli di strada, nelle occhiate torve, nello schernire e nel trovare difetti su tutti, nel non temere nemmeno la regina in persona, nel non lasciarsi scappare una giornata di mercato dove rubare un po’ di cibo da portare a casa, coperti dai genitori ridotti a scheletri per l’inflazione, nel non lasciarsi sfuggire le stranezze di quei tre fratelli dai capelli rossi, uno più svitato dell’altro. La banda di Godric’s Hollow riconosceva universalmente nel primogenito la figura del secchione disperato che parlava con le farfalle, in assenza di amici in carne ed ossa. Sarebbe diventato un depresso, o lo avrebbero castrato presto o tardi uno degli uomini che avrebbe cercato di violentare. Il secondogenito sembrava affetto da autismo. Non parlava con nessuno, non faceva che guardare il mondo con occhi torvi colmi di rancore, la banda riteneva che nelle notti di luna piena subisse la trasformazione in mannaro e che passasse il tempo sbattendo convulsamente la testa contro la scroza delle robuste querce. E la piccola Silente? Beh, quella era l’apoteosi della follia: a parte che assomigliava ad un folletto, poi aveva quei capelli rossi per cui l’avrebbero cotta nell’olio bollente solo due secoli prima, e per di più il capo di quella comitiva di strada, Joe mano svelta, aveva visto all’opera le stranezze di quella creatura. Tutto il paese l’aveva vista: aveva svelato il trucco con cui Joe campava da cinque anni, da quando era un bambino cencioso pieno di pidocchi, e aveva fatto volteggiare la noce stagionata e coperta da una sorta di peluria verdastra, nel cielo del paesino, fino a portasela nella mano. La banda non capiva come avesse fatto, ma sapeva, nonostante nessuno dei quindicenni avesse mai aperto libro, che quegli atteggiamenti potevano esser definiti solo con il termine stregoneria. Che poi Ariana fosse davvero una strega, ai giovani di strada poco importava. Quando la videro correre allegramente per le stradine sbilenche che portavano ai campi di mele, Joe mano svelta, che quel giorno non era andato a guadagnarsi da vivere perchè ormai tutti conoscevano il suo trucco, sorrise malignamente, e con un gesto della mano richiamò a se gli altri ragazzi, che stavano placidamente masticando un po’ d’erba e fumando sigarette artigianali. << ehi, guardate un po’ chi sta passando! >>

<< ma è quella stramba di Ariana Silente! >> disse una giovinetta che aveva imparato troppo presto a tener le gambe aperte per qualche spicciolo in più << ehi! Ariana! Vieni qui! >>

La bambina non se lo fece ripetere due volte. Corse dolcemente, fata della primavera, verso quel gruppo sorridente, che pareva volessero farle delle coccole, o magari insegnarle altri trucchi, perchè aveva riconosciuto Joe anche senza il suo cappello ridicolo.

<< cosa volete? >> chiese la piccola, quando fu faccia a faccia con la ragazzina dal viso disilluso e dall’aria troppo sveglia.

<< niente di che! Io e I miei amici ci domandavamo … tu come hai fatto a scoprire il giochetto di Joe? Insomma, insegnacelo, saremmo felici di imparare da te! >>

Ariana rimase sorpresa, aprì la bocca, scosse il capo dolcemente << basta puntare il dito e gli oggetti volano >>

<< faccelo vedere! >>

La bambina scosse il capo << non posso! >>

<< e perchè, di grazia? >>

Ariana rimase in silenzio: Aberforth le aveva fatto promettere che non avrebbe usato la magia in pubblico. Non poteva, ecco tutto.

Un giovanotto scoppiò a ridere << ah, Joe ti sei fatto fregare! Questa nanetta non ha niente di speciale, sei tu che perdi colpi! >>. Le guance di Ariana si colorarono di rosso intenso.

Una seconda ragazzina si avvicinò dolcemente e le chiese una dimostrazione. << certi credono che tu dica bugie, Ariana. Tua mamma ti ha spiegato che le bugie sono un peccato? Bene, allora fai vedere a questi miscredenti che tu sei davvero capace di muovere gli oggetti >>

Ariana si guardò attorno rassegnata. Lottò con la sua coscienza, ma gli sguardi della banda di Godric’s Hollow erano scettici e le facevano male. Allora cercò qualcosa che potesse smuovere, lo individuò: aprì il palmo verso una mela matura posta ad almeno quattro metri di altezza, e in un attimo essa le venne in mano, mentre tutti I giovani la osservarono incuriositi e sconvolti. Solo Joe si fece avanti, con un sigaro stretto fra I denti. Le accarezzò la testa, e Ariana lo lasciò fare << bambina, come è possibile che tu sappia fare queste cose? >>

<< non lo so >> replicò lei, sinceramente.

Joe le strattonò il capo, stringendole I capelli in un pugno << sai come si chiama questa tua capacità? >>

<< MI FAI MALE! >> gridò la piccola, piangendo e sospirando affannata. Le ragazzine scoppiarono a ridere, Joe le stava strappando I capelli. L’avrebbe rapata, sarebbe diventata una palla lucida la sua testa.

<< sei una STREGA! >>

<< si, strega! >>

<< STREGA, STREGA STREGA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! >>

La banda la indicava, rideva, strillava, le sputava addosso, qualcuno la spingeva, le davano calci, la prendevano in braccio e la poggiavano sui rami di un albero. Le tirarono sassi, le strapparono gli abiti ridendo come porci, continuando a chiamarla strega. Ariana non sapeva che fosse un difetto essere una strega. Perchè nessuno glielo aveva detto? Perchè continuava a piangere, e nessuno la veniva a salvare? Chiuse gli occhi, aspettando che Albus o Aberforth la scorgessero, ma I suoi fratelli dovevano essere lontani, e lei era fuggita di casa, nessuno sapeva dove si trovava. Era nei guai. Tremava, piangeva.

<< scendi giù se ci riesci, sporca stregaccia! >>

<< perchè mi fate questo? >> chiese Ariana, piangendo disperata.

Joe le lanciò la mela raccolta per magia addosso. La colpì in piena faccia, la rabbia le annebbiò la vista. Lui la fissò rabbiosa << perchè ti facciamo questo? Perchè voi ci fate questo! Andatevene da questo paese! Siete come una maledizione! Streghe e adoratori del demonio non ci servono! Ci fate schifo! >>

E dopo averla maltrattata un altro po’, I babbani della banda scapparono ridendo e saltellando, mentre Ariana piangeva, raggomitolata sul ramo su cui l’avevano adagiata, sporca di sputi e pien di bernoccoli e graffi, tremante come una foglia al vento, sconvolta e diversa per sempre: lei era strana, lei era diversa. Nessuno l’avrebbe mai accettata.

Albus, Percival e Aberforth stavano ritornando a casa, su un vecchio calesse trainato da un vecchio cavallo. La notte era da parecchio calata sulle colline del paese, la gente si era rintanata a casa per godersi il meritato sonno dei giusti, tranne qualche luce alla finestra, le tenebre regnavano sovrane. << dovrebbe essere sempre così >> sorrise Percival, grattandosi la barba appena colorata di grigio. Albus si stupì dello sguardo di suo padre, non l’aveva mai visto così luminoso.

Fu Aberforth il primo a capire che qualcosa non andasse, quando vide quelle strane fiaccole accese nella notte << ma che diavolo succede? >>. Indicò agli uomini un puntolino nell’orizzonte, un circolo di piccole luci che a quell’ora non sarebbero dovute restar accese. A cosa serviva, quella specie di faro nel nulla? Che fosse una processione di spiriti in rivolta?

Percival aumentò il passo del calesse, pressando sul cavallo stanco e in men che non si dica essi videro Kendra in un mare di lacrime, rossa in viso e con I capelli scomposti che le erano franati addosso, che assomigliava davvero ad uno spettro in pena, afflitto dal peggiore dei mali che una madre possa sopportare. La folla di donne del paese e dei loro mariti si muovevano preoccupati in ogni dove, spostando oggetti, guardando in ogni angolo, scuotendo il capo, quasi in lacrime.

<< è sparita Ariana! >> strillò, non appena riconobbe gli uomini della sua famiglia. Aberforth sbiancò: il tempo che Albus resse Kendra, ormai in procinto di svenire, e Percival cominciasse a chiedere spiegazioni strattonando la moglie preso dalla furia, il giovanotto orso partì in una corsa marziale, sfrenata, irrefrenabile, mentre il viso gli si colorava di rosso, e il cuore gli esplodeva in petto.

<< ARIANA! ARIANA! >> strillava, mentre scalciava di strada in strada, mandava al diavolo le coppiette di amanti che si erano incontrate per qualche bacio rubato, gettando scompiglio nei vicoli ciechi, svegliando I bambini, incrociandosi con Joe e la sua banda, che riconosciutolo non potè che scoppiare a ridere.

Quando fu sicuro che sua sorella non fosse nel paese, tentò di percorrere I campi di mele che la piccola era solita prediligere nelle sue peregrinazioni pomeridiane, prima dell’orrendo incidente. Per questo riprese a gridare, ruggendo come un leone, senza darsi pace. << ARIANA ARIANA!!! >>

Un sussurro lo riportò alla vita << Abby >>

Aberforth quasi svenne quando la vide: raggomitolata, raffreddata, tremante, sporca. Mezza nuda. Senza pensarci usò la magia e se la caricò in braccio, coprendola di abbracci, togliendosi la camicia per scaldarla, baciandola dolcemente, mormorandole parole di conforto. Nonostante gli prudessero le mani da morire. << chi ti ha fatto questo? Ariana, chi ti ha fatto questo? >>

La bambina non rispose, scoppiò a piangere, continuò a tremare, senza che lui potesse capire. Aberforth si godette la passeggiata con in braccio l’unica persona che amasse davvero. Quando passarono davanti a Joe e alla sua banda, il fratello mediano notò in Ariana un cambiamento: la piccola iniziò a battere I denti, e il corpo fu scosso da convulsioni irrefrenabili.

<< merda >> disse Aberforth. Erano stati loro.

Joe lo fissava, come a volerlo sfidare << cosa vuoi, Silente? Per caso sei venuto a dirmi che tuo fratello si è innamorato di me? O per caso vogliamo parlare di quella strega di tua sorella? Sappiamo tutto, sappiamo delle vostre deviazioni! Tornatevene da dove siete venuti, adoratori del demonio! >> e lo prese a sbeffeggiare e rise come un idiota, spalleggiato dai suoi copagni idioti. Aberforth non ci vide più. Poggiò a terra Ariana, che riprese a gridare e a strapparsi I capelli, scossa da tremori che non erano di quella terra, a strillare << no, basta, per favore, perchè questo? >> mentre il giovane assestò un calcio nei gioielli di famiglia di quel bastardo << NON TOCCARE MIA SORELLA! NON NOMINARE MIO FRATELLO! NON PRONUNCIARE IL NOME DEI SILENTE IN VANO! HAI CAPITO SPORCO D’UN BABBANO???? >>. E nel frattempo affondava, picchiava, gli faceva sputare sangue, perchè non c’era miglior punizione per uno stronzo che se la prendeva con una bambina, un angelo come sua sorella, dovev ucciderlo, doveva renderlo zoppo, doveva perdere tutti I denti, mentre Albus e Percival erano giunti in quella stradina, il primo aveva raccolto la piccola e l’aveva portata via, messa a letto e fermato le convulsioni, che erano diventati attacchi isterici simili ad una possessione demoniaca, a badare a Kendra che stava quasi peggio di Ariana, mentre Percival, sconvolto, incapace di credere che se la fossero presa con una bambina, aveva cacciato la bacchetta, che non usava da una vita, da quando si erano stabiliti a Godric’s Hollow per la salute di Ariana, e li aveva puniti nell’unico modo che sapeva utilizzare. Con quella magia che I babbani odiavano e temevano.

 

Quella notte Percival era stato condotto ad Azkaban e giudicato colpevole di aver attaccato dei babbani senza una motivazione lecita. I Silente erano troppo orgogliosi per parlare di Ariana, di quella bambina che aveva perso la dolcezza e l’intelligenza per aver fatto volteggiare una mela, per essersi opposta ad una sporca banda di paese. Perchè, pensava Percival, meglio farsi crocifiggere lui, che aveva ottenuto già tutto dalla vita, che rendere pubblico un male eterno della piccola, che coprire di vergogna Aberforth. Meglio morire piuttosto che far male alla sua famiglia, a Kendra, ad Albus. A quelli che non avrebbero capito il suo gesto, non lo avrebbero apprezzato, divenire brutale come quei babbani, divenire peggiore. Ma lui era un padre, e quella notte gli era morta la sua unica figlia.

 

Albus non lo capì inizialmente. Riuscì a comprendere cosa significasse tornare a casa, vedere Ariana nel suo lettino e non poterle dire niente, perchè era divenuta come una bambola di porcellana, candida, bella per sempre, ma vuota, distante, su un altro pianeta solo quando fu costretto a vivere con lei, a non poterla ignorare. Il suo spettro avrebbe per sempre tormentato Albus, anche cinquant’anni dopo, anche quando il mondo magico stava crollando sotto I colpi di Tom Riddle e la morte lo stava prendendo, e nessuno dei suoi vecchi amori sarebbe stato accanto a lui, solo quel figlio, quel nipote che non aveva mai avuto, Harry Potter, lo avrebbe guardato preoccupato e sconvolto cadere giù dalla torre di Astronomia.

  
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