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Autore: _Any    07/07/2013    9 recensioni
Avete presente quelle storie dove una ragazza ribelle e contro la società incontra uno dei Green Day e se ne innamora?
Ecco.
SCORDATEVELE.
Alice è tutt'altro che perfetta. Non è una ribelle, è timida, impacciata, maldestra e si lascia manipolare troppo facilmente.
Ha una sorella gemella e nessun amico, eppure le va bene così.
Ma una telefonata anonima metterà seriamente in crisi il suo piccolo mondo.
E se ci fosse qualcosa di buono anche nell'oscurità che circonda la sua gabbietta dorata?
Varrà davvero la pena di uscire?
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2 gennaio 2013


Uno scossone mi fa sobbalzare un attimo.

Scuoto la testa.

Non è niente, è normale che ogni tanto succeda, penso dondolando un po' la testa e riappoggiandomi allo schienale del mio sedile.

Guardo alla mia sinistra, Evelyn sta con gli occhi chiusi e le cuffiette nelle orecchie.

Forse anche lei ieri notte non ha dormito.

Non so perché, ma il pensiero mi fa sorridere.

Almeno non sono l'unica che si è emozionata per questa cosa, penso socchiudendo gli occhi.

Il treno è così tranquillo, il vagone è solo nostro e la luce del mattino non mi dà fastidio, anzi, mi rilassa.

L'espressione di Evelyn si contrae, apre gli occhi piano.

«Che succede?» le chiedo osservandola.

«Uhm... si è fermata la musica.» mugola tirando l'iPod fuori dalla borsa.

Per un secondo ripenso al mio vecchio walkman, quello che ho conservato a casa.

La tecnologia è cambiata molto in tutto questo tempo.

Sul piccolo schermo di quell'aggeggio appare il logo di American Idiot, sorrido vedendolo.

«Però, abbiamo cambiato musica?» ridacchio.

«È inutile che gioisci, le canzoni sono belle dopotutto. È solo per quello.» risponde secca lei, forse un po' imbarazzata perché colta “in flagrante”.

Come se fosse un reato poi ascoltare le loro canzoni.

Dopo un po' sospira, si toglie le cuffiette.

«Che ore sono?» mi chiede.

«Le 9:00, probabilmente siamo quasi arrivate.» le sorrido.

«Di già?» chiede perplessa.

Eh già, manca davvero poco, eh?

Cavoli, al solo pensiero sento un brividino di emozione che mi corre lungo la schiena.

Non sto andando a fare niente di strano, me lo devo solo ricordare.

Ah... niente da fare. Il mio cervello non vuole proprio saperne dell'idea di mantenere la freddezza.

Evelyn sospira.

«Lisa non mi ha fatto chiudere occhio stanotte...» si lamenta.

«Oh, come mai?» le chiedo incuriosita.

«Beh, sai, l'idea che starò via due settimane non le andava molto giù.» sorride.

È felice che sua figlia sia così legata a lei dopotutto.

«Ha solo 11 anni, è normale.» sorrido intenerita.

«Già, anche se molti ragazzini sono freddi e distaccati in questa età, lei non lo è. Ha molto di te, sai?» mi squadra con lo sguardo tipico di una madre.

Annuisco un po' malinconicamente.

Evelyn ha avuto una vita perfetta finora: è sposata e ha una figlia che probabilmente è la cosa più tenera e dolce che il pianeta abbia mai visto.

E io... beh, io sono sola.

È umiliante in effetti ammetterlo, ma Jake, il mio ex mi ha mollata poco prima del nostro ipotetico matrimonio.

Già.

Precisamente due giorni prima l'ho scoperto un'altra donna di cui non so neanche il nome: non aveva il coraggio di lasciare una delle due, così gli ho tolto il peso di dover prendere una decisione e l'ho lasciato io.

Che vigliacco, almeno non mi sono sposata con la persona sbagliata.

Già, anche se razionalmente lo so, questa cosa continua a farmi male.

Sì, è un'idiota, però... insomma, mi ero innamorata di lui.

Oramai è passato molto tempo, ma non sono mai più stata con nessun altro. Dopo quest'esperienza tutti mi sembrano così superficiali, interessati a qualcosa che non sono io.

Non è stato un bel momento e sarebbe meglio non pensarci a meno che non voglia deprimermi proprio ora.

E non è il caso.

Per niente.

Oramai ho 41 anni, in teoria avrei già dovuto avere una famiglia, dei figli... e invece no.

Almeno però ho un lavoro abbastanza decente: sono una psicologa abbastanza conosciuta e amo lavorare con gli adolescenti, quelli che credono di non avere speranza.

Mi accusano di essere ingenua certe volte, perché voglio vedere le cose in positivo, ma gli ingenui sono loro, quelli che si vogliono nascondere dietro un semplice “tanto è impossibile” prima di tentare ogni cosa.

Sospiro.

«Sei nervosa?» mi chiede Evelyn.

«Dovrei?» cerco di dissimulare.

In realtà ogni volta che ci penso sento un'emozione crescente, come una ragazzina che va al concerto del suo cantante preferito.

«Smettila di far finta di niente! Guarda che lo so.» mi riprende lei con dolcezza.

«Cosa sai?» le chiedo continuando a guardare il mio cellulare tentando di distrarmi.

«Che non è facile rientrare nella vita di una persona... soprattutto se non la vedi da venticinque anni.»

Colpita e affondata.


«Aspetta... non lo so, fai qualcosa! Fatti riconoscere!» cerco di dire nel cellulare cercando di farmi sentire nonostante il rumore della stazione.

«Oh, aspetta... potrei sventolare qualcosa in aria! Guarda, sono quella che agita quella borsa nera! Mi vedi?» una voce squillante mi risponde.

Mi sforzo e finalmente la vedo, una donna in lontananza che saltella sul posto agitando un oggetto indefinito.

«Sì! Ti ho vista, ora ti raggiungiamo!» sorrido trionfante chiudendo la telefonata.

Prendo per mano Evelyn e inizio a farmi spazio tra la gente che corre chissà dove.

«È quella tipa laggiù?» mi chiede mia sorella.

Ed ecco la prima persona che incontro dopo venticinque anni precisi.

Diamine, che imbarazzo, chissà cosa dovrei dire per rompere il ghiaccio?

Oramai non faccio più parte della sua vita, forse non avrei mai neanche dovuto contattarla...?

No, no.

C'è un motivo se ho preso un treno per arrivare fino ad Oakland, non posso tirarmi indietro alla prima difficoltà.

Annuisco e finalmente la raggiungiamo.

«Aliiiiiiiice!» corre Viola saltandomi letteralmente al collo.

«E-ehi...!» mormoro lievemente imbarazzata.

Si stacca e mi sorride.

Cavoli... ha ancora la stessa energia di quando avevamo 16 anni... è incredibile, penso sorridendo.

«Ciao Evelyn! Sono felice di rivedervi dopo tutto questo tempo! Che fine avevate fatto che non mi trovavate?» chiede allegramente.

Sorrido rilassata.

Con lei non c'è bisogno di rompere il ghiaccio.

«Beh, avevamo preso l'uscita sbagliata e stavamo andando in direzione opposta a te.» sorrido di me stessa e della mia fretta iniziando a camminare verso la città, verso Oakland, finalmente!


«Oh bene, già hai fatto tutto allora!» sorride Evelyn.

«A-aspetta un attimo Viola, non mi hai detto niente!» dico perplessa.

«Beh, mi sembrava ovvio che dovessi avvertire anche loro, no? E poi scusa, se non volevi farlo perché saresti venuta fin qui?» mi chiede la nostra guida mentre ci riposiamo un attimo al tavolino di un bar.

«Ah, e poi mi dà fastidio essere chiamata Viola, non puoi chiamarmi semplicemente Vyol come l'ultima volta che ci siamo viste?» mi sorride con un velo di malinconia. «Non credo che adesso chiamerai quei due Michael e Frank, no?» mi provoca un po'.

Michael e Frank?

Decisamente no, sarebbe un po' troppo freddo...

Ah, dovrei farmi un po' meno problemi, dopotutto loro non danno la minima importanza a queste cose!

«No, sarebbe un po' troppo.» sorrido allo stesso modo.

«Comunque quando e dove li incontreremo?» chiede mia sorella guardandomi.

«Tra mezz'ora... a casa di Tré.» dice Vyol.

«A casa?!» sussulto.

«Che c'è di strano? Sai, non è una grande idea incontrarci fuori considerando che le fan sono ovunque.» dice lei a bassa voce.

Giusto, certe volte mi dimentico della loro fama, di quello che sono diventati.

«Ha ragione, Lyss.» dice Evelyn prima di portarsi alle labbra il suo caffè.

«Sì, non ci avevo pensato, scusate.» sorrido un po' falsamente.

È così triste certe volte pensare a come le cose siano cambiate.

Non rivedrò mai più Christie Road.

Non rivedrò mai più quei tre pazzi che non facevano altro che suonare e fumare canne tutto il giorno.

Non vedrò mai più l'ira e l'amore.

Non c'è più niente, ora c'è la maturità di tre uomini adulti.

E io...?

Anche io sono maturata, no? Non dovrei lamentarmi.

Cosa darei per tornare indietro, per cambiare il mio presente dal passato.

Avrei potuto avere una vita fantastica e l'ho gettata via in nome della normalità.

Perché sono stata così stupida venticinque anni fa?

Tutto è partito da quella stupida scelta che ha portato al fallimento della mia vita sentimentale.

E invece mi devo limitare ad accettare il passato senza neanche chiedermi il senso delle cose, come un dogma.

O peggio, mi devo limitare a non pensarci, a far finta che non sia mai esistito... forse sarebbe meglio.

No, no. Non posso.

Fingere che non sia mai esistito è un errore, è lo stesso errore per cui ho deciso di fare questo viaggio.

Scuoto la testa.

Io sto bene.

Il tempo continuerà a scorrere anche se non sono io a deciderlo, le cose succederanno e io ci sarò.

E non serve che cerchi di prevederle in anticipo.

Tanto non potrei riuscirci, in ogni caso.

Sono ad Oakland, sto per rivedere delle persone che vorrei rincontrare da una vita, cosa può esserci di sbagliato in questo?

Io ho un compito!

«Lyss, stai bene? Ti vedo pensierosa...» mi richiama all'attenzione Vyol.

Sorrido.

«Mai stata meglio!» dico e stavolta sono sincera.

Non puoi cercare di aiutare qualcuno se ti trovi nel suo stesso problema, non puoi far capire a una persona la bellezza della vita se tu stesso vuoi la morte.


Vyol, sbuffando, mi passa davanti e preme quel pulsante dorato accanto alla porta d'ingresso della casa.

Poco prima io ed Evelyn avevamo posato i nostri bagagli in albergo, ora siamo davanti casa di Tré, dove Vyol ha fissato l'incontro.

Cuore, ti prego, fermati.

Davvero, non puoi battere a duemila km/h solo per questo stupido campanello.

Faccio un passo indietro, non voglio essere la prima persona a essere vista appena verrà aperta la porta dopotutto!

Sento dei passi, piuttosto frettolosi all'interno.

La porta si apre, d'istinto mi sposto ancora più indietro, lasciando che sia Vyol a essere lì davanti al posto mio.

«Ciao Vyol!» saluta cordialmente Mike, solo dopo qualche secondo nota me ed Evelyn. «Alice, Evelyn! Bentornate!» sorride luminoso.

Abbraccia Evelyn, che lo saluta cordialmente.

Sono emozionata, sono così felice di rivederlo per davvero!

Abbraccia anche me e a quel tocco mi sciolgo un po'.

Oh, al diavolo tutto!

«Mike! Sono felice di rivederti!» sorrido anche io.

Non ho paura.

«Tutto qui?» ride lui dopo avermi lasciata. «Sparisci per venticinque anni e non aggiungi altro?»

Rido anch'io, ora sono totalmente rilassata.

Tutti i torti non ne ha!

«Vuoi che ti racconti la storia della mia vita qui fuori?» gli rispondo ridacchiando.

«No, no. Anche perché c'è Tré che vi sta aspettando dentro.» ci ricorda.

Eh già, dopotutto questa è casa sua, penso sorridendo.

«A proposito, perché quell'idiota non si è ancora fatto vedere?!» lo rimprovera a distanza Vyol. «Questa è casa sua o sbaglio? Dovrebbe almeno accogliere le nostre ospiti prima che pensino che siamo troppo maleducati e scappino via!»

«Sì, ma è troppo occupato a fare l'idiota per darsi un minimo di contegno.» commenta Mike lanciando uno strano sguardo a Vyol, a metà tra il serio e il divertito.

Decido di lasciar perdere.

Mi limito solo a guardare timidamente Evelyn, la quale mi stringe per un attimo la mano.

«Stai tranquilla, quello che vuoi fare è un bel gesto, non è per niente una cosa stupida.» mi sussurra all'orecchio.

Già, non è una cosa stupida, è solo che mi sento fuori luogo, come se facessi parte di un altro mondo in questo momento, anche se cerco di comportarmi normalmente.

«Allora, volete entrare?» chiede Mike riportandomi alla realtà.


«Tu!» mi indica Tré non appena mi vede causandomi un piccolo infarto.

Io?

«Sì...?» chiedo piuttosto incerta.

Non risponde, mi si avvicina passo dopo passo, ha uno sguardo piuttosto innervosito se non arrabbiato.

C-che ho fatto di male?

Mike e Vyol ridacchiano, Evelyn si allontana un po' come se volesse mettersi a distanza di sicurezza.

Ora sì che mi sento idiota.

Tré è davanti a me, mi guarda con quello sguardo che mi fa sentire sempre più piccola.

Per un attimo mi manca il respiro.

Improvvisamente mi sento in colpa.

Hai ragione, Tré, non avrei dovuto fare quello che ho fatto venticinque anni fa, ma ora è tardi per...

Mi abbraccia.

All'improvviso.

Non sento più il mio cuore battere.

«Lyss, che fine avevi fatto? Sei sparita di punto in bianco!» si lamenta un po' dopo.

Ah... ehm...

È... normale, è normale che sia così cordiale, eppure qualcosa mi blocca.

Ok, credo di aver semplicemente perso la facoltà di parlare.

Forse il problema è solo che non voglio rispondere a questa domanda?

Ma lo so che anche se evitassi continuerebbe a chiederselo, non lo dimenticherebbe così facilmente.

«Certo che tu non sei proprio capace di salutarla normalmente, eh?» lo rimprovera Vyol.

«Ringrazia solo che non abbia ricominciato con quella storia...» dice Mike.

«Ah, quella del cane? Tempo due giorni e vedrai che ricomincerà. Quanto scommettiamo?» sorride lei allegramente.

«Ah, sì, certe cose non cambiano e poi perderebbe la sua comicità se non lo facesse.» commenta il bassista divertito.

Ma che diamine...?!

Tré scoppia a ridere e io faccio lo stesso.

Ok, per una volta essere un cane mi ha salvata da una spiegazione che preferire non dare.

Mi dispiace, non voglio risponderti e se proprio lo devo fare non qui almeno...

Lui mi sorride.

«Allora, di cosa dovevamo parlare?» si avvicina a un divano nel soggiorno e si siede davanti a un tavolino.

Tutti i presenti fanno lo stesso, così io ed Evelyn ci mettiamo di fronte a quei tre.

Devo parlare, prendo un respiro.

Tutti stanno in silenzio e mi guardano, incuriositi.

Dopotutto avevo già detto a Vyol che avrei dovuto parlare a tutti loro di una cosa.

«Ecco, il motivo per cui sono venuta ad Oakland e per cui ho dovuto vedervi è questo.» dico mostrando il frutto del mio lavoro. «Ho bisogno del vostro aiuto.»


«Ok, a me va bene.» Mike è il primo a parlare dopo la mia spiegazione.

«Davvero?» sorrido.

Per un attimo ho temuto di sembrare ridicola, ho temuto che la mia idea potesse sembrare infantile.

«In effetti hai ragione, la situazione è esattamente come pensi. D'accordo, anche io lo farò... anche se sarà un po' imbarazzante.» si unisce a noi Tré. «Però... non potevi scegliere un momento migliore?!» mi rimprovera con quello sguardo da bimbo che solo lui sa fare.

Rido.

Non è cambiato così tanto in fondo.

«Mi dispiace, mi sembrava il momento più adatto per te.» mi giustifico. «E comunque il piano non si cambia, quindi o accetti di farlo così o niente.» sorrido sentendomi importante.

«Io la mia parte già l'ho fatta.» sorride Evelyn. «Anche se non sono stata brava come Lyss.»

«Ok, a questo punto lo farò anche io, ma sappi che ti odierò per sempre per la parte che hai scelto per me.» ride Vyol.

Sì, è andata!

Ce l'ho fatta, hanno accettato davvero!

«Grazie davvero, non pensavo che avreste deciso di farlo fin da subito.» sorrido con dolcezza.

«Ma di che, figurati! In questo momento siamo come una squadra, no?» ride Tré.

Sì, esatto, siamo una squadra, è questo lo spirito migliore!

«Allora, avete due settimane di tempo, quindi dovete dividervelo in questo tempo. Potreste tenerlo per cinque giorni ognuno, ce la dovreste fare.» dico col tono di chi sta proclamando qualcosa di importante.

«Perfetto, allora lo prendo prima io.» annuncia Mike. «Dato che voi due vi lamentate, almeno così avrete più tempo per pensarci.»

Perfetto!


8 gennaio 2013


Io ed Evelyn abbiamo incontrato Mike, Vyol e Tré quasi tutti i giorni successivi.

Certo, di solito non stavamo molto fuori, ma in ogni caso dopo i primi tre giorni già mi sentivo molto più tranquilla.

All'inizio temevo che avrei finito per fare la parte dell'emarginata perché dopo tutto questo tempo potevo essere vista come appartenente a un altro mondo. Sono rimasta sorpresa, invece, del fatto che non è stato per niente così, del fatto che quasi immediatamente mi hanno accettata come se non fosse passato neanche un giorno.

E così la prima settimana è volata, Mike ha concluso la sua parte e ha passato il testimone a Vyol che ci sta lavorando in questi giorni.

Oggi ci siamo incontrati di nuovo, ma Evelyn è rimasta in albergo perché non si sente troppo bene, si è un po' raffreddata.

Mike e Vyol sono andati via e Tré mi sta riaccompagnando a casa. Ha insistito per farlo, anche se gli ho detto che non importava.

Tutto ciò mi ricorda terribilmente momenti passati.

Già, ma è diverso.

Mi sento stranamente tesa.

Avevo intuito il perché di quell'insistenza, così nonostante lui non abbia ancora parlato, non riesco a sentirmi a mio agio.

«Ho capito che non ne vuoi parlare...» inizia Tré guardando un punto lontano.

Ecco.

Ecco perché.

«Infatti.» mormoro ribadendo la mia posizione.

Rimane un attimo in silenzio.

«Vorrei solo sapere perché, è solo una curiosità. Dopotutto è passato tanto di quel tempo che non dovresti esserne così spaventata, no?» sorride cercando di sdrammatizzare.

In effetti ha ragione, però è così imbarazzante...

«Sai, avevo paura che ti fosse successo qualcosa. Improvvisamente hai deciso di sparire, eppure stavamo insieme, no?» si muove sul filo dei suoi ricordi.

«Non è successo niente di importante, te lo assicuro.» sospiro.

Mi sto comportando come una ragazzina, che fine hanno fatto i miei 41 anni?

Forse è solo che quando sono con loro ritorno un po' con la testa al passato?

Chissà, forse è anche positiva come cosa.

«Come vuoi.» si arrende lui scrollando le spalle.

Odio rivangare quel ricordo, ma forse dovrei dargli almeno una spiegazione, lo merita, anche se dirgli le cause del fallimento della mia vita sentimentale sarebbe piuttosto umiliante.

Sospiro e mi faccio coraggio.

«Mi sono solo presa una cotta per quell'idiota che avrebbe dovuto essere mio marito.» dico con un filo di voce.

Ripensare a lui fa male.

Anche ora.

Ecco perché non lo volevo dire.

Tré mi fissa per un attimo perplesso.

«Sai, tu non c'eri mai, oramai avevate addirittura un contratto discografico, facevate dei tour a cui ovviamente non potevo accedere, anche perché la strada che avevo scelto era quello dell'impegno scolastico e dello studio. Lui mi aveva promesso amore eterno in un momento in cui ero molto depressa e forse è stato questo a farmi innamorare.» mi prendo un attimo di pausa, Tré non mi interrompe e ascolta attentamente. «Mi ha mollata due giorni prima del matrimonio, si è innamorato di un'altra. E la mia vita sentimentale da allora è stata un disastro. Evelyn si è sposata ed è felice, io sono totalmente sola e abbastanza inutile per la società. Ecco quanto.» dico un po' nervosamente alla fine.

Silenzio.

Ok, forse dovrei cercare di sembrare meno patetica, ma alla fine è così che mi sento.

Posso solo dire che il lavoro mi va bene, nient'altro.

Non ho una famiglia, fondamentalmente, solo qualche amica qua e là.

E oramai non posso neanche dire di avere chissà quale futuro davanti, non sono più una ragazzina.

Diamine, non dovrei pensarci, mi sento una morsa allo stomaco.

Oramai sono adulta e ho quasi voglia di piangere.

«Ehi, non sei inutile. Guarda solo quello che stai facendo.» mi sorride Tré dandomi un colpetto sulla mano per richiamare la mia attenzione.

Alzo lo sguardo.

Come?

La sua voce è così rassicurante!

«Non sei inutile: anche adesso che hai deciso di ricomparire, non lo hai fatto per un tuo capriccio, ma per aiutare un'altra persona. Finché vuoi far del bene agli altri non sei inutile.» mi sorride.

Rimango un attimo senza fiato, mi manca il respiro, ma dura solo un secondo.

«Grazie.» gli sorrido a mia volta. «Non mi è mai stata detta una cosa del genere.» confesso imbarazzandomi un po'.


15 gennaio 2013


Spingo la porta bianca ed entro nella stanza molto lentamente.

Cavoli, ho aspettato questo momento per due settimane, sono pronta!

Beh, più o meno.

Quando sono dentro mi blocco un attimo.

Osservo in silenzio quello che mi trovo davanti.

Una stanza di riabilitazione, una stanza bianca con solo un letto, qualche sedia, una sottospecie di armadietto e un comodino.

C'è un'atmosfera terrificante.

«Ciao.» saluto un po' imbarazzata dopo secondi che sembrano ore.

Mio cugino, steso sul letto, apre gli occhi, mi guarda, rimane quasi pietrificato.

«... Alice?» non sa se crederci o no, forse.

«Sì, sono io.» annuisco.

Ci guardiamo un attimo, guardo come è cambiato dall'ultima volta che l'ho visto.

In effetti non è così diverso, solo il suo sguardo non riesco a riconoscerlo.

Mi sono abituata a vederlo in TV e nei concerti, ma averlo davanti è diverso.

«Che ci fai qui?» mi chiede poi.

Ecco, lo immaginavo: lui non è il tipo che ti chiede “perché sei sparita”, ma ti chiede “perché sei tornata”.

«Sono venuta qui per te.» confesso facendo qualche passo in avanti in questa stanzetta che somiglia tanto a quella di un ospedale. «Sai, ho visto alla TV il concerto di Las Vegas e quando ho saputo di tutto questo casino... beh, volevo fare qualcosa, non potevo rimanere lì a guardare.» sorrido malinconicamente inclinando un po' la testa di lato, squadrandolo.

Noto con dispiacere che ha un aspetto quasi trasandato, si è lasciato andare.

Come immaginavo, del resto.

Prima di quel concerto, Billie aveva abusato di alcune sostanze come tranquillanti e psicofarmaci. A quanto pare, ne ha la dipendenza e per questo è finito in questo posto, quasi costretto dalla sua famiglia e dai suoi amici.

Le usava oramai da molto tempo, anche io negli ultimi concerti avevo sempre visto un uomo energico, ma la sua era un'energia malata.

No, non era energico, era un uomo che stava male e chiedeva disperatamente aiuto.

Sul palco cantava male, camminava sbandando e aveva concluso l'esibizione di quello stupido festival prendendosela con gli organizzatori perché improvvisamente avevano accorciato il tempo concesso ai Green Day per il loro concerto e Billie aveva gentilmente sfasciato la chitarra elettrica che stava usando sul palco.

«Non ce n'era bisogno.» mormora lui. «Più di questo non si può fare niente.» dice guardandosi intorno. «Grazie comunque per la visita.»

«Aspetta, io credo di riuscire a immaginare come ti stai sentendo.» dico alzando un po' la voce.

«Davvero?» mi guarda lui con aria di sfida. «Sai che mi sento un coglione, un fallito? Lo sai, anche mio figlio prima che fossi portato qui, mi ha detto che forse fa ancora in tempo a non diventare come me, sai che significa?» dice con una punta di rabbia.

Ecco, si sta alterando.

Dannazione...

No, Billie, non devi ragionare così.

«Non si può capire quello in cui sono caduto. O almeno, non puoi capire tu che non hai mai avuto di questi problemi.» bofonchia stancamente. «È finita, non c'è nessun bisogno di combattere. L'unica cosa che mi resta e rimanere ad aspettare, non so neanche cosa.» commenta alla fine lasciandosi cadere sul letto, anche quello bianco.

«No, non è vero.» mi avvicino di qualche passo. «Non è finita finché non sei sottoterra, non ricordi?» gli chiedo.

«Quelle sono solo le parole di una canzone.» borbotta sedendosi.

«No, non è vero. Sono parole importanti invece. Stai passando un momento difficile, ti sembra che la tua vita sia finita, però, Billie, non può essere così. Tu non sei un fallito.» lo provoco un po'.

«Come fai a dirlo? Il semplice fatto che sia famoso non significa niente.» commenta lapidario.

«No, ma il fatto che tu abbia salvato delle persone significa molto invece! Non avresti potuto farlo se tu fossi solo un fallito, renditene conto.» gli dico alzando il tono di voce.

Mi guarda un attimo spaesato.

«Che puoi capire tu?» chiede con la voce di un ragazzino testardo, quel sedicenne che conoscevo che ancora vive dentro di lui. «Non ti sei mai sentita come me.»

«Anche io mi sono sentita un fallimento per molto tempo, devo ricordartelo?» chiedo innervosita.

Ora sì che ho qualcosa da dire.

«E sai una cosa? Non era vero niente. Ne sono uscita, ho combattuto. Se non lo avessi fatto cosa sarei ora? Forse non ci sarei neanche, sai? E indovina un po'? Tu mi hai salvato la vita. Se non ci fossi stato tu ora sarei ancora la schiavetta personale di Evelyn.» lo guardo con aria di sfida mettendosi a sedere.

«E come dovrei combattere secondo te, scusa? Non posso fare niente.» mi guarda innervosito anche lui.

«Combatti, anche solo nella tua testa, devi avere voglia di vivere, dannazione. Devi credere in quello che stai facendo! Ricordati di quello che hai fatto in passato, di quello che hai sofferto e di come hai superato tutte le difficoltà!» mi appello al suo buonsenso.

Silenzio.

L'atmosfera si è scaldata, ma lui non risponde.

«Sono solo belle frasi, bugie fondamentalmente.» dice apaticamente.

«Anche le tue canzoni sono bugie allora? Letterbomb è una bugia? Good Riddance è una bugia? Le hai scritte giusto per guadagnare soldi? Anche io la pensavo così, ma quando ancora credevo di essere debole! Anche a me sembrava impossibile uscirne fuori, ma poi ho scoperto che volevo vivere, Billie. Vivere, perché anche se il mondo cerca di rovinarti ci sono ancora quei sentimenti come la gioia a tirarti fuori! Se hai scritto quelle parole significa che anche per un solo secondo tu sei stato felice, hai pensato che ne valesse la pena! Cerca di ricordarlo!»

Lui mi fissa, lo sguardo duro, ma probabilmente non sa che rispondermi.

Sbuffo, apro la mia borsa, tiro fuori quell'oggetto che avevo iniziato a preparare fin dal 25 di settembre.

Glielo porgo.

«Che cos'è?» chiede spaesato.

«È... è difficile da spiegare. È solo un quaderno, ma ci ho scritto tutto quello che mi è successo da quando ti ho incontrato, c'è il racconto di come hai cambiato la mia vita e di come io stessa sono cambiata.»

«Perché me lo stai dando?» mi chiede freddamente.

«Voglio che tu lo legga, ok? Voglio che tu ti renda conto del fatto che anche quando ti senti il re dei falliti le cose possono cambiare e lo faranno solo nel momento in cui inizierai a combattere. Ti sto offrendo i miei ricordi, i miei pensieri, i miei sentimenti e non solo quelli. Ti sto offrendo anche quelli di Evelyn, di Vyol, di Mike e di Tré.» spiego cercando di addolcire il mio tono di voce con scarsi risultati.

«Che c'entrano loro?» chiede Billie smarrito, leggermente confuso.

Sì, nella fretta mi sono spiegata decisamente male, che idiota.

«Li ho incontrati e ho chiesto loro di scrivere delle pagine che avevo lasciato in bianco, dal loro punto di vista. Ne ho lasciate alcune anche per te.» spiego il perché del mio incontro con loro.

Billie non stacca gli occhi dal quadernetto, lo apre un attimo, poi lo richiude.

«Hai combattuto molto nella tua vita e probabilmente neanche te ne rendi conto. Molte persone non sarebbero capaci di fare quello che hai fatto tu. Può sembrarti una cosa stupida, ma voglio che tu ricordi tutto quello che hai vissuto in quel periodo, perché in quel momento eri forte, hai combattuto per te e anche per gli altri.» dico arrivando quasi all'esasperazione.

Ti prego, Billie, ti prego! Ho fatto tutto questo sforzo solo per te!

Avrei potuto fregarmene, avrei potuto dire che oramai eri solo un ricordo, invece ho deciso di andare contro la distanza, di tornare nel passato, di riaffrontare tutte le mie paure, provandole nuovamente, sentendo tutti quei sentimenti che avevo voluto dimenticare, solo per non dovermi chiedere se quello che stavo facendo fosse giusto o no.

Lo capisci questo?

L'ho fatto per te e se non è servito a niente... beh, non potrò far altro che sparire davvero per sempre e non voglio farlo.

Voglio stare qui, voglio tornare qui.

Non voglio dimenticare mai più.

Cavoli, credo di starmi emozionando troppo, il mio cuore va troppo veloce.

«Grazie.» dice infine, dopo un'attesa che sembra durata ore. Il suo sguardo si è rilassato.

Eh?

«Forse dovremmo riparlarne dopo che l'avrò letto, litigare adesso non serve.» dice con uno sguardo stanco indicando il quadernetto.

Piano piano il mio battito cardiaco rallenta.

Ci proverà, il mio sforzo è servito a qualcosa, ha deciso di dare una possibilità alla vita.

«Forse...» concordo con lui, cercando di non far trasparire quel fiume in piena di emozioni che ha invasa.

«Da quanto tempo sei qui?» mi chiede all'improvviso rilassato.

«Da due settimane...» rispondo un po' stralunata.

«Sei stata con loro tutto il tempo?» mi chiede sempre con lo stesso tono rilassato.

«Sì...» gli rispondo sorridendo luminosa. «Ho visto un po' la città e ho anche conosciuto la tua famiglia... mi hanno accolta decisamente meglio di quello che mi aspettavo.» aggiungo un po' imbarazzata.

«Anche se sei sparita non sei diventata un'estranea. Di sicuro sono stati tutti molto felici del tuo ritorno.» mi sorride anche lui.

«È sempre difficile cercare di rientrare nella vita di qualcuno dopo molto tempo.» commento arrossendo un po' per l'imbarazzo.

«Oh, tu sei venuta solo a fare una visita, per rientrare davvero devi farti vedere più spesso.» mi fissa con aria di sfida.

Farmi rivedere?

Beh... perché no?

Io voglio rientrare nella loro vita.

Io devo rientrare nella loro vita.

Pensavo che sarebbe stato tutto diverso, che per queste due settimane avrei respirato un'atmosfera di tensione, invece sembra quasi che il tempo non sia passato.

Per questo non voglio sparire di nuovo, sono stata bene e il fatto di avere un treno prenotato per domani mi rattrista.

«Lo farò.» affermo convinta. «Ho troppe cose qui che non voglio perdere.»

Billie accoglie le mie parole con un sorriso, inclina la testa di lato.

«Allora mi aspetto di rivederti ad Oakland, ogni tanto.»

Fine

(o forse è solo l'inizio?)

_______________________________________Authoress' words

Mio Dio, non avete idea di quello che sto provando in questo momento.

Ve lo giuro, sto per piangere.

Questa storia è stata la prima in cui ho inventato dei personaggi e la prima in cui la trama è stata inventata totalmente da me e quasi non mi sento pronta a lasciarla andare, ma purtroppo devo. Sono un po' come una mamma quando il figlio decide di andarsene di casa.

Ho il batticuore, non so se reggerò all'idea di vedere la scritta "completa" al posto della solita "in corso", però anche io penso di essere maturata con lei, con Alice mentre scrivevo.

Devo ringrazziarvi tutti per essere arrivati fin qui, per aver voluto condividere le mie emozioni. Solo grazie a voi Alice ha preso vita, solo grazie a voi è maturata e ha trovato la sua via.

Ringrazio davvero di cuore una ragazza che mi ha fatto da musa ispiratrice per il personaggi di Alice, la mia Lyss e ringrazio anche la persona a cui avevo dedicato questa storia per aver sopportato i miei scleri e per avermi incitata a non mollare mai, anche nei momenti più difficili.

Ringrazio voi e le vostre recensioni per avermi fatta ridere ed emozionare, riflettere e migliorare.

Lo so, mi sto comportando come se avessi vinto un premio Oscar, ma è il minimo che possa dire per farvi arrivare un po' dei miei sentimenti.

Grazie, grazie davvero. 

   
 
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