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Autore: Cinziart_96    14/07/2013    2 recensioni
Salve! :)
Dato che mi voglio tanto male, ho pubblicato questa ff depressa su Jenny, la figlia della macchina e Ten, ovviamente. I personaggi sono leggermente OOC.
Avevo già una mezza idea, ma parlandone con una mia amica ho deciso di dedicagliela. ^_^
"La ragazza alzò debolmente una mano e con un tocco leggero mosse l’altalena. Poco dopo un soffio di vento gelido mosse anche la gemella. E lei ebbe paura. Una paura grandissima che non aveva mai provato prima. Si girò di scatto pensando di vedere qualcuno. Ma niente la osservava."
Buona lettura!
Genere: Drammatico, Suspence, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 10, Jenny
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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E’ il destino dei Signori del Tempo
 
Non era sua abitudine mollare.
Non l’avrebbe mai fatto.
Ma qualcosa dentro di lei si era rotto quando Jim la lasciò sola.
Passeggiava lentamente tra i giochi per bambini.
Il parco era completamente zuppo di pioggia e lei camminava.
Camminava sotto una pioggia lenta e monotona.
Non aveva neppure la forza di correre.
Il che era strano perché lei correva da sempre.
Da quando quella stupida guerra di una settimana era finita non le era rimasto nulla.
Per questo iniziò a correre.
Tuttavia arrivati a un certo punto bisogna fermarsi, per riprendere fiato.
E lei si era fermata.
Con Jim.
La biondina scosse la testa lentamente cercando di scacciare via il suo ricordo.
Alzò lo sguardo sugli alberi del parco giochi.
Non tirava un filo di vento, ma qualcosa le gelava le ossa.
Proveniva dall’interno, come un malessere che si irradiava dal cuore.
 
-Non puoi farci niente. Ormai è finita… per sempre.-
L’ospedale era pulito.
Pulito, eppure puzzava di medicinali e disinfettante.
Lo odiava.
Lo odiava con tutta sé stessa.
-No… no ti prego… non mi puoi lascare…-
Era seduta su una sedia, vicino alla sponda di un lettino.
E piangeva.
Piangeva perché non sapeva più cos’altro fare.
Poi una mano prese la sua e gentilmente la accompagnò fuori.
Ma prima di chiudere per sempre quella porta… quella maledettissima porta, doveva vederlo.
Un’ultima volta.
Si voltò di scatto, lasciando la presa del medico.
L’unico lettino era occupato da un ragazzo.
Alto –i suoi piedi arrivavano quasi alla fine del letto- e magro.
Le braccia lunghe e affusolate erano fuori dalla coperta, rigide.
Il volto pallido non lasciava trasparire alcuna emozione e quegli occhi…
Quei bellissimi occhi marroni non l’avrebbero vista.
Mai.
Mai più.
 
Mosse energicamente la testa più volte, ma il suo viso sorridente la guardava.
Non aveva più lacrima da versare in sua memoria, ormai.
Le era rimasto solo il suo ricordo.
Via via più debole, meno intenso, meno vivo.
La sua immagine le sfuggiva dalla mente, come a non voler stare più con lei.
Guardò lo scivolo e le altalene bagnate dalla pioggia.
Anche quelle erano ferme.
Come le foglie degli alberi, la pioggia e l’erba del prato.
Alzò il viso verso il cielo e chiuse gli occhi, lasciando che il cielo piangesse per lei.
Si fermò in mezzo alle due altalene e la pioggia sembrò aumentare di intensità.
La ragazza alzò debolmente una mano e con un tocco leggero mosse l’altalena.
Rimase a fissare il suo moto per un po’.
Avanti e indietro.
E poi avanti e indietro ancora.
Poco dopo un soffio di vento gelido mosse anche la gemella.
E lei ebbe paura.
Una paura grandissima che non aveva mai provato prima.
Si girò di scatto pensando di vedere qualcuno.
Ma niente la osservava.
Era diventata invisibile, nel momento in cui aveva chiuso la porta dell’ospedale.
Voleva piangere, ma non ci riusciva più.
Voleva correre, ma non ne aveva la forza.
Sentiva i capelli bagnati schiacciati sulla testa e la giacca fradicia le si appiccicava sulla pelle.
Le dava fastidio, ma ancora una volta non fece nulla.
Poi ancora il fruscio del vento.
Sottile e malvagio.
Gelido.
Una scia di brividi le percorse la schiena e ancora la paura.
Qualcosa le era vicino.
Ma cosa?
Per scacciare il pensiero, ricominciò a camminare.
Ma la paura non la lasciava.
Doveva sapere cosa la stava seguendo.
Ancora il vento.
Sempre più freddo, sempre più vicino.
Ecco.
Adesso sì che aveva paura.
 
-Avevi detto che saremmo sati insieme… per sempre!-
-Scusa… scusami tanto… non… non sono riuscito a mantenere la promessa…-
Il suo respiro si smorzò in un gemito soffocato e sputò un grumo di sangue.
-Jenny… Jenny…-
-Sssh… ti prego, ti prego adesso arriva l’ambulanza… ma ti prego… ti prego non lasciarmi…-
Lui si appoggiò alla spalla di lei, tossendo appena.
-Jenny… voglio guardarti…-
Senza pensare lei lo distese delicatamente a terra, facendogli appoggiare la testa sulle sue gambe.
-Sono qui… sono qui…-
Le lacrime iniziarono a cadere dai suoi occhi, lentamente.
-Jenny… non devi piangere. Va tutto bene… perché piangi Jenny?-
-Jim… non abbandonarmi…-
Lui sorrise appena, guardando i bellissimi occhi azzurri di lei.
-Sei sempre così testarda…-
La ragazza sorrise alle parole di lui.
-Lo so… me lo dici sempre…-
Lo sguardo del ragazzo si velò lentamente, poi chiuse gli occhi.
-Jim… Jim! JIM!!-
Lei lo chiamò ancora a lungo, disperatamente.
Anche quando arrivò l’ambulanza e delle persone lo posero sul lettino lei continuò a chiamarlo.
Il suo nome diventò una preghiera sussurrata fino al suo arrivo in ospedale.
Poi rimase impressa nella sua mente.
Infinita, dolorosa.
 
-Jim…-
La ragazza sussurrò piano il nome del ragazzo ma non si voltò a guardare.
Ancora il fruscio, uno spostamento l’aria.
Ma lei rimase immobile.
Qualcosa la bloccava.
Voleva vedere se era davvero Jim.
Ma era sicura di morire se non avesse visto nulla.
Ecco cosa la tratteneva.
La paura.
-Jim?-
Il vento ora era caldo e rassicurante.
La sospinse da dietro, solleticandole il collo.
Sorrise e la paura divenne solo un ricordo.
Finalmente si voltò.
Una figura alta e slanciata la guardava.
Anche lui sorrideva ma la pioggia sembrava passagli attraverso, senza bagnarlo.
-Jim!-
La ragazza corse verso di lui a braccia aperte, le lacrime agli occhi.
A pochi centimetri da lui, Jenny lo vide scomparire in una nuvola di vapore.
Lei rimase bloccata in quella posizione, le mani tese per toccarlo ancora una volta.
Ma Jim era scomparso.
Jenny lo sapeva.
Non aveva bisogno di cercarlo tra i cespugli o dietro lo scivolo: lui non c’era.
E non sarebbe tornato.
Iniziò a piangere.
Prima piano, le spalle scosse dai singhiozzi.
Poi le lacrime trovarono la via più facile per uscire e lei cadde in ginocchio, piangendo.
Urlò al mondo il suo dolore, implorando il cielo di riportarle Jim.
E quello pianse con lei, bagnandole ancora il volto con le sue lacrime fredde e monotone.
Tutto era confuso e indistinto.
Perché… che senso aveva vivere se poi si perde tutto?
Perché soffrire?
Una mano si appoggiò alla sua spalla.
Era ferma, decisa.
E Jenny capì.
Questa volta non era Jim, ne era sicura.
Era reale.
Tuttavia non si voltò.
Non si fidava
Tutti i suoi sogni si erano spezzati, che senso aveva continuare?
-Si trova sempre un buon motivo per vivere, Jenny.-
Quella voce… la voce di suo padre.
Solo allora la ragazza si voltò verso il Signore del Tempo, inginocchiato dietro di lei.
Era uguale a come lo aveva lasciato.
Lo stesso taglio di capelli, stesso viso, stessi occhi…
Non era ancora bagnato quanto lei, ma i capelli erano già appiattiti sulla fronte.
Sorrideva.
-Jenny…-
Lei non gli permise di continuare.
Con uno slancio lo abbraccio, portandogli le braccia al collo.
Lui la strinse e lasciò che si sfogasse, piangendo tutte le lacrime che non era riuscita a versare.
Si alzarono in piedi, sempre abbracciati.
Jenny si aggrappava al giaccone del Dottore come se dovesse sparire di lì a poco.
Non poteva lasciarlo.
Non poteva perdere anche lui.
-Papà… sei-sei venuto a prendermi…-
-Non potevo lasciarti sola.-
-Come… come sapevi dove…-
-Jenny… tu sei mia figlia. Io so sempre dove sei.-
La ragazza strinse il Dottore se possibile ancora più forte.
-Vieni piccola…vieni via con me.-
Lei si lasciò guidare da lui tra i giochi del parco.
Tra gli alberi e i cespugli.
Sentì ancora una volta quel fruscio leggero e si irrigidì tra le sue braccia, ma continuò a camminare.
Il Dottore la condusse nel suo TARDIS, sempre accompagnata dalle parole di incoraggiamento del padre.
Lui la portò fino a una delle tante camere del TARDIS e lì la adagiò dolcemente sul letto.
-Papà… perché? Perché mi hai lasciato?-
Lui la guardò, e le baciò la fronte bagnata.
-Ci sarà tempo per capire ogni cosa.-
-Quando? Quando?-
-Quando ti sentirai pronta, Jenny.- rispose lui, rimboccando le coperte alla figlia. –Non è una cosa da niente quello che ti è successo… ma devi avere pazienza. Tutto passa. Il Tempo lava via ogni cosa.-
Lei si girò tra le lenzuola sotto lo sguardo del padre.
-Jenny… cerca di dormire. Domani, sa vuoi, ne riparliamo.-
Lei annuì e il solo gesto la fece piangere ancora.
-Ehi… Jenny… va tutto bene adesso. Ci sono io. Non devi pensare più a niente… - il Dottore tornò da lei sedendosi sul bordo del letto.
-Dimmelo… a cosa serve vivere se poi si è costretti a soffrire?-
-Jenny… ne riparliamo domani. Sei stanca ora.-
-No. Io lo devo sapere. Dimmelo, ti prego!-
Il Signore del Tempo la guardava, sofferente.
Odiava doverla guardare in quello stato.
Così le prese il viso tra le mani e chiuse gli occhi.
A poco a poco si chiusero anche quelli di Jenny.
Il respiro tornò regolare e si distese sul letto.
Il Dottore le sistemò la testa sul cuscino e uscì, spegnendo la luce.
Si diresse verso l’uscita a guardò fuori.
La pioggia rendeva i contorni delle cose meno nitidi, sfocati.
Poi un leggero movimento tra i cespugli.
Lui fu rapido a estrarre il suo cacciavite sonico e scandagliare la zona di fronte a sé.
Ma niente. Non riuscì a trovare quello che cercava da quasi tre giorni ormai.
Stava per rimettere il cappotto e uscire a indagare quando un forte vento gelido lo investì in pieno, bagnandolo di pioggia.
“Meglio di no. Per oggi mi sono già bagnato abbastanza.”
 
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Note Autore
Ciao ragazzi e ragazze!
Non pensate che inizi a scrivere una long di ventimila capitoli perché molto probabilmente non ne sono ancora capace. Quindi accontentatevi.
Volevo solo far sapere che ho voluto rendere Jenny leggermente OOC perché secondo me si adattava meglio alla situazione. Il Dottore è un po’ diverso dall’originale, è vero, ma cercherò di renderlo più “Dottore” nei prossimi capitoli. Ah, un’altra cosa. Il ragazzo che ho deciso di chiamare Jim è molto simile al ragazzo che nella puntata “la figlia del Dottore” all’inizio le ha donato un’arma.
…Non sono particolarmente convinta di come sia venuto il finale di questo capitolo ma perlomeno l’inizio mi piace molto. Spero tanto che piaccia anche a voi e soprattutto alla persona a cui ho dedicato la ff.
Ci vediamo/sentiamo con il prossimo capitolo allora! ^_^
Grazie mille per essere passati a leggere! Anche le semplici visualizzazioni anonime sono ben accette!
 
Un abbraccio
Gallifrey_96
  
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