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Autore: selene87    26/01/2008    6 recensioni
Ultimo capitolo
Questa è una storia che parla del Destino. Del Caso. Ma da soli non basterebbero. Questa è una vicenda che narra di un attimo. Un baleno che per magia compare, sorprendendoci, e che bisogna afferrare prima che svanisca per sempre. Basta quel battito di ciglia per cambiare la nostra vita. Cercare una cosa, per trovarne un’altra. Avere il coraggio di seguire una sensazione.  “Hermione, tu hai colto l’attimo?”
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: Alternate Universe (AU), OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Chapter Four

Chapter Four

Tell Me A Story”

 

 

 

 

 

Nessun ricordo t'angustii del ieri passato,
E non gridare ancora per un domani non nato.
Non confidare in quello che già passò, che non venne.
L'Attimo passa felice, e non sprecare la Vita.

(Nessun ricordo t'angustii...
di
Omar Khayyâm)

 

 

 

 

 

H

ermione camminava avanti e indietro lungo una stradina all’angolo di Grimmauld Place.

Misurava a grandi falcate la distanza tra sé ed una panchina poco distante, scoccando, di tanto in tanto, un’occhiata al piccolo Harry e alla giovane Tonks lì seduti.


Dopo aver rovesciato la tazza di thè, la ragazza si era educatamente scusata, pagato frettolosamente il conto, per poi catapultarsi fuori dal locale, seguita dalla donna che aveva conosciuto quella mattina e dalla pulce more stretta tra le sue braccia.

 

Il capelli di Ninafadora erano tornati del loro colore originario.

 

Quella che in precedenza le era sembrata una semplice svista, una banale distrazione, ora si rivelava come una ragione ben definita.

 

Un Perché che, finalmente, trovava una risposta.

Una porta che si spalancava, illuminando l’antro buio del suo passato, seppur con una luca ancor più fievole di una candela.

 

Gli alberi ai lati della lunga strada brillavano di una candida chioma, mentre la neve cominciava lentamente a sciogliersi sotto il fievole tocco dei raggi di sole.

Il soffice strato ovattato fece spazio ai bruni ed esili rami.

 

Il contorni di quel mondo, di cui solo in quel momento iniziava a sentirsi parte, divenivano, pian piano, sempre più nitidi e brillanti.

 

Più certi.

 

“Hermione, tu sei una strega!”

 

Teneva le mai al riparo dal freddo nelle calde tasche del soprabito che indossava.

Gettando, lentamente, un piede dopo l’altro, meditava su quelle parole.

 

Apparentemente calma.

Pacata come quel cielo terso e cristallino che cercava di farsi spazio tra il monotono grigio delle nuvole.

Azzurro e limpido – sereno – dopo aver superato le improvvise intemperie di quella mattina, attendendo di essere nuovamente offuscato.

 

Non si sentiva nervosa.

Nemmeno spaventata.

Era per questo motivo, per questo stato d’animo confusionario, che Hermione si sentiva turbata.

 

Continuava a guardare le due figure sulla panchina.

Non riusciva a perderle di vista.

Con occhio vigile, quasi le sorvegliava.

Come se da un momento all’altro potessero inspiegabilmente sparire.

 

Il piccolo Harry rideva fragorosamente, seguendo attentamente una smorfia della madre.

Poteva avere al massimo due anni, o poco più.

 

Le nivee guance erano lievemente arrossate in preda al freddo.

 

Il colore di occhi e capelli era perfettamente uguale a quelli di Tonks.

Troppo simili per essere uguali.

C’era qualcosa, un dettagli, che li rendeva visibilmente diversi.

Hermione ne era sicura.

 

Buffo, pensò, per la prima volta, da quando si era risvegliata, era certa di qualcosa e questo qualcosa non aveva nulla a che fare con la sua vita o di quello che ne rimaneva e che cercava di mettere insieme.

 

Improvvisamente, un grosso cane dal folto pelo nero si era avvicinato alla panchina con aria minacciosa. Il piccolo, spaventato, si era stretto ancor di più nell’abbraccio della mamma, che aveva provveduto a mandarlo via.

Adesso lo cullava tra le sue braccia.

 

Guardando Harry, Hermione non potè fare a meno di pensare a sé stessa.

Chissà se, come gli atri bambini, anche lui aveva paura del buio.

 

Durante tutte quelle giornate trascorse da sola chiusa in casa fingendo di vivere, Hermione attendeva la sera.

La desiderava, perché segnava la fine di un altro triste giorno, ma allo stesso tempo la temeva.

Stesa sul suo comodo e freddo letto, si raggomitolava su sé stessa, sentendosi proprio come una bambina.

Sola e costretta in una stanza totalmente buia.

Spesso sognava di trovarsi in una stanza priva di qualunque fonte di luce, seduta sul gelido pavimento, stringendosi le ginocchia al petto per placare il tremolio che le invadeva il corpo.

 

Il buio le faceva paura.

La disorientava.

Inquietava.

 

Eppure, attendeva.

 

Sapeva che , prima o poi, da quella finestra, posta troppo in alto per essere vista, sarebbero spuntati i primi raggi del sole.

 Finalmente l’alba sarebbe giunta a tenerle compagnia.

 

Hermione, in fondo, sapeva che nelle parole di Tonks c’era qualcosa di vero.

 

Fu per questo che si era avvicinata sedendosi accanto ad Harry.

Con una mano ostentava calma a sicurezza, carezzandogli la folta chioma scura, mentre intrecciava nervosamente le dita dell’latra poggiata sul ginocchio.

 

Sicura del suo gesto, ma incerta nel voler sapere.

 

Prese un bel respiro, grosso quanto la decisione che aveva preso, e mandò giù l’aria.

Il fresco getto le attraversò il naso, poi le solleticò la gola ed, infine, le riempì i polmoni.

 

Era stato facile.

 

Quella sensazione di fastidiosa pesantezza che provava all’altezza del cuore sembrava affievolirsi, mentre il nodo alla gola lentamente si scioglieva.

 

Quando parlò, la sua voce non sembrava più provenire da troppo lontano.

 

“Voglio sapere tutta la verità” – sospirò, stringendo a pugno la mano libera.

 

Il viso di Ninphadora da preoccupato e stranito, nell’ osservare il turbinio del dissidio riflettersi negli occhi dorati della sua vecchia amica, si distese in una maschera di pura e sincera felicità.

 

“Sono qui per questo Hermione.”

 

***

 

Immerse nei loro muti giochi di sguardi, le due donne non si erano res conto dell’improvviso incedere del tempo.

 

Lo stesso tempo che, inesorabile, si divertiva nel tenerle compagnia.

Quelle stesse lancette che, più lente di un sospiro, scandivano la monotonia della sua realtà, ora sembravano rincorrersi senza sosta.

 

Irrefrenabile ed insistente, il tempo trascorreva vorticoso, inghiottendo il mondo nel suo turbine per raggiungere disperatamente qualcosa.

 

La Fine.

 

I giorni passati in agonia, in cui tutto era bianco, sembravano assurdamente lontani lì sotto i raggi del sole.

 

L’ora di pranzo avvicinava, mentre i tre facevano ritorno presso la strada principale.

Parte dei negozi aveva chiuso per la pausa di metà giornata.

La piazza si era rapidamente sfollate e di certo – questa volta – non si trattava di una mera impressione.

 

Hermione ne era certa.

 

Solo ora la ragazza si rendeva conto d quanto fosse inquietante quel luogo.

Su entrambi i lati della piazza si affacciavano disastrati edifici, tra i quali uno in particolare spiccava maggiormente.

 

Un’intesa macchia scura che strideva con la luce che aveva appena iniziato a scorgere.

Tuttavia, proprio quell’alone fosco l’attirava inspiegabilmente.

 

Stava muovendo i primi passi verso quella direzione, convinta come mai prima che quella fosse la loro meta, quando Ninphadora le strattonò una spalla.

 

Hermione si voltò titubante.

 

Perché la fermava?

 

Ancora una volta, si poneva un perché.

 

Possibile che stesse sbagliando strada?

 

Sembrava proprio di sì, a giudicare dal sorriso sornione sfoggiato da Tonks.

 

“Hermione cosa vedi laggiù?” – le chiese indicando proprio il luogo verso il quale si stava dirigendo.

 

La mora sorvolò sul primo impulso di voler dar voce alle sue domande, confidando sulla momentanea inutilità della cosa, descrivendole semplicemente ciò che le appariva davanti agli occhi.

 

Un a vecchia e fatiscente dimora.

Sembrava abbastanza antica, con l’esterno oltremodo rovinato.

Un edificio ancor più minaccioso degli altri.

 

Grimmauld Place n°12.

 

Il sorriso sulle labbra di Ninphadora divenne ancor più ampio e soddisfatto.

La ragazza poteva vedere quello che al suo tempo era stato il Quartier Generale dell’Ordine Della Fenice.

Questo era un ottimo punto da cui iniziare.

 

“Adesso potresti rivolgerti a qualunque passante, chiedendo di indicarti proprio il n°12?”

 

Hermione non rispose.

Rimase un breve istante lì, ferma soppesare l’assurdità di quella richiesta.

Poi, spinta dalla curiosità – o almeno era così che si era auto-convinta – si avvicinò ad un’anziana signore che proprio in quel momento le era passata accanto.

 

“Ehm, mi scusi?” – incominciò, cercando di reprimere tutto il suo imbarazzo.

Disagio del tutto comprensibile, tra l’altro.

Cosa c’era di tanto sconcertante nel chiedere informazioni riguardo un indirizzo?

Nulla.

Allora, per quale motiva poteva già assaporare il sapore amaro della risposta che sarebbe giunta?

“Mi dica pure.” – la incoraggiò quella nel vedere la sua insistente esitazione.

 

“M-mi saprebbe indicare, gentilmente, il numero 12 di Grimmauld Place?

 

La donna fissò Hermione per un attimo, poi socchiuse gli occhi divertita.

 

“Mia cara, l’avranno informata male! Vede?” – le indicò proprio il punto in cui lei vedeva quell’edificio che l’affascinava e la turbava allo stesso modo.

“Chissà quando, ma deve esserci stato un errore nell’assegnazione dei numeri e tra il numero 11 e il 13, hanno dimenticato di inserire il 12, a meno ché non corrisponda a quello spazio vuoto nel mezzo, ma ne dubito seriamente.”

 

La ragazza strabuzzò gli occhi basita, continuando a fissare lo stesso punto che per la donna al suo fianco era vuoto.

 

Come era possibile?

Grammiauld Place n°12 esisteva….

Poi, l’occhio incontrò lo sguardo comprensivo di Ninphadora poco distante.

…o no?

 

“Grazie.” – mugugnò, quasi volesse scusarsi, per poi allontanarsi.

 

Nel frattempo, Tonks aveva messo a terra il giovane Harry e, tenendolo per mano e senza aspettare che Hermione si avvicinasse ulteriormente, si diresse vero casa.

 

Saltellando allegramente, il bambino percorse gli ultimi metri che lo separavano dall’immensa porta nera.

Mantenendo a malapena l’equilibrio, si sporse sulle punte per raggiungere il pomo di ottone per cercare di aprire l’ingresso, ma la madre fu più rapida.

Con un semplice gesto iniziò a fare luce sulla verità.

 

Hermione socchiuse gli occhi, aspettandosi di essere investita da un accecante raggio di luce, che l’abbagliasse con al sua magia.

Ciò che trovò, invece, fu solo squallore.

 

Varcò la soglia, guadandosi intorno esitante.

L’ambiente era lugubre e cupo.

Più inquietante dell’esterno.

Tutto in quella casa sembrava emanare il pungente aroma della tristezza che si mescolava con l’odore dolciastro delle pareti ammuffite.

 

“Benvenuta a casa Hermione” – le disse la donna alle sue spalle, richiudendo la porta stando attenta al più impercettibile dei rumori.

 

“Per…”

Hermione stava per chiederle il motivo di tanta accortezza, ma il suo discorso fu interrotto da urla improvvise che costrinsero il bambino a tapparsi le orecchie con le mani.

 

Aveva usato un toni di voce normale, ma eccessivamente alto per i segreti lì nascosti.

 

“Ahhhhhhh” – proruppe un vocione roco.

 

La Granger si guardò intorno, cercando di capire da dover provenisse quel vociare, ma si ritrovò a puntare lo sguardo verso un vecchio quadro appeso alla parete dell’ingresso.

 

“Tu! Lurida feccia, fuori dalla mia dimora. Fuori di qui tu e quel bastardo di tuo figlio.” – inveì ancora la voce.

 Se non fosse stato per il movimento di quelle labbra raggrinzite, Hermione avrebbe pensato che si fosse trattato di uno scherzo di pessimo gusto.

 

“Chi altro insudicia la mia nobile casa?” – domandò sardonica.

“Ma bene! La mezzosangue amica di Potter. Non potevi crepare insieme alla tua razza? Esci di qui sporca mezzosangue.” – sibilò verso Hermione.

 

Come precedentemente nella caffetteria, la ragazza venne travolta dall’onda ambigua della consapevolezza.

 

Consapevole di aver già udito quelle parole.

Consapevole del non sapere il dove, né il quando.

 

Il ricordo iniziò a rimbombarle nelle orecchie.

 

Prima un fievole sussurro.

Un sibilo serpentino.

 

Sporca…..

 

Per poi diventare più rumoroso ed assordante.

Quasi come una fragorosa e spensierata risata.

 

….Mezzosangue.

 

La ragazza stava ancora rimuginando su quelle parole, quando vide Tonks estrarre dalla tasca interna del soprabito quello che ad occhio comune sarebbe apparso un insignificante bastoncino di legno.

 

Hermione, invece, sapeva che si trattava di ben altro.

 

Con la sua bacchetta, la metamorfomaga fendé l’aria e, come per magia, la vecchia megera si zittì, coperta da una logora tenda nera.

 

“Vecchiaccia acida.” – borbottò.

 

“Ma…c-cosa…”

Cercava di articolare una frase di senso compiuto.

 

Quella mattina le avevano detto che in realtà era una strega, un vecchio quadro trovava gusto nell’inveirle contro. Che senso aveva chiedere spiegazioni su una bacchetta svolazzante?

 

“Lasciamo perdere” – sbuffò rassegnata e scuotendo flebilmente la testa.

 

“Come vuoi.” – acconsentì l’altra. “Se vuoi seguirmi, la cucina è da questa parte.”

 

Fece strada lungo un angusto e stretto corridoio, che terminava dando su una porta chiusa, mentre sulla sinistra si affacciavano due rampe di scale.

 

Una tetra e spaventosa, con delle orribili decorazioni sul corrimano, simili a delle teste rimpicciolite, procedeva verso il piano inferiore.

 

L’altra, invece, doveva portare verso a cucina.

Scesero adagio i vecchi scalini.

Erano alti e in legno.

Ogni passo scricchiolava nell’aria, rendendo l’ambiente ancora più minaccioso.

 

“Oops.” – un crepitio più sonoro fece intendere alla giovane che Tonks stava per perdere l’equilibrio.

Aveva sbadatamente saltato l’ultimo gradino.

“Sto bene” – rassicurò ad Hermione alle sue spalle.

 

Era la seconda volta, da quando la conosceva, che la donna incespicava nei suoi stessi passi.

 

Forse non si trattava di incidenti sporadici.

Forse Tonks era un tipo abbastanza distratto.

 

Hermione si ritrovò a sorridere…

 

Era strano pensare a Ninphadora, che all’apparenza sembrava una donna tutta d’un pezzo, una madre vigile ed attenta, come ad una persona goffa.

 

…il sorriso, però, si spense con la stessa rapidità di un attimo.

 

Questione un istante ed si ritrovò a negare quello stesso pensiero.

 

Non riusciva a spiegarsi come, ma le risultava molto più semplice pensare alla dona totalmente immersa nella sua sbadataggine.

 

“Non ti siedi?”

 

Non se ne era resa conto, ma era rimasta ferma ai piedi della scala a fissarla.

 

“Oh, certo!”

 

La cucina era inverosimilmente grande e un lungo tavolo l’attraversava per tutta la sua lunghezza.

Ai suoi lati, accostate alle pareti, c’erano quattro credenze.

Forse, un tempo,in chissà quale passato, facevano mostra di lustre stoviglie.

In quel presente, invece – nel suo presente – apparivano spoglie e trasandate.

 

Il silenzio aleggiava ancora nella stanza, carico di tensione, quando la Ninphadora le porse una fumante tazza di thé.

 

“Giusto, in caffetteria non siamo riuscite a berlo.” – disse tra sé e sé.

 

La donna prese posto di fronte a lei, mentre Harry si era fatto poggiare sul massiccio tavolo.

Scalciava l’aria, annoiato, mentre con le dita giocherellava con una ciocca dei capelli della madre.

 

“Hermione?”

 

Al suono del suo nome vibrare alla nota apprensiva della voce della metamorfomaga, posò accuratamente la tazza sul tavolo, al sicuro da altre eventuali rivelazioni disastrose.

 

Con estrema lentezza, alzò il capo per scontrarsi con il suo sguardo curioso.

 

“Posso rivedere la photo?”

 “Certo” – le rispose, mentre riprendeva la diapositiva, facendo ben attenzione a non confonderla con la lettera.

 

L’altra la fissava con aria assorta, come se solo con lo sguardo potesse immergersi e fondersi con essa.

 

“Si tratta di una photo babbana.” – iniziò a spiegare –“ I babbani sono coloro privi di poteri magici.”

Anticipò la risposta alla domanda che Hermione le stava per rivolgere.

 

“Questa è Hogwarts, o meglio, il suo parco.”

 

I suoi occhi rifulgevano della luce della nostalgia.

 

“Indossi la divisa della scuola e questo…” – indicò un puntino appena più luminoso –“…è la tua spilla da Caposcuola Gryffindor!”

 

Il bambino rizzò le orecchie, interessato a quel racconto.

Tonks sorrise amorevolmente.

“Scusalo, ma questa è la sua storia preferita. Diventa sempre euforico quando ascolta la storia del suo eroe. Hanno anche lo stesso nome, sai?”

Fece sedere il piccolo sulle sue ginocchia e ricominciò il suo racconto.

 

Tante erano le domande che avrebbe voluto porle, ma come il piccolo, anche Hermione rimase affascinata da quelle parole.

La realtà era stata letteralmente sopraffatta da quella storia.

 

Immaginava una ragazzina dai lunghi e crespi capelli ricci gironzolare per un castello incantato, dove i quadri parlavano e facevano da guardia dormitori nascosti e fantasmi si dilettavano a parlare con gli studenti.

 

Fantasticava su imprese eroiche compiute con i suoi amici.

Pietre nascoste, mostri che si aggiravano nelle tubature, innocenti salvati da carceri oscuri.

Arcani misteri da svelare.

 

Era tutto fantastico, certo, ma, per quanto si sforzasse di crederci, era solo in grado di immaginare tutto ciò.

Era tutta solo una bellissima favola.

 

Tonks aveva percepito i pensieri della, accentuati da un improvviso distacco.

 

Il suo malumore l’aveva contagiata.

Voleva davvero aiutarla.

 

Ma come?

Il suo sguardo, poi, si illuminò.

 

“Aspettami qui.” – disse alzandosi e dirigendosi verso la scala.

“No Harry, tu resti con Hermione.” – aggiunse, a buon ragione.

Il piccolo, infatti, si era già sporto per scendere dal tavolo e seguire la mamma.

A quelle parole aveva messo su un fantastico broncio.

 

La metamorfomaga tornò poco dopo con in mano una vecchia scatola malandata.

 “Ecco qui, ora dovrebbe essere tutto più semplice.”

 

La riccia aveva immaginato che in quella scatola ci fossero delle foto, ma non quel tipo di foto.

 

Erano tutte diverse da quella che aveva trovato in casa.

 

Si muovevano tutte.

 

“Queste sono photo magiche?”

Ninphadora annuì felice.

Eccola.

Riusciva finalmente a vedersi.

Una bambinetta undicenne che stringeva al petto un carico di vecchi libri troppo pesanti.

Ancora lei.

Stesa nel letto di quella che sembrava un infermeria.

Sembrava pietrificata.

Assurdo…ma forse non così troppo come sembrava.

In un'altra stentava a riconoscersi.

I capelli erano perfettamente lisci e raccolti in uno splendido fiocco.

I suoi denti non erano più troppo sporgenti.

Indossava un abito color pervinca.

Al sui fianco c’era il suo cavaliere.

Sembrava felice, eppure i suoi occhi rivelavano che qualcosa non andava.

Erano tristi.

Il retro diceva “Ballo del Ceppo”.

 

Poi eccola nell’ultima photo.

Non doveva essere stata scattata troppo tempo addietro.

Era molto più simile alla persona che aveva iniziato ad osservare nello specchio la mattina.

 

Alla sua destra un ragazzo dai folti e scombinati capelli neri le passava un braccio intorno alla spalla.

Portava un paio di occhiali tondi sul naso.

Sulla fronte brillava la famigerata Cicatrice a forma di saetta.

Quello doveva essere Harry Potter.

 

Alla sua destra un ragazzo sene stava rigido ed imbarazzato, mantenendo una debita distanza.

Come se avesse paura addirittura di sfiorarla.

Capelli rossi, il viso lentigginoso.

Ronald Weasley.

 

Hermione carezzava i loro volti lì raffigurati con la stessa cura che avrebbe riservato ai suoi veri amici.

Non li ricordava, ma sapeva che le mancavano.

 

Dalla foto, compariva a scatti il voto trasandato e sciupato di un uomo che di divertiva a prederli in giro.

 

“Papà, papà!”

Harry puntava il dito verso l’uomo nella photo, cercando di sfuggire dalla presa della madre.

 “Sì Harry, quello è il tuo papà. Sai? Hermione è una sua amica, è anche lei un’Auror.”

Nonostante cercasse di mantenere un tono di voce contenuto, il suo volto si rabbuiò e la cosa non passò inosservata alla ragazza, che, intanto, si era avvicinata ai due.

 

“Cosa gli è successo?” – domandò a bruciapelo.

 

Tutte le domande che quel sogno aveva soppiantato con le sue meraviglie le tornavano alla mente.

 

Chiare e vivide.

 

“Perché Harry e Ron non mi sono mia venuti a cercare in tutto questo tempo?”

Il suo tono di voce iniziava a diventare alto ed ansioso.

 

Rabbia repressa in ogni parola.

Delusione in ogni lacrima che iniziava a sgorgare.

 

“Hermione.” – l’ammonì Tonks decisa –“Non permetterti nemmeno di pensarle queste cose.”

La riccia, abbassò la testa mortificata.

 

Gettò uno sguardo all’orologio alla parete.

 

“Si è fatto tardi. Penso che sia ora di andare. Scusa per il disturbo”.

 

La sedia stridette violentemente contro il vecchio pavimento, segno che la rabbia ancora non era scemata.

 

Aveva messo piede sul primo gradino, quando la voce di Ninphadora la colpì improvvisamente con la sua calma.

 

“Domani mattina, vediamoci davanti alla caffetteria di questa mattina. Ti porterò da loro.”

 

***

 

Harry James Potter.

31 luglio 1980 – 24 agosto 2000

Solo sè stesso

 

Nell’immenso e decaduto parco di Hogwarts, tra ombrosi sicomori, si stanziavano due tombe.

Il marmo bianco delle lapidi rifletteva la luce del sole.

 

La prima, la più maestosa, apparteneva all’anziano preside di Hogwarts: Albus Silente.

Imponente nella morte quanto nella vita a detta di Tonks.

 

Al suo fianco, si ergeva, invece, una lapide più modesta.

Semplice.

 

Era lì che era sepolto colui che aveva salvato il mondo, il Bambino Sopravvissuto.

Il Prescelto che aveva sconfitto Voldemort.

 

“Dopo che avete lasciato Hogwarts siete entrati nell’Ordine della Fenice e poco dopo ha avuto inizia la guerra.”

 

Eccola la parte più difficile, in cui il sogno perdeva ciò che lo rendeva fantastico, per tramutarsi in un temibile incubo.

 

“Voldemort reclutava sempre più seguaci e la cosa gli risultava semplice e noi eravamo sempre più pochi. Abbiamo combattuto contro Mangiamorte, ne abbiamo interrogati a decine, ma abbiamo vissuto una situazione di stallo per più di due anni, costretti a nasconderci e a nascondere le nostre famiglie per tenerle al sicuro.”

 

Ninphadora quasi le sussurrava quelle parole, mentre lo sguardo di Hermione si perdeva nell’immensità di quel dolore mai vissuto.

 

“La mia famiglia ha abbandonato l’Inghilterra insieme ad Harry. Remus voleva che scappassi anche io, invece sono restata al suo fianco. Una notte, poi, le menti di Harry e Voldemort sono entrate di nuovo in contatto e siamo entrati a conoscenza dei suoi piani.

Un colpo di fortuna?

Non era la prima volta che il Signore Oscuro faceva uso di questo trucchetti per trarre Harry in inganno, eppure ci siamo fidati.

La visione era giusta. Eravamo riusciti a coglierli di sorpresa e la battaglia aveva avuto inizio.”

 

Il vento soffiava tra i rami.

Ogni fruscio sembrava riportare con sè i rumorosi ricordi di quella notte.

 

“Noi ci occupammo dei Mangiamorte, ed Harry di Riddle. Era così che la profezia voleva.

All’alba del 24 agosto, dopo un’itera notte a combattere, Harry aveva vinto la sua guerra, ma la battaglia non era finita.

C’erano ancora i Mangiamorte da catturare.”

 

La sua voce si incrinava ad ogni parola.

Ad ogni ricordo.

 

“Ci eravamo divisi per acciuffarli. Tu eri con Ron ed Harry io con Remus, poi ci siamo imbattuti in Fenrir Greyback.

Remus voleva chiudere il conto in sospeso che aveva nei suoi confronti. Tu non lo ricordi ma era un Licantropo ed era stato proprio il Mangiamorte a morderlo.

Così io sono andata avanti e…”

 

I suoi occhi erano lucidi e le lacrime scendevano senza che se ne accorgesse.

Ora si fissavano negli occhi.

Dolore che si perdeva nel dolore.

 

“Poi è successo tutto troppo in fretta.

L’urlo di Remus, la maledizione di Dolohov che colpiva Ron e il corpo di Harry tra le tue braccia.”

 

Anche Hermione piangeva.

Un po’ per il dolore, certo, ma specialmente perché lei di quella notte non conservava nessun ricordo.

Né di suoi compagni.

Nè dei suoi amici.

Nulla.

 

“C-cosa è successo a Ron?”

“La guerra ci ha cambiati Hermione, c’è chi si è trovato senza una casa, chi ha perso parte della propria famiglia e chi ha perso la propria vita. Ron, invece, ha perso sé stesso.

E’ ricoverato al San Mungo, al quarto piano: lesioni da incantesimo, fatture ineliminabili, maledizioni, applicazione errata di incantesimi.

Non si conosce il contro-incantesimo per la maledizione che gli hanno scagliato e adesso giace lì privo di vita. È vivo ma è come se non lo fosse.

 

Una piccola risata isterica seguì quella spiegazione.

 

“Scusa, potrà sembrarti senza senso, ma non so spiegartelo bene.”

 

Hermione annuì, poi abbassò lo sguardo.

 

“Harry, invece?”

 

Anche se faceva male, voleva sapere.

Non poteva conservarne il ricordo, ma almeno quella storia avrebbe fatto parte di lei.

 

“Nessuno sa con precisione quello che successo. Accanto a voi c’era Draco Malfoy, un Mangiamorte.”

 

Una freddo brivido attraversò la schiena di Hermione.
Sinistro e violento come il suono di quel nome.

 

“Continuavi a ripetere che non era possibile, poi ti sei scagliata contro Draco mentre lo portavano via. Con un incantesimo Reversus hanno scoperto che la sua bacchetta a scagliato un Anatema che uccide, probabilmente quello che ha ucciso Harry. L’hanno interrogato anche, visto che tu, l’unica testimone, non eri irrintracciabile, ma sotto Veritaserum ha dichiarato di non essere stato lui, così è stato scagionato e sono certa che i soldi del paparino l’hanno aiutato anche in questo, nonostante il dissesto in cui verte ora la famiglia.”

 

La ragazza ascoltava annuendo come coloro che dicono di aver capito, quando in realtà afferrano solo la metà della questione.

Hermione, invece, capiva sul serio le parole di Tonks.

Quel nome, la drammaticità e la crudeltà della cosa, le sembravano lontanamente familiari.

 

Ancora il silenzio teneva loro compagnia.

 

A giudicare da sole alto nel cielo, si erano trattenute lì fin troppo tempo.

 

“Forza Hermione, torniamo ad Hogsmeade. Dalla Testa di Porco ci smaterializzeremo direttamente nelle vicinanze del San Mungo.”

 

La ragazza scosse la testa.

 

“No, voglio rimanere ancora un po’ qui.”

“Ma Hermione, come tornerai a casa?” – ribattè Ninphadora.

 

La strega non sapeva rispondere.

Si morse il labbro inferiore.

Aveva ragione.

Non sapeva come ritornare.

 

“Facciamo così.” – intervenne nuovamente Tonks, venendole incontro –“Recati da Aberforth, lui saprà come avvertirmi ed io verrò a riprenderti, va bene?”

 “Perfetto” – rispose semplicemente.

 

Con un sorriso, la metamorfomaga l’abbandonò.

 

Ora era sola, nell’unico poto chela legava al sui passato.

Quel passato di cui i suoi genitori non l’avevano messa al corrente.

 

“Dovremmo dirle tutto.” – sbottò improvvisamente una voce maschile.

Un vociare confuso – ansioso e preoccupato – le giunse alle orecchie.

“Ma sei impazzito? Ne soffrirebbe troppo” – qualcuno si avvicinò al letto, carezzandole la guancia.

 

Non poteva rimproverare loro una scelta del genere, forse avrebbe fatto al stessa cosa.

Li avrebbe ringraziati, appena avrebbe fatto ritorno nel luogo da cui era arrivata.
Quel poto che adesso se sembrava tanto lontano

 

Avvolta nelle le rovine di quel luogo, Hermione decise di guardarsi un po’ intorno.

Magari, ripercorrendo i luoghi in cui era cresciuta, qualcosa le sarebbe tornato alla mente.

 

Fu così che abbandonò il parco, diretta al castello.

Immersa nelle sue riflessioni, però, non si era accorta di un rumore alle sue spalle.

 

Qualcuno si era appena smaterializzato lì ad Hogwarts.

 

A tenergli compagni solo lo scricchiolio delle fogli ed il frusciare del vento.

All’odore dell’inverno, però, si mescolava un altro profumo.

Quell'aroma così suo.

Quell’effluvio che aveva il potere di inebriarlo con il senso di pace e sicurezza che emanava, che lo rasserenava quando sentiva la fine che incombere.

Quella fragranza che l’aveva compagnia intere notti, prima di addormentarsi da solo in quel letto così freddo e lontano.

Senza di lei al suo fianco, ma con il suo volto in ogni pensiero.

“Salve San Potter.”

Avvolto in un classico cappotto nero, Draco Malfoy si era recato a far compagnia alla sua vittima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ringraziamenti:

LaDyDeMeTra: Vale, cognataH! Grazie mille per tutto, per l’appoggio, per il sostegno. Se io e grafica andiamo d’accordo è merito tuo. Grazie mille per l’infinito aiuto che mi dai con il Wild Rose, sono felice ed onorata della tua presenza.

Non ringraziarmi, perché anche senza di me qui ci saresti arrivata comunque.
Questo capitolo te lo sei sudato su msn questo capitolo, insieme alla mia infiammazione alla spalla.

Anche per questo, Grazie.

Love.

 

HermyKitty: Pulci, mia Scricchi!

Grazie mille stellina! Chissà perché, ma per colpa mia fai sempre tardi. Si che ti ammiro Ele, tantissimo. La risposta alla mia rec di PD mi ha spiazzata. Mi lusinghi e mi riempi di complimenti che, sinceramente, non credo di meritare completamente. Grazie per la fiducia che riponi in me e grazie, specialmente, per la prima critica che mi ha rivolto.

“ti dirò, ci penso ancora un po', ma penso che la metterò tra i preferiti.. molto bella, anche la fine, subito ho pensato che fosse un po' buonista, pensare all'incontro dopo la morte, ma l'hai reso bene perchè non è stato esageratamente 'dolcioso' ^__^”

Ti ho adorata per questo e ora ti adoro per mille e mille motivi.

Si unica Pulci.

Sbaci.

 

Maglodra: Sister. Dove sei??? E’ troppo tempo che non ti sento. La scula ti stressa? Povera cucciola. Spero che tu abbia tempo per leggere questo capitolo.

Lovva Grazie mille per il tuo solido appoggio. Resti sempre l’unica a trovare senso in Amami.

Ti adoro.

 

will80: Serpe!

Mi hai mollata per la seconda volta la pc nell’arco di pochissime ore. Dovrei padellarti per questo. Admin sei incredibilmente unica!

Soddisfatta la tua curiosità??

Grazie mille per i complimenti Socia.

 

piperina: Sai che non ti ringrazierei??

Ora ti stai beatamente spupazzando la Donna. Non si fa twinna.

La Dea si arrabbia!

Cosa dirti di più Iva?

Ti sei sorbita anche questo parto, mentre ti piastravi i capelli.

Moglia sei sempre il mio mito.

Spero che questo capitolo – che conosci solo a metà – ti piaccia^

Love e spupazzati la Cecy anche per me.

 

CherryBem: Denise, non ti nascondo che è stata una bella sorpresa la tua rec.

Fa strano vedere una mia ff con il rating verde? LOL ti assicuro che a me fa lo stesso effetto, ma non preoccuparti, mi rifarò presto. A buon intenditor poche parole.

Per quanto riguarda lo spider, beh si tratta di una coincidenza.

Il bambino di nome Harry mi serviva per creare un collegamento con il passato di Herm.

Grazie mille Cherry sei un tesoro.

 

Grazie anche alla Babi, perchè sbrilla per ogni parola.

Grazie Tati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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