Note
Pre-Cap:
Note
pre-capitolo molto brevi perché non voglio anticiparvi
niente. Ci vediamo a
fine capitolo, dove ci saranno le VERE nuove u.u Vediamo se riesco a
sorprendervi un pochetto con questo capitolo. Dico solo che ORA si vede
la
differenza in Jojo. È palpabile in questo capitolo.
BACIUZ
E BUON LETTURA.
A
fine cap :)
Percorro la navata centrale dell’aereo cercando di non urtare nessuno con il mio bagaglio a mano. Davanti a me, noto Sally un po’ impacciata, che tenta di capire quali sono i nostri posti.
-Oh, eccoli qui.- la sento dire, sollevata, mentre posa a terra il suo bagaglio e guarda dietro per sorridermi dolcemente.
-Sono i nostri?- chiedo, guardando i due posti alla mia sinistra. La moretta annuisce, per poi sedersi su quello affianco al finestrino, e guadagnandosi così uno sguardo assassino da parte mia.
-Ladra.- sussurro abbastanza forte da farmi sentire da lei, che sorride più onestamente.
Con un po’ di fatica alzo i due bagagli a mano sopra le nostre teste, nello scompartimento apposito, per poi sedermi affianco alla mora.
Durante la nostra piccola sfilata nel corridoio centrale dell’aereo, non ho potuto non notare gli sguardi lascivi di alcuni passeggeri, per lo più maschi arrapati. Dio, mi sale la rabbia solo a pensare a quel ciccione della fila accanto, che ancora sta fissando Sally con quegli occhi.
-Ehi- mi chiama lei –tutto bene?- fa, notando i miei denti serrati.
Annuisco, prendendole la mano e intrecciando le dita.
E rilassandomi.
-Nervosa per il rientro?- mi chiede, sorridendo con compassione.
Io la guardo per qualche secondo, soffermandomi un po’ sulle labbra piene, accentuate da un leggero tocco di rossetto acceso.
-Un po’. Sì, un po’ sono nervosa- ammetto, distogliendo lo sguardo.
-Paura di quello che troverai? Non hai detto di avere alcuni amici che ti aspettano?-
Sally e le sue domande. Dannazione, sa sempre come farmi parlare. È una delle poche persone che sa sempre quello che mi passa per la testa.
-Sì, certo.- rispondo io con un sorriso amaro. –sono loro a non sapere cosa li aspetta. Non hanno idea di chi sia, veramente.- mi prendo una pausa. –sono anni che non ci sentiamo. Probabilmente si aspettano ancora la ragazzina imbarazzante di qualche anno fa.- aggiungo, ironica.
-Non devi preoccuparti, Little Italy- risponde lei, altrettanto ironica. –Andrà tutto per il meglio-
Io ridacchio e stringo leggermente la sua mano.
È soffice, curata. Le sue dita lunghe sono perfettamente proporzionate e le sue unghie perfettamente laccate.
Un po’ tutto, di lei, è perfetto. Dall’abbigliamento al trucco, dal fisico al carattere.
È una persona completa, per così dire.
Ha avuto tanti alti e bassi nella vita, e questo l’ha fatta crescere prima del solito, donandole una perfetta visione del mondo e delle persone, e rendendola così una delle ragazze più sensazionali che abbia mai conosciuto.
Fredda, distaccata, a tratti stronza.
Ma se si guarda oltre la sua corazza, ha un mondo da offrire.
Dolce, sensibile, speciale. Ecco come la descriverei. Semplicemente perfetta. Forse non per il mondo, non per se stessa. Ma decisamente perfetta per me.
-Jo- mi chiama, distogliendomi così dal mio studio –se ti hanno voluto bene tempo fa, stai certa, te ne vorranno anche adesso. Come potrebbero fare altrimenti? Alcune persone potrebbero anche dire che sei fantastica…- dice con voce giocosa, ma conoscendola so quello che vuole veramente dirmi.
Capite cosa intendo quando dico perfetta per me?
Sono queste frasi a ricordarmi del perché siamo così legate. Sono questi atti di naturale affettuosità che mi fanno capire quanto sia importante, nella vita di tutti noi, una persona che ti conosce. Una persona che conosce ogni tuo aspetto. Una persona che conosce ogni tuo difetto, ogni tua mania, ogni tua paura.
E nonostante tutto…
…rimane.
Ti rimane affianco. Lì, così vicina che puoi sentirne il profumo. E non intendo quel tipo di profumo che si compra nei negozi. No.
Parlo del profumo della pelle. Del profumo intimo di una persona. Quel profumo che senti solo quando ti abbracci per così tanto tempo che ogni altra piccolezza passa in secondo piano.
E sapete cosa?
Ne abbiamo passate tante. Ci siamo sputate addosso gli insulti peggiori. Le colpe,i vizi, i giudizi. Ci siamo odiate. Ci sono stati giorni in cui nessuna delle due riusciva a respirare per colpa di quel peso che grava sul petto quando sei così incazzato.
Eppure, nonostante tutto, riusciamo a capirci. Sempre.
E sempre riusciamo a tirarci su di morale. Sempre riusciamo a uscirne.
Come ora.
Non stiamo insieme, se è questo che vi state chiedendo, e l’ultima volta che ci siamo viste abbiamo sfogato ogni sentimento l’una sull’altra.
Rabbia, frustrazione, gelosia, passione e, infine, rassegnazione.
Tra sesso e litigi, i nostri incontri sono diventati mano a mano sempre più focosi e passionali. Per certi versi distruttivi. E quella che poteva nascere come una relazione…è semplicemente morta in una notte passionale tra lenzuola sudate, vetri rotti, lacrime e estasi.
Non ci sono colpe. O ,se ci sono, sono da entrambe le parti.
Questo lo so.
Ma non posso fare a meno di sciogliermi quando mi parla in questo modo.
E non posso fare a meno di pensare: “Forse, una possibilità c’è ancora…”.
Mi illudo.
Ma assorbo le sue parole, che per qualche secondo fanno attorcigliare il mio stomaco.
Sorrido dolcemente, e mi sporgo verso di lei, lasciando un bacio dolce all’angolo delle labbra.
-Tu sei fantastica- sussurro poi, allontanandomi da lei.
Sally intanto ha chiuso gli occhi.
-Jo…- sussurra, a mo’ di rimprovero.
Io stringo i denti, reprimendo un sorrisetto poco opportuno –Scusa, hai ragione. È l’abitudine…-
Lei accetta con un sorriso, e poggia la testa sulla mia spalla.
Rimaniamo in silenzio per qualche minuto. Sapete, quel silenzio imbarazzante, dove inizi a pensare: “Ecco…e ora cosa dico?”
-Ci pensi…- fa lei ad un certo punto, evitando di prolungare l’imbarazzo. –Fra neanche un giorno tu sarai a Roma, e io, fra neanche una settimana, di nuovo a Toronto- dice, per poi spostare un po’ la testa dalla spalla per guardarmi in viso.
-Già…- rispondo io, evitando accuratamente il suo sguardo magnetico. –Mi fa strano pensare che non ci vedremo più tutti i giorni…- sussurro, quasi fosse un segreto.
Lei aspetta qualche secondo, e sospira, spostando di nuovo lo sguardo, un po’ rassegnata.
-Forse sarebbe stato meglio non prendere lo stesso aereo.- dice, con voce seria. –Forse avrei dovuto dire di no a Luke. Non voglio neanche pensare a quando ci dovremo salutare per davvero….-
E fa male. È questo il punto. Prendere lo stesso aereo, sapere che fra una settimana saremo su due mondi diversi, fa ancora più male. Condividere, per certi sensi forzatamente, queste ore, non è altro che buttare sale su una ferita ancora aperta.
E Luke non lo sa, questo.
Io e Sally, invece, lo sappiamo fin troppo bene.
- Non so cosa dire, piccola- continuo io, quasi sussurrando. –…non voglio pensarci neanche io.-
E cala di nuovo il silenzio.
I suoi respiri sulla mia pelle scandiscono i secondi che passano. Le sue mani, perennemente calde, stringono la mia sulle sue gambe. Le dita intrecciate non fanno altro che ricordare le notti passate insieme, l’una stretta all’altra.
Ma ormai è passato diverso tempo dalla nostra ultima volta. Troppo.
E il punto è che rimane, tuttora, quel sapore dolceamaro sul palato. Nonostante siano passati mesi. Nonostante siamo due persone diverse. Nonostante la paura di non rivederci per chissà quanto tempo.
Nonostante tutto, rimane la voglio di amarsi un po’. Ancora un po’. Nonostante faccia più male di un attacco di panico, o di una crisi d’astinenza, o di una lama che incide l’avambraccio.
Rimane la voglio di sentirla vicina, attacca al mio corpo. E di sentirla respirare sulla mia pelle, sudata dopo ore di sesso selvaggio e amore.
Rimane ancora quel retrogusto di sconfitta, sapete?
Perché so che è la mia Sally. E so di essere il suo Jack.
Ma non sembra bastare. Perché per quanto due anime siano affini, siano perfette insieme, se c’è di mezzo l’amore tutto si complica.
E noi non siamo fatte per le cose complicate. Non ora, almeno.
Non siamo fatte per l’amore. E se un giorno cambieremo idea, chissà, forse sarò io stessa la prima ad alzare il telefono e a cercarla.
Ma per ora, l’unica cosa di cui siamo sicure è questa settimana. Quest’ultima settimana.
E come al solito, è lei a sciogliere questa enorme matassa di dubbi e pensieri che si affolla nella mia testa.
Stringe ancora un po’ le mie dita, e con una tranquillità che poche volte le ho letto sul volto, dice.
-Credo che l’unica cosa che possiamo fare, ora come ora- mi guarda –è vivere queste giornate. Godercela finché possiamo. Perdere questa settimana per pensare a varie ed eventuali sarebbe uno spreco. Non trovi anche tu?-
E ci guardiamo.
Sorridendo.
*
Sally si è addormentata ascoltando i Sonata Arctica. Ditemi voi come si può dormire con i Sonata Arctica. Mah…solo lei può dormire con questa soundtrack. Chissà che sogni farà.
La guardo qualche secondo. I capelli mori corti le cadono sparpagliati attorno al volto. Le labbra sono semiaperte, e a intervalli regolari rilasciano uno sbuffo lieve.
Non posso fare a meno di sorridere.
È veramente bellissima.
Nel frattempo la mia testa viaggia.
Entro qualche ora sarò di nuovo nella capitale italiana.
Sapete cosa? Ancora non sono entrata nell’ottica giusta.
Ancora non ci credo che da domani mattina non vedrò James, Shane, Ryo. Lily. Luke.
Non ci credo che stia per cambiare tutto. E nonostante i vari mesi passati con la certezza del mio rientro in Italia…beh, non ho ancora focalizzato la situazione.
Nella mia
testa c’è solo una
fitta nebbia che avvolge tutti quei volti che rivedrò
nell’arco di pochi
giorni.
Avrei
rivisto il mio migliore
amico Federico, l’unico che mi è sempre stato
vicino, la sua fidanzata Amy, che
io considero quasi come una sorellina minore. Avrei rivisto Claudia, e
sicuramente la sua allegria/euforia/ lunaticità mi avrebbe
rallegrato tanto
quanto rincoglionito. E sicuramente, nell’arco di pochi
giorni, avrei rivisto
anche lei…Giulia.
Lunga
storia.
La mia prima cotta. La persona per cui ho capito di essere gay. Assurdo vero? E a 11 anni scoprire di non essere etero è veramente dura, ve lo assicuro. Ma ancora più dura è dover fuggire per dimenticarla…e nel mio caso be’, non ho avuto mezze misure: addirittura sono finita in America, nella grande, affollata, caotica New York.
Esagerata,
dite? Vorrei vedervi
nei miei panni. A 14 anni, con gli ormoni in sovraccarico e la persona
che più
vi piace che non vi caga di pezzo, scusate la volgarità.
E vorrei
vedervi nei miei stessi
panni, se per caso, vi capitasse l’occasione non solo di
fuggire da una
situazione ambigua, ma anche di coronare il vostro sogno di lasciare
l’Italia; ditemi, avreste rifiutato una proposta
del genere??
Be’,
questo è quello che è
successo a me, e io, da brava ragazza ribelle adolescente che ero (e
sono
tutt’ora) ho preso la palla al balzo.
In meno di
due mesi ero su un
aereo con destinazione Stati Uniti. E da quel momento sono passati ben
tre
anni, che ai miei occhi però non sono durati poi
così tanto. E in questi tre
anni, per certi versi fortunatamente, non l’ho praticamente
più sentita.
Non so come
abbia fatto a farmi
perdere la testa.
Mi ricordo bene il nostro primo incontro. Era la prima media, e nella nostra scuola ci conoscevamo già tutti, più o meno. Tutti provenivamo dalla stessa scuola elementare, e perfino alcuni professori conoscevano già i nostri volti. Il più famoso era il professor Mainardi, di italiano. Noi lo conoscevamo perché ci faceva doposcuola alle elementari.
Quel giorno
lo ricordo perfettamente.
L’incontro
più strano a cui abbia mai
partecipato: perché a dirla tutta, mi sembrava di
vedermi dall’alto, come
attraverso uno schermo televisivo, e che l’attrice che mi
interpretava avesse
doti recitative molto scarse.
“È
il primo giorno di scuola,
prima media, ore 8 e dieci.
Suona
la campanella.
Ma
un banco è ancora vuoto: è
quello più vicino alla finestra in fondo, affianco
c’è un ragazzino dagli occhi
nocciola e i capelli castani sparati in aria grazie a una dose
spropositata di
Gel.
Una
ragazzina al secondo
banco, anch’essa con capelli castani, ma lunghi e ondulati, e
una pelle chiara,
quasi perlacea.
Il
professore fa l’appello.
-C’è
un volto nuovo- informa.
E fa presentare la ragazza del secondo banco.
Giulia
Piacentini, dice di
chiamarsi Giulia Piacentini.
Finito
l’appello. Tutti
presenti.
Tranne
una.
-Ehi,
Fabiè. Sai dov’è finita
Jojo??- è il ragazzino dai capelli pieni di gel a
chiederlo. Si rivolge
ad un altro ragazzo coi capelli rasati molto corti.
-Boh,
non dovevate venire
insieme oggi?- gli rivolge la domanda Fabio.
Ma
non ci sarà risposta a
questa domanda, perché il rumore della porta
dell’aula li fa mettere
sull’’attenti.
-Scusate
il ritardo.-
È
una ragazzina occhialuta,
con capelli lunghi e crespi. Indossa una maglia a maniche corte verde,
con
sopra la stampa dell’evoluzione dell’uomo, dalla
scimmia al pianista. .
Lo
zaino è posato solo su una
spalla, la destra, ed è pieno di scritte fatte con gli
UniPosca colorati. Per
lo più spezzoni di
canzoni.
La
ragazzina nuova alza gli
occhi verso la new entry, e i loro sguardi si incrociano per
meno di un
istante, ma l’aria si carica di strana tensione.
Guardando
la quattrocchi si
nota subito che ha corso a perdifiato: ha il fiatone e le guancie
arrossate.
Dopo
il consenso del professore
a entrare, si avvia verso l’unico posto libero, quello vicino
alla finestra.
Deve per forza passare vicino alla nuova ragazzina per arrivare al
banco.
E
a undici anni si iniziano
ad avere i primi problemi con i compagni di classe, sapete?
Per
questo non credo che
tirare in ballo il destino sia una cosa appropriata..
È
il piedi di Mattia Dippo a
far inciampare, appositamente, la ragazzina occhialuta.
Sembra
andare a rallentatore.
Si
sbilancia, ma
fortunatamente riesce ad aggrapparsi al banco della seconda fila, proprio
quello della nuova alunna. Certo, pensando positivo, almeno ha evitato
di
cadere di faccia il primo giorno di scuola. Ma la figuraccia ormai
è fatta, e
gran parte della classe, ormai, sta ridendo senza contegno.
La
quattrocchi arrossisce,
imbarazzata, e si rialza in fretta e furia dal banco della malcapitata.
-Ehi,
ti sei fatta male?-
chiede la ragazza seduta, guardando dritta negli occhi Jojo, che
annuisce
frettolosamente.
-Scusa-
fa poi,con voce
piccolissima, allontanandosi
dal banco
per sedersi finalmente al suo posto.”
Vi evito la parte degli sguardi di compassione di Febo e Claudia. Preferirei mantenere un minimo di dignità…
Ma tutto
sommato, sì, è così che
racconterei il nostro primo incontro.
Non ho mai avuto vita facile a scuola. Troppo strana. Troppo diversa per rientrare nei gruppi “fighi” della scuola. Ero abituata a quel genere di trattamento, in poche parole.
Ma mai. Mai prima di quel giorno, mi ero sentita così ridicola. Così derisa.
E quel –ti sei fatta male?-, chiesto con quel tono di voce, così spontaneo e interessato…beh, ha dato una bella fitta al cuoricino della me dodicenne.
Colpo di
fulmine?? Possibile..ma
non credo.
A essere
sincera i primi mesi di
quella prima media Giulia non mi andava così a genio.
Non mi piaceva quel suo modo di fare così sicuro di sé, così affascinante e spontaneo verso tutti. Mi metteva a disagio.
E nonostante questo, sentirmi lo stesso interessata a lei non faceva altro che avvilirmi di più.
C’era qualcosa che non andava in me? Perché sentivo questa attrazione per una ragazzina con cui sì e no avevo scambiato tre parole?
Era così socievole, così affascinante. Tutte le sue storie.
Ecco, era riuscita ad ammaliare tutti in classe. Compresa me. Ma allora non capivo che quel movimento strano in fondo allo stomaco non era gelosia o invidia o semplice interesse.
No.
Piano piano, quel suo charm, quel suo fascino, stava facendo crescere in me un sentimento particolare. E doloroso per gli anni a venire.
Ero piccola. Non capivo perché provassi così tanti sentimenti contrastanti per quella ragazzina bianca come il latte, con quegl’occhi così difficili da descrivere. Così la evitavo.
Ma fece
amicizia con Claudia. E
quando si fa amicizia con una nuova persona, e questa ha altri amici,
beh…è inevitabile,
si esce tutti insieme.
Fu grazie
ad un discorso sulla
sua Inghilterra e sulla mia America che ci avvicinammo molto.
Mi ricordo
la nostra
chiacchierata che andava avanti senza interruzioni: eravamo usciti in
gruppo e
ci dirigevamo, con il tram 2, verso Flaminio, per andare al Burger King
più
vicino.
Il discorso
era nato per caso,
appena saliti sul mezzo.
Ma si
prolungò per tutto il
giorno.
Parlammo di
come si viveva in
Inghilterra, dei suoi amici, dei suoi progetti futuri ( eh
già…voleva
tornarci al più presto) e io parlai dei miei sogni, di come
vedevo gli Stati
Uniti, di come volevo vivere, e di tutti i miei progetti (o
almeno…parte di
essi). Era bellissimo…sembrava quasi che una campana di
vetro invisibile ci
avesse estraniato da tutto e da tutti.
Da
lì nacque la nostra amicizia…
La nostra
strana amicizia.
E nello
stesso istante in cui
nacque la nostra amicizia, mi accorsi che non mi bastava.
Volevo di
più di una semplice
amica.
Non volevo
solo lunghe
chiacchierate, e frasi a doppio senso, no…
Volevo di
più.
Ma,
già allora, ero abbastanza
intelligente da capire che non potevo rovinare la nostra amicizia per
un semplice
capriccio.
Perciò
mi accontentai…
…per
qualche anno.
Ma in primo superiore capii che standole affianco mi facevo del male, fisicamente e mentalmente. Stavo piano piano diventando masochista. Continuava a peggiorare.
Ora che ci penso, credo sia stata una delle maggiori cause dei miei attacchi di panico…
D’altronde sono cominciati durante quel periodo…
Per questo motivo presi la decisione di allontanarmi dal gruppo… non solo da lei.
Ogni giorno uscivo di casa con la paura di chiudermi e di non uscire più dalla mia testa. Certi giorni avevo persino paura a guardarla negli occhi. Ogni minimo movimento, anche il più naturale in una amicizia, mi rendeva nervosa. Lei, i guai in famiglia, le ore passate dentro la sala dei pianoforti al conservatorio di Santa Cecilia. Mille piccoli problemi, che per il mio animo chiuso e represso, non fecero altro che sfociare in attacchi di panico e rabbia.
Mi allontanai.
Da lei, da loro, dal mondo.
Mi buttai, cuore ed anima, nella musica. Quel pianoforte che qualche mese prima non era altro che un ostacolo per le mie uscite pomeridiane, ora, era il mio migliore amico.
Componevo, scrivevo e suonavo per ore.
E quelle
ore di studio matto e
disperatissimo non sono andate perse. Anzi…hanno fruttato
una borsa di studio
per gli States, e una via d’uscita a quello che sembrava un
tunnel senza fine.
Poi una serie di eventi.
Belli, brutti, disastrosi, inaspettati. Una serie di eventi che mi porta fin qui, su quest’aereo.
Sono fiera di quello che sono, ora. Sono cresciuta così tanto in questi tre anni, che a stento riesco a riconoscermi.
Non mi nascondo più dietro falsi pretesti. Non scappo più dai miei problemi.
Questi tre anni a New York mi hanno fatto crescere. Col passare dei giorni, settimana dopo settimana, ho accettato ogni sfaccettatura del mio carattere e della mia persona. Ho abbracciato me stessa, grazie all’aiuto di persone che ci tengono veramente a me. Alla vera me. Non a quel prototipo di ragazzina insicura di qualche anno fa.
Se sono quello che sono, ora, lo devo a me stessa, ai miei amici e al percorso che ho intrapreso.
E certo, di molte cose non sono orgogliosa, ma ogni singolo errore mi ha portato ad imparare. E di questo sono grata.
Perché adesso sono sicura di me stessa, e riesco a camminare a testa alta nonostante i mille e più errori che ho fatto in questi anni.
Sono grata di quello che sono ora, perché finalmente posso guardare negli occhi una ragazza senza sentirmi inadeguata. E quando guarderò di nuovo i volti dei miei vecchi amici, li guarderò dritti negli occhi.
Per vedere la sorpresa scoppiare nei loro occhi, al vedermi così diversa. Così cambiata.
…
Tra tutti i lati negativi del rientrare a Roma, l’unico lato positivo che non vedo l’ora di vedere è proprio questo.
Lo sguardo di Giulia.
I suoi occhi che mi fissano completamente sconvolti. E io che dentro di me rido, perché finalmente mi sento bene con me stessa. E finalmente riesco a leggere quella sicurezza riflessa negli occhi di chi mi guarda.
È incredibile quanto un palco possa aiutare l’autostima di una persona, non credete?
Be’. Sta di fatto che entro un paio d’ore toccheremo terra.
Perciò.
Roma.
Sto arrivando.
Tieniti
pronta ad essere
sconvolta.
Note
Post-Cap:
Sorprese
dei cambiamenti, eh?
Ammettetelo,
siete andate a guardare la vecchia storia per il personaggio dagli
occhi verdi xD
E io vi ho fregate u.u Nuovo personaggio. Lo so! “Mo che vole
fa questa qui,
eh?” tranquille, è di passaggio. Sarà
MOLTO importante, ma MOOOLTO più in là
nella storia.
Per
ora, non ci pensate troppo. La storia, a differenza della prima,
è
COMPLETAMENTE incentrata su Jo e Giulia, niente di impiccio, apparte
loro
stesse. Quindi, non vi allarmate.
Anzi,
probabilmente riuscirò a farvi amare Sally più di
quanto possiate aspettarvi. È
un personaggio che nell’altra storia avrei introdotto verso
la fine. Ma ho
deciso di sconvolgerla, questa versione quindi…
Pensieri
su Jojo? È diversa, più tormentata. Ma per me,
molto più umana di prima. Con
tutto quello che ha passato, uscirne indenne sarebbe
un’utopia. Perciò…pensieri
e commenti a riguardo?
Ora,
passando a fatti più eclatanti
1)
c’è la possibilità che la storia cambi
raiting…gente a favore? Se ci sono
ragazze/i minorenni che vogliono continuare a leggere, please fatemelo
sapere
così almeno lascio il raiting uguale e posto le scene HHHot
a parte (IN CASO,
ancora è da vedere…sono un po’ indecisa
-.-“)
2)
Hanno proposto una playlist con le canzoni che mi ispirano a scrivere e
che
appariranno (prima o poi) nella storia. Vi gusterebbe?
3)
prossimo capitolo più incentrato su Giulia. Vediamo di far
capire COME è
cambiata dalla vecchia Giulia.
Peace, Love, Empathy
Guys. :D