Fanfic su artisti musicali > Ed Sheeran
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Autore: itslarryscomingout    27/07/2013    3 recensioni
La ragazza lo guardò con stupore. Si passò una mano sul volto, strofinandosi poi gli occhi. Si avvicinò cautamente, incerta. E se fosse stata solo una casualità? Chi diceva che era proprio quello?
Continuò a camminare, fino ad arrivare ad una distanza di pochi metri. Ed alzò la testa, guardandola. La ragazza era ferma, immobile, lo guardava ad occhi sbarrati.
"Non è possibile."
Disse solo, in un sussurro, scuotendo la testa. Ed la guardò inarcando un sopracciglio. E se... riguardò la rosa bianca che aveva nelle mani, sorridendo poi lievemente, aggiustandosi la visiera del cappellino senza staccare gli occhi della ragazza difronte a lui.
Lei si avvicinò, a quel punto, sentendo le gambe molli.
"Edward?" pronunciò incerta. Ed sorrise, guardandola di nuovo.
"Ed-Edward sei tu?", pronunciò lei, sentendo la gola secca e gli occhi umidi. Avrebbe voluto piangere. Lui si avvicinò lievemente, porgendole la rosa. Lei l'afferrò incerta attenta a non sfiorarlo. Si concentrò sul fiore abbassando la testa. Era puro, bello, bianco, profumato.
"Perché non mi hai detto che eri tu?", sussurrò allora lei, lasciando che una lacrima le rigasse il volto. Si sentiva presa in giro. E Ed a quella visione sentì piccolo piccolo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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A Edward,
che gioca a tennis e 'sembra il fratello di Nadal'. 




“Sì Johnny, sono pronto  aspetta un attimo.”
Arricciò il naso, infilandosi la scarpetta. Gli stavano larghe e aveva dovuto stringere i lacci fino schiacciare il piede in una morsa fastidiosa.
“Ed, muoviti!”
“Cazzo, un attimo” sussurrò. Si passò una mano tra i capelli già sudati e appiccicosi tenuti fermi da una fascetta di cotone. Prese in mano la racchetta schiacciando i polpastrelli sulla gomma ruvida del manico, poi lasciò intrecciare la pupilla nelle corde, osservando il loro assurdo intreccio. Avrebbe potuto scrivere di quegli assurdi legamenti per ore, perché gli ricordavano le montagne, il mare, le stelle, la vita, gli amici e l’amore.
“Edward!” urlò di nuovo Johnny, battendo però il pugno sulla porta bianca.
Scosse la testa, risvegliandosi da quel coma.
“Sei un rompicoglioni” aprì la porta, spingendo con la spalla il suo amico. Poi rise per i pensieri che aveva fatto sulla racchetta.
Devo fumare una canna , pensò solo, entrando nel campetto.
Il cielo nuvoloso, dei tuoni a infastidirlo, il vento a sferzare le guance screpolate, il terreno fangoso sotto scarpette fin troppo rumorose.
 
“Sfigata!” una risata cristallina subito dopo quelle parole. Capelli biondi al vento e luminosi rispetto al campetto verde bottiglia. Le ragazza girò su se stessa, guardando in alto, verso il cielo. Era nuvoloso, ma qualche spruzzo di sole illuminava le pareti dell’edificio.
“Stronzo!”
“A chi?” aveva soffiato poi nell’orecchio di lei, abbracciandola da dietro. Automaticamente la racchetta era caduta  a terra, colpendo le loro scarpe.
“Tu!”
Una piccola risata da parte di lui e una carezza tra i capelli spumosi e lucenti.

“Non sono io quello che non sa giocare a tennis, cara Rose.”
Un morso sul braccio, un urlo, risate leggere come pioggerellina nell’aria.
 
Deglutii, muovendo le gambe per riscaldarsi.
“Ti straccio.”
Lui rise, socchiudendo gli occhi, “Sogna, sogna” e poi si era messo a correre per raggiungere la pallina che era arrivata con forza nel suo lato di  campo.
L’aveva colpita forte, come a voler lanciar via il ricordo che aveva scavato nella memoria.  Si piegò sulle gambe, colpendo di nuovo la pallina in rovescio. Aveva preso solo un respiro, prima che la vedesse rotolare fino alla rete.
“Uno per me!”
“Ah, sta’ zitto Johnny.”
E aveva rilanciato, disinteressato a tutto.
Se prima aveva voglia di giocare con uno dei suoi grandi amici, in quel momento tutto il desiderio di prima era sparito, lasciando spazio allo sconforto di una partita nulla.
 
 
 
Guardò la strada, soffermandosi a guardare la quercia imponente che se solo si alzava in piedi riusciva a toccare. Era alta, robusta, con le foglie di un verde brillante e umido per la rugiada.
Si morse il labbro, grattandosi il collo con un dito. Essere come quella quercia le sarebbe piaciuto. Posò gli occhi sul bianco del foglio che portava in grembo, lo strinse forte quasi fino a farlo stropicciare, poi lo lasciò, rigirandosi la matita tra le dita.
Scrivere pezzi della propria vita, disegnarli, catturarli su un tessuto colorato o colorarlo con il grigio della sua mina, le sarebbe piaciuto tanto. Perché i disegni si possono modificare e colorare e cancellare e riscrivere milioni di volte ancora, rendendoli perfetti ogni schizzo in più. Perché il foglio assorbe tutto, resta zitto e ama la mina, la consuma e si consuma per la forza che viene usata nel disegnarci sopra, ma non ti ferma, ti fa continuare anche quando gli strati sono finiti e tu non hai più spazio dove scrivere,
 se non dove ci sono dei piccoli fori.
Però quel foglio continua ad amarti anche mentre tu lo consumi e lo usi fino a disintegrarlo. Oppure puoi conservarlo in un cassetto, piegarlo o lasciarlo intatto e quando ne sentirai la mancanza potrai riprenderlo e riguardarlo, amarlo ancora una volta solo a guardarlo, percepirne le emozioni che ci hai messo nel farlo, e rimetterlo al suo posto per evitare che l’aria possa anche solo sciuparlo.
Tracciò una linea perfetta, dritta, senza incertezze.  Arricciò il naso, riposando lo sguardo sulla quercia, sul tramonto che dorava le foglie come in un bagno di sugo e cielo, come se quelle foglie gli appartenessero di diritto.
Non sono tue quelle foglie.
Occhi scattanti, mani veloci, palmi sudati, punte consumate per l’intensità delle linee e delle curve.
Lasciami disegnare sulla tua vita.
Rumori neanche lontanamente udibili, persone troppo indaffarate, un giardino troppo solo.
Voglio disegnare, voglio farlo come una volta. Lo faccio per te papà, perché tu sapevi farlo.
 
La casa silenziosa, buia e luminosa allo stesso tempo. Finestre chiuse, porte delle stanze spalancate.
“Mamma?” silenzio, rumori e paura.
“Mammina?” voci sussurrate, mai sentite, conosciute.
La piccola continuò a camminare piano, stringendo tra le dita la gonnellina del suo vestitino a fiori che la madre le aveva costretto a indossare. Salii le scale, respirando affannosamente.
“Papino?” mormorò, guardandosi intorno.
Poi urlò chiudendo gli occhi tentando di scappare via. Il piede le scivolò indietro e si protese  per cadere verso le scale ma due braccia forti la sollevarono portandosela addosso.

“Buh!”
Automaticamente rise, affondando le mani nei capelli ricciolini dell’uomo.

“Papino!”
“Principessa” sorrise l’uomo, accarezzandole i capelli castani simili ai suoi. La portò nel suo studio, poggiandola a terra. Si stava facendo grande e pesava ormai.
“Che stai facendo al buio?” una voce troppo bambina per i suoi nove anni. Spalancò gli occhi, perché al buio era difficile stare dietro suo padre. Poi una piccola luce si accese. L’uomo seduto sulla sua grande sedia di pelle nera, le mani macchiate di nero, il viso stanco e soddisfatto.
“Vuoi vedere una cosa?”
Si mosse soltanto, arrivando vicino a lui. Sul tavolo fatto con legno di pino un foglio grande, il ritratto incompleto di una donna. Una mano vicino alle labbra dall’incarnato ancora indefinito, un occhio da cerbiatta, i capelli adagiati delicatamente sulle spalle.
“Chi è quella donna?”
“La mamma. Ti piace?”

 
Una lacrima calda sul foglio, le dita paralizzate, il vento a scuotere i capelli legati.
Hannah alzò gli occhi al cielo, poggiando la schiena sul muro dietro di lei. Rise, asciugandosi la lacrima.
“Sai che quel disegno era proprio bello? Chissà quanto bello sarebbe stato se lo avessi finito. Sei un burlone pa’.”
Rise all’aria che l’accarezzava come fosse terreno. Parlò con il cielo, con le piante, con suo papà e con nessuno. Ma lo fece comunque, perché nulla importava davvero.
Il dolore dimenticato per un po’, racchiuso in una scatola troppo piccola per contenerlo tutto, ma pur sempre lontano da quel corpo troppo fragile.
 
And I think you hate the smell of smoke
You always try to get me to stop
But you drink as much as me
And I get drunk a lot
 
Una pallina gli colpì la testa, facendolo barcollare. Chiuse gli occhi, portando automaticamente la mano sulla fronte.
“Ah!”
“Ed?! Stai bene?”
Alzò gli occhi, incontrando quelli grigi di Johnny velati da una patina di preoccupazione. Scosse la testa buttando la racchetta a terra. Quello gli mise una mano sulla spalla, ma lui aprì solo le labbra, incapace di parlare veramente.
“Io… Io de-…  Devo andare.”
Lo guardò interrogativo, ma non se ne curò. Si girò, tastando forte con i piedi il terriccio, sentendolo scricchiolare come legno. Corrugò la fronte, ripetendo le parole che aveva trovato.
“Ma Ed, abbiamo appena iniziato a giocare!”
Lo ignorò del tutto. Doveva assolutamente scrivere ciò che aveva appena formulato, perché altrimenti avrebbe dimenticato le parole. Quasi inciampò quando rientrò nello spogliatoio, ma si mantenne allo stipite della porta. Storse il naso e prese velocemente il cellulare dal suo borsone. Digitò ciò che si era ripetuto in un messaggio, salvandolo poi nelle bozze.
Sarebbe potuto ritornare dal suo amico così non lo avrebbe neanche deluso, ma tanto che c’era ritornò a casa, già stanco pur non avendo fatto nulla.
 
 
 
Camminò frettolosamente, quasi tremando. Era…  Euforica.
Si guardava intorno circospetta, attenta che nessuno la vedesse, ma alla fine nessuno la notava seriamente. La tuta le cadeva oltre le scarpette strusciando contro le strade sporche. Aumentò il passo, contenta che fosse già arrivata. Si strinse nelle braccia entrando nella tabaccheria, si guardò un attimo intorno, avvicinandosi poi al bancone.
“Un pacchetto di Malboro da dieci”
 L’uomo la guardò, inarcando un sopracciglio.
“Sono maggiorenne!”
O quasi, pensò.
“Okay, non è che non mi fido, ma ho bisogno di vedere la carta d’identità ragazzina.”
Boccheggiò un attimo.
“Ma… Non ce l’ho con me.”
“E’ la legge, non posso impedirlo.”
Lei sbuffò, passandosi una mano tra i capelli.
“La prego, non può fare un’eccezione? Giuro che le terrò in tasca fino a quando non raggiungerò casa mia!”
Si morse il labbro, guardandolo in modo di fargli tenerezza.
“La prego… Tanto lo so che non le dispiace incassare altri soldi. Resterà tra noi.”
L’uomo la guardò esitante, poi scosse la testa.
“Ma che rimanga tra noi, sia chiaro. Possono denunciarmi per questo” le porse il pacchetto.
Lei sorrise riconoscente, dandogli i soldi necessari.
“Grazie mille, signore.”
E poi uscii velocemente guardandosi intorno. Fece qualche passo, poi estrasse il pacchetto. Lo scartò velocemente sentendosi subito meglio. Per un attimo aveva pensato che non sarebbe riuscita a convincerlo e che sarebbe dovuta andar via a mani vuote, ma ora, la sigaretta tra le mani era come un calmante.
Sorrise, prendendo l’accendino dalla tasca sinistra. Quello lo aveva portato, almeno.
Avvicinò il filtro alle labbra, poi aspirò accendendo la sigaretta.
Aveva fumato già qualche volta. In realtà lo aveva fatto per due anni, tra i quattordici e i quindici. Inizialmente era solo per moda, per piacere a Derek. Poi quando lui le aveva provato a mettere una mano nei jeans, era scappata via spaventata. Continuò per vizio, poi, certa che qualcuno l’avrebbe scoperta, aveva smesso.
Socchiuse gli occhi, soffiando piano il fumo.  Si rilassò all’istante.
Non fumava da tanto, farlo le sembrava quasi irreale e perfetto.
Lasciò che il fumo le annebbiasse i sensi e piano camminò, ritornando a casa solo dopo qualche ora e a metà pacchetto finito.
 
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 ‘Ho bisogno di una doccia. Puzzo.’
 
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‘Sì, lo credo anche io, hahah. Lo sento fino qui.’
 
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‘Gne gne. Spiritosa.’
 
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‘;)’
 
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‘Come stai?’
 
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‘Sì, bene. Tu?’
 
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‘Tutto okay, dai.’
 
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‘Penso di dovermi fare una doccia anche io, HAHAH. Son puzzolente, in effetti.’
 
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‘Lavatiii.’
 
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‘Ti andrei bene anche puzzolente?’
 
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‘Si <3’
 
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‘Aw. Ma ti immagini se ti abbracciassi ora, tutta sudata e… Bleah.’
 
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‘Sì, certo che ti abbraccio <3’
 
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‘Anche io lo farei.’
 
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‘Davvero?’
 
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‘Sì. E poi trovo una doccia e ti ci butto dentro. HAHAH.’
 
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‘E poi ci laviamo insieme, HAHAH.’
 
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‘Sì, perché puzziamo!’
 
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‘Io lavo te e tu lavi me. No, okay, questo è un po’ perverso.’
 
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‘Porco, HAHAH.’
 
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‘Mica hai i traumi? HAHAH.’
 
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‘No, certo che no. HAHAH.’
 
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‘Brava u.u’
 
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‘Sei uno zozzo con la Z maiuscola.’
 
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‘Da piccolo dicevo sosso. HAHAH.’
 
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‘Sosso, io vado a lavarmi. Non so te.’
 
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‘Vado anche io. Tra un po’ esco con alcuni amici!’
 
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‘Divertiti!’
 
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‘Se potessi ti porterei con me.’
 
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‘Io sono pronta, devo solo truccarmi. ;)’
 
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‘Va bene, ci vediamo in piazza. ;)’
 
Messaggio da:H<3
‘A dopo. Buona serata!’
 
Messaggio da:Marmotta<3
‘Ciao H. :)’
 
 
Il ragazzo rise: Erano proprio stupidi.
Lasciò il telefono sulla scrivania e poi si andò a lavare. A breve Tom sarebbe passato a prenderlo.
La ragazza invece scrollò le spalle, andò a lavarsi e poi tornò nella sua stanza, felice di aver lasciato tutti i brutti pensieri lontani da lei, forse nell’orizzonte che aveva disegnato sul suo foglio d’album. 







Partorire capitoli così, non fa bene alla mia salute.

  
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