IX.
«Sarai sempre il mio muro contro il quale sbattere la testa».
È
inutile far finta che sia un giorno come gli altri, arrivata
all'aeroporto di Tokyo me ne rendo perfettamente conto.
Così, con le
dita premute contro l'ampia vetrata, attendo con impazienza quel che
si rivelerà un definitivo ritorno. Il tempo è
passato, ma è come
se non fosse trascorso mai davvero: i
nostri amici sono gli stessi di sempre, in fondo. Aya e Tsuyoshi
fanno ancora coppia fissa, Fuka è irritata per qualcosa che
Takaishi
deve averle detto, Rei chiacchiera al cellulare, nella speranza di
trovarmi nuovi ingaggi e mia madre sta rincorrendo Marochan.
Nel mio cuore, invece, tutto è cambiato: non sono più la ragazzina di un tempo, questi due anni hanno formato il mio carattere e mi hanno reso una persona differente, nuova.
Non avere Akito Hayama accanto a me, per quanto doloroso, mi ha permesso di mettermi in contatto con coloro che hanno sofferto molto di più. Nel mondo c'è così tanto dolore e, come un riflesso in uno stagno d'acqua, c'è anche tanto amore. Sta a noi, effimeri esseri umani di passaggio, lottare contro il primo e far trionfare il secondo.
Sono ancora in balia dei miei pensieri quando avverto un grande scossone in direzione delle spalle. Rei chiama il mio nome più volte, dal suo tono agitato evinco che il momento è finalmente arrivato. È il rumore di un megafono a ridestarmi, nonché la conseguente calca di persone che si fanno largo nella piattaforma. Il mio cuore inizia a martellare, il respiro si fa titubante e sembra che le parole mi siano state portate via come per magia. Mi ero preparata a tutto ciò, avevo persino pensato ad una battuta d'effetto, eppure ora ogni cosa sembra offuscata dai mille pensieri che affollano la mia mente.
Hayama sta camminando sul mio stesso suolo, sta compiendo gli stessi passi che mi porteranno da lui, stiamo respirando lo stesso ossigeno. Muovo ancora un passo in avanti, gli occhi più sgranati che mai – ti prego, ti prego, fa che non sia un sogno, non voglio svegliarmi –, improvvisamente le urla e la confusione diventano rumori ovattati, coperti dal solo incedere dei miei passi. Tutto si muove confusamente, davanti ai miei occhi si manifestano tanti colori differenti, ogni gesto sembra essere una corsa contro il tempo ma non riesco a udire nulla.
Mi fermo, allora, perché i miei occhi forse hanno visto quel che sperano non sia un'illusione: è una chioma bionda, leggermente spettinata, sembra un po' disorientata ma si abitua dopo qualche istante. Sono solo una decina di passi, ora, a separarci dall'inevitabile: ti prego Hayama, penso, cercami con lo sguardo. E come se i miei desideri potessero, magicamente, venir esauditi qualcosa scuote Hayama – la furia di un passante, la sua valigia che tocca il suolo, il suo disappunto nel rialzarla – e i suoi occhi si dirigono verso di me. Dorati, paralizzanti, incantevoli: esattamente come li ricordavo, non è cambiato di una virgola. Non l'ho nemmeno guardato, mi sono concentrata solo sul suo sguardo: volevo vedere, egoisticamente, se i suoi lineamenti corrispondevano ancora a quelli che un tempo prima mi avevano fatto tante promesse. Cercavo il suo riflesso nel mio, nulla più.
Stavolta sono cinque passi, li ho contati mentalmente, che ci separano: non esiste più la linea Tokyo-Stati Uniti, non esiste più alcun fuso orario, non esiste più nessun aereo.
Ora
non regge nessuna giustificazione, non è più il
cielo che ci separa
ma il suolo. Eppure, Hayama, non ti sembra di camminare a
raso
terra?
Dietro di me
le
espressioni festose, le risate cristalline ed i cori di bentornato
sono incontenibili ma dalle mie labbra non riesce a uscire che un
flebile sospiro.
Sorprendentemente è Hayama a prendere parola, a spezzare quell'imbarazzante attesa.
«Speravo fossi cambiata almeno un po', Kurata», asserisce, commentando con lo sguardo le mie forme non proprio prorompenti.
«Sai
che... potrei usarlo?».
«Non oserai».
Sulle mie labbra
indugia un ghigno sardonico, pochi istanti dopo sulla testa di Hayama
si forma un bernoccolo di medie dimensioni.
«Non sono proprio
riuscita a lasciarlo a casa», sentenzio, complimentandomi con
me
stessa per aver sfoggiato un destro niente male.
Le risate dei
nostri amici riempiono l'aria e, dopo un iniziale momento di
titubanza, sembra che il tempo non sia passato: siamo ancora gli
stessi, ci punzecchiamo a vicenda ed i nostri sguardi diventano
complici solo quando nessuno li guarda.
*
Oggi
tutti gli occhi sono puntati addosso ad Akito Hayama, come se fosse
la notizia del momento: sono centinaia le domande che gli sono
rivolte e altrettante le risposte che vengono date con un secco
“meh”. Non è da lui
dilungarsi in ampollose descrizioni
concernenti il cosiddetto “sogno
americano” o minuziosi
scrorci paesaggistici, lascia che siano gli altri a parlare per lui.
I nostri amici sono così concentrati nel far valere l'uno le
teorie
dell'altro da non accorgersi del fatto che Hayama si è
appena
separato dalla folla di persone e, con un tacito segnale, mi invita a
seguirlo.
Devo
ammetterlo: ho aspettato ardentemente questo momento, eppure ora che
è qui vorrei rimandarlo il più possibile. Ora le
farfalle nello
stomaco si fanno sentire, ora devo trovare il coraggio di sciogliere
il nodo in gola che mi attanaglia, ora è
già qui.
Akito
compie un gesto che potrei definire sorprendente, ma che non oso
commentare con sarcasmo: afferra la mia mano e la tiene stretta a
sé
mentre percorriamo i viottoli affollati della città. Le mani
di
Akito sono calde, di un calore che arriva sino al cuore, passando
direttamente per le vie endovenose.
«Così sei diventato un
vero american boy, Hayama».
Akito sfodera un mezzo
sorriso, poi ribatte: «I can't understand you,
young lady».
L'istinto
sarebbe quello di canzonarlo per bene, ma il mio subconscio deve aver
lottato strenuamente se il mio sguardo non può fare a meno
di
indugiare sulle sue labbra e, con un piccolo balzo, ritrovarvisi:
è
come se sapessero ancora di limone, di neve, di dimmi che Los
Angeles è vicina.
Qualche
secondo dopo Hayama annuisce tra sé e sé, mentre
il calore si
colora sulle mie guance e mi gioca strani scherzi. Stavolta
è Akito
a prendere parola, si trova solo a qualche spanna dal mio viso: «Per
un attimo ho pensato che non fosse passato il tempo per te, Sana».
Nessun Kurata, nessun appellativo canzonatorio, nessun
vezzeggiativo. Poi, sento la fronte di Akito sulla mia spalla ed
è
come se un muro si fosse abbattuto tra di noi.
«Non
temere, Hayama, sarai sempre il mio muro contro il quale sbattere la
testa», i miei pensieri si traducono in parole e temo
– anzi, ne
sono quasi certa –, che siano suonate particolarmente
melense.
«Ecco, adesso un fidanzato normale dovrebbe rispondere con
una frase
romantica».
Inveisco, forse inutilmente, quando le mie
confessioni imbarazzanti non ricevono risposta alcuna. Hayama si
limita a paralizzarmi con quel suo sguardo indagatore, mettendomi a
tacere con una sentenza che non lascia spazio ad ulteriori indugi:
«Non sono mai stato bravo con le parole, Kurata».
È solo
qualche millimetro di distanza a separarci, abbastanza da consentirmi
di replicare: «Non è vero, Hayama. Non
è vero».
Me
lo hai provato ora, vorrei
dire,
ma il tempo e l'intesa non sono mai stati così in sintonia e
tutto
il resto è polvere, aria, cenere: nulla è
concreto, non
più,
sulle labbra di Hayama.
*
Qualche anno dopo.
“Qualcuno
ha detto: non c'è nulla di nuovo sotto il sole,
una volta. È
vero, non esiste niente in questo mondo che non sia già
stato
provato da qualcun altro, non esiste individuo che non abbia provato
il dolore che altri hanno già sperimentato. Eppure ce ne
stupiamo
ogni volta, pur sapendone riconoscere i sintomi: non c'è
nulla di
nuovo sotto il sole, ci ripetiamo di nuovo, nonostante qualcosa di
diverso ci sia, in effetti. Non è ciò che
c'è sotto il sole ad
essere diverso, è il sole stesso ad
esserlo: negli occhi di
Hayama, nello specifico, lo vedo e lo rivedo ogni giorno”.
«Dimmi che hai terminato questa sceneggiatura, Kurata. Sei in ritardo».
Hayama appare alle mie spalle, per fortuna me ne sono accorta in tempo: fremo impercettibilmente per lo stupore e, con un incredibile acutezza di riflessi, lo stringo tra le mie braccia.
«Uhm, devo aver preso da mia madre», dibatto scherzosamente.
Hayama arcua un sopracciglio, dopodiché punta lo sguardo alla numerosa pila di fogli tra le mie mani.
«Ricordami perché questo copione è così segreto», sentenzia freddamente.
«Perché
è una sorpresa».
Mi ero già preparata a questa domanda, anche
perché se Hayama ne sapesse il contenuto insisterebbe per
leggere e
rileggere il copione. E, per la civile convivenza, credo che questa
soluzione sia migliore per ambedue.
«Dì la verità, Kurata...», Akito si avvicina più del dovuto, devo ricordarmi di tenere erte le mie difese. «Ti vergogni dei tuoi errori grammaticali?».
«Non essere stupido! Hayama, se avessi il mio martelletto in questo momento...», sono costretta a lasciare la frase in sospeso, le dita di Hayama iniziano a pizzicare i miei fianchi: conosce le mie debolezze, eppure le sfrutta.
«Sì?», chiede lui, sarcasticamente.
«Non lo fare», supplico, con un tono sin troppo accondiscendente affinché sembri reale.
«Cosa?», domanda nuovamente, poggiando le labbra sull'incavo del mio collo.
«Questo... mi distrae», ammetto, vagamente piccata.
«Bene».
«Potrei
approfittare di questo tuo momento di debolezza per colpirti alle
spalle, Hayama», esordisco improvvisamente, con l'intenzione
di
impormi. «O sbatterti contro un muro, farebbe molto
più
male».
«Impossibile, Kurata. Poi, contro chi sbatteresti la
testa?».
Akito Hayama mostra il suo aspetto per quello che è davvero: nient'altro che un presuntuoso, egocentrico e arrogante fidanzato. Non mi risultava che fosse anche megalomane ma, a quanto pare, l'aria americana deve averlo cambiato.
«Sappi che ti odio, Hayama, in questo momento. Stai sfruttando una confidenza imbarazzante avvenuta tanti anni fa», rispondo inviperita, stavolta.
Hayama abbozza un mezzo sorriso, per poi esordire con un semplice: «Perfetto. Sono pronto a rinfacciartelo tutta la vita».
Ed è proprio quando sarei pronta a tirar fuori il proverbiale martellino rosso che Hayama inizia a stupirmi. Abbasso leggermente le spalle, esalo un gran sospiro e trattengo ogni emozione.
«Hayama?», bisbiglio, avvicinandomi al suo timpano. «Mi hai appena detto una cosa bellissima».
Mi hai appena detto quanto mi ami, vorrei dire, ma sono sicura che lo avrà capito da solo.
Lo
so, mi faccio
sentire dopo decadi. Non vi sto qui a elencare i miei mille impegni,
son tornata a postare su EFP dopo svariato tempo! Dunque, passando
alla fan fiction: spero si capisca, Sana sta scrivendo la sua prima
sceneggiatura e l'ha basata sulla sua storia con Akito. Inoltre, ci
sono altri riferimenti: il “Dimmi
che Los Angeles è vicina” è
un riferimento ad uno degli ultimi volumi, prima che Sana e Akito si
separino. Quando nel presente Sana dice che: “L'aria
americana deve
averlo cambiato”, è perché Hayama va
ancora negli USA di tanto in
tanto. Verosimilmente con un problema come il suo credo che almeno
qualche controllo dovrebbe farselo, anche se ovviamente vi resta
molto di meno. Ho immaginato che fosse tornato da poco da un viaggio
negli Stati Uniti, ecco spiegata la frase.
Veniamo alla parte
finale: vi ringrazio, questo fandom è sempre così
caloroso nei miei
confronti. Grazie per le letture, perché questa storia
è diversa
dalle altre e c'è molto dramma all'interno. Già
solo per il fatto
che siate arrivati alla fine vi stimo, ecco. Inoltre è stata
una
storia difficile, per “calarmi” nel personaggio ho
optato per la
prima persona (è una rarissima eccezione, scrivo sempre in
terza
persona!). Grazie a tutti coloro che hanno lasciato un commento,
più
di una volta mi son commossa per la sensibilità con la quale
avete
accolto questa storia. :')
E inoltre grazie a:
BuongiornoBellAnima,
dancemylife, Euterpe_12, luchia nanami, Piccola Sana, Summer_Sun,
Altaria, Elizabeth_J, sarahmanga,Aiofjane,aki96, Di4ever, elenafire,
Helder Bode, isachan, katia22, kikkab, kiss88, lady_free, LallyQueen,
laretta, Manila, Marika95, Sara_Skater89, sarelf, scirocco, Sweet
Stella, Uotani, _Silvia_Salvatore_
, per
le preferite/seguite/ricordate.
Prossimamente
– il tempo di portare a termine qualche progetto,
così da tornare
qui stabilmente – tornerò con una commedia
romantica, ovviamente
Sana/Akito. Inoltre, se per caso seguite altre mie storie o volete
ulteriori aggiornamenti, in
questa pagina li troverete tutti. :)