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Autore: Uccellino Assurdo    06/08/2013    1 recensioni
Trieste ha una scontrosa / grazia. Se piace, / è come un ragazzaccio aspro e vorace, / con gli occhi azzurri e/ mani troppo grandi / per regalare un fiore; /come un amore / con gelosia. (Umberto Saba, Trieste)
Trieste, 1914. Nella città "crocevia di popoli e di culture" per eccellenza la storia dei due fratelli Vargas, Romano ed Alice, che vedono la loro vita sconvolta dall'avvento della Grande Guerra e dell' amore...
Nota: presente Fem/Italia del Nord
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Finalmente aggiorno questo mio tentativo di fan fiction! Chiedo umilmente perdono per l’atroce ritardo con cui presento questo secondo (in realtà primo) capitolo, prometto che cercherò di essere più celere. Avverto che lo svolgimento della storia sarà abbastanza lento quindi non si entrerà immediatamente nel vivo della vicenda, ma se vorrete seguirla farò di tutto per non annoiarvi! Commentate e criticate pure, tutto è ben accetto! E ora… buona lettura!

I

Quella mattina Romano arrivò in ritardo a lavoro. Da quando Alice non andava più ogni giorno a casa Edelstein cercava di attardarsi quanto più poteva per lasciare il meno possibile sola la sorella e, come al solito, si premurava in raccomandazioni varie:

«Non aprire a nessuno, potrebbero essere malintenzionati. Se esci ricordati di portare le chiavi. E per strada non dare retta a chi non conosci, anzi non dare retta a nessuno!».

Alice annuiva pazientemente; ormai era una settimana che non faceva altro che rimanere in casa ad occuparsi delle faccende domestiche, a cucinare, aspettando il ritorno di Romano e se usciva lo faceva solo per fare la spesa… I tentativi di trovare qualche lavoretto non avevano dato buoni frutti, anzi, si erano rivelati un disastro: in una sola settimana era stata licenziata dal panificio, da una pasticceria e da un negozio di stoffe … Non era nell’indole di Alice stare troppo tempo in inattività; si annoiava, la solitudine la intristiva e, quel che era peggio, l’amara sensazione di essere un peso per il fratello si faceva sempre più pressante.

«Mi raccomando allora! Non ti mettere nei guai. Io sarò di ritorno stasera, cercherò di finire prima che posso»

«Va bene, buona giornata!»

Il mercato al quale Romano lavorava non era molto distante da casa e andando più veloce del solito in bicicletta (non aveva più pensiero che dietro ci fosse Alice) si poteva arrivare in meno di dieci minuti; arrivò appena in tempo per aiutare Antonio a finire di mettere sulla bancarella le ceste e cassette con la frutta e la verdura che già arrivarono i primi clienti.

«Dormito bene stanotte, Romanito?», chiese Antonio con un sorriso rivolto al suo aiutante.

«Se con la celata ironia di questa tua domanda stai cercando di dirmi che anche stamattina sono nel mostruoso ritardo di dieci minuti la risposta è sì: sono in ritardo! Farò gli straordinari dopo se la cosa ti disturba tanto!» , rispose con invidiabile garbo Romano, «ah, e poi un’altra cosa, e spero di non doverla più ripetere…»

Antonio lo guardava aspettando.

«…smettila di chiamarmi Romanito!!», si girò avvelenato, «sembra il nome di una marca di gassosa!»

«Va bene, Romanito!», disse Antonio, «anche quest’oggi sei di buon umore!».

Lo avrebbe ucciso. Se non avesse avuto così bisogno di lavorare.

Romano aveva iniziato a lavorare al mercato centrale, nel banco di frutta e verdura di Antonio, quell’ estate: certo, quello spagnolo era insopportabile con quel perenne sorriso strafottente stampato in faccia e l’aria di chi non avesse problemi al mondo, ma la paga era buona e Romano era il tipo che, se voleva, riusciva a sopportare senza lamentarsi poi troppo. A dire la verità non era mai stato rimproverato né per il ritardo, né per i vari guai combinati (e ne combinava!), anzi lo spagnolo era pure fin troppo gentile, sempre cortese e paziente, sotto certi punti di vista poteva essere considerato il datore di lavoro ideale. Anche se questo non intaccava certe sue stranezze.

«Buongiorno, figliolo!»

«Signora Marotti, buongiorno a lei!», salutò con voce squillante e cortese un’anziana signora, cliente abituale, «…già in giro a quest’ora? Dovrebbe starsene a letto con questo freddo! Cosa posso fare per lei?»

La signora sorrise mostrando una piccola borsa di iuta spelacchiata. «Darmi mezzo chilo di quelle deliziose mele che mi hai venduto la scorsa settimana, ai miei nipotini sono piaciute molto!»

Antonio allargò ulteriormente il sorriso e mise la frutta in un sacchetto; Romano si accorse che fu particolarmente generoso, non poteva essere mezzo chilo. Il sacchetto venne pesato.

«Ecco a lei, esattamente mezzo chilo come richiesto!»

«Grazie caro…per quanto riguarda il pagamento…»

Antonio mise le mani avanti e scosse la testa, «Si figuri, metto sul conto come al solito, pagherà quando le fa più comodo!»

La signora annuì e ringraziò di nuovo, con una strana aria di dolcezza e tristezza insieme. In effetti quel bastardo spagnolo già l’altra volta aveva fatto credito alla vecchia, pensò Romano, se fosse andato avanti così avrebbe presto dovuto chiudere baracca! Ma questo, in fondo, non era affar suo: lui lavorava e veniva pagato, andava bene così.

«È poi riuscita a trovare lavoro tua sorella?»

Romano si ridestò dai suoi pensieri. «Non ancora…», si rimise ad aggiustare le cassette di frutta, «lei… non è molto portata per i lavori pratici», glissò.

«Sai, una cliente mi ha fatto sapere che cercano ragazze in una sartoria qui vicino, perché non…»

«Ti ho già detto che non sarebbe un lavoro adatto a lei!», rispose stizzito Romano, «e poi non mi aspetto questo per lei, ha studiato, voglio che trovi un lavoro rispettabile»

Questa volta Antonio rispose con un tono quasi offeso, quasi amareggiato, aggrottò leggermente le sopracciglia: «Perché, una sarta non è rispettabile?»

Il ragazzo si pentì di quanto detto: «Non intendevo questo, è solo che… E poi non sono affari tuoi!» Avrebbe voluto dire che la sua famiglia, i suoi genitori, facevano parte dell’alta borghesia, prima che i fili del destino si fossero messi in mezzo e non avessero perso tutto in maniera così tragica, che almeno Alice doveva quindi avere la possibilità di costruirsi una vita il più vicino possibile alle aspettative dei loro genitori e che era proprio per questo che lui, Romano, lavorava quanto gli fosse possibile per far vivere felice la sorellina. Ma tacque. Tutto questo Antonio, che sembrava così inspiegabilmente entusiasta del suo banchetto di frutta e verdura in mezzo ai figli del popolo, non lo sapeva né l’avrebbe potuto capire. O almeno così credeva. Da quando lo conosceva non avevano mai parlato della sua famiglia, del suo passato, del perché dalla sua Spagna fosse finito proprio a Trieste; non che a Romano interessasse più di tanto, ma certe volte aveva voglia di sapere cosa mai passasse per la testa a quello spagnolo che sembrava sempre sorridere al mondo. In quello gli ricordava Alice.

«Va bene così Romanito; scusa, hai ragione, non sono affari miei». Sembrava essere ritornato di buon umore, la leggera aria di rimprovero che gli aveva un attimo prima offuscato lo sguardo si rischiarò come se non ci fosse mai stata, «adesso, per favore, pensaci tu a servire i clienti per un attimo, io vado a prendere un’altra cassetta e la porto»

«Va bene…»

Forse in nessun altro posto si respirava la vita di Trieste come al mercato centrale, dove ogni giorno, fra bancarelle e vociare confuso, la gente si riversava e rimescolava; Romano si rendeva conto sempre di più di quanto grande e composita fosse la sua città, era ormai normale sentire mischiati i più vari idiomi europei, ormai era in grado di riconoscerli soltanto in base all’accento o all’inflessione della voce dei parlanti, anche quando parlavano in italiano. Ecco, per esempio, quei due che sembrava stessero avvicinandosi proprio a lui non erano di certo triestini. Si trattava di due ragazzi poco più grandi di Romano: uno, quello più alto e dai capelli di un biondo così chiaro da sembrare bianchi, aveva un accento indiscutibilmente tedesco, il giovane che lo accompagnava invece, dall’aria un po’ svagata ed elegante, doveva essere di sicuro francese o giù di lì. Ma più che questo quello che adesso preoccupava Romano era che quei due puntavano effettivamente proprio verso di lui, gli erano in pratica già davanti.

«Ehi, giovane», cominciò quello che Romano aveva identificato come tedesco, «cerchiamo Antonio, sappiamo che lavora qui. Sei il suo aiutante?»

«Scommetto di sì», insinuò il francese con aria quasi lasciva, «è proprio da Antonio trovarsi aiutanti tanto carini!»

In due o tre parole e altrettanti secondi i due riuscirono a destare nell’”aiutante tanto carino” un vivo senso di dispetto misto a disgusto.

«No, è proprio da Antonio trovarsi amici tanto…» cominciò a dire, alterato, ma venne tempisticamente interrotto da Antonio, appena tornato.

«Gilbert! Francis!» gridò entusiasta lo spagnolo. Abbracci, pacche, convenevoli. Evidentemente, pensò Romano, quei tre si conoscevano da vecchia data.

«Non sapevo che fossi già tornato, Gilbert», chiese lo spagnolo ancora con la mano sopra la spalla dell’amico.

«È solo da un paio di giorni, devo sistemare un po’ di cose. Sì, immagino che la mia nobile presenza ti sia mancata in tutto questo tempo!»

«Ah, ah! Certo, come sempre!»

«Allora, tu quando smonti da questa baracca?»

«Piuttosto quando smonti la baracca?», intervenne Francis, «ti pare il caso di fare il fruttivendolo con tutte le bellezze che offre Trieste?» e occhieggiava intanto le ragazze intorno, illuminandosi.

«Vi assicuro che non c’è posto migliore per gustarsi le bellezze di Trieste! Comunque sarò impegnato fino a tardo pomeriggio…»

«Allora ci vediamo stasera, prendiamo qualcosa da bere e ci facciamo quattro chiacchiere, che ne dici?»

Romano assisteva riluttante a quella patetica rimpatriata. Bene. Un tedesco rozzo, presuntuoso, ubriacone e probabilmente di intelligenza inferiore alla media e un francese saccente, depravato e non si sa che altro. Proprio in loro doveva incappare quella benedetta mattina.

«Sicuro!», esclamò Antonio, «a proposito, non vi ho presentati: Romano questi sono Gilbert e Francis, questo è Romano, il mio…»

«… aiutante tanto carino!», finì Francis, «Non c’è che dire, i tuoi gusti sono sempre stati sopraffini!»

Romano partì. « Vuoi che ti faccia sentire il gusto di questo pugno in faccia, francese zozzo depravato?!» e fu lì lì per alzare il braccio ed adempiere alla promessa. Antonio lo trattenne imbarazzato, «Eh, eh, Francis, chiudi il becco…»

«Ma… è un passionale!!» esclamò entusiasta il francese, «allora è per lui che non ti si vede più in giro!»

«Ti spacco il…!!»

«Romano, calmati, Francis… smettila!» fece Antonio, sempre più imbarazzato.

Ma da quale bolgia dell’inferno erano scaturiti quei due abietti esemplari di razza umana?

«Allora a stasera!», salutarono i due.

«A stasera…», rispose spagnolo sorridendo suo malgrado; si girò verso un Romano ancora furente, «perdonami Romano, quelli sono…»

«Non mi interessa!»

«… i miei due più cari…»

«Ti ho detto che non mi interessa!»

«… amici, li ho incontrati…»

«Non lo voglio sapere!»

«… a Trieste»

Già, Trieste. Le bellezze di Trieste, se non fosse che ultimamente questa città aveva sempre più la capacità di attirare a sé il marciume umano più repellente.

«Ma sono bravi ragazzi! Lo so che può sembrare che abbiano modi un po’ sanguigni all’inizio ma…»

«Fammi lavorare che è meglio!»

Proseguirono il lavoro fino a tardo pomeriggio, fino a quando il cielo si rabbuiò e una fitta coltre di nubi incupì l’aria. «Mi sa che si metterà a piovere», dichiarò fra sé e sé Romano; avrebbe fato meglio a tornare da Alice il prima possibile.

«Vai pure, finisco io di mettere a posto», disse Antonio, «se ti raggiunge la pioggia mentre sei ancora per strada ti verrà un raffreddore»

«Va bene, allora vado…»

«Ah, Romanito…!»

«Cosa c’è?», e si girò scocciato verso lo spagnolo; si vide allungare un sacchetto di cartone. «Sono avanzati e sono già troppo maturi», spiegò, «se li lascio fino a domani temo che marciranno». Erano pomodori ed erano grandi, rossi e lucenti, maturi sì ma di certo non prossimi a marcire; sembravano deliziosi e Romano ne andava pazzo, nondimeno rimase colpito dal gesto e, notando il suo sguardo perplesso, Antonio si affrettò a dire «Non ti offendere! È solo che io non me ne faccio niente, sono solo. E poi stasera cenerò fuori probabilmente; portali con te, mangiali con tua sorella». Li offrì con tanta naturalezza, quel bastardo fottuto, che Romano potè solo prenderli senza dire una parola.

«Ah, e poi», continuò lo spagnolo, «nel caso volessi uscire con me, Gilberte Francis, ci farebbe piac…», il resto gli morì in gola quando vide lo sguardo semi allucinato e omicida del ragazzo. «Come non detto…!»

Ormai stava per mettersi a piovere.

II

Romano arrivò di corsa a casa prima che la pioggia, dapprima leggera, si trasformasse in acquazzone. Davanti al cancelletto vide una figura minuta che sembrava lo attendesse; era Alice che teneva in mano un piccolo ombrello, appoggiata al muricciolo e con lo sguardo chino.

«Quella scema avrà dimenticato di nuovo le chiavi di casa…». Andandole incontro Romano si accorse che aveva gli occhi pieni di lacrime. «Alice, che è successo!?», gridò preoccupato precipitandosi verso di lei.

Alice guardò il fratello e sciolse la cortina di lacrime che le serrava gli occhi. «Fratellone», iniziò singhiozzando, «ti ricordi il fioraio all’angolo della strada?»

Romano capì prima che la sorella finisse di parlare: sicuramente era andata a chiedere lavoro lì e l’esito era stato quello abituale.

«Oh, Alice…», cominciò, «non c’è bisogno di piangere per una sciocchezza simile, vedrai che…»

«Sono un disastro!!!», scoppiò a piangere la ragazza, «sono una buona a nulla, riesco solo a combinare guai!»

Ramano si intenerì alla vista della sorellina in lacrime; «Sarebbe meglio per te che io non ci fossi!»

«Ma smettila di dire scemenze!», le inveì severo, «domani andrà meglio e se anche non fosse ci penserò io a te, come sempre. Piuttosto…», le mise davanti il sacchetto che gli aveva dato Antonio.

«Cosa c’è qua dentro?»

«Guardaci!». Lei lo fece, ancora tirando su col naso.

«Pomodori!», esclamò la ragazza tornata repentinamente allegra.

«Sì, e sai cosa ci possiamo fare?»

«La salsa… per condire la pasta!!», suggerì Alice entusiasta.

«…o la pizza!», finì Romano.

III

I tre ragazzi erano seduti ad un tavolo di una tavernetta poco lontana dalla piazza centrale; avevano trascorso tutta la serata in allegria, a parlare, ridere e bere.

«Come sta tuo nonno adesso, Gilbert?»

Il giovane poggiò sul tavolo il boccale di birra che aveva appena portato alla bocca. «Bhe… non ha niente di particolare ma è ormai anziano. Ha deciso di ritirarsi e dice di voler vivere i suoi ultimi giorni nella sua terra, in Germania. Sai, più si invecchia più ci si rammollisce l’animo e si cede a queste sciocche romanticherie».

«Capisco…»

«Quindi cosa ne sarà della fabbrica?», chiese Francis; stranamente sembrava ritornare presente solo dopo che le cameriere si allontanavano. «Non dirmi che l’ha affidata a te! Con queste tue manie militari da guerrafondaio non ti ci vedo proprio dietro una scrivania a scartabellare fra fatture e conti!»

«No, no!», tagliò corto, «non è roba per me! Se ne occuperà mio fratello, è più tagliato di me per questo genere di cose. Ci penserà lui a gestire l’azienda».

«Quel tuo fratello di cui ci parli spesso? Come si chiama… Ludwig! Non è mai stato a Trieste, vero?»

«Già, ma sono sicuro che si abituerà presto, come d’altronde ho fatto io». Si interruppe come se gli fosse venuto in mente un particolare. «Già, Antonio! Tu sei a contatto con molta gente…»

«Sì, perché?», lo guardò interrogativo.

«Ludwig non si può occupare di tutto da solo. Conosci per caso qualche ragazza adatta a fargli da segretaria? Niente di che: conoscenza dell’italiano e naturalmente del tedesco, una buona istruzione complessiva. Ce ne saranno a migliaia a Trieste!»

Antonio allungò le labbra in un sorriso. «Sì, ma ne conosco una che è unica!»

   
 
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